Questioni controverse in ordine alla responsabilità da “contatto sociale”

Stefano Faillace, Questioni controverse in ordine alla responsabilità da “contatto sociale”, in Resp. civ., 2004, 3,  p. 252

 Questioni controverse in ordine alla responsabilità da “contatto sociale”

Sommario: 1. L’affidamento nella professionalità come fonte di un’obbligazione contrattuale – 2. La dubbia natura della responsabilità del medico strutturato nei confronti del paziente e di quella del precettore in caso di condotta autolesiva dell’allievo – 3. L’estensione del precetto del dovere di buona fede, nei rapporti tra P.A. e privato, oltre gli stretti confini della responsabilità precontrattuale

1. L’affidamento nella professionalità come fonte di un’obbligazione contrattuale

Nell’ultimo quinquennio, diverse decisioni giurisprudenziali hanno accolto e riconosciuto una responsabilità da “contatto sociale” in campi nei quali la natura della responsabilità stessa era discussa per il suo trovarsi in quella che è stata definita icasticamente come l’area di turbolenza tra il contratto e il torto (1).

Le ipotesi di incerta collocazione che hanno trovato recentemente una nuova dimensione concernono, in particolare, la responsabilità del professionista strutturato che, nell’adempimento di un’obbligazione, cagioni un danno a soggetti che non sembrano essergli formalmente creditori; quella del precettore che non vigila adeguatamente allievi che si autoprocurano lesioni; quella riguardante l’attività illegittima o scorretta della pubblica amministrazione (2).

Ma qual è il seme che ha fatto germogliare questa inattesa «rivoluzione» nell’ambito della responsabilità civile?

Memore della esperienza tedesca a riguardo, un’autorevole dottrina (3) si è posta l’obiettivo di dimostrare che, anche nel nostro ordinamento, gli obblighi di protezione possono essere fonte di responsabilità contrattuale, seppur svincolati da una prestazione principale. La premessa principale del suo ragionamento è l’adesione alla nota e condivisibile teoria che ritiene di natura contrattuale la responsabilità precontrattuale (4). Secondo questo orientamento, la relazione tra due soggetti diretta alla stipulazione di un negozio si qualifica come fonte di un particolare rapporto che vincola le parti a comportarsi secondo buona fede. Il fatto cui la legge 

Contenuto Riservato!

Iscriviti alla nostra newsletter per avere accesso immediato

Se sei già iscritto, inserisci nuovamente la tua email per accedere

ricollega la nascita del rapporto obbligatorio precontrattuale è costituito dall’affidamento obiettivo ingenerato in una parte dal comportamento dell’altra.

La responsabilità precontrattuale nasce, quindi, da un rapporto obbligatorio rientrante, all’interno del sistema delle fonti dell’obbligazione, nella terza categoria della classificazione di cui all’art. 1173 c.c. (5). La responsabilità che ne nasce si evidenzia come di natura contrattuale, visto che quello violato non è un dovere assoluto, ma relativo, cioè a carico di soggetti determinati, e che questo tipo di responsabilità denota la sanzione per la violazione di obblighi, quale ne sia la fonte 6).

Partendo dal presupposto che, nella fase precontrattuale, l’affidamento tra le parti è fonte di una obbligazione senza obbligo primario di prestazione, questa dottrina tenta di individuare altre ipotesi nelle quali un contatto sociale comporti un identico modello di tutela. Lo scopo è quello di fornire una forma giuridica adeguata a tutte le fattispecie nelle quali il danno non può dirsi derivare da una casuale o non desiderata collisione di soggetti terzi, tenendo presente, comunque, che l’affidamento può generare una responsabilità contrattuale solo in presenza di un altro elemento in grado di giustificare il superamento dei confini della responsabilità aquiliana. E l’ancorare l’affidamento alla professionalità sembra fornire, per l’ideatore di questa teoria, un criterio certo e sicuro.

La figura del professionista è considerata in un’accezione ben più ampia di quella cristallizzata nelle varie discipline a tutela del consumatore. Qui il professionista non è solo un soggetto con doveri di correttezza informativa, ma anche chi, all’interno di una struttura sanitaria o scolastica, per la sua peculiare attività, è garante della salute del terzo. Parimenti, è annoverabile in questa categoria la pubblica amministrazione, che, occupandosi istituzionalmente dell’interesse generale, ha il dovere di adempiere gli obblighi costituzionalmente previsti di buon andamento e imparzialità.

L’obbligazione che sorge dal «contatto», come quella scaturente dalle trattative precontrattuali, ha la sua fonte nell’art. 1173 c.c. Questa norma, considerata come indice dello sganciarsi del sistema delle fonti dell’obbligazione dalla rigidità della legislazione previgente, era rimasta priva di applicazioni di rilievo nell’ambito della elaborazione giurisprudenziale. E ciò nonostante le sollecitazioni e indicazioni fornite dal dibattito dottrinale (7), che coglieva un’analogia tra il riservare all’ordinamento giuridico il giudizio di idoneità di ogni singolo atto o fatto alla produzione di obbligazioni e il riconoscimento dell’autonomia privata nella creazione di tipi contrattuali ulteriori rispetto a quelli nominati, ai sensi del 2° co. dell’art. 1322 c.c.(8). Questa disposizione non esclude, ma anzi ammette, la possibilità che si inseriscano tra le fonti principi, soprattutto di rango costituzionale, quali quello del diritto alla salute, che trascendono singole posizioni legislative. Proprio la portata ampia e flessibile della disposizione e l’indeterminatezza della formulazione di tale articolo costituiscono l’aggancio normativo dell’istituto del rapporto obbligatorio derivante da contatto sociale come vero e proprio tertium genus di fonte dell’obbligazione. Se, infatti, riguardo al contratto e al fatto illecito, l’art. 1173 c.c. si riferisce alle obbligazioni nel senso tradizionale del termine, il cui contenuto è costituito in primo luogo dall’obbligo di una prestazione, «ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico» è espressione che sembra in grado di contenere anche le obbligazioni consistenti in soli obblighi diversi, cioè le obbligazioni senza prestazione (9).

Su un piano di teoria generale, un tale ampliamento della responsabilità contrattuale a scapito di quella aquiliana sembra però difficilmente giustificabile nell’ambito di un ordinamento nel quale l’illecito è disciplinato mediante una norma generale, e non è un caso che chi propugna questa teoria (10) parte dal presupposto che il nostro sistema sia imperniato su di un sistema di tipicità, seppur evolutiva, dell’illecito civile.

Discutibile è anche il far rientrare le obbligazioni sorte da un contatto sociale, cioè da un fatto giuridico, nel novero di quelle derivanti dalla legge. Questa categoria di obbligazioni, peraltro, spesso invocata dalla giurisprudenza, è stata in realtà formalmente espunta dal codice civile del 1942 (11).

Si è contestato poi che i requisiti sui quali poggia l’affermazione di una responsabilità da contatto sociale, vale a dire l’esercizio di una attività protetta e l’affidamento del terzo nell’altrui professionalità, possano allargare eccessivamente lo spettro di azione (12).

2. La dubbia natura della responsabilità del medico strutturato nei confronti del paziente e di quella del precettore in caso di condotta autolesiva dell’allievo

Il primo riconoscimento giurisprudenziale della validità del contatto sociale come fonte di responsabilità è avvenuto nella nota sentenza della Suprema Corte 22.1.1999, n. 598 (13), ed ha ad oggetto la responsabilità del medico dipendente di un ente ospedaliero per il danno cagionato ad un paziente da un non corretto trattamento terapeutico. In tema di responsabilità del medico strutturato, la giurisprudenza si era divisa sulla natura contrattuale od extracontrattuale della responsabilità, e l’intervento della Cassazione ha tentato di sciogliere, in maniera per la verità discutibile, questo nodo gordiano. La responsabilità in questione presenta, comunque, peculiarità tali per cui è stata definita come avente un regime uniforme e transtipico che supera i comparti corrispondenti ai due classici tipi della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, definendosi piuttosto in funzione del suo oggetto materiale (14). Pure quando è stata collocata all’interno della responsabilità aquiliana, ad essa sono stati applicati istituti propri della responsabilità contrattuale, quali la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, il criterio della diligenza professionale, il richiamo a regole di causalità materiale, la limitazione di responsabilità di cui all’art. 2236 c.c.(15).

Tanto in dottrina che in giurisprudenza (16) è stato per lungo tempo affermato il modello della responsabilità extracontrattuale. Il fondamento giuridico di tale regime di responsabilità si fonda sulla considerazione che il medico non sarebbe vincolato da alcun contratto con il paziente, ma agirebbe come organo dell’ente ospedaliero. Non c’è dubbio comunque che tale impostazione debba essere superata sia per ragioni teoriche, in quanto si attaglia ad una funzione meramente protettiva dell’attività medica, che non corrisponde alla realtà fenomenologica, sia per ragioni pratiche, perché tale modello rende troppo difficoltosa la tutela risarcitoria del paziente sotto il profilo probatorio e del regime prescrizionale. Se la responsabilità aquiliana sanziona la culpa in faciendo, e non anche quella in non faciendo, è la qualificazione contrattuale che meglio si addice all’obbligo del medico, al quale può essere imputata proprio una culpa in non faciendo quando abbia male operato rispetto alla cura richiesta ed all’affidamento su di essa riposto dal paziente. Quel che il paziente chiede al medico è infatti di essere curato. Il medico, quindi, non è tenuto soltanto a non peggiorare la salute del paziente, bensì a migliorarla.

