Famiglie che si sovrappongono nel tempo e successione necessaria

Enrico Al Mureden, Famiglie che si sovrappongono nel tempo e successione necessaria, in Giur. It., 2012, 8-9

Famiglie che si sovrappongono nel tempo e successione necessaria

Sommario: 1. Premesse. – 2. La successione necessaria nel sistema precedente la riforma del 1975. – 3. La tendenziale equiparazione dei figli legittimi e naturali e la successione del coniuge nella disciplina vigente. – 4. I profili critici della disciplina della successione necessaria ed il ”sacrificio” dei figli nel secondo matrimonio dei vedovi. – 5. Diffusione e complessità dei ”nuovi modelli familiari”. – 6. Le regole della successione necessaria nella prospettiva della sovrapposizione nel tempo di nuclei familiari diversi. Analisi di alcune fattispecie problematiche: il secondo matrimonio del divorziato. – 7. (Segue): Le ”contaminazioni” delle aspettative successorie nelle famiglie ”polinucleari”. – 8. La necessità di individuare regole adeguate alle nuove strutture familiari tra applicazioni del principio della bigenitorialità, proposte di riforma e autonomia privata.

1. Premesse.

I dati statistici recenti confermano la diffusione sempre più rilevante di modelli familiari diversi da quello della famiglia coniugale unita. Le scienze sociali hanno delineato da tempo un quadro articolato e complesso di «costellazioni familiari»(1) in cui, accanto alla famiglia coniugata unita, occorre considerare le famiglie che, a seguito della separazione, del divorzio o della rottura dell’unione di fatto vivono per lungo tempo in una dimensione ”destrutturata”(2) e possono aprirsi all’ingresso di soggetti nuovi rispetto a quelli che componevano il gruppo familiare originario assumendo i caratteri della c.d. ”famiglia ricomposta”(3). In un contesto così complesso si pone sempre più di frequente il problema di attuare una ripartizione equilibrata delle risorse economiche tra famiglie diverse che si sovrappongono nel tempo. Dal particolare angolo visuale del diritto delle successioni emergono questioni assai delicate che evidenziano, sotto diversi profili, l’inadeguatezza della disciplina della successione necessaria rispetto alle situazioni che possono prospettarsi a seguito della rottura del matrimonio e della ricomposizione di nuovi nuclei familiari.

2. La successione necessaria nel sistema precedente la riforma del 1975.

Le regole che disciplinavano la successione necessaria prima della riforma del diritto di famiglia era ispirato alla finalità di evitare ”dispersioni” del patrimonio familiare dei coniugi inteso nel suo complesso(4). Ai figli legittimi della coppia coniugata doveva essere garantito nella massima misura possibile il conseguimento del patrimonio dei genitori. L’unica possibilità di dispersione di questo patrimonio era limitata alla quota che integrava la disponibile e a quella che, eventualmente, poteva essere attribuita ai fratelli nati fuori dal matrimonio (figli illegittimi dei genitori), ai quali, comunque, spettava una quota pari alla metà di quella riservata ai figli legittimi(5). L’eventualità che il patrimonio della coppia coniugata potesse essere sottratto ai figli e ”distratto” a vantaggio di un nucleo familiare formato successivamente da uno dei genitori si limitava al caso di scioglimento del matrimonio per morte ed era scongiurata dalle previsioni che attribuivano al coniuge vedovo un diritto di usufrutto(6) escludendo che quest’ultimo divenisse proprietario dei beni del coniuge premorto(7). In definitiva, la previsione del solo diritto di usufrutto in capo al coniuge superstite costituiva la garanzia dell’integrità delle aspettative successorie dei figli legittimi della coppia anche nel caso di sovrapposizione di famiglie nel tempo, ossia nell’ipotesi in 

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cui il genitore superstite contraesse un secondo matrimonio ed avesse altri figli. Più precisamente, ciò che l’usufrutto uxorio garantiva era l’integrità e la purezza della aspettativa dei figli sul patrimonio riferibile al genitore deceduto; non era possibile escludere il concorso dei figli del primo matrimonio con quelli del secondo matrimonio con riferimento alla successione del genitore comune; né era possibile escludere il concorso tra figli legittimi e figli (illegittimi) avuti al di fuori del matrimonio(8).

3. La tendenziale equiparazione dei figli legittimi e naturali e la successione del coniuge nella disciplina vigente.

Con la riforma del 1975 il legislatore ha profondamente inciso sulla disciplina della successione necessaria delineando un sistema che, nel suo complesso, si differenzia in modo netto da quello previgente(9). La posizione dei figli legittimi e dei figli naturali viene equiparata sia per ciò che concerne la quota di patrimonio riservata nella successione necessaria, sia quanto alla quota loro spettante nella successione legittima; la posizione del coniuge viene significativamente valorizzata: a lui è riservata una quota dei beni ereditari e il diritto di abitazione sulla casa familiare. Il coniuge, quindi, assume una posizione di preminenza nella successione: ad esso spetta necessariamente la metà del patrimonio dell’altro coniuge qualora non concorra con i figli (art. 540, comma 1, c.c.), un terzo del patrimonio se colui che muore lascia solo un figlio (art. 542, comma 1, c.c.) ed un quarto nel caso in cui il de cuius abbia più di un figlio (art. 542, comma 2, c.c.). In ogni caso, anche quando concorre con altri chiamati, al coniuge sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni (art. 540, comma 2, c.c.). Questi ultimi diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli (art. 540, comma 2, c.c.)(10).

Indubbiamente le regole che governano la successione necessaria costituiscono l’espressione dei principi costituzionali che sanciscono la parità tra coniugi(11) e la tendenziale parità tra figli legittimi e naturali(12). Alla finalità tradizionalmente sottesa alla successione necessaria, ossia quella di garantire la conservazione del patrimonio all’interno della famiglia, si aggiunge così quella di riconoscere e valorizzare la posizione del coniuge(13) e quella di evitare evidenti disparità di trattamento tra i figli legittimi e naturali. Invero sotto quest’ultimo profilo persistono significative differenziazioni che hanno condotto a prospettare questioni di legittimità costituzionale. In particolare la Corte costituzionale si è pronunciata riguardo all’esclusione dalla successione dei fratelli naturali(14) e con riferimento alla legittimità del diritto di commutazione riconosciuto ai figli legittimi nei confronti dei figli naturali (art. 537, comma 3, c.c.)(15). I profili di differenziazione appena indicati tra la posizione dei figli legittimi e quella dei figli naturali sembrano tuttavia destinati a venir meno nella prospettiva dell’approvazione del disegno di legge che dovrebbe equiparare totalmente la posizione dei figli(16).

4. I profili critici della disciplina della successione necessaria ed il ”sacrificio” dei figli nel secondo matrimonio dei vedovi.

La profonda innovazione che ha caratterizzato la disciplina della successione del coniuge nella riforma del 1975 indubbiamente risponde all’esigenza di valorizzare i principi costituzionali che governano l’unione matrimoniale. Proprio questa finalità, tuttavia, potrebbe porsi in termini antagonistici rispetto a quella di conservare il patrimonio all’interno del nucleo familiare originariamente costituito dalla coppia coniugata. In effetti gli interpreti hanno posto in evidenza i possibili inconvenienti legati ad una tutela del coniuge che talvolta può apparire eccessiva, soprattutto quando le norme sulla successione e quelle sulla comunione dei beni operano sinergicamente(17). In tal caso la posizione del coniuge assume una preminenza assoluta rispetto a quella dei figli perché egli consegue metà dei beni caduti in comunione al momento dello scioglimento del regime e concorre con i figli sul restante patrimonio del coniuge defunto(18).

