Domenico Chindemi, Offese contenute negli scritti o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori: applicabilità della esimente dell’art. 598 c.p., in Responsabilità civile e Previdenza, 2013, 2077
Offese contenute negli scritti o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori: applicabilità della esimente dell’art. 598 c.p.
Abstract
Si opera il riassetto interpretativo sui limiti di operatività dell’art. 598 c.p.. con il raccordo tra la ratio di non punibilità sottesa all’art. 598 c.p. e la tutela dei diritti personali all’onore e alla reputazione; si affronta poi specificamente l’ambito di operatività dell’art. 598, comma secondo, c.p. in relazione agli scritti propedeutici all’instaurazione del giudizio amministrativo
Sommario: 1) Offese contenute negli scritti o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori; 2) Giurisdizione e competenza del giudice civile o amministrativo in ordine al risarcimento del danno
1) Offese contenute negli scritti o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori:
Una ipotesi speciale di non punibilità dei delitti contro l’onore è costituita dall’inerenza delle espressioni offensive all’attività delle parti e dei difensori nell’ambito di procedimenti civili, penali e amministrativi, prevista dall’art. 598 c.p. 1
Ai sensi dell’art. 598 c.p. “non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all’Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi ad un’autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo”.
Il secondo comma del citato articolo precisa che “il giudice, pronunciando nella causa, può, oltre ai provvedimenti disciplinari, ordinare la soppressione o la cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive e assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale”.
Per l’applicabilità dell’esimente prevista dall’art. 598 cod. pen. (offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie o amministrative) occorre, quindi, che le offese concernano l’oggetto della causa.2
Esula dalla presente trattazione, di natura civilistica la questione, di rilievo penale, relativa alla natura giuridica dell’art. 598 c.p.: se di causa di giustificazione, di esclusione dell’antigiuridicità penale, di mera esenzione da pena, di esimente o, infine, di causa di non punibilità in senso stretto.3
La scriminante di cui all’ art. 598 c.p., nonostante la sua collocazione nel capo relativo ai delitti contro l’ onore, si applica anche ai delitti di oltraggio.4
La cancellazione delle espressioni offensive e il risarcimento del danno previsti sono sanzioni diverse, distinte ed autonome: pertanto la prima, che non ha alcuna finalità risarcitoria, ma attua un fine preventivo, di polizia generale, impedendo l’immanenza di una causa di danno, può aver luogo senza la seconda e viceversa. L’insussistenza di alcun rapporto di pregiudizialità fa sì che la sanzione del risarcimento del danno non è subordinata alla preventiva cancellazione.5
[thrive_lead_lock id=’4487′]Anche l’art. 598 c.p., così come l’art. 89 cod. proc. civ. (applicabile solamente al giudizio civile) contiene una norma posta a tutela dell’eccesso nell’esercizio del diritto di difesa che si deve svolgere sempre in maniera civile e non deve essere caratterizzata dall’intento di offendere inutilmente l’avversario.6
Le espressioni difensive non debbono, nella forma e nel contenuto, eccedere i limiti di un civile esercizio del diritto di difesa e di critica e le espressioni caratterizzate dall’intento di offendere la controparte costituiscono abuso di quel diritto.7
Le espressioni diffamatorie devono essere oltre che superflue e ingiustificate ai fini del ricorso, anche gravemente offensive, in quanto non limitate a contestare la legittimità della domanda o delle difese, ma finalizzate a ledere la sfera morale della controparte.
Non devono sussistere ragioni, con riferimento alla natura e all’oggetto del giudizio, per legittimare, nell’esercizio del diritto di difesa, le espressioni offensive utilizzate, circostanza che si verifica quando si tratti di fatti estranei al giudizio o superflui ai fini della decisione.
L’obbligo del risarcimento del danno sussiste non solo nell’ipotesi in cui le espressioni offensive non abbiano alcuna relazione con l’esercizio della difesa, ma anche nell’ipotesi che esse si presentino come eccedenti le esigenze difensive, superandosi in tal caso i limiti di correttezza e civile convivenza entro cui va contenuta l’esplicazione della difesa in giudizio.
Occorre accertare se la frase “scritti presentati” si riferisca anche ai documenti prodotti in causa o solamente agli scritti difensivi formatisi nel corso del giudizio, essendo dubbio se tale norma si applichi anche agli scritti formatisi in epoca antecedente al giudizio, ma successivamente prodotti.