In questa ormai nota sentenza, non riuscendo a cogliere un momento di scambio di consensi tra medico e paziente, ma avendo comunque intenzione di richiamare un’impostazione che permettesse di definire come contrattuale la responsabilità del medico, la Suprema Corte, in motivazione, prima ha individuato la figura dell’obbligazione senza prestazione originata dall’affidamento del paziente nella professionalità del medico, secondo la teoria del Castronovo, e, qualche riga dopo, incoerentemente, ha rilevato la presenza di un rapporto contrattuale di fatto, con relativa esistenza di una prestazione vera e propria. Sono stati confusi, quindi, due istituti che hanno in comune il fatto di essere entrambi generati da un “contatto sociale”, in mancanza di una precisa manifestazione di volontà delle parti, ma che divergono per il contenuto dell’obbligazione. A differenza della teoria dell’obbligazione senza obbligo primario di prestazione, di recente conio, perlomeno in Italia, la categoria dogmatica dei rapporti contrattuali di fatto, ben nota da tempo dalla nostra dottrina (17), ha radici storiche che vanno ricercate nel clima culturale della Germania degli anni ’40, caratterizzato dal declino del dogma della volontà e dalla crisi del consenso quale elemento necessario nel momento formativo del contratto, ad esclusivo vantaggio dell’interesse generale. In tali rapporti non rileverebbe il profilo soggettivo dell’atto compiuto, ma quello oggettivo e sociale, che è fonte di reciproco affidamento, indipendentemente dalla manifestazione di volontà del contraente e dalla sua consapevolezza del contenuto e degli effetti dell’atto medesimo.

Per una differenza non genetica, ma strutturale, occorreva non confondere quest’ultima tematica con quella enucleata dal Castronovo. Infatti, sebbene entrambe originino da un fatto-contratto e comportino come conseguenza l’affermazione di una responsabilità contrattuale, diverso è l’effetto che da questo fatto discende (18). Nel primo caso, il contatto, sostituendo la manifestazione di volontà negoziale, comporta la nascita di un vero e proprio rapporto contrattuale con prestazioni principali reciproche e rapporti obbligatori pieni; mentre nel secondo, una delle due parti negoziali assume un’obbligazione senza prestazione dal cui inadempimento discenderà ugualmente una responsabilità a titolo di inadempimento contrattuale.

D’altra parte, una coerente conseguenza della scelta dell’obbligazione senza prestazione è che l’obbligo a carico del medico sia solo di protezione del terzo, senza prevedere, quindi, l’esistenza di una prestazione vera e propria. Ma sarebbe artificiosa la ricostruzione che configuri in capo al professionista solo obblighi di protezione e di cura, escludendo così che il paziente possa vantare alcun diritto in ordine all’esatto adempimento della prestazione principale da parte del medico. La prestazione medica, infatti, è troppo complessa e articolata, troppo ricca di contenuti, constando di obblighi di prudenza, attenzione e competenza professionale, perché possa essere esaurita in tale obbligo (19).

Sembra più corretto configurare, in realtà, un vero rapporto contrattuale tra paziente e medico strutturato, dato anche il ruolo prevalentemente organizzativo e di intermediazione dell’ente. Ciò tenendo in considerazione che il nostro ordinamento spesso ha riconosciuto l’esistenza di un accordo contrattuale in ipotesi in cui questo è molto più sfuggente, come nel caso dei contratti automatici o di massa (20), e che si tratta di un rapporto che nel suo svolgersi prevede vari scambi di consenso tra le due parti, in particolar modo nel caso in cui esistano delle obbligazioni di risultato a carico del medico (21). Peraltro, il medico è parte attiva del rapporto e non mero strumento di esecuzione e, una volta instaurato tale rapporto, è il medico stesso ad incidere sul suo contenuto e sulla definizione della prestazione al cui svolgimento egli si vincola personalmente. Nell’altro senso, va evidenziato che il paziente può rivolgersi ad una struttura determinata in vista del medico che vi opera ovvero decidere di non ricevere la prestazione offerta dall’ente attraverso un certo medico e sciogliere il contratto con l’ente.

Risulta condivisibile, quindi, l’idea di chi, nel caso, ha individuato una fattispecie contrattuale a struttura complessa, dominata dalla presenza di un collegamento negoziale tra tre rapporti ex contractu: quello tra ente e medico, quello tra ente e paziente, e quello tra paziente e medico. Mentre le prestazioni pecuniarie sono regolate dai primi due rapporti e la predisposizione di una adeguata struttura organizzativa compete all’ente, la prestazione professionale è oggetto, a diverso titolo, di entrambi i rapporti facenti capo al paziente (22).

Un contatto sociale rilevante è stato individuato dalla Suprema Corte in altre ipotesi in cui esisteva un danno alla persona e l’affidamento legittimo era riposto nei confronti di un soggetto professionale. Ci si riferisce al caso dell’insegnante, che si afferma avere, oltre all’istituzionale dovere di insegnare, anche quello di sorvegliare allievi minorenni (23).

Un’interpretazione letterale dell’art. 2048 c.c., che disciplina la responsabilità dei precettori per il fatto illecito commesso dagli alunni, chiarisce che tale norma è applicabile solo se il minore danneggi un terzo, e ad essa non può ricondursi il caso dell’allievo che si fa male da solo, in quanto tale condotta non integra un illecito (24). Punto nodale di questa impostazione, che giustifica l’impossibilità di estendere il raggio d’azione della norma a fattispecie di danno diverse da quelle espressamente indicate, è la sua natura di norma eccezionale rispetto a quella generale di cui all’art. 2043 c.c. Non sembra perciò proponibile un’estensione applicativa che vada al di là del caso specifico previsto, dato che il legislatore, discostandosi dalla regola generale di cui all’art. 2043 c.c., ha previsto per i minori danneggiati dai loro coetanei l’inversione dell’onere probatorio, caricando i soggetti tenuti alla loro sorveglianza del peso di dimostrare di non aver potuto impedire il fatto. La presunzione di cui all’art. 2048 c.c. opererebbe, quindi, esclusivamente con riguardo ai danni provocati dal minore a terzi, e non anche nel caso di danno procurato a se stesso, per la quale ipotesi rimarrebbe, come unica strada percorribile per il ristoro, l’applicazione dell’art. 2043 c.c., senza agevolazione alcuna sul piano probatorio.

In senso diametralmente opposto, si era espressa però la giurisprudenza più recente (25) che individuava nell’obbligo di vigilanza del precettore un’imposizione posta a tutela non solo dei terzi, ma anche degli allievi affidati alla sua custodia, e conduceva all’interno dell’art. 2048 c.c. anche la fattispecie di danno perpetrato dall’allievo a sè stesso. Si poneva, pertanto, il requisito dell’illiceità del fatto-causa tra gli elementi non necessari per esperire l’azione di responsabilità.

Le Sezioni Unite, chiamate a dirimere il contrasto interpretativo, hanno scelto di avallare l’indirizzo giurisprudenziale e dottrinario che esclude l’estensione della presunzione de qua alle fattispecie in cui il danneggiato sia vittima della propria condotta dannosa. Tra i motivi che hanno fatto propendere per una interpretazione restrittiva della norma, oltre a quello già citato della sua natura di norma eccezionale, vi è quello di dare una disciplina comune, in tema di autolesione, all’art. 2048 c.c. e all’art. 2047 c.c., norme che hanno applicazione alternativa e non concorrente, in dipendenza dell’accertamento dell’esistenza della capacità di intendere e di volere (26), ma per le quali accade di frequente che sul piano applicativo vi siano interferenze, non essendo agevole accertare se un minore abbia o meno tale capacità (27).

In considerazione del fatto che l’art. 2047 c.c. ha rilevanza solamente esterna e non si applica nelle ipotesi in cui gli incapaci siano soggetti passivi dell’evento di danno, ma nel solo caso in cui essi cagionino danni a terzi, uguale disciplina va stabilita per l’art. 2048 c.c.

Con l’intenzione di alleviare l’onere probatorio, che ai sensi dell’art. 2043 c.c. sarebbe a carico dell’allievo, la Cassazione sceglie, allora, la strada della contrattualità del rapporto tra amministrazione ed alunno, configurando, altresì, un contatto sociale rilevante tra allievo e insegnante.

Successivamente e coerentemente, anche nella speculare ipotesi della responsabilità di chi non ha vigilato adeguatamente sulla condotta autolesiva di un bimbo, che per la sua giovane età era ancora incapace di intendere e volere, la Suprema Corte (28) ha riconfermato la non applicabilità della disciplina dettata dall’art. 2047 c.c. Essa ha ricondotto, invece, la responsabilità del sorvegliante e della struttura, nella quale l’incapace è stato ammesso, nell’alveo della responsabilità contrattuale, specificando che tra vigilante e bambino «si instaura pur sempre, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale il vigilante assume uno specifico obbligo di protezione reso ancora più intenso dal fatto che si tratta di bambini in tenera età, non ancora dotati di sufficiente autocontrollo».

A differenza dell’ipotesi già enucleata del medico strutturato, nel caso dell’insegnante di scuola pubblica, ictu oculi, non sembra possibile individuare l’esistenza di un vero e proprio contratto con l’allievo (29). Peraltro, se il precettore, in forza del suo contratto con l’istituto, ha il compito precipuo di insegnare, rispetto ad esso, quello di vigilare deve convenirsi non possa andare oltre quello di evitare che la condizione fisica dell’alunno peggiori. Quindi, quella a carico del precettore sembrerebbe proprio un’obbligazione senza obbligo primario di prestazione nascente da un contatto sociale.

