Michele Ruvolo, Anche il promissario acquirente può, nel giudizio ex art. 2932 c.c., attestare e documentare la legittimità urbanistica dell’immobile, in Corriere Giur., 2010, 7, p. 919
Anche il promissario acquirente può, nel giudizio ex art. 2932 c.c., attestare e documentare la legittimità urbanistica dell’immobile
Sommario: La vicenda – Il quadro normativo ed i precedenti della Suprema Corte – Il principio affermato dalle Sezioni Unite – Considerazioni finali
La vicenda
Il caso deciso dalla III sezione della Cassazione riguarda una vicenda in cui il promissario acquirente di un immobile aveva agito per l’esecuzione specifica di un contratto preliminare di compravendita ed aveva prodotto, nel corso del giudizio, la documentazione (costituita nel caso di specie da una dichiarazione giurata da lui stesso sottoscritta) attestante la regolarità urbanistica dell’immobile in questione.
In particolare, tale promissario acquirente era un imprenditore che si era impegnato a pagare il bene che aveva promesso di acquistare.
Ciò da cui scaturiva la controversia tra le parti era il fatto che i convenuti (eredi della promittente venditrice) erano, nell’impostazione di parte attrice, inadempienti rispetto alle obbligazioni scaturenti dal contratto preliminare.
Ecco che il promissario acquirente chiedeva l’emissione di una sentenza ex art. 2932 c.c.
Il tribunale respingeva la domanda di trasferimento dell’immobile promesso in vendita perché non era stata acquisita la documentazione attestante la liceità della costruzione, come invece richiesto dall’art. 40 della legge n. 47 del 1985, applicabile anche ai trasferimenti ex art. 2932 c.c.
In secondo grado, però, la sentenza veniva riformata e, in parziale accoglimento dell’appello principale, veniva accolta la domanda proposta ex art. 2932 c.c., disponendo il trasferimento dell’immobile oggetto del preliminare. Nella sentenza di secondo grado si affermava che non vi erano ostacoli al trasferimento del bene in quanto il promissario acquirente aveva presentato nel corso del giudizio una dichiarazione giurata da lui sottoscritta nella quale si attestava la regolarità urbanistica del bene per essere stato lo stesso edificato in epoca anteriore al 1° settembre 1967.
Veniva proposto ricorso per cassazione poiché, secondo le ricorrenti principali, la dichiarazione giurata prodotta nel giudizio di appello era inidonea, in [thrive_lead_lock id=’4487′] quanto proveniente da soggetto diverso dal “proprietario o altro avente titolo”, a rimuovere l’impedimento alla trasmissione del bene immobile in questione. In altre parole, i promittenti venditori affermavano che la dichiarazione giurata proveniente da soggetto diverso dal proprietario dell’immobile non sarebbe stata produttiva di effetti.
La causa veniva assegnata alle Sezioni Unite per la particolare importanza della questione.
Il quadro normativo ed i precedenti della Suprema Corte
Il tema all’esame delle Sezioni Unite presuppone la conoscenza del disposto degli artt. 40 e 17 della legge 47/85.
Secondo l’art. 17 “gli atti tra vivi sia in forma pubblica che privata aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo la entrata in vigore della presente legge sono nulli o non possono essere stipulati ove da essi non risultino per dichiarazione dell’alienante gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria”.
A sua volta, l’art. 40 della medesima legge 47/85 dispone che “gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’art. 31 ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui al sesto comma dell’articolo 35. Per le opere iniziate anteriormente al 1° settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967″.