Non è possibile far derivare la non punibilità del comportamento offensivo in giudizio dall’art. 51 c.p. in quanto il diritto di difesa non può giustificare da solo un comportamento che implichi la violazione di un diritto altrui, senza che una norma, (art. 598 c.p.), lo consenta.
Per l’ offesa arrecata dall’imputato al testimone appare, quindi, più validamente invocabile la scriminante all’art. 598 c.p. che quella dell’esercizio del diritto di difesa ex art. 51 c.p.
La questione , in relazione alla quale non si ravvisano specifici precedenti giurisprudenziali è se l’art. 598 cod. pen., possa trovare applicazione solo quando l’offesa sia arrecata durante il corso del processo, dopo, cioè, che le parti si siano costituite davanti al giudice, oppure possa trovare anche applicazione per le offese contenuti in atti antecedenti la proposizione del giudizio, ma finalizzati alla proposizione dello stesso, come avviene, ad esempio, nel giudizio amministrativo, qualora il successivo ricorso sia stato poi proposto, con la produzione in giudizio d tali atti, avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione, presupposto e condizione del ricorso.
Si ritiene che anche in tal caso trovi applicazione l’art. 598, comma secondo, c.p., non essendo lecito offendere impunemente un soggetto con una attività diffamatoria finalizzata alla instaurazione del giudizio amministrativo.
Le istanze inviate a terzi (generalmente organi della Pubblica Amministrazione, successivamente prodotte dalla parte ricorrente) sono finalizzate all’instaurazione del giudizio avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione e, quindi, fanno parte del procedimento, essendo state prodotte direttamente dal ricorrente quale presupposto asseritamente legittimante del ricorso.
In tal caso si ritiene che eventuali offese contenute in tali scritti, ove concernano in modo diretto e immediato l’oggetto della controversia davanti al giudice amministrativo ed avendo rilevanza funzionale per le argomentazione della tesi prospettata e per l’accoglimento della domanda proposta, possano essere valutate dal Giudice amministrativo ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 598, comma secondo, c.p., valutando anche, quale criterio risarcitorio, la eventuale infondatezza del ricorso ai fini della superfluità e gratuità delle accuse.
Nel caso, invece, in cui dovesse ritenersi che tale situazione non rientri nell’ambito di operatività dell’art. 598 c.p. l’interessato ben potrebbe chiedere al giudice civile il risarcimento danni per le espressioni diffamatorie o calunniose contenute in tali scritti, con una tutela anch’essa piena, ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c.
Va segnalata anche la sentenza interpretativa della Corte Costituzionale n. 380/1999 secondo la quale è possibile un’interpretazione dell’art. 598 c.p. che rende compatibile la norma con i principi costituzionali, in un contesto normativo, quello relativo all’oltraggio, ampiamente mutato ritenendo che le offese contenute in discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori dinanzi all’autorità giudiziaria e concernenti l’oggetto della causa non differiscono, quanto alla condotta, a seconda che il destinatario delle espressioni offensive sia una parte privata o il P.M., in quanto la finalità perseguita dal legislatore non potrebbe essere efficacemente realizzata se la portata dell’esimente fosse circoscritta in relazione ai soggetti destinatari delle offese.8
La Corte Costituzionale ha, quindi, ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 343 e 598 c.p. sollevata, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., rispettivamente nella parte in cui prevedono che le offese arrecate nel corso del dibattimento dal difensore al P.M. integrino il reato di oltraggio a un magistrato in udienza e che la non punibilità, stabilita per le offese contenute negli scritti o discorsi difensivi delle parti o dei loro patrocinatori, si estenda anche per le offese verso il P.M. in interventi del difensore nel corso di un’udienza penale.9
Trattasi di sentenza interpretativa di rigetto che propone un’interpretazione innovativa, soprattutto per l’epoca in cui è intervenuta, dell’art. 598 c.p., in relazione all’art. 343 c.p., volta ad estendere l’ambito applicativo dell’esimente, sia al caso in cui il destinatario delle espressioni offensive contenute in discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori dinanzi all’autorità giudiziaria e concernenti l’oggetto della causa sia una parte privata che al caso in cui sia il P.M., al fine di garantire la parità di trattamento delle parti processuali e il fondamentale diritto di difesa che, implicitamente, la Corte considera compromessi dall’attuale assetto normativo.10
Va, infatti bandita un’interpretazione formalistica della nozione di decoro, che non sembra giustificata alla luce degli artt. 1 e 3 cost.. ove ritenuto non applicabile alle offese rivolte al P.M. alla luce del diritto costituzionale della libera espressione del pensiero, nella quale ottica ben diverso è il caso della critica che è anche espressione del diritto di difesa da quello dell’attacco indiscriminato alla giustizia (anche come forma di linguaggio contenutisticamente offensivo.