Ad una più attenta analisi, però, si può evidenziare che, se appare corretta la sussunzione della figura del vigilante di un incapace di intendere e volere in quella del soggetto professionale, la figura dell’insegnante non sembra potersi dire riconducibile in maniera certa a tale figura. L’elemento della professionalità dovrebbe essere in grado di far oltrepassare al contatto sociale la soglia della responsabilità aquiliana, ma, nel caso, la professionalità del precettore riguarda la capacità di insegnare e non la tutela della salute dell’allievo, che si pone solo come obbligo accessorio e connesso all’età degli alunni (30).

Tale dovere, inoltre, è stato sempre considerato dalla giurisprudenza come relativo e non come assoluto, dovendo essere commisurato all’età e al grado di maturazione del sorvegliato, e la stessa giurisprudenza lo ha escluso in caso di repentinità ed imprevedibilità tali da escludere la possibilità del maestro di impedirlo(31).

Occorre, infine, evidenziare, in linea generale, che il riconoscimento del vincolo contrattuale tra amministrazione ed alunno non sembra compatibile e coerente con la concorrente responsabilità aquiliana della medesima amministrazione per fatti dannosi compiuti dall’alunno nei confronti di terzi, ipotesi coperta dagli artt. 2047-2048 c.c. (32) Bisogna considerare, infine, che spesso non è facile distinguere tra danno autoprocuratosi dal minore e danno cagionato al minore da altro minore. In entrambi i casi, l’affidamento nella capacità e nella professionalità del precettore dovrebbe essere identico e non sembra corretto prospettare differenze di disciplina. Unica via d’uscita per non creare disuguaglianze sostanziali in ordine al riparto probatorio, evitando di affermare l’esistenza di dubbi vincoli contrattuali, sembra allora essere quella di una modifica del dettato delle disposizioni di cui agli artt. 2047-2048 c.c., che possano così ricomprendere nel loro alveo anche l’ipotesi del danno autoprocurato.

3. L’estensione del precetto del dovere di buona fede, nei rapporti tra P.A. e privato, oltre gli stretti confini della responsabilità precontrattuale

L’ambito applicativo nel quale questa teoria è stata oggetto di maggiore attenzione da parte della giurisprudenza, sia civile che amministrativa, e nel quale, peraltro, ha ricevuto più interpretazioni fra loro discordanti, è quello afferente la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di un legittimo affidamento del privato.

Uno dei motivi principali per i quali il contatto sociale si è insinuato tra le pieghe dell’azione amministrativa è senz’altro l’insoddisfazione degli interpreti verso l’impostazione adottata dalla storica sentenza che ha riconosciuto la risarcibilità degli interessi legittimi (33). Nella ricostruzione della Cassazione, la lesione dell’interesse legittimo non è condizione sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria, dovendo verificarsi altresì una lesione dell’interesse a un bene della vita meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (34). L’organo giudicante ha il dovere di svolgere un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, al fine di accertare se il sacrificio del privato trovi giustificazione nell’interesse ultraindividuale perseguito dall’autorità amministrativa con il provvedimento. Ma le difficoltà emerse presso la giurisprudenza posteriore riguardano proprio l’individuazione dei limiti di tale giudizio. La Cassazione, infatti, afferma che ai fini del risarcimento è necessaria la prova che il privato si trovi di fronte ad una situazione «destinata ad esito favorevole», suscettibile cioè di generare un affidamento oggettivamente valutabile in ordine alla conclusione positiva del procedimento amministrativo. Il danno sarà considerato ingiusto solo allorché il privato dimostri di avere titolo all’effettivo conseguimento del bene della vita avuto di mira, non essendo sufficiente la sussistenza di una mera probabilità di ottenerlo (35). Diretta conseguenza di tale impostazione è la negazione di una protezione ogni volta che residui in capo alla P.A. un margine di discrezionalità tale da consentire la rinnovazione del procedimento con esito diverso da quello voluto dal privato.

Questo orientamento limitativo delle legittime rivendicazioni del privato viene contraddetto e superato dalle pronunce che individuano una responsabilità da contatto sociale (36).

Infatti, questa teoria sposta la visuale verso il rapporto giuridicamente rilevante che esiste tra cittadino e P.A., facendo perdere rilevanza alla clausola del danno ingiusto, che non può più fungere da filtro selettivo. L’incertezza di tutela del privato diminuisce, quindi, se il danno non è ricondotto alla perdita dell’utilità sostanziale, ma all’inadempimento del rapporto che si genera in relazione all’obbligo imposto dalla norma (37).

Un altro punto nodale della sentenza n. 500/1999, che ha creato terreno fertile per la successiva adozione giurisprudenziale di nuove impostazioni di natura «paracontrattuale», è quello concernente la controversa questione dell’elemento soggettivo dell’illecito della P.A.

La Cassazione ha recepito la tendenza moderna ad oggettivare la colpa, riferendola all’amministrazione come apparato, ma allo stesso tempo ha proclamato che la responsabilità aquiliana non si risolve automaticamente in una semplice illegittimità dell’atto amministrativo, esigendo, invece, una illegittimità attiva, che comporta la violazione delle regole alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi, quali l’imparzialità, la correttezza e la buona amministrazione. L’ambiguità di tale concetto di colpa è evidente e, come ci si poteva attendere, date queste premesse, la relativa valutazione non ha dato luogo nelle prime interpretazioni ad indirizzi giurisprudenziali omogenei. Accanto ad alcune pronunce che rispettano le indicazioni provenienti dalla Suprema Corte (38), per altre decisioni la colpa è stata ritenuta in re ipsa sulla base della riscontrata illegittimità dell’atto (39). Data la complessità dell’assolvimento dell’onere probatorio e l’incertezza riguardante i criteri applicativi del giudizio di colpevolezza, molte pronunce hanno, invece, esplicitamente introdotto una interpretazione oggettiva della colpa (40). Altre decisioni, infine, hanno risolto il problema dell’accertamento dell’elemento della colpa esigibile ricorrendo esplicitamente alla concezione soggettiva, riferendo la colpa non alla P.A., ma al singolo agente (41).

L’ispirazione che sorregge l’orientamento giurisprudenziale del contatto amministrativo qualificato sorge anche dalla consapevolezza del fallimento di tutti i criteri che sono stati individuati per dare una definizione della colpa dell’apparato, e dal riconoscimento dell’impossibilità sul piano pratico per il privato di fornire elementi utili per la valutazione della colpa.

Si trova traccia di questo ragionamento nella prima pronuncia del Consiglio di Stato che richiama esplicitamente questa teoria, nella quale sono stati considerati applicabili alcuni profili della responsabilità contrattuale, anche se solo con riferimento all’accertamento dell’elemento soggettivo, con relativa applicazione della regola dell’art. 1218 c.c. quanto alla ripartizione dell’onere della prova (42). Aldilà delle summenzionate motivazioni di carattere pratico, che hanno suggerito l’accoglimento giurisprudenziale di questa impostazione, è indubitabile che, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 241/1990, tra privato e P.A. sia nato un rapporto speciale, dal quale nascono per il privato una serie di diritti quali: quello a partecipare al procedimento, a vederlo concluso tempestivamente e senza aggravamenti, a poter accedere ai documenti in possesso dell’Amministrazione, a vedere prese in esame le osservazioni presentate, ad ottenere una motivazione per la decisione che vanifica un’aspettativa. Quelli appena citati non possono essere però considerati obblighi di prestazione, dato che ciò è precluso dalla posizione di supremazia della P.A., che qualifica come di diritto pubblico il rapporto e impedisce di considerarla alla stregua di un debitore (43).

Il danno subito dal privato non potrà che rilevare, allora, in esito alla violazione dell’obbligo di protezione che nel rapporto obbligatorio presiede la sfera giuridica dell’altra parte in forza del principio di buona fede. Emerge, infatti, accanto al dovere della P.A. di perseguire l’interesse pubblico nel rispetto della legalità, l’obbligo accessorio di rispetto o di protezione della sfera del soggetto privato per le conseguenze dannose che l’instaurato rapporto è suscettibile di provocare. L’affidamento del privato consiste nel ritenere che l’amministrazione si comporterà correttamente e soddisferà la pretesa all’atto favorevole, a meno che a ciò vi osti il corretto esercizio della discrezionalità amministrativa, che porti a far prevalere nel caso concreto un altro interesse (44). Molto più che nelle fattispecie precedentemente esaminate, è quindi qui che l’obbligazione senza prestazione sembra avere una sua collocazione più corretta (45). L’obbligo di buona fede si posiziona prima e a prescindere dall’atto amministrativo e quindi include le ipotesi in cui sia stata omessa l’emanazione di un atto, pur in presenza di una previsione di legge, con conseguente danno per il soggetto il cui interesse risulti disatteso dalla P.A. Non occorre, poi, neanche che vi sia l’illegittimità di un atto amministrativo, ma basta una lesione dell’affidamento ingenerato prima e durante il procedimento amministrativo, sanzionandosi in tal caso il comportamento dell’amministrazione (46). Questo tipo di responsabilità tende così a sottrarsi alla questione afferente la pregiudizialità dell’annullamento dell’atto lesivo rispetto alla richiesta risarcitoria, problematica che tanto ha impegnato negli ultimi anni dottrina e giurisprudenza (47).

I sostenitori di questa teoria ritengono, inoltre, che essa sia in grado di estendere i confini finora molto angusti della responsabilità precontrattuale della P.A., avendo un ruolo quantomeno propulsivo nel tentativo, attualmente in essere, di allargare l’applicabilità dell’art. 1337 c.c. ai casi che tradizionalmente ne erano esclusi, cioè laddove sia previsto l’espletamento dell’evidenza pubblica per l’affidamento di un appalto (48).

