La cessione del marchio patronimico ed il prosieguo di attività del designer

Redazione Lexenia, La cessione del marchio patronimico ed il prosieguo di attività del designer

La cessione del marchio patronimico ed il prosieguo di attività del designer

Dopo anni di fulgore e successi la crisi ha toccato anche le aziende del settore moda ed alcune di esse negli anni passati hanno dovuto cedere i loro asset costituiti principalmente da segni distintivi e beni immateriali a fondi internazionali, compratori stranieri o investitori nostrali che hanno tentato in alcuni casi con successo di risollevare le sorti delle stesse aziende con piani di rilancio.

È così spesso accaduto che celebri designer che avevano fondato importanti case di moda abbiano dovuto cedere a terzi 

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le loro partecipazioni nelle società e con esse la titolarità dei marchi patronimici ossia di quei segni distintivi che contengono il nome e/o il cognome del designer.

Questo tipo di trasferimenti di marchi danno spesso origine ad acerrimi contenziosi.

Infatti, è abbastanza frequente che il designer, ceduta l’attività unitamente al proprio “nome”, magari dopo un periodo più o meno lungo di permanenza all’interno della propria ex azienda, alle dipendenze del nuovo titolare, in veste di vero e proprio dipendente o di consulente esterno, decida di tagliare ogni cordone con l’acquirente del proprio marchio ed intenda iniziare nuovamente, o in alcuni casi dovremmo dire continuare, in via autonoma un’attività analoga.

In tale frequente ipotesi, a meno che il designer non rinunci completamente all’utilizzo del proprio nome e/o cognome o pseudonimo, divenuto rinomato nell’ambito della attività precedentemente svolta, è ben probabile che l’acquirente del marchio possa risentirsi dell’uso che del nome il designer continui a fare sui nuovi prodotti venduti in concorrenza con quelli della azienda ceduta.

Casi celebri di scontri di questo genere si sono avuti con riguardo a marchi famosi come Fiorucci, Alviero Martini, Gai Mattiolo e Cerutti.

I principi da tenere presenti in queste dispute sono due e si controbilanciano tra di loro.

Da una parte, abbiamo il diritto al nome sancito da varie norme, tra cui costituzione e codice civile.

Dall’altra, troviamo contrapposto il diritto esclusivo conferito dalla registrazione del marchio disciplinato dal Codice di Proprietà Industriale.

Il diritto esclusivo sul marchio registrato trova appunto un limite nel momento in cui si scontra con il legittimo e professionalmente corretto utilizzo del nome e/o cognome di un soggetto.

In altri termini, i diritti di marchio d’impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica, del loro nome e indirizzo purché l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale.

In base a tale norma, quindi, il design famoso che voglia continuare ad usare il proprio nome nella attività autonoma esercitata a seguito della cessione dei propri marchi potrà farlo legittimamente solo ove l’utilizzo sia conforme ai principi della correttezza professionale.

Proprio la conformità a questi principi è piuttosto difficile da individuare. In genere, la giurisprudenza ritiene corretto l’uso che sia fatto in senso descrittivo e non distintivo, ossia l’uso che descriva la provenienza e paternità dei beni disegnati ed ideati dal celebre progettista.

Pertanto, il nome e/o cognome dello stilista che accompagni un nuovo e diverso segno distintivo sarà lecito e non contestabile ove abbia dimensioni inferiori e grafia diversa rispetto al marchio stesso.

Ovviamente è facile intuire come i concetti di “correttezza professionale” e “descrittività” siano piuttosto vaghi, lasciando ampi margini grigi e rappresentando l’humus migliore per la nascita di contenziosi.

Per tale ragione, è sempre buona regola disciplinare in maniera il più dettagliata possibile le modalità d’uso del nome del designer che ceda i propri marchi patronimici.

In altre parole, onde evitare spiacevoli sorprese, sarà opportuno che all’atto di cessione dei marchi, siano raggiunti precisi accordi su, stile, grafica, dimensioni ed altre caratteristiche d’uso del nome e/o cognome del designer, una volta che questo lo applichi a prodotti generati autonomamente rispetto alla azienda del cessionario.

Pertanto, la redazione di un valido strumento contrattuale di cessione dei marchi patronimici ha una importanza fondamentale anche a distanza di numerosi anni dal trasferimento dei diritti sui segni distintivi, aiutando ad evitare inutili e dispendiose vertenze.

Deve, comunque, ricordarsi che il diritto all’utilizzo del proprio nome e cognome, non può prescindere dal criterio della effettiva riconducibilità del prodotto al designer in termini di paternità.

Pertanto, sarà conforme al principio della correttezza professionale quell’uso che non solo per dimensioni stile ecc. risulti descrittivo e non distintivo, ma che rispecchi una effettiva e reale riconducibilità del prodotto al suo creatore/ideatore, non potendo altrimenti tollerarsi e autorizzarsi una sorta di firma su un prodotto, ove l’apporto creativo del designer sia assente o ridottissimo.

In taluni casi, gli stilisti hanno tentato di recuperare la titolarità del proprio nome a fini commerciali, facendo leva sul principio della ingannevolezza, che l’uso del marchio patronimico può ingenerare nel pubblico, a seguito della cessione del segno a terzi, in mancanza di qualsiasi legame tra prodotto e designer.

In altri termini, dopo avere ceduto il proprio nome ad una azienda, il designer “pentito” prova a rientrarne in possesso, sostenendo che il consumatore potrebbe essere tratto in inganno e ritenere che i prodotti fabbricati e commercializzati dall’acquirente del marchio siano collegati al designer, non corrispondendo tale circostanza a verità.

Le Corti italiane e le Istanze Comunitarie hanno precisato che il regime di libera cedibilità dei marchi (inclusi i marchi patronimici) osta a che si possa contestare la pretesa ingannevolezza del segno anche laddove venga a mancare qualsiasi riconducibilità del prodotto al designer che porta il nome ceduto.

In conclusione quindi, in casi di trasferimento di marchi patronimici, ancor più che in altre ipotesi di cessione di segni distintivi, risulta fondamentale farsi assistere da un esperto in materia, che suggerisca la giusta formulazione delle clausole contrattuali, onde evitare di servirci dello stesso esperto nell’ipotesi in cui nascesse successivamente un contenzioso a causa di accordi di cessione non chiari. 

Avvocato Specializzato in diritto industriale, diritto della moda e della pubblicità, assiste clienti di rilievo e vanta esperienza decennale nel settore della formazione professionale. Socio responsabile del dipartimento di Diritto Industriale dello studio Nunziante Magrone.

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