Non basta quindi affermare che, se il prestigio viene conferito dalla costituzione all’ordine giudiziario, è coerente dedurne la legittimità dell’incriminazione di colui che lo lede, dovendo tale principio essere subordinato di fronte ad una espressione di critica motivata e conferente al procedimento nel quale viene esercitato il diritto di difesa.
Si ritiene, invece, che l’art. 598 c.p. non possa trovare applicazione con riferimento all’arbitrato irrituale in quanto l’inidoneità dell’art. 598 c.p. a consentire interpretazioni di tipo analogico consegue alla sua caratterizzazione di norma eccezionale.
Pur essendo ratio della norma la libertà di difesa, la procedura di arbitrato irrituale si svolge su un piano negoziale e privatistico, pertanto non riconducibile alla nozione tecnica di procedimento per il quale solo la difesa è garantita ai sensi dell’art. 24 comma 2 Cost..11
L’art. 598 c.p. non trova applicazione in relazione alle offese contenute negli scritti o discorsi proposti nel corso di procedimento davanti all’autorità giudiziaria o Amministrativa dal consulente tecnico di parte.
La posizione del consulente non è assimilabile a quella del difensore: la causa di non punibilità a quest’ultimo riconosciuta ha carattere eccezionale e non è pertanto passibile di interpretazione analogica.
Tuttavia ben potrebbe sostenersi, in senso contrario che poiché il consulente di parte si configura nella struttura del processo quale elemento d’ integrazione dell’ufficio della difesa e al medesimo possa esser riconosciuta l’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 598 c.p..12
Non commette, invece, oltraggio a pubblico ufficiale il difensore che si rivolga al testimone, durante la sua escussione dibattimentale, con espressioni offensive, quanto il testimone stesso, con il suo riprovevole comportamento, vi abbia dato causa.
2) Giurisdizione e competenza del giudice civile o amministrativo in ordine al risarcimento del danno
Se le espressioni contenute negli scritti difensivi, hanno valenza diffamatoria vanno sanzionate con la condanna al risarcimento dei danni.
I principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata del processo consentono di ritenere la competenza del Tar anche per una pronuncia di natura civilistica in ordine al risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 598 c.p. e, comunque, anche ai sensi dell’art. 2043 c.c., in combinato disposto con l’art. 2059 c.c.c,, trattandosi di diritti patrimoniali consequenziali, qualora sia evidente il collegamento logico-causale tra l’oggetto della lite e le offese e l’operatività dell’esimente – funzionale al libero esercizio del diritto di difesa – circoscritta all’ambito del giudizio amministrativo.
La questione ha rilevanza ai fini della competenza del giudice ordinario o amministrativo ai fini del risarcimento dei danni per le espressioni diffamatorie e la calunnia.
La giurisprudenza tenderebbe a estendere l’esimente anche agli atti prodromici al giudizio affermando che “in tema di diffamazione, sussiste l’esimente di cui all’art. 598 cod. pen. – per il quale non sono punibili le offese contenute negli scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie o amministrative – allorché le espressioni offensive siano contenute in atti prodromici alle successive iniziative legali, ricomprendendole nell’esercizio del diritto di difesa trattandosi di un’attività strumentale e, quindi, paragiudiziale e propedeutica a quella giudiziaria”.13
Il nesso occorrente ai fini dell’applicazione dell’immunità di cui all’art. 598 cod. pen. che, incidentalmente, il giudice civile o amministrativo deve valutare, deve intercorrere non già tra gli scritti o discorsi e l’oggetto della causa, bensì tra quest’ultimo e le offese (eventualmente) contenute in quegli scritti o discorsi; pertanto il giudice deve prendere in esame specificamente e separatamente le espressioni offensive per stabilire se esse concernano l’oggetto del procedimento (e in tale caso rientrino nell’ambito di applicazione dell’esimente) o siano invece del tutto estranee all’oggetto del giudizio.14
Qualora le istanze propedeutiche fossero ritenute atti direttamente e tipicamente funzionali all’instaurazione di un procedimento giudiziario o amministrativo, rientrano nell’ambito di operatività della tutela di cui all’art. 598 cod. pen. e, concernendo l’oggetto del giudizio, legittimano la richiesta risarcitoria relativa al danno non patrimoniale, essendo differente la valenza penale dal rilievo civilistico della diffamazione, comunque risarcibile dal giudice amministrativo per espressa previsione di legge (art. 598, comma secondo, c.p.) anche in presenza della scriminante penale.