Il problema della ”sovracompensazione” del coniuge al momento della successione assume una significativa rilevanza quando la struttura del gruppo familiare originario si arricchisce di nuove ramificazioni. Questa situazione si verificava tradizionalmente solo nel caso di scioglimento del matrimonio per la morte di uno dei coniugi e, successivamente all’introduzione del divorzio, ha assunto una diffusione sociale assai più ampia.

Indubbiamente un’ipotesi di sovrapposizione di diverse famiglie nel tempo che anche il legislatore del 1975 aveva ben presente era quella del secondo matrimonio dei vedovi. In questo caso l’applicazione delle nuove norme in tema di successione comporta una significativa alterazione delle aspettative successorie dei figli del primo matrimonio. Infatti il collegamento che si instaura tra i patrimoni dei coniugi che passano a seconde nozze fa sì che, alla morte del primo, l’altro consegua necessariamente una considerevole quota di eredità ed il diritto ad abitare vita natural durante la casa familiare (art. 540 c.c.); inoltre, qualora il regime prescelto sia quello legale, il secondo coniuge si vedrà attribuire una considerevole parte del patrimonio accumulato durante gli anni del matrimonio(19). Nella prospettiva dei figli del primo matrimonio la situazione appena descritta può rappresentare, di fatto, una significativa lesione dell’aspettativa successoria maturata nei confronti del genitore passato a seconde nozze oppure un incremento di questa stessa aspettativa. Il fatto che si verifichi la prima eventualità o la seconda dipende esclusivamente dalla circostanza che il genitore sposato in seconde nozze premuoia al (secondo) coniuge oppure sopravviva ad esso. Per cogliere i rilevanti risvolti applicativi delle norme sulla successione necessaria in caso di secondo matrimonio dei vedovi conviene ipotizzare che i coniugi che si accostano alle seconde nozze abbiano entrambi alle spalle una prima esperienza matrimoniale o familiare e quindi abbiano entrambi figli da una unione precedente. In tal caso potrebbe ravvisarsi un interesse reciproco a conservare la purezza dell’integrità dell’aspettativa successoria dei rispettivi figli della prima unione. Qualora i coniugi che si apprestano a contrarre il secondo matrimonio volessero accordarsi per rinunciare anticipatamente in modo reciproco alle rispettive posizioni di eredi necessari verrebbe in considerazione il divieto dei patti successori (art. 458 c.c.)(20). L’inconveniente appena indicato costituisce una conseguenza indiretta dell’attuale disciplina della successione necessaria del coniuge alla quale le parti non possono porre rimedio nemmeno con apposita convenzione. Da ultimo occorre rilevare che il secondo matrimonio dei vedovi rappresenta una eventualità di limitatissima portata sul piano statistico(21) e, pertanto, i delicati problemi appena riassunti interessano un novero di situazioni estremamente circoscritto.

Il fatto che la disciplina della successione necessaria abbia assunto come paradigma quello della famiglia unita e, soprattutto, di una famiglia nella quale non si aggiungono soggetti nuovi rispetto a quelli che componevano il gruppo originario(22) poteva essere riguardato come una scelta condivisibile in un contesto giuridico caratterizzato dall’indissolubilità del matrimonio, ma può destare perplessità in un contesto come quello attuale caratterizzato dalla dissolubilità del matrimonio. In prima approssimazione, quindi, può apparire quasi paradossale che il legislatore abbia introdotto un sistema di regole che possono presentare profili di criticità laddove si ponga il problema di calare la successione nel contesto di un gruppo familiare che si è arricchito di nuove ramificazioni successivamente allo scioglimento del primo matrimonio(23) proprio nel momento in cui queste situazioni erano destinate a moltiplicarsi a seguito dell’introduzione del divorzio e della separazione per cause oggettive(24).

5. Diffusione e complessità dei ”nuovi modelli familiari”.

Come anticipato, gli aspetti di incongruenza più evidenti dell’attuale disciplina della successione necessaria emergono qualora si tenga in considerazione il diffondersi di nuovi modelli familiari. In particolare, occorre considerare la presenza di un numero sempre più rilevante di gruppi familiari inizialmente uniti che, a seguito della separazione e del divorzio, vivono in una dimensione ”destrutturata” e sono suscettibili di modificare ulteriormente la loro composizione qualora i partners della coppia originariamente unita diano vita a nuovi nuclei familiari fondati sulla convivenza di fatto o sul matrimonio.

Per dare a queste affermazioni una dimensione più puntuale e concreta è sufficiente pensare che, sulla base dei dati statistici più recenti, risulta che su 1.000 matrimoni si registrano quasi 300 separazioni e 181 divorzi(25). Concentrando l’attenzione sulle famiglie che vivono l’esperienza della crisi coniugale è possibile individuare situazioni più specifiche, che evidenziano problemi assai significativi al fine dell’analisi delle norme della successione necessaria. Le indagini demografiche mettono a fuoco la presenza di un rilevante numero di separazioni e divorzi in cui sono coinvolti figli non autosufficienti (52% e 36,5%)(26). Questo dato, già di per sé significativo, deve essere integrato con un altro che assume particolare rilievo nella prospettiva dell’analisi delle regole sulla successione necessaria nel contesto delle famiglie ”destrutturate” e ricomposte: in quest’ottica, infatti, riveste interesse anche il dato, non evidenziato dalle statistiche, relativo alle separazioni ed ai divorzi in cui sono coinvolti figli autosufficienti. Infatti la presenza di questi ultimi non assume rilievo ai fini dell’affidamento e dell’assegnazione della casa familiare e del mantenimento, ma conserva in ogni caso un’importanza fondamentale nella prospettiva dell’applicazione delle regole in tema di successione necessaria, che qui maggiormente interessano.

Un altro dato rilevante, che emerge solo in parte dalle statistiche dell’Istat, è quello che evidenzia la diffusione del fenomeno delle seconde nozze(27). Anche questo dato deve essere ulteriormente integrato tenendo conto di due fattori che le statistiche disponibili non prendono in considerazione, ma che, cionondimeno, riveste un particolare rilievo nella prospettiva della successione necessaria. In particolare occorre tenere presente il considerevole aumento di separazioni e divorzi tra coniugi ”giovani”(28); questo dato, infatti, segnala la presenza di persone che, verosimilmente, dopo la rottura del matrimonio vivranno altre esperienze familiari di convivenza o si accosteranno ad un secondo matrimonio. Occorre poi tenere conto della presenza di un considerevole numero di persone che, dopo avere avuto figli fuori dal matrimonio, si apprestano a contrarre matrimonio e a vivere una ”seconda esperienza familiare”. Quest’ultima fattispecie, pur non figurando come un secondo matrimonio, pone in ogni caso delicati problemi nella prospettiva della successione necessaria di quanti vivono più di un’esperienza familiare. In questo senso è sufficiente pensare al concorso tra i figli avuti dal de cujus nel contesto di una prima esperienza familiare con chi, a seguito del primo matrimonio, assumerà il ruolo di coniuge nella seconda esperienza familiare del de cujus stesso.