È importante rilevare, a tal proposito, che nelle sentenze in cui, in ipotesi di responsabilità per scorrettezze commesse nelle trattative, si richiama il contatto amministrativo qualificato, sembra essere evidente, al di là delle affermazioni testuali in motivazione (49), il tanto atteso riconoscimento della natura contrattuale della responsabilità ex art. 1337 c.c. Ciò in quanto la valorizzazione sia dello stretto rapporto esistente tra le due parti, che di per sé crea un contatto rilevante, che dell’inadempimento di un autonomo obbligo di buona fede, sembrano assolutamente incompatibili con una responsabilità di natura aquiliana, descrivendo questi elementi più chiaramente la natura contrattuale della responsabilità (50).

Il fiorire di decisioni dei Giudici amministrativi in ordine a questa nuova impostazione teorica ha influenzato la Suprema Corte che è recentemente intervenuta introducendo, in via complementare e non alternativa (51) rispetto ad una responsabilità aquiliana, una responsabilità paracontrattuale. Viene proposto, seppure in un obiter dictum, un tipo di responsabilità che, a differenza di quella da contatto qualificato, nascerebbe dall’individuazione di una vera e propria prestazione dovuta a favore del privato, e non solo da un obbligo di proteggere la sua sfera. Le garanzie, cristallizzate dalla legge sul procedimento amministrativo, costituirebbero, secondo questa lettura estrema, veri e propri diritti soggettivi, tutelati in quanto tali, e non situazioni strumentali alla soddisfazione di un interesse materiale, che verrebbe quindi protetto sub specie di interesse legittimo. La Corte di Cassazione si riferisce ad obblighi procedimentali da inquadrare nello schema contrattuale e da adempiere come vere e proprie prestazioni e così sembra librarsi ben oltre la tesi dottrinale che qualifica la responsabilità dell’Amministrazione per comportamento illegittimo come responsabilità contrattuale nascente dall’inadempimento di una obbligazione senza prestazione.

I giudici della prima sezione si spingono poi a prospettare una possibile risarcibilità del danno a prescindere dalla spettanza del bene della vita, osservando che l’interesse al rispetto delle regole, che costituisce la vera essenza dell’interesse legittimo, assume un carattere del tutto autonomo rispetto al bene stesso (52).

Ma questa interpretazione, che pare derivare da un fraintendimento della teoria originaria, non sembra corretta. Se, infatti, è pienamente condivisibile l’integrale assoggettamento della P.A. a tutte le regole privatistiche, quando utilizza gli strumenti contrattuali (53), non pare affatto calzante la definizione della stessa come di un debitore in senso proprio quando si comporta come pubblico potere. Non può, infatti, il privato attendersi un risultato certo a suo favore dalla attività della P.A., che, per dovere istituzionale, è finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico, a meno che questa attività non sia di carattere vincolato (54).

Colgono l’anomalia dell’impostazione due recentissime sentenze di un’altra sezione della Suprema Corte, pubblicate a distanza ravvicinata, del medesimo relatore e con motivazioni frutto di uguale ragionamento, che hanno respinto decisamente la precedente impostazione (55), sostenendo che dall’uso illegittimo della funzione amministrativa può derivare soltanto una responsabilità di tipo aquiliano. Ciò in quanto la configurazione di un diritto ex lege alla legalità, imparzialità e correttezza in genere dell’azione amministrativa autoritativa, quand’anche circoscritto all’ambito di relazioni particolari, comporterebbe il sostanziale annientamento di una figura di diritto positivo qual è l’interesse legittimo, e ciò in contrasto con lo stesso sistema costituzionale. Tale sezione della Suprema Corte non condivide la configurazione, inevitabile nella prospettiva della responsabilità contrattuale, di una serie di diritti soggettivi al rispetto di regole formali per quanti sono i vincoli procedurali dell’azione amministrativa, dato che tali vincoli sono stabiliti per ottenere il migliore risultato possibile dall’attività dei poteri pubblici, e non certo a protezione diretta di interessi materiali degli interessati, e proprio in ciò consiste la figura, viene ribadito, di diritto positivo, dell’interesse legittimo. Non è, per la Cassazione, concepibile una responsabilità contrattuale se non nella preesistenza di un rapporto giuridico caratterizzato dalla coppia diritto-obbligo, dovendosi pur sempre inserire i poteri attribuiti dalle regole di un rapporto nell’alveo dei diritti soggettivi. Il conferimento dei poteri della P.A. produce, invece, una relazione con gli amministrati strutturata in termini di potestà-soggezione, il cui tratto caratteristico è la produzione di effetti senza il consenso del titolare della sfera giuridica sulla quale incidono. Per il Supremo Collegio, nel seguire l’avversata impostazione si avrebbe, inoltre, l’incongruenza di considerare illecito contrattuale (come inadempimento di un obbligo) l’inosservanza procedurale non in grado di recare pregiudizio effettivo allorché il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

In effetti, i sostenitori della teoria del contatto sociale, in coerenza con l’idea stessa di una responsabilità per inadempimento di un obbligo contrattuale, non ritengono necessaria per ottenere un risarcimento la dimostrazione della lesione di uno specifico bene della vita (56), dimostrazione che sarebbe invece d’obbligo per confermare l’ingiustizia del danno, nell’ambito proprio della responsabilità aquiliana, ed aprono così le porte ad una incontrollata risarcibilità di violazioni meramente formali.

Il rischio da evitare, per chi segue questa impostazione, ci sembra sia proprio quello di pretendere un risarcimento parametrato al bene della vita sotteso, anche solo per l’illegittimità formale di un atto, perché, in questo modo, si rischia di concedere più di quanto il privato effettivamente perda. Peraltro, poiché l’interlocutore del privato, soggetto che istituzionalmente dovrebbe essere affidabile, deve seguire un percorso scandito dalle disposizioni di cui alla l. n. 241/1990, le violazioni meramente procedimentali, quelle cioè che non hanno conseguenze immediate e dirette sull’interesse sostanziale del privato, potrebbero invece essere ristorate tramite un indennizzo forfetario (57). E ciò similmente a quanto stabiliva il mai attuato art. 17, 1° co., lett. f), della l. n. 59/1997, che prevedeva forme di indennizzo automatico per i casi di mancato o ritardato o incompleto assolvimento degli obblighi procedimentali a carico della P.A.(58). Si può, poi, aggiungere a quanto specificato dalla Cassazione che, per quanto riguarda le lesioni di carattere sostanziale, si conferma, per la responsabilità da contatto, la difficoltà della dottrina a stabilire un criterio certo per il risarcimento di una lesione dell’affidamento. Infatti, chi propone di valutare la consistenza dell’affidamento del privato a seconda del progredire del procedimento (59) presuppone, in realtà, un quid pluris rispetto alla legittimità dell’azione amministrativa, che non può che identificarsi nella possibile apprensione del bene della vita, e, in ultima analisi, riconduce il risarcimento nei meandri di quella lesione di una chance che già a più riprese i giudici amministrativi hanno rifiutato di valutare ai fini di un risarcimento, considerandola come un interesse di mero fatto.

Ciò, fermo restando il fatto che il punire la P.A. per la lesione dell’affidamento del privato, al di là dell’illegittimità o meno dell’atto, è una conquista importante di questa impostazione ed un’altra tappa verso il superamento dell’irresponsabilità del soggetto pubblico, dato che rende sempre operante quella regola di correttezza che la giurisprudenza sembrava confinare alla sola fase precontrattuale.

Nella lunga motivazione delle succitate sentenze gemelle, con l’intenzione di sferrare un colpo definitivo alla teoria del contatto sociale, viene ricordato, infine, che proprio quella dottrina (60) che propende per l’atipicità dell’illecito civile, non ritenendo che l’art. 2043 c.c. presupponga una violazione di doveri posti a protezione di diritti, ma soltanto la produzione di un danno ingiusto, ha riconosciuto tale danno come conseguenza anche di relazioni o contatti sociali, dai quali, quindi, non potrebbe scaturire di certo responsabilità contrattuale. Ci si riferisce, poi, esplicitamente all’istituto della responsabilità precontrattuale, di cui la Suprema Corte approfitta per riconfermare la natura aquiliana. Ma quest’ultima affermazione non può essere condivisa per i motivi che qui di seguito ricordiamo.

Innanzitutto, dal punto di vista sistematico, solo per chi ritiene essere il nostro un sistema caratterizzato dal principio della tipicità dell’illecito, la disposizione di cui all’art. 1337 c.c., se intesa come fonte di responsabilità extracontrattuale, assume una sua autonoma valenza, in quanto segnala all’interprete la presenza di un danno ingiusto, sub specie di lesione della libertà contrattuale. Viceversa, alla luce della teoria predominante che preferisce l’atipicità dell’illecito civile, la disposizione dell’art. 1337 c.c., sempre intesa come fonte di responsabilità extracontrattuale, e indicante una lesione del diritto relativo alla libertà contrattuale, diventa una duplicazione senza significato dell’art. 2043 c.c., e quindi priva di un’autonoma funzione (61).

Il dovere di buona fede, peraltro, è di per sé un’obbligazione classificabile nella terza categoria di cui all’art. 1173 c.c., e la sua violazione importa, quindi, un inadempimento le cui conseguenze sono previste dall’art. 1218 c.c., norma generale per tutte le obbligazioni che non abbiano una diversa disciplina (62).

Del resto, proprio in tema di responsabilità da contatto sociale, la Suprema Corte, in altre fattispecie, è giunta correttamente ad affermare che anche al di fuori della sfera di pertinenza contrattuale l’affidamento legittimo può creare, se disatteso, un inadempimento da obblighi. Sicché, per coerenza, non si può negare poi che la violazione del principio di buona fede durante le trattative non crei una lesione di analoga natura. Anzi, in definitiva, ci pare che sia precisamente questo il contributo teorico più importante che si deve a questa affascinante impostazione dottrinale.