L’art. 598 cod. pen., nella parte in cui prevede il risarcimento del danno per le frasi offensive che “concernono” l’oggetto della causa, è stato valutato riferibile a quelle offese che, pur non necessarie, siano comunque strumentali alla difesa, ed esso si pone in contraddizione solo apparente rispetto all’art. 89 cod. proc. civ., che dispone il risarcimento soltanto per le frasi offensive che “non riguardano” l’oggetto della causa. Quest’ultima norma va infatti intesa come riferibile alle offese non necessarie alla difesa, sebbene ad essa non estranee.15
Se sussiste il collegamento tra le espressioni diffamatorie e l’oggetto della causa, la competenza a decidere sulla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale, per le offese contenute negli scritti presentati nei procedimenti dinanzi all’autorità giudiziaria, scriminabili ai sensi dell’art. 598 cod. pen., spetta al giudice della causa nell’ambito della quale furono scritte le frasi offensive, il quale è l’unico idoneo a valutare, a conclusione del giudizio, se la giustificazione di quelle offese debba escludere anche la risarcibilità del danno non patrimoniale eventualmente patito da colui cui furono rivolte.16
La speciale esimente prevista dall’art. 598 cod. pen., non trova applicazione, invece, in relazione agli scritti o alle espressioni a contenuto offensivo inviati non solo a coloro che ne devono essere i destinatari nell’ambito del processo, ma anche ad altri soggetti del tutto estranee al processo.17
In tal caso la competenza e giurisdizione va attribuito sempre allo stesso giudice amministrativo o civile trattandosi di diritti consequenziali tutelabili davanti allo stesso giudice presso il quale pende il processo.
Solamente qualora si escluda il collegamento tra le offese e l’oggetto del giudizio non trova applicazione il secondo comma dell’art. 598 c.p. venendo meno il collegamento funzionale tra le offese e il processo amministrativo, impregiudicata la valutazione sulla competenza del Tar o dell’Autorità giudiziaria ordinaria a pronunciarsi in ordine alla valenza diffamatoria delle espressioni contenute negli scritti presentati.
In tal caso rimangono pur sempre punibili quelle espressioni ingiuriose o diffamatorie che non si trovino in rapporto con l’oggetto della causa, cioè, che siano estranee o esorbitanti rispetto ad esso.18
L’art 598, comma secondo, c.p., nel disporre che il giudice può assegnare una somma a titolo di risarcimento del danno alla parte lesa da espressioni offensive e diffamatorie usate dalla controparte negli atti difensivi, riserva la cognizione dell’istanza volta ad ottenere la suddetta somma al medesimo giudice della causa in cui le espressioni illecite sono state impiegate; peraltro, la coincidenza del giudice investito della domanda risarcitoria con quello della causa principale non si risolve in una ipotesi di competenza funzionale, ma opera ad un livello più penetrante, poiché non si riflette sull’ufficio giudiziario astrattamente considerato, in quanto avente una determinata collocazione territoriale, ma investe quello stesso specifico giudice, monocratico o collegiale, concretamente investito della lite principale dinanzi a cui l’istanza risarcitoria deve essere azionata nello stesso processo principale innanzi ad esso pendente.
Occorre accertare se le offese contenuti negli scritti pregiudiziali, abbiano intento reiteratamente diffamatorio e se siano o meno superflue ai fini difensivi, esulando,in tal caso, dalla esimente di cui all’art. 598 c.p.
Solo se dovesse ritenersi che l’atto non è direttamente e tipicamente funzionale all’instaurazione di un procedimento giudiziario o amministrativo non rientrerebbe nell’ambito di operatività della tutela di cui all’art. 598 cod. pen..19
L’esimente di cui all’art. 598 cod. pen. non può essere mai applicata allorché gli scritti contenenti espressioni offensive siano inviati non solo a coloro che ne debbono essere i destinatari nell’ambito del processo, ma anche ad altre persone, che nel processo non possono e non debbono avere alcuna parte.