È noto che l’art. 17 l. 47/85 è stato abrogato dall’art. 136, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a decorrere dal 30 giugno 2003, ai sensi dell’art. 3 d.l. 20 giugno 2002, n. 122 (convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2002, n. 185). Ed è altrettanto noto che la previsione di cui all’art. 17 l. n. 47/85 è stata ribadita dall’art. 46 del citato d.P.R. 380/01 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
Orbene, premesso che nell’ampia locuzione di atti tra vivi viene incluso qualsiasi tipo di negozio concernente i diritti reali immobiliari relativi ad edifici e loro parti (1), risulta evidente che la disciplina di cui alla legge n. 47/85 appronta, agli artt. 17 (per le costruzioni iniziate dopo l’entrata in vigore della legge) e 40 (per le costruzioni anteriori ma successive al 1° settembre 1967), le sanzioni di carattere civilistico volte a scoraggiare il fenomeno dell’abusivismo edilizio, sancendo l’incommerciabilità dei beni realizzati contra legem. In presenza di un immobile privo dei requisiti che ne consentano la commerciabilità, deve pervenirsi al rigetto della domanda ex art. 2932 c.c. per l’illiceità ovvero per l’impossibilità giuridica relativa dell’oggetto del giudizio.
Tale soluzione ha trovato riscontri in giurisprudenza proprio relativamente all’azione di cui all’art. 2932 c.c. (2)
Il fondamento della conclusione di cui sopra è poi, all’evidenza, la considerazione che non può essere consentito all’autorità giudiziaria la produzione di effetti sostanziali vietati all’autonomia privata (3), specie allorché tra la divisione contrattuale e quella giudiziale non vi sono differenze sul piano degli effetti e dei risultati. La Suprema Corte ha invero costantemente enunciato il principio per cui attraverso la pronuncia giudiziale non può realizzarsi un effetto maggiore e diverso di quello che, in materia immobiliare, sarebbe stato possibile conseguire alle parti attraverso la via negoziale e che comunque eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’esercizio dell’autonomia negoziale delle predette parti (4).
Non è quindi consentito alle parti conseguire attraverso lo strumento giudiziale un effetto che sarebbe loro vietato in sede negoziale da norme imperative quali quelle di cui agli artt. 17, 18 e 40 della legge 47/85, norme che mirano a scongiurare la circolazione giuridica di immobili abusivi (medesimo effetto che potrebbe essere conseguito con la pronuncia giudiziaria).
La trascrizione della pronuncia avrebbe invece gli effetti di un riconoscimento giudiziale della proprietà con l’opponibilità ai terzi del diritto di proprietà sulla quota e, dunque, in caso di costruzioni abusive, avrebbe l’effetto di far conseguire alle parti – attraverso la via giudiziaria – gli effetti che sarebbe stato loro impossibile conseguire in sede negoziale, per la condizione di immobile abusivo del cespite, in palese violazione delle norme imperative sopra citate.
Pertanto, non può revocarsi in dubbio che le disposizioni richiamate siano applicabili anche alle pronunzie giudiziali che implicano l’attribuzione di beni immobili. La sentenza di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di trasferimento immobiliare è dunque condizionata all’osservanza delle norme sopra ricordate. Peraltro, tale sentenza ben può farsi rientrare nella nozione di atti in forma pubblica di cui alle citate disposizioni.
Anche la decisione in commento condivide le argomentazioni appena esposte e finisce con l’affermare che il giudice non può trasferire un immobile non commerciabile per omesso rispetto dei requisiti di cui alla legge n. 47/85. In assenza della documentazione urbanistica il giudice non può pronunciare sentenza di trasferimento coattivo di diritti reali su edifici o loro parti (5). Mancando una condizione di liceità del trasferimento, va rigettata la domanda ex art. 2932 c.c. relativa ad un immobile in relazione al quale non è stata prodotta la documentazione. La sentenza che, a norma dell’art. 2932 c.c., accoglie la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, postula, infatti, l’accertamento dei requisiti di validità del contratto non concluso (6).
E così per Cass. n. 13225/08 non può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo prevista dall’art. 2932 c.c. in assenza della dichiarazione, contenuta nel preliminare, o successivamente prodotta in giudizio, degli estremi della concessione edilizia, trattandosi di un requisito richiesto a pena di nullità dall’art. 17 l. 47/85 (ora sostituito dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001) (7).