———————–

(1) Così Castronovo, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in La nuova responsabilità civile, Milano, 1997, 177-178, già pubblicato in Scritti in onore di L. Mengoni, Milano, 1995, 147 ss.; v. anche Prosser, The border land of tort and contract, Ann Arbor, 1953.

(2) Per un approfondimento delle tematiche toccate da questo contributo, mi si consenta il rinvio a Faillace, La responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004.

(3) Cfr. Castronovo, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in La nuova responsabilità civile, Milano, 1997, 177 ss.

(4) Nello stesso senso, ex multis, Mengoni, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 1956, II, 370; Romano, Buona fede (Diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1959, V, 682; Benatti, Culpa in contrahendo, in Contratto e impresa, 1987, 303 ss.; Stella Richter, La responsabilità precontrattuale, Torino, 1996, 124 ss; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, 1990, 466-467; Visintini, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972, 100 ss.; Messineo, Il contratto in genere, I, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1973, 365; Di Majo, Delle obbligazioni in generale, in Comm. Scialoja-Branca, sub art. 1173, Bologna-Roma, 1988, 201 ss.; Turco, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Milano, 1990, 425 ss.; Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, 22; Castronovo, Obblighi di protezione, cit., 4 ss.; Meruzzi, La trattativa maliziosa, Padova, 2002, 78 ss. In giurisprudenza, pochissime sono le sentenze però che ad oggi affermano la natura contrattuale della culpa in contrahendo, e, tra di esse, v. App. Milano, 2.2.1990, in Giur. it., 1992, I, 2, 49 ss., con nota di Arietti, Culpa in contrahendo e responsabilità da prospetto; Trib. Milano, 11.1.1988, in Giur. comm., 1988, II, 585 ss., con nota di Ferrarini, Investment banking, prospetti falsi e culpa in contrahendo; App. Milano, 6 .11.1987, in Giur. it., 1988, I, 2, 796; Trib. Milano, 17.9.1973, commentata in Nanni, La buona fede contrattuale, ne I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale, IV, Padova, 1988, 113; App. Palermo, 6.4.1971, in Giur. di Merito, 1973, I, 603; App. Venezia, 11.1.4.1953, in Foro padano, 1954, I, 1150. In giurisprudenza, tra le ultime, v., per la natura extracontrattuale, Cass., 16.7.2001, n. 9645, in Giust. civ. mass., 2001, 1404; Cass., 29.4.1999, n. 4299, in Giur. it., 2000, 932; Cass., 30.8.1995, n. 9157, in Giust. civ. mass., 1995, 1568; Cass., 13.12.1994, n. 10649, in Mass. Foro it., 1994.

(5) Del medesimo avviso sono anche De Cupis, Il danno, Milano, 1979, 120; Mengoni, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, cit., 360; Galgano, Diritto civile e commerciale, cit., II, 1, 553; Rovelli, Correttezza, in Digesto civ., IV, Torino, 1989, 423; Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, 21.

(6) Tale interpretazione appare pacifica ed è seguita dalla più autorevole dottrina. In tal senso, v., infatti, Galgano, Diritto civile e commerciale, cit., II, 1, 37 e Bianca, Diritto civile. 5. La responsabilità, Milano, 1994, 3 ss. E, in giurisprudenza, cfr. Cass., 22.1.1999, n. 589, in Foro it., 1999, I, 3332 ss. e Cass., 6.3.1999, n. 1925, in Giur. it., 2000, 1434 ss.

(7) Amplius, v. Scognamiglio, Sulla responsabilità dell’impresa bancaria per violazione di obblighi discendenti dal proprio status, in Giur. it., 1995, IV, 362 ss.

(8) Cfr. Giorgianni, Appunti sulle fonti delle obbligazioni, in Riv. dir. civ., 1965, I, 72 ss. L’elaborazione dottrinale successiva (Rescigno, Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 151, e Di Majo, Delle obbligazioni in generale, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 175; Id., Obbligazione: I) Teoria generale, in Enc. giur., XXI, Roma, 1990. Contra però Bianca, Diritto civile. 4. L’obbligazione, Milano, 1990, 5 ss., che tende a circoscrivere la portata innovativa della formulazione dell’art. 1173 c.c.), affinando e arricchendo di accenti moderni l’acquisizione dell’atipicità delle fonti dell’obbligazione, l’ha coordinata con una maggiore sensibilità al dato normativo costituzionale. Dopo aver individuato gli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale, i principi di eguaglianza sostanziale e le esigenze di tutela della persona a fronte dell’esercizio di attività economiche private, sono state prospettate poi una serie di figure sintomatiche di situazioni economico-sociali, suscettibili di assumere efficacia vincolante alla luce dei principi dell’ordinamento così richiamati, e dunque qualificabili come idonee a produrre obbligazioni.

(9) Cfr. Castronovo, La nuova responsabilità civile, cit., 197.

(10) Cfr. Castronovo, Le frontiere nobili della responsabilità civile, in La nuova responsabilità civile. Regola e metafora, Milano, 1991, 40 ss.

(11) V., peraltro, l’art. 61 della l. 31.5.1995, n. 218, di riforma del diritto internazionale privato italiano, che ha creato perplessità, laddove ha reintrodotto la categoria delle obbligazioni ex lege (cfr. le valide argomentazioni di Memmo, Le categorie ordinanti del sistema delle obbligazioni e dei contratti nel nuovo diritto internazionale privato italiano, in Contratto e impresa, 1997, 64 ss., che esemplifica anche le ipotesi ricondotte dalla giurisprudenza a questa categoria), non tenendo in considerazione che la legge non produce obbligazioni, se non con la mediazione di atti o fatti giuridici (cfr., in tal senso, Galgano, Diritto civile e commerciale, 1993, II, 1, 465).

(12) Così Forziati, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il contatto sociale conquista la cassazione, in Resp. civ. e prev., 1999, 679 ss., che sarcasticamente include nella categoria la responsabilità dell’automobilista nei confronti del pedone e quella dell’infermiere nei confronti del paziente di una clinica. Infatti, in entrambe le ipotesi il soggetto agente ha conseguito un’abilitazione, e, per questo, sussisterebbe da parte del soggetto leso un affidamento nell’altrui professionalità o nell’altrui comportamento responsabile.
Il pericolo paventato, peraltro, sembra materializzarsi, data la continua estensione della teoria a fattispecie diverse. V., a tal proposito,
Cass., 23.10.2002, n. 14934,in Nuova giur. comm., 2004, I, 116 ss., con nota di Barbanera, La responsabilità da contatto sociale approda anche tra i notai, che, pur non applicandola nel caso concreto, in linea di principio, considera la responsabilità da contatto configurabile anche per il notaio. Riconosce, infatti, che l’attività professionale del notaio rientra tra quelle protette e crea un affidamento nel soggetto che riceve la prestazione. Per questo motivo, tale attività deve avere sempre le stesse caratteristiche e qualità previste dalle norme di varia natura che la presiedono, non potendosene prescindere nei casi in cui la prestazione non sia effettuata sulla base di un contratto di prestazione d’opera professionale intellettuale, poiché ciò determina in ogni caso una sua responsabilità.

(13) Commentata da Carbone, La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto, in Danno e resp., 1999, 294 ss.; Forziati, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il contatto sociale conquista la Cassazione, in Resp. civ. e prev., 1999, 679 ss; Di Ciommo, Note critiche sui recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità del medico ospedaliero, in Foro it., 1999, I, 3332 ss.; Di Majo, L’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione, in Corriere giur., 1999, 446 ss.; Thiene, La Cassazione ammette la configurabilità di un rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione, in Nuova giur. comm., 2000, 334 ss. Questo orientamento è stato recentemente ribadito da Cass., 19.5.2004, n. 9471, Cass., 28.5.2004, n. 10297, Cass., 21.6.2004, n. 11488 e Cass., 29. 9.2004, n. 19564.

(14) Cfr. De Matteis, La responsabilità medica tra prospettive comunitarie e nuove tendenze giurisprudenziali, in Contratto e impresa, 1995, 489 ss.

(15) Cfr. Cass., S.U., 6.5.1971, n. 1782, in Foro it., 1971, I, 1476, e, nello stesso senso, v. Cass., 11.5.1988, n. 2144, in Foro it., 1988, I, 2296; Cass., 26.3.1990, n. 2428, in Giur. it., 1991, I, 1, 599, con nota di Carusi; Cass., 20.11.1998, n. 11743,in Mass. Foro it., 1998, 1231.

(16) Cfr. Cattaneo, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, 313; Princigalli, La responsabilità del medico, Napoli, 1983, 265; Galgano, Contratto e responsabilità contrattuale nell’attività sanitaria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, 722-723; Cafaggi, Responsabilità del professionista, in Digesto civ., XVII, Torino, 1997, 189 e 213 ss.; Visintini, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale (una distinzione in crisi), in Rass. dir. civ., 1983, 1077; e, in giurisprudenza, v. Cass., 21.12.1978, n. 6141, in Foro it., 1979, I, 4 ss.; Cass., 13.3.1998, n. 2750,in Resp. civ. e prev., 1999, 272 ss., con nota di Ronchi, Colpa grave del medico: valutazione medico-giuridica lasciata al mero arbitrio; Cass., 20.11.1998, n. 2428, in Rep. Foro it., 1998, Professioni intellettuali, n. 165.

(17) Con riferimento all’incidenza della teoria dei rapporti contrattuali di fatto nel nostro ordinamento, v. Sacco, Il contratto di fatto, in Tratt. Rescigno, X, 1995; Funaioli, I rapporti di fatto in materia contrattuale, in Annali Ferrara, X, 1950-1952; Ricca, Sui cosiddetti rapporti contrattuali di fatto, Milano, 1965; Roppo, Il contatto sociale e i rapporti contrattuali di fatto, in Casi e questioni di diritto privato, a cura di Bessone, V, Milano, 1993; Stanghellini, Contributo allo studio dei rapporti di fatto, Milano, 1997.