In tale ipotesi, infatti, mentre non può ritenersi sussistente la condizione richiesta dalla stessa lettera della legge che, parlando di scritti presentati dinanzi all’Autorità giudiziaria, intende evidentemente riferirsi a scritti destinati ad essere utilizzati unicamente all’interno del processo, d’altro lato viene a mancare, in relazione all’ulteriore diffusione dello scritto, il fondamento stesso dell’esimente e cioè la necessità degli interessati di difendersi e tutelare le proprie ragioni.20
1 Analizza la speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 598 c.p. CERQUA, Delitti contro l’onore e immunità giudiziale, in Giudice di pace, 2011, 267; IDEM, Diffamazione, immunità giudiziale e diritto di critica, in Giudice di pace, 2010, 178
2 Sul tema cfr, CORBETTA, Frasi calunniose contenute nella comparsa di risposta in un giudizio civile, in Dir. pen. e processo, 2006, 48; D’ARCANGELO, Le offese al datore di lavoro contenute nella memoria difensiva giustificano il licenziamento? In Riv. it. dir. lav. 2007, 941
3 Si occupa della questione TASSINARI Nuovi indirizzi giurisprudenziali in materia di immunità giudiziale, in Diritto penale e processo, 1999, pagg. 1173-1175. Sulla natura giuridica della c.d. immunità giudiziale e sui relativi limiti soggettivi ed oggettivi, CARLONI, La c.d. immunità giudiziale quale linea di confine tra il pieno esercizio del diritto di difesa e l’uso gratuito di espressioni ingiuriose nell’ambito di una controversia giudiziaria, in Cass. pen., 2010, 3469
4 Per spunti interpretativi in tema di calunnia REGOLO, La Costituzione “stella cometa” dell’interpretazione in tema di immunità giudiziale, in Giur. mer.2009, 1019.
5 Cass. 26/07/2002, n. 11063.
6 CIPOLLA, In tema di offese in scritti destinati all’autorità giudiziaria , in Cass. Pen.2003, 904-906.
7 Cfr Cass. 14/03/1981, n. 1430. Sullì etica e deontologia professionale dell’avvocato, CERRI, Linguaggio e discriminazione. I compiti delle istituzioni forensi, in Osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali in Europa (www.europeanrights.eu) 2011, Newsletter n.28
8 Per un commento alla sentenza interpretativa della Corte Cost. n. 380/1999, MARANDOLA, L’esimente delle opinioni difensive opera anche per l’oltraggio a magistrato in udienza, in Studium iuris, 1999, 1430
9 Sull’offesa arrecata all’onore del pubblico ministero d’udienza anche alla luce delle nuove norme sul giusto processo e la funzione processuale dell’art. 598 c.p., BARTOLO, Parità delle parti e oltraggio di un pubblico ministero in udienza, in Indice pen. 2001, 837-853
10 Ritengono che sarebbe stata preferibile una pronuncia interpretativa di accoglimento che escludesse l’estensione dell’immunità giudiziale all’oltraggio ed imponesse una modifica legislativa del testo legislativo con l’introduzione dell’espressa estensione dell’immunità giudiziaria all’art. 343 c.p., TANDURA- TONION, Sull’oltraggio arrecato dal difensore al P.M. in udienza: nuovi aspetti giuridici conseguenti alla sentenza 380/1999 della Corte Costituzionale, in Riv. pen., 1999, 1082-1085
11 Scarna è la dottrina al riguardo, si segnala sul tema PISANI, Sull’applicabilità dell’art. 598 c.p. in materia di arbitrato, in Indice pen., 1981, 131-132.
12 In tal senso RAMPIONI, Osservazioni sulle offese contenute negli scritti dei consulenti tecnici di parte, in Cass. pen. 1980, 642-644
13 Cfr Cass. pen. 28/11/2005, n. 46864; Cass. pen. 20/04/2005, n. 33656
14 Cass. pen. 26/11/1986,n. 1368).
15 Cass. pen. 8/02/2006, n. 6701
16 Cass. pen. 8/02/2006, n. 6701
17 Cfr Cass. 3/12/2007, n. 25171
18 Cass. pen. 12/02/1987, n. 3639
19 Cfr Cass. pen. 6/02/2004, n. 15585
20 Cfr Cass. pen. 26/11/1986, n. 1368.[/thrive_lead_lock]