Più in generale, va esclusa la possibilità di emettere sentenza ex art. 2932 c.c. quando si riscontra la mancanza degli estremi della licenza (o concessione) ad edificare, a prescindere dalla reale esistenza di essa, ovvero si rilevi la mancata indicazione della concessione rilasciata in sanatoria e, per le opere iniziate anteriormente al 1° settembre 1967, la mancata dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che l’opera è iniziata prima di quella data (8).
Certo, è bene precisare che la sanzione di nullità prevista dall’art. 40 l. n. 47/85 concerne unicamente i contratti che trasferiscono la proprietà e non trova applicazione nei confronti del preliminare di compravendita di edificio abusivo. Infatti, la sanzione della nullità prevista dall’art. 40 della legge 47/85 con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, e quindi la connessa disposizione dell’art. 21 ivi richiamato, trovano applicazione nei soli atti di trasferimento immobiliare, cioè con riferimento ai contratti con effetti reali. Le relative previsioni non possono invece essere estese ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita (9).
Ed invero, a parte il rilievo che la lettera della norma in questione attiene solo agli atti traslativi dei diritti reali sull’immobile e non agli atti ad efficacia obbligatoria, va rilevato che successivamente al contratto preliminare può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi (10).
Inoltre, anche il comma 3 dell’art. 40 della legge 47/85 (in base al quale è consentito ad una delle parti di confermare l’atto carente integrandolo con i documenti mancanti o con la dichiarazione omessa e con effetto sanante del vizio del negozio (11)) non si applica nell’ipotesi di contratto preliminare. Vi è infatti un’incompatibilità tra l’istituto della conferma dell’atto nullo, previsto dalla predetta disposizione, e le peculiari caratteristiche della sentenza e l’autorità del giudicato che questa è destinata ad acquistare (12).
Diversa questione è se, pur non essendo nullo il preliminare di vendita non rispettoso degli artt. 17 e 40 l. n. 47/85, possa poi richiedersi l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto ed ottenere quindi una pronunzia di trasferimento del bene ex art. 2932 c.c. Si è già detto che l’assenza della concessione edilizia o anche l’omessa dichiarazione degli estremi di tale concessione o l’omessa allegazione della domanda di concessione in sanatoria con gli estremi del versamento delle prime due rate della relativa oblazione non consente che vi possa essere esecuzione in forma specifica di preliminare di vendita, dato che la sentenza non può eludere disposizioni di legge che regolano, nella forma e nel contenuto, l’esercizio dell’autonomia negoziale delle parti stesse (13). In altri termini, se al momento dell’accertamento non sussistono i requisiti richiesti dagliartt. 17 e 40 legge 47/85, il promissario acquirente non può avvalersi dello strumento previsto all’art. 2932 c.c. La sua domanda va quindi rigettata.
È comunque da ritenere preferibile l’impostazione per cui, qualora il rigetto della domanda ex art. 2932 c.c. sia avvenuto per mancata produzione della documentazione urbanistica, non si formi il giudicato.
Invero, poiché la produzione della documentazione urbanistica costituisce presupposto per la decidibilità della causa e non attiene alla fondatezza della domanda, la sentenza che rigetta tale domanda per mancata produzione della documentazione urbanistica non è una pronuncia relativa al merito della causa, ma è una decisione di rito, in relazione alla quale non si forma il giudicato.
In assenza della idonea documentazione urbanistica, infatti, la sentenza di scioglimento della comunione sarebbe, al pari dell’atto pubblico di divisione, invalida. La pronuncia di rigetto per la mancanza della documentazione in questione è, quindi, una decisione con la quale si evita di emettere un provvedimento nullo, accertandosi l’insussistenza dei requisiti legali per il trasferimento della proprietà del bene.