(18) Cfr., in questo senso, anche Forziati, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il contatto sociale conquista la cassazione, in Resp. civ. e prev., 1999, 679 ss. Così pure Castronovo, La responsabilità civile in Italia al passaggio del millennio, in Europa dir. priv., 2003, 157; Thiene, La Cassazione ammette la configurabilità di un rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione, in Nuova giur. comm., 2000, 334. Recentemente la Suprema Corte (Cass., 19.5.2004, n. 9471,cit.) ha ribadito, in un obiter dictum, la riconduzione del rapporto medico-paziente «nella più vasta ottica dei c.d. Faktische Vertragsverhältnisse, ovvero della responsabilità da contatto», senza addentrarsi in distinzioni tra le due impostazioni, a nostro parere, tutt’altro che superflue.

(19) Cfr., in tal senso, anche Di Majo, L’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione, cit., 451 e Paradiso, La responsabilità medica dal torto al contratto, in Riv. dir. civ., 2001, 332.

(20) In tali casi non si dubita che l’atto materiale dell’introduzione di una moneta in un apparecchio automatico o dell’apprensione della merce esposta negli scaffali di un supermercato realizzi quel consenso previsto dagli artt. 1321 e 1325 c.c. A riguardo si può menzionare una recente sentenza (cfr. Cass., 26.2.2004, n. 3863,in Resp. civ. e prev., 2004, 717 ss., con nota di Gorgoni, Parcheggio e custodia: tra negazione dell’utilità della disciplina contrattuale di diritto comune e svalutazione del consenso), in tema di contratto di parcheggio, che afferma che, in tal caso, il vincolo contrattuale si realizza proprio attraverso un “contatto sociale”, che si sostanzia nell’offerta di una prestazione di parcheggio a cui corrisponde l’accettazione dell’utente, manifestata quest’ultima con l’immissione dell’auto nell’area messa a disposizione. Si specifica che in questo tipo di contratto spesso sono sistemi automatici quelli che regolano l’accesso, il pagamento della prestazione ed il prelievo del veicolo. Ancor più recentemente (cfr. Cass., 23.7.2004, n. 13891), la Suprema Corte ha riconosciuto che spesso il rapporto contrattuale nasce e produce i suoi effetti non già sulla base di valide dichiarazioni di volontà, ma piuttosto in base al “contatto sociale” che si determina tra le parti. Ha precisato, inoltre, che queste considerazioni sono particolarmente pertinenti anche per il contratto di lavoro, nel quale, nella maggior parte dei casi, la conclusione non è formalizzata, desumendosi essa dall’esecuzione. Partendo da questo presupposto, si è giunti ad affermare che al pari dell’esecuzione anche il suo contrario assume valore dichiarativo, per cui, il comportamento protratto per un tempo apprezzabile, che si risolve nella totale mancanza di operatività di un rapporto caratterizzato dal complesso intreccio di molteplici obbligazioni reciproche, deve essere valutato, in modo socialmente tipico, come dichiarazione risolutoria.

(21) In tal senso, e più approfonditamente, v. Faillace, La responsabilità da contatto sociale, cit. 44 ss.

(22) In questi termini, v. Iamiceli, Responsabilità del medico dipendente: interessi protetti e liquidazione del danno, in Corriere giur., 2000, 383.

(23) Si tratta di Cass., S.U., 27.6.2002, n. 9346, in Foro it., 2002, I, 2635 ss., con nota di Di Ciommo, La responsabilità contrattuale della scuola (pubblica) per il danno che il minore si procura da sé: verso il ridimensionamento dell’art. 2048 c.c.; in Resp. civ. e prev., 2002, 1022 ss., con nota di Facci, Minore autolesionista, responsabilità del precettore e contatto sociale; in Corriere giur., 2002, 1293-1296, con nota di Morozzo della Rocca, Le Sezioni Unite sul danno cagionato al minore da se stesso; in Danno e resp., 2003, 51 ss., con nota di Lanotte, Condotta autolesiva dell’allievo: non risponde l’insegnante.

(24) Cfr., in questo senso, Cass., 12.7.1974, n. 2110, in Giur. it., 1975, I, 1, 70; Cass., 13.5.1995, n. 5268, in Nuova giur. comm., 1996, I, 239, con nota di Zaccaria, Sulla responsabilità civile del personale scolastico per i danni sofferti dal minore;Cass., 10.2.1999, n. 1135, in Rep. Foro it., 2000, Danni civili, n. 269. In dottrina, cfr. Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, 351; Id., Illecito dello scolaro e responsabilità del maestro elementare, in Danno e resp., 1997, 454.

(25) Cfr. Cass., 26.6.2001, n. 8740, in Foro it., 2001, I, 3098, con nota di Di Ciommo, L’illiceità (o antigiuridicità) del fatto del minore (o dell’incapace) come presupposto per l’applicazione dell’art. 2048 (o 2047) c.c.; Cass., 26.6.1998, n. 6331, in Foro it., 1999, I, 1574, con nota di Di Ciommo; Cass., 10.12.1998, n. 12424, in Rep. Foro it., 1998, Responsabilità civile, n. 180; Cass., 11.8.1997, n. 7454, in Danno e resp., 1998, 260, con nota di Rossetti, La P.A. risponde del danno causato dall’alunno a sé medesimo.

(26) Cfr. Cass., 25.3.1997, n. 2606,in Giust. civ. mass., 1997, 452; Cass., 13.4.1979, n. 2195, in Giust. civ. mass., 1979, 561.

(27) Sul punto, v. D’Aquino, Regime aquiliano differenziato e colpevolezza dell’incapace, in Danno e resp., 1996, 291; Visintini, I fatti illeciti – I) Ingiustizia del danno-imputabilità, Padova, 1987; Id., Imputabilità e danno cagionato dall’incapace, in Nuova giur. comm., 1986, II, 116.

(28) Cfr. Cass. civ., 18.7.2003, n. 11245,in Gius, 2004, 2, 242.

(29) In tal senso, e più approfonditamente, v. Faillace, La responsabilità da contatto sociale, cit., 65-66.

(30) Cfr. Corsaro, Responsabilità civile, in Enc. giur., Roma, 1991, XXVI, 19-21 e Zaccaria, Sulla responsabilità civile del personale scolastico per i danni sofferti dal minore, cit., 242.

(31) La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che il contenuto dell’obbligo di sorveglianza cambi a seconda dell’età, del carattere e dell’educazione dei minori, così come delle altre circostanze in grado di influenzare il comportamento degli stessi. Tra le tante affermazioni di questo principio, cfr. Cass., 10.12.1998, n. 12424, cit.; Cass., 9.6.1994, n. 5619, in Rep. Foro it., 1994, cit., n. 93. In relazione all’art. 2047 c.c., nello stesso senso, v. Cass., 24.5.1997, n. 4633, in Dir. econ. ass., 1998, 280. Sulla rilevanza dell’imprevedibilità dell’evento dannoso, v. Cass., 23.7.2003, n. 11453, in Giust. civ. mass., 2003, fasc. 7; Cass., 24.2.1997, n. 1683, in Danno e resp., 1997, 451, con nota di Franzoni.

(32) Per analoghe valutazioni, v. Lanotte, Condotta autolesiva dell’allievo: non risponde l’insegnante, cit., 54 ss. e Di Ciommo, La responsabilità contrattuale della scuola (pubblica) per il danno che il minore si procura da sé: verso il ridimensionamento dell’art. 2048 c.c.,cit., 2643.

(33) Per una visione contrattualistica del rapporto P.A.-privato, v. Castronovo, Responsabilità civile per la pubblica amministrazione, in Jus, 1998, 654 ss., che ripropone la sua celebre teoria anche nell’ambito amministrativo; Abbamonte, Sulla risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi, in Aa.Vv., Risarcibilità dei danni da lesione di interessi legittimi, Milano, 1988, 48 ss., che ritiene che la responsabilità della P.A. nei confronti del privato sia da inadempimento di obblighi. In tal senso anche Agrifoglio, Le Sezioni unite tra vecchio e nuovo diritto pubblico: dall’interesse legittimo alle obbligazioni senza prestazione, in Europa dir. priv., 1999, 1241 ss.; Protto, Responsabilità della P.A. per lesione di interessi legittimi: alla ricerca del bene perduto, in Urbanistica e app., 2000, 1005 ss.; Id, La responsabilità dell’amministrazione per la lesione di (meri) interessi legittimi; aspettando la Consulta, in Resp. civ. e prev., 1998, 969 ss.; Scoca, Per un’amministrazione responsabile, in Giur. cost., 1999, 4061.

(34) Per i commenti a Cass., 22.7.1999, n. 500,v. Caranta, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità; Fracchia, Dalla negazione della risarcibilità degli interessi legittimi alla affermazione della risarcibilità di quelli giuridicamente rilevanti: la svolta della Suprema Corte lascia aperti alcuni interrogativi, entrambi in Foro it., 1999, I, 3212; Agrifoglio, Le Sezioni Unite tra vecchio e nuovo diritto pubblico: dall’interesse legittimo alle obbligazioni senza prestazione, e Castronovo, L’interesse legittimo varca la frontiera della responsabilità civile, entrambi in Europa dir. priv., 1999, 1221; Franzoni, La lesione dell’interesse legittimo è, dunque, risarcibile, in Contratto e impresa, 1999, 1025.