Come anticipato, solo dalle prime brevi e superficiali riflessioni indotte dall’analisi dei dati statistici emerge l’impressione che le regole concernenti la successione necessaria siano state concepite dal legislatore sulla base del paradigma della famiglia unita. Esse, quindi, non sembrano tenere adeguatamente in considerazione la presenza dei modelli familiari che si sono diffusi a seguito dall’introduzione della separazione e del divorzio e la complessità delle situazioni che possono crearsi a seguito della ricomposizione di nuovi nuclei familiari.

6. Le regole della successione necessaria nella prospettiva della sovrapposizione nel tempo di nuclei familiari diversi. Analisi di alcune fattispecie problematiche: il secondo matrimonio del divorziato.

Nello scenario brevemente delineato è possibile individuare molteplici ipotesi nelle quali le norme della successione necessaria possono condurre a risultati applicativi avvertiti come inadeguati(29).

Una delle fattispecie che sul piano statistico si presenta con maggiore frequenza è quella del secondo matrimonio del divorziato(30). A tale riguardo occorre prendere in considerazione il fatto che il percorso che conduce al divorzio ed alla formazione di una seconda famiglia si articola nella quasi totalità dei casi(31) in una prima fase di separazione durante la quale i coniugi in linea di massima conservano reciprocamente la posizione di erede necessario (art. 548, comma 2, c.c.)(32). I profili di ”inadeguatezza” di questa previsione e la sua scarsa rispondenza al ”sentire comune” sono stati messi opportunamente in luce dagli interpreti(33) e da recenti proposte di riforma elaborate dal notariato(34). È verosimile immaginare, quindi, che entrambi i coniugi separati possono avvertire l’esigenza di escludere l’operatività delle norme sulla successione necessaria nella fase della separazione. La validità di un accordo in tal senso, tuttavia, sembra da escludere con certezza, stante il divieto dei patti successori (art. 458 c.c.).

Con riferimento ai delicati problemi che possono porsi nella fase del divorzio può essere opportuno, per rendere più immediata la comprensione del problema, immaginare una fattispecie concreta e, segnatamente, il divorzio di un uomo di mezza età(35) che, dopo un matrimonio di lunga durata, si trova di fronte alla prospettiva di formare una seconda famiglia. Questo particolare angolo di visuale consente di evidenziare alcuni degli aspetti più critici del problema della equilibrata divisione delle risorse tra famiglie che si succedono nel tempo.

Un primo ordine di problemi riguarda il rapporto tra il primo coniuge, che verosimilmente ha vissuto un’esperienza matrimoniale di lunga durata, ed il secondo coniuge che, tipicamente, vive un’esperienza matrimoniale di durata decisamente inferiore e, talvolta, assai breve. Gli interpreti hanno evidenziato ormai da tempo la particolare gravità delle conseguenze economiche del divorzio soprattutto per il coniuge che ha dedicato molti anni alla cura della famiglia(36). Riassumendo sinteticamente un problema assai complesso ed articolato, si può affermare che, dopo un matrimonio di lunga durata, il coniuge che si è dedicato in prevalenza alla cura della famiglia può subire un grave pregiudizio economico in quanto l’ordinamento non fornisce strumenti capaci di assicurare un’effettiva compartecipazione alle accresciute capacità professionali e di reddito conseguite durante il matrimonio dall’altro coniuge(37). A ciò si deve aggiungere una inevitabile «delusione delle aspettative successorie»(38). La criticità si accentua soprattutto laddove il regime patrimoniale del primo matrimonio fosse la separazione dei beni — che è ormai divenuto il regime più diffuso(39) — in virtù della quale non si può attuare al momento dello scioglimento del primo matrimonio alcun riequilibrio economico(40). Nel caso in cui, invece, i coniugi avessero mantenuto il regime di comunione legale, il primo coniuge beneficerà, almeno, della ripartizione in parti uguali ex art. 194 c.c. del patrimonio accumulato durante il matrimonio.

Peraltro, la posizione del secondo coniuge si caratterizza per un evidente vantaggio, in quanto le norme che regolano la successione legittima e quella necessaria riconoscono al coniuge una posizione di assoluta preminenza, senza attribuire alcun rilievo alla durata del rapporto matrimoniale(41).

Il problema dell’equilibrata divisione delle risorse tra famiglie che si succedono nel tempo presenta questioni delicate anche nella prospettiva dei diritti patrimoniali dei figli. Nella situazione presa ad esempio si può immaginare che il figlio laureato, ma non ancora autosufficiente, possa risentire di un pregiudizio patrimoniale connesso alla formazione di una seconda famiglia da parte del padre. L’assunzione di nuovi obblighi nei confronti della seconda moglie e di un figlio nato dalla seconda unione si rifletteranno, inevitabilmente, sul diritto al mantenimento del primo figlio. Gli obblighi di mantenimento nei confronti dei figli della seconda unione comporteranno, necessariamente, una ”distrazione” di risorse e la necessità di operare una nuova valutazione comparativa tra i bisogni della prima famiglia e quelli dei componenti della seconda, in modo da conseguire un soddisfacente temperamento dei diritti di tutti i soggetti che fanno capo alla persona economicamente benestante(42). Quanto osservato induce a ritenere che l’enfatico riferimento al tenore di vita coniugale come parametro da cui muovere per decidere riguardo alla spettanza ed alla quantificazione degli assegni di mantenimento, nella maggior parte dei casi illusorio(43), risulti ancor più difficile da conseguire laddove alla disgregazione di un primo nucleo familiare segue la formazione di una seconda famiglia da parte del soggetto economicamente più benestante.

La delusione delle aspettative economiche subita dal figlio del primo matrimonio in conseguenza del secondo matrimonio del padre potrà manifestarsi poi in modo ancora più evidente nella successione mortis causa. Egli, infatti, si troverà a dover concorrere in qualità di erede necessario con la seconda moglie del padre e con il figlio nato dalla seconda unione matrimoniale.

Nel quadro appena delineato — che rappresenta sinteticamente le ”delusioni delle aspettative economiche” dei componenti della prima famiglia provocate dalla rottura del matrimonio e dalla formazione di una famiglia successiva — potrebbe intervenire la volontà della persona economicamente forte di ”compensare” i componenti del primo gruppo familiare. Il che potrebbe realizzarsi mediante attribuzioni patrimoniali a vantaggio della ex moglie e del figlio del primo matrimonio. Tali attribuzioni potrebbero essere attuate nel contesto dell’accordo di separazione consensuale o del divorzio su domanda congiunta ed assumere la modalità del trasferimento immobiliare. In altri termini, potrebbe accadere che il separando o divorziando si determini ad attuare un trasferimento immobiliare a favore della moglie spinto dall’intenzione di ”compensarla” per la lunga dedizione alla cura della famiglia e limitare il grave pregiudizio economico che essa subirà a seguito del divorzio. Sempre in questa prospettiva, è possibile immaginare un trasferimento immobiliare a favore del figlio che, seppur vicino al conseguimento dell’indipendenza economica, si trovi in una fase in cui un contributo da parte dei genitori può apparire opportuno o, talvolta, indispensabile per assecondare persistenti esigenze di formazione e per compensare l’instabilità e l’incertezza delle condizioni di chi si appresta ad entrare nel mondo del lavoro.

Le operazioni economiche brevemente riassunte potrebbero porre delicati problemi al momento dell’apertura della successione di colui che, con il secondo matrimonio, ha dato vita ad una complessa trama di rapporti familiari.

Il trasferimento immobiliare a favore della prima moglie con il quale era stato compensato il valore dell’apporto fornito alla famiglia durante gli anni del matrimonio potrebbe essere osservato dal punto di vista della seconda moglie e del figlio del secondo matrimonio come un atto nel quale è presente un significativo intento liberale e che, pertanto, potrebbe essere assoggettato ad un’azione di riduzione (artt. 553 e segg. c.c.).

Considerazioni analoghe potrebbero essere riproposte anche riguardo al trasferimento immobiliare effettuato a favore del figlio ormai prossimo al conseguimento dell’autosufficienza economica. In tal caso il figlio del secondo matrimonio e la seconda moglie, trovandosi a concorrere con il figlio del primo matrimonio in veste di eredi necessari, potrebbero osservare quel trasferimento immobiliare come un atto potenzialmente soggetto alle regole che governano la collazione(44) (artt. 737 e segg. c.c.).

Il problema della qualificazione giuridica dei trasferimenti immobiliari è stato affrontato da tempo dalla Cassazione. La suprema Corte, prendendo atto del fatto che i trasferimenti immobiliari in linea di massima assolvono alla funzione di capitalizzare il diritto al mantenimento, chiudere questioni relative alla divisione dei beni conseguiti durante il matrimonio e, in generale, sistemare gli assetti patrimoniali della prima famiglia al termine della crisi coniugale, ha sancito che essi assolvono una funzione che può essere riassunta nella c.d. ”causa familiare”(45). Il che ha condotto ad escludere, in termini generali, la possibilità di assoggettare gli accordi traslativi all’azione di riduzione ed alla collazione facendo leva sull’argomento per cui, in genere, tali attribuzioni hanno luogo per assolvere ad un obbligo di mantenimento e non si caratterizzano per un intento liberale. Peraltro occorre tenere conto che in concreto — in particolare nelle fattispecie portate ad esempio — l’intento liberale può essere ravvisabile, quantomeno in parte. Sebbene non si riscontrino precedenti giurisprudenziali che si occupino in modo esplicito delle questioni appena illustrate, è verosimile immaginare che i problemi connessi al concorso in veste di eredi necessari di soggetti appartenenti a gruppi familiari diversi possano affacciarsi in futuro con intensità crescente, soprattutto qualora si consideri la rilevante diffusione sociale delle famiglie ricomposte e la sempre più ampia estensione temporale del mantenimento del figlio maggiorenne.

7. (Segue): Le ”contaminazioni” delle aspettative successorie nelle famiglie ”polinucleari”.

In termini generali il complesso panorama di modelli familiari che emerge dalle statistiche più recenti porta a ritenere che, in una prospettiva futura, diverrà sempre più rilevante il problema — già avvertito nel tessuto sociale — di evitare dispersioni del patrimonio del nucleo familiare originario verso soggetti estranei; dispersioni che, in qualche misura, possono essere avvertite come ”ingiustificate”(46).

I delicati e complessi problemi che si possono prospettare nel caso in cui il nucleo familiare originariamente unito si divida e dia vita a nuovi nuclei familiari ricomposti possono essere colti con maggiore immediatezza attraverso un esempio concreto nel quale vengono considerate le complesse interazioni che possono crearsi tra diverse tipologie di unioni familiari che si sovrappongono nel tempo. Così è possibile immaginare una famiglia coniugata composta dai coniugi (A e B) e da un figlio (C). Una volta intervenuta la separazione, i coniugi A e B instaurano nuove convivenze con persone che, a loro volta, hanno alle spalle precedenti esperienze familiari: segnatamente il marito A instaura una convivenza con D, già madre di un figlio E; la moglie B instaura una convivenza con F, già padre di un figlio G. Dalle nuove unioni — iniziate come convivenze e poi consolidatesi con le nozze — nascono altri figli: H, figlio della coppia di fatto formata da A e D ed I, figlio della coppia di fatto formata da B e D.

Nel complesso scenario appena delineato l’applicazione delle regole che governano la successione necessaria del coniuge possono dar vita a spostamenti patrimoniali che in qualche modo potrebbero essere avvertiti come ”inopportuni” ed ”iniqui” in quanto alterano la purezza ed integrità delle aspettative successorie dei figli rispetto alla situazione che caratterizzava il gruppo familiare originariamente unito.

Anzitutto, nella delicata fase in cui i coniugi della prima famiglia (A e B) sono ancora separati, e quindi eredi necessari, il figlio (C) potrebbe patire una significativa alterazione delle aspettative successorie. Nel caso in cui la madre B venga meno, ad esempio, le regole della successione necessaria determinerebbero in primo luogo la successione del genitore superstite (il padre A) il quale ”porterebbe” verso il nuovo nucleo familiare (formato da D e H) una parte considerevole delle risorse della moglie B. Alla morte di A (passato a seconde nozze, quindi marito di D e padre legittimo di H), infatti, si troverebbero a concorrere il figlio del primo matrimonio (C), il figlio H del secondo matrimonio e la seconda moglie (D); il patrimonio di quest’ultima si arricchirebbe di beni che provengono dalla famiglia originaria di C e al momento in cui si aprirà la sua successione saranno acquisiti mortis causa da parte dei figli H (fratello germano di C) ed E, nato nel contesto di una relazione precedente e non legato in alcun modo a C.

Anche dopo il definitivo scioglimento del nucleo familiare composto da A e B permangono molteplici possibilità di alterazione della purezza e della integrità delle aspettative successorie dei figli. Il figlio C della coppia composta da A e B, ad esempio, potrebbe subire una riduzione delle aspettative ereditarie qualora il padre venga a mancare dopo la nascita del secondo figlio (H) ed il secondo matrimonio con D. In tal caso la successione necessaria della seconda moglie D comporterà l’acquisizione di una parte del patrimonio di A che, alla morte di quest’ultima, spetterà al figlio H (fratello germano di I) ed anche al figlio che ella aveva avuto da una precedente relazione (E) il quale non è legato da nessun rapporto diretto con C. Del resto, la questione potrebbe porsi in termini speculari se nella coppia formata con un secondo matrimonio da A e D fosse la moglie a mancare per prima. In tal caso la successione necessaria del coniuge porterebbe una parte del suo patrimonio nell’asse ereditario del marito A, con la conseguenza che, alla morte di quest’ultimo, si troverebbero nella condizione di eredi necessari i figli C e H (fratelli germani); in tal caso sarebbe E (figlio della prima esperienza familiare di D) a subire un ingiustificato pregiudizio, ossia la distrazione di una parte delle risorse materne a vantaggio di soggetti solo in parte collegati al suo nucleo familiare originario (H, fratello uterino) o ad esso completamente estranei (C). In altri termini, la morte del genitore passato a seconde nozze può comportare un’erosione delle aspettative successorie per il figlio che questi aveva avuto da una prima relazione e, correlativamente, può condurre ad un arricchimento ”inatteso” per i figli del coniuge che eredita. Questi spostamenti patrimoniali, in genere avvertiti come ”inopportuni”, risultano, in definitiva, determinati dal caso.

Sotto questo profilo riveste interesse l’esperienza dei c.d. prenuptial agreements statunitensi. In un sistema che presenta profonde differenze rispetto al nostro, grazie all’utilizzo di questo strumento, è possibile salvaguardare i figli della prima unione matrimoniale, mettendo al sicuro alcuni beni dalle pretese del secondo coniuge. L’accordo prematrimoniale, infatti, svolge una funzione assimilabile in parte a quella dei patti successori e in parte a quella del regime patrimoniale, assicurando ai figli del primo matrimonio che il secondo coniuge del genitore non possa avanzare pretese su alcuni beni, né in caso di morte di quest’ultimo né in caso di rottura del secondo matrimonio(47).

8. La necessità di individuare regole adeguate alle nuove strutture familiari tra applicazioni del principio della bigenitorialità, proposte di riforma e autonomia privata.

Le situazioni brevemente descritte evidenziano un’inadeguatezza delle norme sulla successione necessaria qualora esse vengano applicate ai modelli familiari diversi da quello della famiglia unita, assunto dal legislatore del 1975 come paradigma. La crescente diffusione delle famiglie che vivono in una dimensione divisa e si arricchiscono di nuovi componenti conduce a ritenere che l’individuazione di principi e regole coerenti con i nuovi modelli familiari sia divenuta un’esigenza indifferibile. Questa esigenza, del resto, ha trovato un riconoscimento emblematico laddove il legislatore, prendendo atto della diffusione di nuovi modelli familiari e della complessa trama di rapporti che si crea come conseguenza della crisi della coppia, ha enunciato in termini generali il principio della bigenitorialità (legge n. 54/2006)(48). Tale principio si può riassumere nel diritto del figlio a risentire nella misura minore possibile della disgregazione della coppia conservando un rapporto intenso e significativo con i genitori e con i parenti di ciascuno di loro. In effetti, nel ”diritto vivente” si sono manifestate molteplici applicazioni del principio secondo cui il figlio dovrebbe fare sempre e comunque riferimento ai propri genitori, nonostante la rottura dell’unione che li legava e la ricomposizione di nuovi nuclei familiari. Questo principio è stato enunciato, anzitutto, con riferimento agli obblighi di mantenimento: essi gravano sui genitori e non possono essere in alcuna misura attenuanti nemmeno quando il figlio vive in un nucleo familiare nel quale il nuovo convivente del genitore provveda di fatto al suo mantenimento(49).

Sempre in questo senso, la suprema Corte ha chiarito che quando si tratta di garantire il diritto del figlio alla permanenza nella casa familiare il sacrificio del genitore proprietario è giustificato solo in presenza di figli comuni della coppia. Pertanto, qualora il problema dell’assegnazione della casa familiare si ponga con riferimento ad una famiglia composta dai coniugi e dal figlio che la moglie aveva avuto da una precedente relazione, è escluso il diritto di quest’ultimo alla permanenza nell’immobile di cui è proprietario il marito della madre(50).

Anche quando si tratta di sancire la responsabilità dei genitori per gli illeciti commessi dai figli minori (artt. 2047 e 2048 c.c.), del resto, trova conferma il principio secondo cui la responsabilità grava su entrambi i genitori; principio che, in linea di massima, non subisce temperamenti nemmeno nel caso in cui, di fatto, il figlio viva nel nucleo familiare composto dalla madre e dal suo nuovo partner, risultando solo in parte soggetto al controllo del padre(51).

Il principio secondo cui deve essere sempre valorizzata la posizione dei genitori biologici e non trova alcun riconoscimento quella dei cosiddetti genitori sociali è stato espresso anche in una pronuncia — invero motivatamente criticata(52) — con la quale la Cassazione ha sancito che la potestà dei genitori viene esercitata, di regola, congiuntamente anche nel caso in cui essi non abbiano mai convissuto. Il che ha condotto a negare l’aspirazione ad assumere il ruolo di padre adottivo manifestata da parte del marito che da tempo si era preso cura della figlia naturale della moglie e ad affermare il diritto del padre biologico ad opporsi all’adozione della propria figlia della quale, peraltro, per lungo tempo si era disinteressato.

La breve rassegna di fattispecie tra loro eterogenee nelle quali è stato costantemente affermato il principio della bigenitorialità induce a ritenere che, anche nel contesto del diritto successorio, questo principio debba trovare riconoscimento per garantire al figlio l’integrità e la purezza della propria aspettativa successoria nonostante i complessi scenari che potrebbero delinearsi qualora la coppia dei genitori, a seguito della crisi, dia vita a nuovi nuclei familiari. In questa prospettiva si può concludere che, ad oltre 35 anni dalla Riforma del diritto di famiglia, possa apparire sotto certi profili inopportuna la scelta di sopprimere l’usufrutto uxorio(53). In effetti, le situazioni nelle quali risultava necessario dividere le risorse della famiglia originaria tra soggetti appartenenti a nuclei familiari diversi — trascurabile se riferita all’ipotesi del secondo matrimonio dei vedovi — ha assunto una diffusione statisticamente assai rilevante a seguito dell’introduzione del divorzio. In questo scenario appaiono sicuramente condivisibili alcune delle proposte elaborate dal notariato.

In particolare appare apprezzabile la proposta di modificare l’art. 548 c.c.: escludendo la successione del coniuge separato e prevedendo a suo favore solamente il diritto ad un assegno periodico a carico dell’eredità qualora sia riscontrabile uno stato di bisogno sarebbe possibile ovviare alle complesse situazioni illustrate in precedenza ed eliminare uno dei profili applicativi della successione necessaria che viene avvertito come ”iniquo”.

Anche la proposta di rendere meno rigido il divieto dei patti successori sembra da condividere, quantomeno perché consentirebbe ai coniugi consapevoli ed informati di attuare una equilibrata divisione delle ricchezze tra famiglie che si succedono nel tempo, limitando gli effetti della successione necessaria che vengono avvertiti come iniqui(54). In particolare, piuttosto che abolire tout court il divieto, sarebbe opportuno permettere una deroga — soprattutto con riferimento ai patti c.d. rinunciativi — all’interno delle convenzioni matrimoniali. Queste ultime, infatti, nonostante la loro scarsa diffusione, dovrebbero rappresentare lo strumento privilegiato attraverso cui regolare i rapporti patrimoniali fra coniugi, non soltanto nella fase fisiologica, ma anche in quella della crisi coniugale e successivamente della morte di uno dei due coniugi.

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(1) L’espressione è di Mazzoni (a cura di), Nuove costellazioni familiari, Milano, 2002; Id., Le famiglie ricomposte: dall’arrivo dei nuovi partners alla costellazione familiare ricomposta, in Dir. Famiglia, 1999, 373. Il fenomeno è stato analizzato anche in uno studio recente nel quale si è fatto ricorso ad una espressione altrettanto incisiva: «famiglia polinucleare» (Belloni, La famiglia polinucleare, Roma, 2011). Sul punto v. anche Padovini, I diritti successori dei figli: problemi aperti, relazione tenuta al convegno Genitori e figli. Quali riforme per le nuove famiglie, Genova, 4 maggio 2012, in corso di pubblicazione in Rivista del notariato, 2012.

(2) Con il termine famiglia ”destrutturata” si indicano le situazioni in cui, nonostante lo scioglimento della coppia, permangono significativi rapporti tra genitori e figli ed anche un legame tra i genitori che si può riassumere nella persistente esigenza di organizzare la vita comune della famiglia anche dopo la rottura del matrimonio (Al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, in part. 212 e segg.).

(3) Sulla famiglia ricostituita Rescigno, Le famiglie ricomposte: nuove prospettive giuridiche, in Familia, 2002, 1 e segg.; Bilò, Famiglia ricostituita, in Codice della famiglia a cura di Sesta, Milano, 2009, 3172; Id., I problemi della famiglia ricostituita e le soluzioni dell’ordinamento inglese, in Familia, 2004, 831.

(4)Casulli, voce ”Successioni (diritto civile): successione necessaria”, in Noviss. Dig. It., XVIII, 1957, Torino, 787, in part. 797; Calvo, La successione del coniuge. Garanzie individuali e nuovi scenari familiari, Milano, 2010, 33; Delle Monache, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, Milano, 2008.

(5) Cfr. il testo degli artt. 539 e 541 c.c. abrogati; per una analitica illustrazione v. Casulli, op. cit., in part. 797 e seg.; Mengoni, Successioni per causa di morte. Successione necessaria, in Tratt. Dir. Civ. e Comm. a cura di Cicu, Messineo, 4a ed., Milano, 2000, XLIII, 2, 43 e segg.; Ferri, Dei legittimari, Sub art. 536-564 c.c., in Comm. C.C. a cura di Scialoja, Branca, 1a ed., Bologna Roma, 1971; Id., Dei legittimari, Sub art. 536-564 c.c., in Comm. C.C. a cura di Scialoja, Branca, 2a ed., Bologna Roma, 1981; Calvo, op. cit., 33.

(6) Cfr. il testo degli artt. 540 e 542 c.c. abrogati; per una analitica illustrazione v. Casulli, op. cit., in part. 797 e seg.

(7)Restuccia, Sub art. 540 c.c., in Codice delle successioni a cura di Sesta, Milano, 2011, 903.

(8)Mengoni, op. cit., 153 e segg.; Crotti, Sub art. 537 c.c., in Codice delle successioni a cura di Sesta, Milano, 2011, 895; Calvo, op. cit., 34.

(9)Mengoni, Successioni per causa di morte. Successione legittima, in Tratt. Dir. Civ. e Comm. a cura di Cicu, Messineo, Milano, 1999, 148, il quale ha definito le regole introdotte dalla riforma come una vera e propria «rivoluzione»; Calvo, op. cit., 34; Dossetti, Introduzione, in Il diritto delle successioni. Successione e diritti del coniuge superstite e del conviventemore uxorio a cura di Bonilini, Torino, 2004, 1 e segg.; Ferrari, Appunti sugli aspetti successori della riforma del diritto di famiglia, in Dir. Famiglia, 1978, 1357; Restuccia, op. cit., 904; Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 5a ed., Torino, 2010, 131 e segg.

(10)Coppola, I diritti di abitazione ed uso spettanti ex lege, in Il diritto delle successioni. Successione e diritti del coniuge superstite e del convivente more uxorio, cit., 51 e segg. in part. 68 e segg.; Restuccia, op. cit., 906; Calvo, op. cit., 46 e seg.; Sesta, Introduzione, in Calvo, op. cit., VIII, il quale mette in luce come il diritto di abitazione riconosciuto al coniuge superstite «finisca per assorbire gran parte dell’asse ereditario» laddove il de cuius disponga di un patrimonio limitato.

(11)Santosuosso, Il matrimonio. Libertà e responsabilità nelle relazioni familiari, Milano, 2011, 4; Calvo, op. cit., 29 e segg.; Morrone, Sub art. 3 Cost., in Codice della famiglia a cura di Sesta, Milano, 2009, 55 e segg.; Sesta, Sub art. 29 Cost., ibid., 73 e segg.; Arceri, Sub art. 143 c.c., ibid., 549 e segg.

(12)Dossetti, op. cit., 2; Sesta, Sub art. 42 Cost., in Codice delle successioni, cit., 8.

(13)Zatti, Tradizione e innovazione nel diritto di famiglia, in Trattato di diritto di famiglia a cura di Zatti, I, 1, Famiglia e matrimonio a cura di Ferrando, Fortino, Ruscello, 2a ed., Milano, 2011, 17, il quale mette in luce alcuni profili di inadeguatezza della disciplina, che non sembra prendere adeguatamente in considerazione «più impegnative possibilità di disegno delle relazioni economiche in unità e in rottura» (sul punto v. anche De Nova, Disciplina inderogabile dei rapporti patrimoniali e autonomia negoziale, in Studi in onore di Rescigno, Milano, 1998, 259 e segg.). Sul punto v. anche Sala, Il diritto del coniuge ad una quota di eredità, in Il diritto delle successioni. Successione e diritti del coniuge superstite e del convivente more uxorio, cit., 33 e segg.; Basini, I diritti successori del coniuge separato, ibid., 149 e segg.; Bonilini, I diritti successori del coniuge divorziato, ibid., 193 e segg.;Calvo, op. cit., 38; Dattola, Lo status dei coniugi separati, in Trattato di diritto di famiglia a cura di Zatti, I, 2, Famiglia e matrimonio a cura di Ferrando, Fortino, Ruscello, 2a ed., Milano, 2011, 1497; Dossetti, Introduzione, in Il diritto delle successioni: successione e diritti del coniuge superstite e del convivente more uxorio, cit., 10 e segg; Amato, Crisi del matrimonio e coniuge superstite, Napoli, 1999, passim; Albanese, Sub art. 585, in Codice delle successioni a cura di Sesta, cit., 1100.

(14) Corte cost., 12 aprile 1990, n. 184, in Giust. Civ., 1991, 1133, con nota di Perego, La successione tra fratelli naturali dopo la sentenza della corte costituzionale n. 184 del 1990.

(15) Corte cost. 18 dicembre 2009, n. 335, in Fam. e Dir., 2010, 352, con nota di Arceri-Vignudelli, Il diritto di commutazione fra tradizione ed evoluzione: i figli naturali sono ancora lontani da una piena ed effettiva equiparazione.

(16) Cfr. il Disegno di legge relativo alle Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, approvato al Senato il 16 maggio 2012.

(17)Calvo, op. cit., 39.

(18)Zatti, op. cit., 17; Calvo, op. cit., 39.

(19)Calvo, op. cit., 39.

(20)Ieva, Sub art. 458 c.c., in Codice delle successioni a cura di Sesta, cit., 595 e segg.; Balestra e Martino, Il divieto dei patti successori, Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni a cura di Bonilini, Milano, 2009, 63; Ieva, I fenomeni a rilevanza successoria, Napoli, 2008; Cecere, voce ”Patto successorio”, in Digesto Civ., aggiornamento, Torino, 2003, 1001.

(21)Separazioni e divorzi in Italia, anno 2009, pubblicata dall’Istat il 7 luglio 2011, 6.

(22)Belloni, La famiglia polinucleare, Roma, 2011, in part. 142 e segg. e 162 e segg.

(23)Calvo, Sub art. 457 c.c., Codice delle successioni a cura di Sesta, cit., 576 e seg.; Crotti, Sub art. 536 c.c., ibid., 888.

(24)Santosuosso, op. cit., 21 e seg.

(25)Separazioni e divorzi in Italia, anno 2009, cit.

(26)Separazioni e divorzi in Italia, anno 2009, cit.

(27)Separazioni e divorzi in Italia, anno 2009, cit.

(28)Separazioni e divorzi in Italia, anno 2009, cit., 4, tabella 1, evidenzia che la fascia di età in cui sono ricompresi il maggior numero di coniugi separati è quella tra i 35 e i 39 anni. In ogni caso le fasce di età tra i 30 ed i 44 anni includono in termini assoluti il maggior numero di persone separate (circa 43.000 separazioni su un totale di circa 72.000).

(29)Nuove regole tra affetti ed economia. Le proposte del notariato a cura del Consiglio nazionale del Notariato, 2011.

(30) Sulla maggior propensione al secondo matrimonio da parte degli uomini v. Zanatta, Le nuove famiglie, 2a ed., Bologna, 2003, 78.

(31) Secondo i dati Istat la quasi totalità dei divorzi (circa il 98%) ha luogo a seguito di una pregressa separazione protratta per tre anni (Separazioni e divorzi in Italia, anno 2009, cit.).

(32) La perdita della posizione di erede necessario segue esclusivamente alla pronuncia di addebito. Sotto questo profilo occorre tenere conto del fatto che l’85% delle separazioni sono consensuali e nella restante parte (15%) la percentuale di separazioni addebitate è comunque assai limitata (solo nel 19,4% delle separazioni giudiziali ha luogo una pronuncia di addebito) (Separazioni e divorzi in Italia, anno 2009, cit., 7, figura 6).

(33)Separazioni e divorzi in Italia, anno 2009, pubblicata dall’Istat il 7 luglio 2011, 6.

(34)Nuove regole tra affetti ed economia. Le proposte del notariato a cura del Consiglio nazionale del Notariato, 2011.

(35)Separazioni e divorzi in Italia anno 2009, cit., 4, segnala un «forte aumento» delle separazioni con coniugi ultrasessantenni.

(36)Sesta, Introduzione a Al Mureden, op. cit., VI.

(37) Sul problema della compensazione del coniuge debole nei matrimoni di lunga durata e della condivisione del c.d. capitale invisibile costituito dalle capacità professionali e di reddito conseguite da un coniuge anche grazie ai sacrifici dell’altro v. Al Mureden, op. cit.

(38) Sulla tutela successoria dell’ex coniuge divorziato v. Bonilini, Divorzio ed effetti di diritto ereditario, in Bonilini-Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Comm. C.C. a cura di Schlesinger, Milano, 2010, 1013; Id., I diritti successori del coniuge divorziato, in Il diritto delle successioni. Successione e diritti del coniuge superstite e del convivente more uxorio, cit., 195 e segg.; Ronfani, in Pocar-Ronfani, La famiglia e il diritto, Milano, 2006, 133, ritiene che il regime successorio introdotto con la riforma del 1975 «nei fatti introduca un fattore di riequilibrio a favore della donna, la vedovanza femminile essendo molto più numerosa di quella maschile». Occorre precisare, però, che nel caso di divorzio seguito da seconde nozze la funzione di riequilibrio opera non tanto nei confronti del primo coniuge — il quale, anche qualora abbia condiviso con l’ereditando un considerevole periodo di vita viene in considerazione solo ai limitati effetti di cui agli artt. 9, commi 2 e 3; 9 bis comma 2, l. div. —, quanto piuttosto nei riguardi del secondo coniuge, anche qualora questo abbia condiviso con l’ereditando un periodo di vita più breve. Le aspettative successorie deluse a seguito del divorzio possono trovare una qualche forma di soddisfazione solo sotto il profilo dell’attribuzione della pensione di reversibilità (Marando, in Il diritto delle successioni. Successione e diritti del coniuge superstite e del convivente more uxorio, cit., 501 e segg.; Calvo,La successione del coniuge. Garanzie individuali e nuovi scenari familiari, cit., 148 e seg.); e di un assegno a carico dell’eredità (Restuccia, Sub art. 548 c.c., in Codice delle successionia cura di Sesta, cit., 926 e segg.; Santosuosso, op. cit., 898; Il diritto delle successioni. Successione e diritti del coniuge superstite e del convivente more uxorio, cit., 199 e segg.).

(39) Nel 2009 oltre il 64% delle coppie di coniugi ha optato per il regime di separazione dei beni (Il matrimonio in Italia, anno 2009, pubblicata dall’Istat il 18 maggio 2011).

(40)Sesta-Valignani, Il regime di separazione dei beni, in Trattato di diritto di famiglia a cura di Zatti, cit., 568.

(41)Sesta, Introduzione a Calvo, La successione del coniuge. Garanzie individuali e nuovi scenari familiari, cit., VIII.

(42)Cass., 23 luglio 2006, n. 18367, in Giur. It., 2007, 2, 327, con nota di Barbiera, Difficili modifiche rilevanti dell’assegno di divorzio quantificato secondo il criterio del tenore di vita matrimoniale.

(43) Il fatto che il riferimento al tenore di vita della famiglia unita si riferisca ad un modello di vita passato e difficilmente ripetibile dopo la rottura del primo nucleo familiare è stato efficacemente messo in luce nella prospettiva della statistica e dell’econometria. Questa particolare prospettiva emerge nei recenti tentativi di individuare metodi che consentano un calcolo degli assegni di mantenimento basato su criteri oggettivi ed induce a ritenere che il riferimento al tenore di vita della famiglia unita sia appropriato solo laddove sussistono ingenti risorse economiche, mentre in tutti gli altri casi appare maggiormente corretto perseguire l’obiettivo di assicurare un tenore di vita analogo a tutti coloro che dipendono dallo stesso soggetto economicamente forte. Sull’argomento v. Maltagliati-Marliani, in AA.VV., Come calcolare gli assegni di mantenimento nei casi di separazione e divorzio, Milano, 2009, 228; Trib. Firenze, 3 ottobre 2007, in Fam. e Dir., 2008, 52, con nota di Al Mureden, Tenore di vita e assegni di mantenimento tra diritto ed econometria.

(44)Albanese, Della collazione. Del pagamento dei debiti, Sub. art. 373-756, in Comm. C.C. a cura di Schlesinger, Milano, 2009.

(45) La c.d. ”causa familiare” è stata individuata da Cass., 30 maggio, 2005, n. 11458; Id., 2 febbraio, 2005, n. 2088, in Giust. Civ. Mass., 2005, 6; Id., 17 giugno 2004, n. 11342, in Giur. Comm., 2005, I, 415; Id., 17 giugno 1992, n. 7470, in Nuova Giur. Comm., 1993, I, 808, con nota di Sinesio. Per una approfondita ricostruzione degli orientamenti sulla causa degli accordi raggiunti dai coniugi in sede di separazione consensuale Martino, Collegamento negoziale e pagamento traslativo nella revocatoria dei trasferimenti immobiliari realizzati tra coniugi in occasione della separazione consensuale, in Nuova Giur. Comm., I, 2007, 378 e segg.; Doria, Autonomia privata e causa familiare. Gli accordi traslativi tra coniugi nella separazione personale e nel divorzio, Milano, 1996, 304; Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale, in Fam. e Dir., 2012, 69; Id., L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, 636; Id., I contratti della crisi coniugale, Milano, 1999, I; Ieva, Trasferimenti mobiliari e immobiliari in sede di separazione e divorzio, in Riv. Notar., 1995, 447; Rabitti, La prestazione una tantum nella separazione dei coniugi, in Familia, 2001, 589; Marella, Gli accordi fra i coniugi fra suggestioni comparatistiche e diritto interno, in Separazione e divorzio a cura di Ferrando, in Giur. sist. Dir. Civ. e Comm. a cura di Bigiavi, Torino, 2003, 186.

(46)Nuove regole tra affetti ed economia. Le proposte del notariato, a cura del Consiglio nazionale del Notariato, 2011.

(47) Per una illustrazione più dettagliata dei prenuptial agreements statunitensi v. Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale, cit., 69; Al Mureden, Iprenuptial agreements negli Stati Uniti e nella prospettiva del diritto italiano, in Fam. e Dir., 2005, 543 e segg.

(48)Sesta, La nuova disciplina dell’affidamento dei figli nei processi di separazione, divorzio, annullamento matrimoniale e nel procedimento riguardante i figli nati fuori del matrimonio, in L’affidamento dei figli a cura di Sesta e Arceri, Torino, 2011, 5 e segg.

(49)Cass., 24 febbraio 2006, n. 4203, in Fam. e Dir., 2006, con nota di Longo, Convivenza more uxorio del genitore affidatario e contributo al mantenimento da parte dell’altro genitore, 601, in cui è stato sancito che «la prestazione di assistenza di tipo coniugale da parte di un convivente ”more uxorio” di uno dei coniugi può assumere rilievo solo per escludere oppure ridurre lo stato di bisogno dell’altro coniuge, e, quindi, in ordine all’esistenza e alla consistenza del diritto all’assegno di mantenimento o divorzile da parte di quest’ultimo, ma non può incidere sull’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli che, in base al disposto dell’art. 147 c.c., grava esclusivamente su ciascuno dei genitori ed è rivolto a far fronte a una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma esteso all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale»; sul punto v. Bilò, Famiglia ricostituita, cit., 3182; Auletta, Famiglie ricomposte e obbligo di mantenimento, in Familia, 2008, 3.

(50)Cass., 2 ottobre 2007, n. 20688, in Fam e Dir., 243, con nota di Marchiondelli, L’assegnazione della casa familiare quale strumento di tutela dei figli di entrambi i coniugi: «In materia di separazione e divorzio, l’assegnazione della casa coniugale postula che i soggetti, alla cui tutela è preordinata, siano figli di entrambi i coniugi, a prescindere dal titolo di proprietà dell’abitazione; ne consegue che deve escludersi il diritto all’assegnazione al coniuge convivente con un figlio minore che non sia figlio anche dell’altro coniuge»; in senso analogo Cass., 15 settembre 2011, n. 18863, in De jure: «In tema di assegnazione della casa familiare, l’art. 155 quater c.c., applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, tutela l’interesse prioritario della prole a permanere nell’habitat domestico, postulando, oltre alla permanenza del legame ambientale, la ricorrenza del rapporto di filiazione legittima o naturale cui accede la responsabilità genitoriale, mentre non si pone anche a presidio dei rapporti affettivi ed economici che non involgano, in veste di genitori, entrambi i componenti del nucleo che coabitano la casa familiare oppure i figli della coppia che, nella persistenza degli obblighi di cui agli art. 147 e 261 c.c., abbiano cessato di convivere nell’abitazione, già comune, allontanandosene».

(51) Per una analitica ricostruzione del problema v. Campione, Il fatto dannoso del minore incapace, in La responsabilità civile nelle relazioni familiari a cura di Sesta, Torino, 2008, 597 e segg.; Id., Il fatto dannoso del minore capace, ibid., 617 e segg.

(52)Cass., 10 maggio 2011, n. 10265, in Nuova Giur. Comm., 2011, I, 1206-1212, con nota di Sesta, L’esercizio della potestà sui figli naturali dopo la l. 54/2006: quale sorte per l’art. 317 bis c.c.?, in Fam. e Dir., 2011, 1097, con nota di Mansi, Figli naturali e potestà genitoriale tra l’art. 317 bis c.c. e la l. n. 54/2006.

(53)Mengoni, Successioni per causa di morte. Successione legittima, cit., 140, precisa che la posizione di preminenza attribuita al coniuge nella disciplina della successione sarebbe stata condivisibile solo in un contesto nel quale si fossero conservati l’indissolubilità del matrimonio ed il regime di separazione dei beni come regime legale; calata nel contesto attuale (caratterizzato dal carattere dissolubile del matrimonio e dalla previsione del regime di comunione come regime legale) la scelta appare — a giudizio di Mengoni — inopportuna.

(54)Roppo, Per una riforma del divieto dei patti successori, in Riv. Dir. Priv., 1997, 7; De Nova, Autonomia privata e successioni mortis causa, in Id., Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, Padova, 2011, 105 in part 110.

Professore Associato di Diritto privato a tempo pieno nell'Università di Bologna. Ha conseguito in data 24 dicembre 2013 l'Abilitazione Scientifica Nazionale per il ruolo di Professore di prima fascia nel settore scientifico 12/A1 (Diritto privato). È docente di Diritto privato, Diritto di famiglia e Diritto dei contratti nella Scuola di Giurisprudenza del Dipartimento di Scienze giuridiche dell'Università di Bologna. Dal 1 marzo 2006 al 14 aprile 2011 è stato in servizio come ricercatore a tempo pieno nella Facoltà di Giurisprudenza di Bologna, sede di Ravenna. Dottore di ricerca in Diritto civile (voto finale “eccellente”), discutendo la tesi dal titolo “Crisi coniugale e riflessi sul regime patrimoniale. La tutela del coniuge debole tra legge e autonomia privata”. Il 20 novembre 2000 ha conseguito il titolo di avvocato. Il 23 novembre 1995 ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza, con lode, nell’Università di Bologna. Ha pubblicato tre monografie (Le sopravvenienze contrattuali tra lacune normative e ricostruzioni degli interpreti, Padova, 2004; Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007; Principio di precauzione, tutela della salute e responsabilità civile, Bologna, 2008) ed altri 60 lavori scientifici principalmente in tema di diritto patrimoniale della famiglia, diritto dei contratti e responsabilità civile. È membro del Comitato scientifico della Rivista Famiglia e Diritto. Ha tenuto in qualità di Visiting Professor un ciclo di lezioni in materia di Contract Law nell’ambito del LLM Master of European and International Law presso la China-EU School of Law (CESL), Beijing (China) negli a.a. 2011- 2012 e 2012-2013. Ha svolto periodi di studio all’estero presso la School of Law della Yale University (Connetticut - USA) (2011) e la University of Kent di Canterbury (2001, 2002, 2004). Tiene corsi di Diritto di famiglia nella Scuola di specializzazione per le professioni legali “E. Redenti” dell'Università di Bologna.

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