Il principio affermato dalle Sezioni Unite
Il problema che doveva affrontare per la prima volta il giudice di legittimità era quello relativo all’individuazione, nell’ambito del giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita immobiliare ex art. 2932 c.c., del soggetto (solo promittente venditore o anche promissario acquirente) onerato della prova della situazione di cui all’art. 40 della legge n. 47 del 1985, con riferimento all’ipotesi di costruzione iniziata prima dell’1 settembre 1967.
In particolare, il quesito era se, nell’ambito del giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita di immobile ex art. 2932 c.c., la prova della sussistenza della situazione di cui all’art.40 della legge n. 47/1985, con riferimento all’ipotesi di costruzione iniziata prima dell’1 settembre 1967, potesse essere fornita anche dal promissario acquirente oltre che dal promittente venditore. In proposito mette appena conto ricordare che, secondo il disposto dell’art. 40 l. n. 47/85, gli immobili costruiti in epoca anteriore al settembre 1967 sono liberamente commerciabili, qualunque sia l’abuso edilizio commesso dall’alienante, a condizione che, nell’atto pubblico di trasferimento, risulti inserita una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al settembre 1967, senza che rilevi, pertanto, ai fini della legittimità del trasferimento, la mancanza dell’attestazione di conformità della costruzione alla licenza edilizia ovvero l’esistenza di una concessione in sanatoria (ovvero la domanda, ad essa relativa, corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione) (14).
In altre parole, le Sezioni Unite erano chiamate sia ad individuare il soggetto gravato dell’onere di provare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge in relazione alla necessaria produzione della documentazione occorrente a dimostrare la regolarità urbanistica dell’immobile, sia a verificare la possibilità, per gli immobili costruiti prima del settembre 1967, della provenienza della relativa dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà prevista dalla legge anche dal promissario acquirente oltre che dal promittente alienante, tenuto conto che per il secondo comma dell’art. 40 legge 47/85 tale dichiarazione deve provenire dal “proprietario o altro avente titolo”.
Nell’ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite si è osservato sul punto che tale questione si pone in concreto nell’ipotesi (invero non infrequente nella casistica giudiziaria) in cui il venditore volontariamente si astenga dal cooperare nella necessaria e doverosa attività di allegazione degli elementi propedeutici alla pronunzia di trasferimento, tenendo così un comportamento che potrebbe in definitiva condizionare la possibilità di accoglimento della domanda (anche nei casi di regolarità urbanistica dell’immobile) al mero arbitrio della parte cui compete quell’onere di allegazione.
Orbene, nella sentenza in commento la Corte di cassazione fissa i principi relativi al rapporto tra sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. e legittimità urbanistica del bene oggetto del contratto preliminare. Le regulae iurisaffermate sono due.
La prima è quella per cui la sussistenza della dichiarazione attestante che l’opera risulta iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967 non costituisce un presupposto della domanda, ma una condizione della delibazione (che ben può intervenire, in quanto requisito di fondatezza della domanda, in corso di causa) per cui è necessario che il documento – da poter produrre anche in secondo grado – sia stato acquisito al momento della decisione della lite. La carenza di detto documento è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, con la conseguenza che sia l’allegazione, sia la documentazione della sua esistenza, si sottraggono alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti e possono avvenire anche nel corso del giudizio d’appello (purché prima della relativa decisione).
Il secondo principio affermato è quello per cui nel caso in cui il promittente alienante, resosi inadempiente, si rifiuti di produrre i documenti attestanti la regolarità urbanistica dell’immobile ovvero di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui all’art. 40 della legge 47/85, deve essere consentito al promissario acquirente di provvedere a tale produzione o di rendere detta dichiarazione al fine di ottenere la sentenza exart. 2932 c.c., dovendo prevalere la tutela di quest’ultimo a fronte di un inesistente concreto interesse pubblico di lotta all’abusivismo, sussistendo di fatto la regolarità urbanistica dell’immobile oggetto del preliminare di compravendita.
Per il giudice di legittimità in caso di mancata collaborazione da parte del promittente venditore è legittimo che la regolarità urbanistica dell’immobile venga fornita dal promissario acquirente, in modo così da consentire l’emissione di una sentenza che renda possibile il trasferimento dell’immobile.
Se il promittente venditore non collabora, alla parte che agisce per l’esecuzione in forma specifica del preliminare di vendita deve essere consentito produrre i documenti che attestano la legittimità edilizia di quanto intende comprare.
Per le sezioni unite non risponde alle finalità della legge 47/85 impedire al promissario acquirente di ottenere una sentenza che tenga luogo del contratto non concluso quando il promittente alienante inadempiente alle obbligazioni su di lui gravanti si rifiuti di produrre i documenti o di rendere la dichiarazione di cui all’articolo 40 della legge 47/85.
Al riguardo la sentenza parte dalla considerazione per cui sono due le finalità perseguite dal comma 2 dell’art. 40 con riferimento agli obblighi dichiarativi o di documentazione relativi alla legittimità urbanistica del bene: 1) di prevenzione del fenomeno dell’abusivismo edilizio; 2) di tutela dell’acquirente inconsapevole dell’irregolarità urbanistica dell’immobile.
Ora, in presenza di una negoziazione relativa ad un bene conforme alle regole urbanistiche ed in mancanza, quindi, sia dell’esigenza di prevenzione di cui al citato punto 1) che della necessità di tutelare il soggetto che contratta con chi costruisce abusivamente, si pone il problema del soggetto legittimato ai sensi dell’art. 40 a produrre, nel giudizio ex art. 2932 c.c., la documentazione urbanistica o la dichiarazione sulla costruzione anteriore al settembre 1967, nella consapevolezza che se il promittente alienante non produce la documentazione urbanistica o si rifiuta di rendere la detta dichiarazione verrebbe sacrificato l’interesse del promissario acquirente al trasferimento in suo favore del bene nonostante non sia perseguibile alcuna delle finalità sottese al comma 2 dell’art. 40.
Peraltro, le Sezioni Unite valorizzano, oltre all’argomento relativo alla ratio normativa, anche quello per cui il comma 3 dell’art. 40 consente pure al promissario acquirente, nel caso analogo in cui l’immobile sia urbanisticamente in regola ma vi sia stata di fatto un’oggettiva mancanza nell’atto negoziale delle necessarie dichiarazioni o dell’allegazione degli imprescindibili documenti, di porre in essere un atto successivo che, confermando quello precedente, contenga le dichiarazioni omesse o abbia in allegato la documentazione mancante (15).
Considerazioni finali
Effettivamente deve convenirsi con la Corte di cassazione nel ritenere che la non collaborazione da parte del promittente venditore non può rivolgersi a danno del promissario acquirente pur in quei casi in cui non ricorre alcuna delle esigenze di tutela perseguite dagli artt. 17 e 40 L. 47/85. Dovendosi salvaguardare anche le ragioni del promissario acquirente, non possono lasciarsi le sorti del giudizio ex art. 2932 c.c. (o la possibilità di concludere il contratto definitivo) nella sola facoltà decisionale del promittente venditore.
La decisione delle Sezioni Unite è quindi assolutamente da condividere con riferimento alla finalità della norma ed alle esigenze di tutela del promissario acquirente. Essa pare poi coerente con il dato letterale normativo
Ed infatti, la dichiarazione “dell’alienante” è richiesta dal legislatore solo per la menzione nell’atto degli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria. Tuttavia, si è già detto che, in caso di mancanza di una tale dichiarazione, il comma 3 dell’art. 40 consente un’integrazione successiva anche da parte del promissario acquirente, circostanza che evidentemente implica che tale promissario acquirente potrà ben effettuare questa attività anche all’interno del giudizio ex art. 2932 c.c. Inoltre, per i documenti da allegare l’art. 40, utilizzando espressioni impersonali, non indica specificamente chi debba essere il soggetto legittimato a compiere tale attività, con la conseguenza che ben potrà essere anche il promissario acquirente.
Maggiormente problematico potrebbe invece essere il caso della dichiarazione attestante che l’opera risulta iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967. In relazione a questa ipotesi, infatti, è normativamente previsto che tale dichiarazione vada effettuata “dal proprietario o altro avente titolo”.
Certo, il riferimento al soggetto avente titolo diverso dal proprietario si spiega in considerazione del fatto che il comma 2 dell’art. 40 riguarda “atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali”, atti che possono vedere come danti causa anche soggetti diversi dal proprietario.
Tuttavia, il riferimento “all’altro avente titolo” è al soggetto che ha titolo all’effettuazione della dichiarazione in questione, soggetto che ben può essere il promissario acquirente, che potrebbe avere assunto informazioni sulla condizione dell’immobile in data prossima, anteriore (o anche successiva) al settembre 1967.
Inoltre, il riferimento all’altro “avente titolo” potrebbe essere interpretato come all’altro “avente interesse”, come certamente è il promissario acquirente.
Peraltro, gli artt. 17 e 40 l. n. 47/85 utilizzano spesso dei concetti impropri o non esaustivi. Si pensi al fatto che il riferimento all’alienante per quanto riguarda le dichiarazioni sulla concessione non comprende anche il caso dei condividenti (mentre è pacifico che gli artt. 17 e 40 si applicano anche alle divisioni ordinarie (16)) o il caso della costituzione di un diritto reale, non già prima esistente.
Ancora, si noti che ciò che chiede il legislatore è una dichiarazione o un’allegazione, prescindendo poi dalla conformità della situazione di fatto rispetto alla situazione dichiarata. Si richiede, a livello normativo, soltanto l’adempimento di un dovere di natura formale, indipendentemente dalla situazione sostanziale concretamente verificabile sui luoghi.
Invero, gli artt. 17 e 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 comminano la nullità degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili ove essi non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto di compravendita (ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria), sanzionando specificamente la sola violazione di un obbligo formale, imposto al fine di porre l’acquirente di un immobile in condizione di conoscere le condizioni del bene acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla regolarità del bene stesso attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dalla concessione edilizia, ovvero dalla domanda di concessione in sanatoria (17). La nullità del contratto di vendita immobiliare per inosservanza degli artt. 17 e 40 l. n. 47/85, in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia è nullità di carattere formale, riconducibile all’ultimo comma dell’articolo 1418 del codice civile, attesane la funzione di tutela dell’affidamento dell’acquirente (18).
Gli artt. 17 e 40 della legge 47/85 non prendono in considerazione l’ipotesi della regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico, ossia della conformità o meno della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione.
È per questo motivo che nella sentenza in commento si legge che “altra questione è quella relativa alla valutazione da parte del giudice dei documenti prodotti e della dichiarazione del promissario acquirente e della veridicità del contenuto dei detti documenti e della detta dichiarazione con riferimento alla regolarità urbanistica dell’immobile oggetto del contratto preliminare di compravendita stipulato dalle parti”.
Occorre comunque sul punto chiarire che non può in ogni caso pronunciarsi sentenza sostitutiva dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di compravendita di immobile, ex art. 2932 c.c. qualora sia giudizialmente accertata la difformità tra le risultanze catastali e l’effettiva consistenza dei beni immobili al momento del trasferimento, in mancanza di concessione edilizia o di successiva regolarizzazione di esse ex art. 40 l. n. 47/85, e qualora il promittente venditore non abbia provveduto, con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ad attestare che le relative opere fossero state eseguite prima del 1 settembre 1967 (19).
Più dettagliatamente, Cass. 20258/09 ha precisato che, “ai sensi dell’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, non può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ. non solo qualora l’immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la prescritta documentazione alternativa: concessione in sanatoria o domanda di condono corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), ma anche quando l’immobile sia caratterizzato da totale difformità della concessione e manchi la sanatoria. Nel caso in cui, invece, l’immobile, munito di regolare concessione e di permesso di abitabilità, non annullati né revocati, abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione (nella specie, per la presenza di un aumento, non consistente, della volumetria fuori terra realizzata, non risolventesi in un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile), non sussiste alcuna preclusione all’emanazione della sentenza costitutiva, perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo ed è, pertanto, illegittimo il rifiuto del promittente acquirente (nella specie, a sua volta acquirente dello stesso immobile in base a precedente rogito notarile – di dare corso alla stipulazione del definitivo, sollecitata dal promittente acquirente”).
In conclusione, pare pienamente condivisibile il principio per cui, in assenza di ostacoli di natura sostanziale quale quelli appena delineati, la sentenza produttiva degli stessi effetti del contratto definitivo può ben essere emessa anche se è il promissario acquirente ad effettuare, nel corso del giudizio ex art. 2932 c.c., le dichiarazioni di cui all’art. 40 l. n. 47/85 o ad allegare i documenti previsti dalla medesima norma.
Pare del tutto evidente che il principio affermato dalle sezioni unite renda ora giustamente possibili molti più trasferimenti immobiliari per effetto di pronuncia giudiziale di quanti ne fossero consentiti in passato.
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(1) La differente enunciazione di atti tra vivi in genere senza specificare se si tratti di atti costitutivi, traslativi di diritti o con effetti dichiarativi come lo scioglimento di comunioni è appunto sintomatica dell’intendimento del legislatore di sottoporre al regime di nullità qualsiasi negozio indipendentemente dagli effetti che è destinato a produrre.
(2) V. Cass .8 febbraio 1997, n. 1199, in Foro it., 1997, 745; in Giur.it., 1998, 32 con nota di Roselli, in Giust. civ. 1997, 1550, con nota di Annunziata.
(3) Cfr. Cass. 1199/97, cit..
(4) V Cass. 4 gennaio 2002, n. 59, in Foro it., 2002, 366 nota di Di Ciommo; 1199/97 cit.; App. Napoli, sez. III, 20 settembre 2007.
(5) Per i lotti di terreno va ricordato il precetto statuito dall’art 18 della legge n. 47 del 1985, che prescrive, a pena di nullità, l’allegazione a tutti gli atti di trasferimento o di costituzione di diritti reali o di scioglimento della comunione relativi a terreni del certificato di destinazione urbanistica (cfr. Cass. 4811/01 e 17 agosto 1999, n. 8685, in Giur. it, 200, 915, in Contratti, 2000, 9, con nota di Besozzi). Precisamente, si legge nell’art. 18 citato che “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata”. Ora, è noto che per il disposto dell’art. 18 l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica costituisce non una condizione di efficacia, ma un requisito di validità dei negozi traslativi dei terreni, la cui mancanza determina la nullità dell’atto (cfr.Cass. 28 settembre 1994, n. 7893, in Vita not., 1995, 837 e Cass. 3 luglio 1990, n. 6786, in Vita not., 1990, 247).
(6) Cfr. Cass. 7552/96.
(7) Nella fattispecie è stata cassata la sentenza del giudice di merito che aveva disposto il trasferimento ex art. 2932 cod. civ. di appartamento con annesso box nonostante la mancanza del certificato di abitabilità, la realizzazione dell’edificio in difformità rispetto alla concessione edilizia e l’assenza di sanatoria, respinta dalla P.A.
(8) Cfr. sul punto Cass. 15584/05. Va ricordato che per il giudice di legittimità è possibile produrre nel giudizio ex art. 2932 c.c. gli estremi della concessione edilizia in assenza della relativa dichiarazione contenuta nel preliminare (v. sentenze 22 maggio 2008 n. 13225; 20 marzo 2006 n. 6162; 4 gennaio 2002 n. 59; 8 febbraio 1997 n. 1199).
(9) V. Cass. 6 ottobre 2005, n. 19467, in Guida al Diritto, 2005, 46, 57; Cass. 59/02; 10831/01; 6018/99; 8335/97; 9313/93; App. Catania, sez. I, 24 aprile 2007; App. Roma, sez. II, 2 novembre 2006; App. Roma, sez. II, 13 ottobre 2005.
(10) Cfr. Cass. 9849/07; 1501/99; Cass. 59/02 cit. . In ipotesi di successiva sanatoria rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto definitivo di vendita e può essere emessa la sentenza ex art. 2932 c.c.
(11) Stabilisce il comma 3 dell’art. 40 della legge 47/85 che “se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi, non sia dipesa dall’insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1° settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente”.
(12) Cfr. Cass. 59/02 cit.
(13) V. Cass. 1199/97 cit.; 13024/92; 59/02 cit.
(14) V. anche Cass. 8339/98.
(15) Già in passato la Cassazione ha avuto modo di chiarire che successivamente alla stipulazione del preliminare può intervenire “dichiarazione del promissario acquirente ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 3” con conseguente possibilità di emettere sentenza ex art. 2032 c.c. V. Cass. 14489/05 e 1199/97.
(16) Ma non anche a quelle ereditarie secondo l’orientamento della Cassazione. V. Cass. 15133/01; 630/03 e 14764/05.
(17) V. Cass., sez. II, 7 dicembre 2005, n. 26970, in Contratti, 2006, 7, 660; in Impresa, 2006, 5, 853.
(18) V. Cass., sez. II, 26 luglio 2005, n. 15584, in Guida al diritto, 2005, 41, 69. V. anche Cass., sez. II, 24 marzo 2004, n. 5898, in Guida al diritto, 2004, 18, 60, e Cass., sez. II, 15 giugno 2000, n. 8147, in Riv. not., 2001, 142, con nota di Casu ed in Contratti, 2001, 1, 13, con nota di Angiuli. Per Cass. 15584/05, pertanto, perché sussista tale nullità è sufficiente che ricorra la mancata indicazione, nell’atto, degli estremi della licenza o della concessione a edificare (senza che occorra interrogarsi sulla reale esistenza di essa), ovvero che si riscontri la mancata indicazione nel medesimo atto della concessione rilasciata in sanatoria e, per le opere iniziata anteriormente al 1° settembre 1967, la mancata dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, attestante che l’opera è iniziata prima di quel mese di settembre.
(19) Cass. 9647/2006. Per Cass. 52/2010 “a norma dell’art. 40, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, i beni immobili che abbiano subito, in epoca successiva al 1° settembre 1967, interventi di trasformazione edilizia per i quali sia necessaria la concessione, sono incommerciabili – con conseguente nullità dei relativi atti di trasferimento – ove l’alienante non dia conto degli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria o della presentazione della relativa domanda; ad escludere la commerciabilità è sufficiente che l’opera abbia subito modifiche nella sagoma o nel volume rispetto a quelli preesistenti, dovendosi ritenere tale la costruzione di una veranda, locale normalmente privo dei connotati di precarietà e destinato a durare nel tempo”. In senso contrario Cass. sez. II, 24 marzo 2004, n. 5898, in Guida al diritto, 2004, 18, 60, secondo la quale ove siano menzionati, nell’atto di vendita, gli estremi della domanda di concessione in sanatoria non sussiste nullità della vendita per non essere stata, dal Comune, accolta la domanda di sanatoria (trattandosi nella specie di difformità non suscettibili di sanatoria). Per Cass., sez. II, 7 dicembre 2005, n. 26970, nessuna invalidità deriva al contratto dalla difformità della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione e, in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche. [/thrive_lead_lock]