(35) In tal senso, v. Cass. civ., sez. I, 1.8.2003, n. 11738,in Guida dir., 2003, n. 37, 49 ss., in C. St., sez. VI, 4.9.2002, n. 4435, in Foro amm., 2002, 2112 e in C. St., sez. V, 3.6.2002, n. 3067, in Foro amm., 2002, 1436; in C. St., sez. VI, 14.1.2002, n. 157, in Foro amm., 2002, 155; in C. St., sez. V, 8.1.2002, n. 100, in Foro amm., 2002, 83; in C. St., sez. V, 13.5.2002, n. 2579, in Foro amm., 2002, 1249. In dottrina, dello stesso avviso, Busnelli, Lesione di interessi legittimi dal muro di sbarramento alla rete di contenimento, in Danno e resp., 1997, 272 ss.

(36) V., ad es., Cass., 10.1.2003, n. 157,in Foro it., I, 2003, 79 ss., secondo cui il giudizio prognostico non deve condurre ad ammettere la tutela risarcitoria solo nelle rare ipotesi in cui l’attività dell’amministrazione risulti vincolata, cioè a risultato garantito per il privato, altrimenti, attesa la sostanziale assimilabilità della situazione giuridica fatta valere con quella del diritto soggettivo, rimarrebbe ferma, per una sorta di idiosincrasia, l’irrisarcibilità della lesione degli interessi legittimi. V., però, C. St., 15.4.2003, n. 1945, con nota di Manganaro, Il risarcimento del danno non si addice agli interessi legittimi, in Urbanistica e app., 2003, 1077 ss., che, pur accogliendo la nuova impostazione, non dà rilievo risarcitorio alla mera violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’amministrazione, data la persistenza in capo ad essa di notevoli spazi di discrezionalità.

(37) Cfr. Protto, La responsabilità della P.A. per la lesione di interessi legittimi come responsabilità da contatto amministrativo, in Resp. civ. e prev., 2001, 236.

(38) Cfr. T.A.R. Sicilia-Catania, 18.1.2000, n. 38, e T.A.R. Lombardia-Brescia, 14.1.2000, n. 8, entrambe in Foro it., 2000, III, 198, con commento di Carrozza-Fracchia, Art. 35 D.lgs. n. 80/1998 e risarcibilità degli interessi meritevoli di tutela: prime applicazioni giurisprudenziali.

(39) Si tratta del tradizionale indirizzo interpretativo che era seguito prima dell’impostazione ricostruttiva della sentenza n. 500/1999. Cfr., a riguardo, T.A.R. Lazio, 23.1.2001, n. 434, in Trib. amm. reg., 2001, I, 528; T.A.R. Emilia Romagna, 15.1.2001, n. 30, in Trib. amm. reg., 2001, I, 929; T.A.R. Piemonte, 8.2.2001, n. 281, in Trib. amm. reg., 2001, I, 1230.

(40) Tra le ultime, v. C. St., sez. IV, 14.6.2001, n. 3169, in Giornale dir. amm., 2002, 143, con nota di Mazzarelli, Eccesso di potere per colpa dell’amministrazione, laddove si rileva che il criterio enunciato dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 500/1999, oltre a peccare di inevitabile astrazione, non tiene conto del fatto che la violazione dei limiti esterni della discrezionalità comporta l’illegittimità dell’atto per eccesso di potere, sicché, contravvenendo alle stesse premesse, si formula una verifica di tipo oggettivo.

(41) Cfr. Cass., 10.8.2002, n. 12144, in Danno e resp., 2003, 743 ss., con nota di Grondona, Atto amministrativo illegittimo e colpa dell’agente: verso un modello restrittivo di responsabilità della P.A.? Ma, in senso opposto, v. Cass., sez. I, 1.8.2003, n. 11738, in Guida dir.,cit., 49 ss., che afferma che la colpa va riferita non al funzionario agente, ma all’amministrazione stessa intesa come apparato, e Cass., 23.4.2004, n. 7733, in Mass. Giur. it., 2004, che aggiunge che «quando a cagionare l’illegittimità del provvedimento sia stato il vizio di violazione di legge, in senso stretto, e non la difformità dai canoni di correttezza, imparzialità, buon andamento e buona amministrazione nell’esercizio del potere (per i quali i profili di colpa assumono aspetti di maggiore complessità), la colpa specifica è comprovata, salvo che non resti positivamente esclusa da elementi acquisiti alla causa che non consentano di muovere all’amministrazione alcun rimprovero, neppure sotto il profilo della colpa generica, ovvero che siano presenti delle cause di giustificazione».

(42) Cfr. in C. St., 6.8.2001, n. 4239, in Resp. civ. e prev., 2001, 975, con nota di Carbone, Il giudice amministrativo adotta la responsabilità da contatto procedimentale, in Danno e resp., 2002, 183. V., però, la recentissima inversione di tendenza di C. St., 6.7.2004, n. 5012, e di C. St., 10.8.2004, n. 5500, che affermano che le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria sottese a questa nuova impostazione possono essere parimenti soddisfatte restando all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità extracontrattuale, utilizzando per la verifica dell’elemento soggettivo le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. Gli indici rivelatori della colpa che il privato può offrire sono: la gravità della violazione (in adesione all’analogo indirizzo di matrice comunitaria espresso da C. Giust. CE, 5.3.1996, in Resp. civ. e prev., 1996, 1118), il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento. Spetterà, invece, all’amministrazione convenuta in giudizio l’allegazione di elementi ascrivibili allo schema dell’errore scusabile.

(43) Cfr. Nigro, Ma che cos’è questo interesse legittimo? Interrogativi vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Scritti giuridici, Milano, 1996, III, 1881 e ss., che ha da tempo evidenziato gli ostacoli che si incontrano nel ricostruire l’interesse legittimo secondo lo schema tradizionale dell’obbligazione, rilevando che la differenza fondamentale tra interesse legittimo e diritto di credito sta nelle situazioni soggettive che all’uno e all’altro si contrappongono: nel primo caso vi è un potere o potestà, nel secondo un obbligo.

(44) Sul problema dell’affidamento nel diritto amministrativo sono fondamentali: Merusi, L’affidamento del cittadino, Milano, 1970, ora, in versione aggiornata, Id., Buona fede e affidamento nel diritto pubblico: dagli anni trenta all’alternanza, Milano, 2001; Immordino, Revoca degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento, Torino, 1999; e, per un’analisi dell’esperienza comunitaria, v. Caranta, La comunitarizzazione del diritto amministrativo: il caso della tutela dell’affidamento, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1996, 439.

(45) La tesi di una responsabilità da inadempimento di obblighi, nel caso dell’omessa vigilanza delle Autorithies nei confronti dei privati, non ci sembra, però, accoglibile, allorché non sia possibile individuare un rapporto obbligatorio a causa dell’indeterminatezza dei creditori della prestazione. Contra, v. Scognamiglio, Responsabilità dell’organo di vigilanza bancaria e danno meramente patrimoniale, in Banca borsa tit. cred., 1995, 543 ss.; e, con riferimento alla responsabilità dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, v. Nivarra, Il provvedimento di esecuzione ex art. 4 L. antitrust e la tutela delle imprese terze, in Danno e resp., 1998, 649 ss. In giurisprudenza, v. Cass., 3.3.2001, n. 3132,in Foro it., 2001, I, 1141, con nota di Palmieri, Responsabilità per omessa o insufficiente vigilanza: si affievolisce l’immunità della pubblica amministrazione, secondo cui la natura della responsabilità della Consob per omessa vigilanza, con riferimento al prospetto informativo contenente dati inesatti o incompleti, è di tipo aquiliano.

(46) Tra le sentenze più recenti che si disinteressano dell’atto finale, concentrandosi sul comportamento scorretto della P.A, a dimostrazione che, a seguito della riforma del processo amministrativo, non siamo più nell’ambito di un sistema esclusivamente impugnatorio, v. C. St., 19.3.2003, n. 1457, in Urbanistica e app., 2003, 943 ss., con nota di Racca, Comportamento scorretto, atto legittimo e responsabilità della pubblica amministrazione.

(47) La nota sentenza della Cass. 22.7.1999, n. 500,cit., e la sentenza del 10.1.2003, n. 157, cit. (aventi origine dalla medesima vicenda processuale) non hanno ravvisato la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento rispetto alla richiesta risarcitoria, considerando che la responsabilità dell’amministrazione non sia correlata alla mera illegittimità del provvedimento amministrativo, bensì ad una più complessa valutazione, estesa all’accertamento della colpa, dell’azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto. Ciò con la conseguente possibilità, nell’ipotesi in cui l’illegittimità dell’azione amministrativa non sia stata previamente accertata e dichiarata, di svolgere contestualmente tale accertamento al fine di ritenere o meno sussistente l’illecito. A favore della pregiudizialità è la prevalente giurisprudenza amministrativa, tra cui, per tutte, v. C. St., Ad. Plen., 26.3.2003, n. 4, in Foro it., 2003, III, 433, con nota di Travi. Ma preferisce la non pregiudizialità del rimedio, da ultima, anche Cass., S.U., ord. 26.5.2004, n. 10180.

(47) Per una puntuale disamina dell’evoluzione giurisprudenziale sulla responsabilità precontrattuale della P.A., v. Memmo, Il diritto privato nei contratti della pubblica amministrazione, Padova, 1999, 231 ss.

(48) In tal senso, v., ad es., T.A.R. Lombardia-Milano, 22.5.2002, in Foro amm., 2002, 1917 ss. V. poi, per l’accoglimento della teoria del contatto sociale in ipotesi di procedure ad evidenza pubblica, T.A.R. Puglia-Bari, 17.5.2001, n. 1761, in Foro it., 2002, III, 1 ss.; T.A.R. Lombardia, sez. III, 9.3.2000, n. 1869, in Foro it., 2002, III, 4; T.A.R. Lombardia, sez. III, 31.7.2000, n. 5130, in Foro it., 2002, III, 4; T.A.R. Abruzzo-Pescara, 6.7.2001, n. 609, in Foro it., 2002, III, 2; T.A.R. Puglia-Lecce, 18.4.2002, n. 1569, in Giust. amm., 2002, 625; T.A.R. Trentino-Alto Adige-Trento, 12.12.2002, in Foro amm., 2003, 439 ss., con nota di Simonati, Responsabilità precontrattuale e risarcimento del danno da attività provvedimentale dell’amministrazione: lo «stato dell’arte» alla luce di una recente sentenza; T.A.R. Lazio, 16.6.2003, in Foro amm., 2004, 2972 ss.; ;T.A.R. Lazio, sez. I, bis 7.7.2003, n. 5991 T.A.R. Veneto, 20.11.2003, n. 5778, in Urbanistica e app., 2004, 455, con commento di Passoni; T.A.R. Puglia-Bari, sez. II, 26.2.2004, n. 902.

(50) Ma l’orientamento giurisprudenziale dominante, pur giungendo ad ammettere, secondo lo schema generale dell’art. 2043 c.c., il risarcimento dei danni occorsi al privato per l’illegittimo comportamento della P.A. nella fase di scelta del contraente, conferma la tradizionale esclusione della configurabilità della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. Cfr., in questo senso, C. St., sez. V, 8.7.2002, n. 3796, in Cons. Stato, 2002, I, 1534; Cass., 11.6.2003, n. 9366, in Guida dir., 2003, 54 ss.; C. St., sez. IV, 6.7.2004, n. 5012. Questa impostazione, peraltro, consente di risarcire al privato non solo l’interesse negativo, connaturato alla responsabilità ex art. 1337 c.c., ma anche l’interesse positivo, e cioè, nella voce relativa al lucro cessante, la perdita del guadagno connesso all’esecuzione del contratto.

(51) Della stessa opinione è Sciascia, La sentenza figlia della 500/99: responsabilità aquiliana e contrattuale della P.A. sono affiancate, in Urbanistica e app., 2003, 911, che rileva come nell’impostazione della già citata sentenza del 10.1.2003 n. 157 sembrano coesistere i due modelli di responsabilità, nel senso che, indipendentemente dalla verifica della sussistenza dei presupposti della fattispecie aquiliana, da condurre secondo i criteri dettati dalla sentenza n. 500/1999, laddove, instauratosi un rapporto giuridico tra cittadino e P.A., vengano violate le regole dello svolgimento dell’azione amministrativa, si integrano gli estremi di una responsabilità contrattuale, sia per la lesione di interessi legittimi pretensivi, che per quelli oppositivi.

(52) In senso contrario, v. però Cass., 11.6.2003, n. 9366,in Foro it., 2003, I, 3359, con nota di Fracchia-Occhiena, che ha specificato che l’illegittima condotta della P.A. può essere fonte di un diritto al risarcimento dei danni solo se arreca pregiudizio a un bene della vita, per il quale vi sia un interesse meritevole di tutela del titolare dell’interesse legittimo. E ciò sia che si colleghi il diritto al risarcimento alla norma generale di cui all’art. 2043 c.c., sia ad un tipo di responsabilità paracontrattuale da relazione o da contatto sociale tra P.A. e privato. Di analogo tenore è un’altra sentenza, che, in un obiter dictum, ha valorizzato il contatto amministrativo solo perché ad esso era collegato un bene della vita, rappresentato, nel caso, dall’interesse del privato alla certezza di un’adeguata e razionale utilizzazione della sua proprietà, bene questo che poggia le sue radici nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cass., sez. I, 26.9.2003, n. 14333, in Foro it., 2004, I, 792 ss., con nota di Travi, La giurisprudenza della Cassazione sul risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi dopo la sentenza delle sezioni unite 22.7.1999, n. 500/SU).

(53) Con riferimento alla nota teoria che ritiene il diritto privato essere un diritto comune a pubblici e privati operatori, v. Galgano, La soggezione della P.A. al diritto comune, in Diritto civile e commerciale, I, 1993, I, 296 ss.; Memmo, Clausole vessatorie e contratti della pubblica amministrazione, in Contratto e impresa, 1985, 376 ss.; Cassese, Cultura e politica del diritto amministrativo, Bologna, 1971, 149; Nicolò, Diritto civile, in Enc. dir., XII, 906 ss.; Rescigno, Note di diritto privato sull’attività dell’amministrazione pubblica, in Manuale del diritto privato, Napoli, 1975, 9.

(54) Cfr. Faillace, La responsabilità da contatto sociale, cit., 170 ss.

(55) Cfr. Cass., sez. lav., 24.3.2004, n. 5941, e Cass., sez. lav., 23.4.2004, n. 7733, in Mass. Giur. it., 2004.

(56) Cfr., in tal senso, Castronovo, Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso, in Europa dir. priv., 2004, 97-98, n. 71.

(57) Cfr. Faillace, La responsabilità da contatto sociale, cit., 118-119. A favore di una tutela degli interessi meramente procedimentali, v., invece, Agrifoglio, op. cit., 1259; Sciascia, La sentenza figlia della 500/99: responsabilità aquiliana e contrattuale della P.A. sono affiancate, cit., 911; Orsi Battaglini, Marzuoli, La Cassazione sul risarcimento del danno arrecato dalla pubblica amministrazione: trasfigurazione e morte dell’interesse legittimo, in Dir. pubbl., 1999, 492 ss.; Protto, È crollato il muro della irrisarcibilità delle lesioni di interessi legittimi: una svolta epocale?, in Urbanistica e app., 1999, 1076; Scoca, Risarcibilità e interesse legittimo, cit., 34-35.

(58) Più condivisibile pare un orientamento giurisprudenziale (inaugurato da C. St., 15.4.2003, sez. VI, n. 1945, cit. e seguito da T.A.R. Campania-Napoli, 30.1.2004, n. 1138, e da T.A.R. Umbria, 8.8.2003, n. 649 volto a valorizzare la specificità della fattispecie e della domanda di parte, nell’ambito del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Ciò nel senso che non si pone l’accento sulla natura della responsabilità della P.A. in astratto ed in generale, ma si preferisce distinguere il tipo di lesione lamentata dal ricorrente in relazione alla domanda di tutela. Spesso, infatti, per i giudici la pretesa risarcitoria, specie se azionata da soggetti portatori di interessi economici di rilievo, non ha ad oggetto il mero pregiudizio derivante dalla violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’amministrazione, a prescindere quindi dalla soddisfazione dell’interesse finale, ma, al contrario, proprio il pregiudizio connesso alla preclusione frapposta dalla P.A. alla realizzazione del bene finale anelato. In quest’ultimo caso, per le succitate sentenze, avrà rilievo solo il modello aquiliano. D’altra parte, si precisa altresì che il giudice, grazie alla teoria del contatto sociale, potrà ristorare in via equitativa il danno anche nelle ipotesi in cui il soggetto non riesca a comprovare la spettanza dell’utilità finale, e ciò potrà fare, ad es., liquidando le spese sostenute dal privato che confidava nella validità delle procedure dell’ente pubblico.

(59) In tal senso, cfr. Protto, Responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi: alla ricerca del bene perduto, in Urbanistica e app., 2000, 1006.

(60) Il riferimento pare essere a Busnelli, Dopo la sentenza n. 500. La responsabilità civile oltre il muro degli interessi legittimi, in Riv. dir. civ., 2000, I, 350 ss.

(61) Cfr., in tal senso, la condivisibile opinione di Meruzzi, La trattativa maliziosa, Padova, 2002, 85 ss.

(62) Da ultimo, in questo senso, v. Cass., 28.1.2004, n. 1547, in Resp. civ. e prev., 2004, 457 ss., la quale conferma che «quando a fondamento di una pretesa venga enunciato quello che obiettivamente si rammostra come l’inadempimento ad un’obbligazione volontariamente contratta, ovvero anche derivante dalla legge, è ipotizzabile soltanto una responsabilità contrattuale». V., nello stesso senso, anche Cass., 1.10.1994, n. 7989, in Giust. civ., 1995, I, 137 e Cass., 7.10.1998, n. 9911, in Giust. civ. mass., 1998, 2032. Ci si è poi giustamente chiesti (cfr. Franzoni, Dei fatti illeciti, cit., in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, 21 ss.) per quale motivo nelle ipotesi della gestione di affari altrui, del pagamento d’indebito e dell’arricchimento senza causa, tutte classificabili come fatti-fonte di un obbligazione nelle quali manca un contratto, si debba rispondere secondo l’art. 1218 c.c., mentre chi viola la buona fede dell’art. 1337 c.c. dovrebbe essere responsabile secondo l’art. 2043 c.c. 

 

Avvocato civilista patrocinante in Cassazione. Ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in diritto civile presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna nel 2007. Ha svolto attività di ricerca e didattica nel medesimo Ateneo ed, oltre a diversi saggi, ha pubblicato i seguenti libri: L’evoluzione dell’orario di lavoro tra riduzioni e flessibilità: dal 1850 ai giorni nostri tra leggi, regolamenti ed accordi, Bologna, 2002, - La responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004, facente parte della collana Le monografie di Contratto e Impresa, serie diretta dal Prof. Francesco Galgano; La controversa categoria delle obbligazioni ex lege, pubblicato nel marzo 2008 dall’Università degli Studi di Bologna (Alma Mater Digital Library).

Potrebbero interessarti anche: