La giurisprudenza e la casa coniugale: un rapporto in crisi

Alberto Mastromatteo, La giurisprudenza e la casa coniugale: un rapporto in crisi, in Questioni di diritto di famiglia, Maggioli Editore, 2/2008

Cass. Sez. I, 2 ottobre 2007, n. 20688 – Pres. Adamo – Rel. Petitti.

Assegnazione casa familiare – Esclusione – Convivenza con prole nata da altro matrimonio – tutela continuità habitat domestico.

La disciplina della casa coniugale postula che i soggetti alla cui tutela è preordinata l’assegnazione siano figli di entrambi i coniugi ai quali sia riferibile la disponibilità, in via esclusiva o in comproprietà, della casa coniugale (1).

Cass. Sez. I, 17 dicembre 2007, n. 26574 – Pres. Luccioli – Rel. Felicetti.

Assegnazione casa familiare – Esclusione – Assenza di prole – Esclusiva tutela interesse continuità abitativa della prole – Esclusione della considerazione dell’assegnazione come componente degli assegni di mantenimento.

In materia di separazione (come di divorzio) l’assegnazione della casa familiare, malgrado abbia anche riflessi economici, essendo finalizzata alla esclusiva tutela della prole e dell’interesse di questa a permanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta, non può essere disposta a titolo di componente degli assegni rispettivamente previsti dagli artt. 156 cod. civ. e 5 della legge n. 898 del 1970, allo scopo di sopperire alle esigenze del coniuge più debole, al soddisfacimento delle quali sono destinati unicamente gli assegni sopra indicati (2).

Cass. Sez. I, 11 settembre 2007, n. 19085 – Pres. Luccioli – Rel. San Giorgio.

Assegnazione casa familiare – Ingiusto arricchimento dell’assegnatario – Usufrutto soggetti terzi.

L’occupazione legittima (nella specie, a titolo di usufrutto) di una parte dell’immobile assegnato, in sede di provvedimenti conseguenti alla separazione personale dei coniugi, esclude in radice ogni possibilità di configurare detta occupazione quale elemento di ingiustificato arricchimento in capo all’assegnatario, il cui diritto di utilizzazione dell’immobile a scopo abitativo ne risulta, al contrario, limitato (3).

(1-2-3) La giurisprudenza e la casa coniugale: un rapporto in crisi.

I. Il fatto.

Nella prima fattispecie, l’iniziale assegnatario della prole e della casa coniugale convive in questa con altro partner. La nuova coppia concepisce un bambino e l’altro figlio, nato dal precedente matrimonio, insoddisfatto del rapporto con il nuovo compagno della madre, chiede di essere affidato al padre. Ottenuto l’affidamento, costui a sua volta chiede al giudice che gli venga assegnata, altresì, la casa familiare. La donna oppone alla pretesa dell’ex marito il sopravvento della nuova prole. I giudici del fatto assegnano la casa al marito. Per tale ragione, la ex moglie ricorre in Cassazione.

Anche la seconda sentenza 

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, sullo sfondo, ha ad oggetto il tema dell’assegnazione della casa coniugale. La particolarità della fattispecie riguarda la pretesa del coniuge non assegnatario, il quale chiede gli venga riconosciuta un’indennità per l’occupazione di una parte di casa dalla madre della ex moglie assegnataria. Invero, durante il matrimonio, la suocera del ricorrente aveva donato alla coppia per la metà del valore l’immobile, venduto per il resto; tuttavia, sopra la parte donata si era riservata l’usufrutto. Inoltre, sull’edificio la coppia aveva realizzato dei miglioramenti. I giudici del merito hanno accolto la richiesta del marito e gli hanno riconosciuto il diritto ad una indennità per la predetta occupazione. Ne è scaturito il ricorso al giudice di legittimità.

La terza sentenza in rassegna, a sua volta, concerne il tema di cui si discute. Nello specifico l’abitazione in commento era in comproprietà ai coniugi in crisi. Il giudice di prime cure assegnava la stessa alla moglie, inoltre riconoscendo l’addebito della separazione al marito. In secondo grado la sentenza veniva riformata sulla base della considerazione che non esisteva prole, nel cui esclusivo interesse poteva essere emanato il provvedimento di assegnazione a discapito delle ragioni di diritto del non assegnatario sull’immobile. Ne scaturiva ricorso in Cassazione.

II. Una premessa sull’assegnazione della casa familiare1.

Il provvedimento di assegnazione della casa familiare2 rientra tra quelli “riguardo ai figli” che il giudice emana al fine di consentire la prosecuzione dell’abitazione nella casa coniugale, anche dopo la separazione o il divorzio, al coniuge cui venga affidata la prole minorenne o che conviva con figli maggiorenni, non autosufficienti economicamente senza loro colpa, pur se non sia titolare del diritto di proprietà o di altro diritto (reale minore o di altra natura) sulla casa predetta.

Con la legge sull’affidamento condiviso (8 febbraio 2006, n. 54), è stato inserito nel corpo del cod. civ. l’art. 155-quater, che disciplina specificamente l’istituto in parola. Tale norma novella l’istituto, stabilendo che «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli»3.

I presupposti per emanare il provvedimento di assegnazione in questione individuati dal legislatore del 2006 sembra ripetano quelli già previsti dal vecchio art. 155, cc, nella stesura riformata dalla l. n. 151/1975. Infatti, in entrambe le formulazioni il criterio cd. preferenziale è che l’assegnazione corrisponda all’interesse della prole4.

Inoltre, anche la novella, come la norma precedente, tace sulla disciplina applicabile per il caso di assenza di prole o di sopravvenuta maggiore età ed autonomia economica della stessa.

In entrambe le formulazioni, infine, il riferimento all’interesse dei figli come criterio “preferenziale” per l’assegnazione non consente di rispondere al quesito di fondo di cui è investito l’interprete: cioè, se il provvedimento in commento debba essere emesso “solo” in presenza di prole o anche in sua assenza.

III. Funzione e disciplina dell’assegnazione della casa coniugale.

Secondo una prima opinione, il giudice, nell’adottare il provvedimento in commento, deve valutare “prioritariamente”, e non “esclusivamente”, l’interesse della prole. Pertanto, non si può escludere che anche altri interessi, “secondariamente”, siano idonei a costituire il presupposto per l’emanazione del provvedimento di assegnazione. Coerentemente, secondo questa impostazione, il giudice può assegnare la casa familiare anche in caso di assenza di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti, senza loro colpa.

Secondo una seconda opinione, restrittiva, la ratio dell’assegnazione deve essere individuata esclusivamente nella necessità di offrire continuità abitativa alla prole minorenne o maggiorenne non autonoma economicamente. Talché, mancando questo presupposto, il provvedimento non può essere emanato a favore del coniuge più debole. Questa tesi contempera le esigenze di libera utilizzazione e disponibilità dei beni da parte del titolare del diritto di proprietà o altro diritto (reale minore o di altra natura), e quelle di tutela degli interessi della prole5.

Altra questione, connessa alla precedente, era in passato quella relativa all’incidenza del provvedimento di assegnazione sulla determinazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi.

In caso si condividesse la lettura estensiva sulla ratio dell’assegnazione e la si funzionalizzasse anche alla tutela del coniuge più debole6, si riteneva che di essa dovesse tenersi in conto ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento, in considerazione dell’incidenza che l’istituto in parola manifestava sugli equilibri economici complessivi tra i coniugi.

Nella direzione opposta, invece, si riteneva che l’assegnazione, essendo esclusivamente disposta in funzione di tutela della prole, non potesse rientrare tra le voci da prendere in considerazione per la determinazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, ai quali è dedicato specificamente l’art. 156, cc (in questa norma non è menzionato l’istituto che si commenta, concernendo questo, semmai, la regolazione dei rapporti patrimoniali tra genitori e prole).

Con la riforma di cui alla l. cit. 56/2006, è stata disposta la regola dell’affidamento condiviso: per cui, di regola, entrambi i genitori risulteranno affidatari della prole. Talché, ai fini dell’assegnazione della casa familiare, immutato il criterio della prioritaria importanza degli interessi dei figli, ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà tenere conto della titolarità dell’immobile e delle condizioni economiche dei genitori7. Peraltro, l’art. 155-quater, comma 1, expressis verbis dispone che «dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà»8.

Per completezza, si segnala che il diritto di abitazione non è cedibile, né trasmissibile. Inoltre, esso si estingue con la morte del titolare; mediante provvedimento giudiziale nel caso in cui vengano meno i presupposti sulla base dei quali era stata disposta l’assegnazione e, ancora, «per cessazione dello stato di separazione»9.

In merito alla riforma dell’art. in commento giova, infine, segnalare la previsione della estinzione del diritto al godimento della casa familiare per il caso in cui l’affidatario non abiti o cessi di abitare stabilmente in essa o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Al riguardo svariate critiche sono state mosse alla norma10. In sostanza, si sospetta che la norma sia incostituzionale ai sensi degli artt. 3 e 2 Cost.. La prima norma sarebbe violata sotto il profilo dell’irragionevolezza del differente trattamento riservato alla prole affidata ad un genitore a seconda che questi tenga o meno un comportamento11, del tutto estraneo all’interesse “prioritario” della prole stessa. La seconda norma, invece, verrebbe vulnerata in quanto si perverrebbe a limitare la libertà dell’assegnatario di convivere o di contrarre matrimonio con altro partner, minacciandogli la perdita dell’abitazione.

III. (segue) La trascrizione del provvedimento di assegnazione.

Il legislatore della riforma sull’affidamento condiviso ha inserito nella parte finale dell’art. 155-quater l’inciso secondo cui «il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643, cc»12. Alla luce del disposto si ritiene che allo stato, ai fini dell’opponibilità a terzi del provvedimento, sia necessario trascrivere l’atto. Omesso tale adempimento ai terzi non sarà opponibile l’assegnazione della casa neanche nei limiti del novennio13 dalla data dell’assegnazione14.

IV. Brevi cenni sulla natura del diritto di abitazione.

Ci si chiede se il provvedimento di assegnazione lasci immutato il titolo in forza del quale si vive nella casa familiare oppure se sia idoneo a trasformarlo in un diritto autonomo.

a) Secondo una prima teoria il diritto in questione avrebbe natura reale, a condizione che tale natura caratterizzi il diritto dell’assegnatario sull’immobile o se quest’ultimo sia in comproprietà tra i consorti.

b) Altra impostazione e alcuna parte della giurisprudenza sostengono che esso sia configurabile come diritto a se stante: sarebbe un diritto personale di godimento, essendo il carattere reale escluso dalla tipicità dei diritti reali15.

c) In una prospettiva opposta alla precedente, si sostiene che il provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario o convivente con figli maggiori non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o divorzio, non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento dell’immobile16. Talché, il provvedimento di assegnazione non ha la capacità di innovare il contenuto del precedente titolo abilitativo all’utilizzo del bene, ma semplicemente conserva la destinazione di questo e assicura, a tutela della prole, la stabilità dell’habitat domestico.

V. Le pronunce in rassegna.

Nella prima delle due pronunce in commento la Corte di Cassazione osserva come sia giurisprudenza ormai consolidata quella secondo cui allo stato attuale, come anche sotto il vigore della precedente normativa, la legge consente «il sacrificio della posizione del coniuge titolare di diritti reali o personali sull’immobile adibito ad abitazione familiare, mediante l’assegnazione di siffatta abitazione in sede di divorzio all’altro coniuge, solo alla condizione dell’affidamento a quest’ultimo di figli minori o della convivenza con esso di figli maggiorenni ma non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri». Pertanto, tale giudice attribuisce esclusivo rilievo all’interesse della prole17 e giunge ad escludere che, in assenza dei presupposti richiesti dall’art. 155-quater, l’assegnazione della casa familiare possa essere «disposta in funzione integrativa o sostitutiva dell’assegno divorzile, ovvero allo scopo di sopperire alle esigenze di sostentamento del coniuge ritenuto economicamente più debole»: infatti, nell’opinione dei giudici di legittimità tale ultima funzione può essere assolta solo dall’assegno predetto.

Inoltre, si deve sottolineare come la Corte precisi che «la situazione non muta allorquando, come nella specie, con il coniuge divorziato che richieda detta assegnazione conviva un figlio minore che non sia anche figlio dell’altro coniuge, ma di persona diversa». Da tale premessa i giudici partono per affermare quanto riportato in massima. Talché, essi postulano che la comunione dei figli sia il presupposto per l’assegnazione della casa familiare, per lo meno nell’ipotesi in cui, come nel caso, il sacrificio imposto al genitore non assegnatario sia connesso alla titolarità, in via esclusiva o in comproprietà, della domus familiaris.

Con la seconda sentenza in rassegna la Suprema Corte ribadisce principi già esplicitati in precedenti pronunce. Infatti, essa conferma che la funzione esclusiva assolta dal provvedimento che il giudice emana ex art. 155-quater debba essere ricondotta alla tutela della continuità abitativa nell’esclusivo interesse della prole. Pertanto, come precisato in massima, il provvedimento di assegnazione non può essere disposto quale componente o in sostituzione degli assegni di mantenimento (art. 156, cc) e di alimenti (art. 5, l. 898/1970), con il fine di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole. I giudici di legittimità precisano che questa soluzione deve essere condivisa anche alla luce della novella codicistica attuata ad opera della l. 54/2006, in quanto il nuovo art. 155-quater «mostra di volere dare consacrazione legislativa, con il riferimento all’ “interesse dei figli” in genere – e non più all’affidamento dei figli (minori) –» proprio all’orientamento giurisprudenziale consolidato in tal senso.

Pertanto, nel caso in cui la casa di cui si chiede l’assegnazione sia in comproprietà tra entrambi i coniugi, a seguito di separazione il suo godimento verrà regolato dalle norme in materia di comunione ordinaria.

Infine, la Corte aggiunge un’interessante osservazione. Nel rammentare, infatti, i casi di cessazione del godimento della casa familiare, la Suprema Corte afferma che «con il venir meno della stabile abitazione della casa, ovvero con il formarsi di un nuovo nucleo familiare, in fatto o in conseguenza di un nuovo matrimonio, la previsione legislativa della cessazione dell’assegnazione è mera conseguenza dell’avere l’abitazione perduto, nei primi due casi, oggettivamente, la sua funzione, e negli altri due casi per essere venuto meno, secondo la valutazione del legislatore, in conseguenza della formazione di un nuovo nucleo familiare da parte del coniuge assegnatario, quell’habitat che si intendeva conservare, finché possibile, ai figli». Ebbene, a parere di chi scrive la Cassazione pare implicitamente opinare per la legittimità costituzionale della norma. Infatti, rispetto alle prime due ipotesi, il giudice osserva che coerentemente la legge fa discendere dalla loro verificazione il venir meno del godimento dell’immobile, essendo esso preordinato a garantire la continuità abitativa della prole proprio in quella abitazione e non in altre: perciò non avrebbe senso perpetrare il sacrificio dei diritti (dominicali o di altro tipo) del coniuge non assegnatario ricorrendo quelle evenienze. Per le altre due ipotesi, invece, tale Giudice spende gli argomenti che spesso la Corte Costituzionale usa al fine di evitare pronunce di incostituzionalità: ossia, la perdita del godimento della casa familiare è conseguenza rimessa alla discrezionalità del legislatore, le cui valutazioni non sono sindacabili ope iudicis (salvo che siano manifestamente irragionevoli).

Per quanto concerne, infine, la terza pronuncia, la Suprema Corte giustamente cassa la sentenza del giudice del fatto. Questi, infatti, ha omesso di prendere in considerazione che, nella vicenda a monte, relativa alla vendita mista cum donatione, realizzata a favore della coppia dalla madre dell’assegnatario durante lo svolgimento fisiologico del rapporto matrimoniale, la stessa si era riservata l’usufrutto sopra la parte di immobile di cui aveva la disponibilità ed in relazione al quale il ricorrente aveva proposto domanda d’indennità a titolo di occupazione, a suo dire, ingiustificata. Inoltre, la circostanza che i coniugi avessero realizzato dei miglioramenti sulla casa familiare, cui non aveva contribuito economicamente l’usufruttuaria, non poteva tradursi ex se in un arricchimento ingiustificato nella sfera patrimoniale dell’assegnataria, tale da conferire all’altro partner un titolo di indennizzo. Infatti, si trattava di lavori effettuati su elementi della costruzione già esistenti e non di ristrutturazione dell’edificio che avesse aggiunto elementi nuovi di cui godeva la madre dell’altro coniuge.

Semmai, a parere di chi scrive, il ricorrente non assegnatario avrebbe potuto chiedere che, nel computo delle reciproche liquidazioni patrimoniali, gli venisse riconosciuto il diritto alla percezione di una somma a titolo di interessi sopra la metà del capitale impiegato per i miglioramenti per l’ingiustificato arricchimento dell’affidatario, nei limiti della parte di immobile occupato dalla madre usufruttuaria (arg. sistematica ex artt. 1003, comma 1, 3° e 4° cpv., e comma 2; 1005, comma 3; 1006; 1007; 1009; 1010, comma 2 e 3; 1018, comma 2).

Alberto Mastromatteo

Avv. in Bologna.

1 Sul tema, cfr. ex multis, A. Arceri, sub) artt. 155-155-sexies, in Codice della Famiglia, a cura di M. Sesta, Giuffrè, Milano, 2007, pp. 535 e ss.; G. F. Basini, I provvedimenti relativi alla prole, in G. Bonilini – F. Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Il Codice Civile Commentato, diretto da P. Schlesinger, Giuffrè, Milano, 1997, pp. 589 e ss.; M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, Cedam, Padova, 2007; C. Grassetti, sub) art. 155, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da G. Cian, G. Oppo, A. Trabucchi, Tomo II, Cedam, Padova, 1992, pp. 692 e ss.; F. Panuccio Dattola, Lo status dei coniugi separati, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, V, I, Tomo II, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 1107 e ss.; G. Contiero, L’assegnazione della casa coniugale, Giuffrè, Milano, 2007.

2 Offre una definizione di casa coniugale G. Contiero, op. cit. p. 11: «per casa coniugale o familiare va inteso il luogo di normale ed abituale convivenza del nucleo familiare, l’habitat domestico inteso come il fulcro degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si enuclea, svolge e sviluppa la vita della famiglia». Al riguardo, A. Arceri, op. cit., p. 591, precisa che «La finalità dell’istituto impone di determinare l’oggetto dell’assegnazione in senso restrittivo, con riguardo unicamente a quell’immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, e quindi con esclusione di ogni altro immobile di cui i coniugi avessero la disponibilità, o che comunque usassero in via temporanea o saltuaria».

3 M. Sesta, op. cit., p. 177, osserva che «sotto tale profilo, la norma si conforma al criterio per l’assegnazione già previsto dagli artt. 155 c.c. e e 6 l. n. 898/1970 nel sistema previgente la riforma, quello, cioè, di tutelare l’interesse dei figli a non subire un forzoso allontanamento dalla propria casa, intesa come centro degli affetti in cui si svolge la vita della famiglia».

4 L’interesse dei figli è quello di conservare l’ambiente domestico in cui si è svolta, fino alla separazione dei genitori, la loro vita quotidiana. La finalità sarebbe quella di evitare che, oltre al trauma della separazione, essi subiscano anche quello dell’allontanamento dall’abituale ambiente domestico.

5 In tal senso, cfr. ex pluris, Sez. Un., 28 ottobre 1995, n. 11295, in Il diritto di famiglia e delle persone, 1996, I, p. 499; in senso conforme, Cass. 17 gennaio 2003, n. 661; Cass., 18 settembre 2003, n. 13736; Cass., 6 luglio 2004, n. 12309; Cass., 1 dicembre 2004, n. 22500.

6 A. Arceri, op. cit., p. 586, osserva: «Per tale via, in sostanza, il provvedimento di assegnazione del domicilio familiare veniva ad assumere i connotati di provvedimento (anche) di contenuto economico, avente (anche) funzione alternativa o sussidiaria alla determinazione dell’assegno, ed il giudice, investito di contrastanti richieste di assegnazione, aveva il preciso dovere di procedere ad un raffronto tra l’esigenza di protezione della prole e la su indicata finalità, prediligendo quella che, in esito alla comparazione, risultava più meritevole di appagamento».

7 A. Arceri, op. cit., p. 591, osserva che a tal fine «importanza non secondaria dovrebbe avere nello spirito della riforma, del pari, la regolamentazione dei tempi di permanenza: appare intuitivo, infatti, che l’assegnazione della casa familiare debba avvenire, possibilmente, in favore del genitore presso il quale sono stati stabiliti tempi di permanenza più rilevanti».

8 Al riguardo, però, la Cassazione con la terza pronuncia di quelle in rassegna continua a ribadire che l’assegnazione non assolve affatto una funzione sostitutiva o alternativa agli assegni disciplinati dagli artt. 156 e 5, l. 898 del 1970: cfr. infra.

9 C.M. Bianca, Diritto Civile, II, Giuffrè, Milano, 2001, p. 199, afferma ciò precisando «salvo che venga nuovamente attribuito dal giudice del divorzio».

10 M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, cit., p. 178, argomenta le proprie perplessità sulla base della circostanza che si «consente che sull’assegnazione della casa familiare influisca una variabile indipendente dall’interesse dei figli, suscettibile altresì di indebolire ulteriormente la posizione del coniuge economicamente svantaggiato, in concreto condizionato nelle proprie scelte personali dal rischio di essere privato del godimento della casa familiare».

11 Abita o cessa di abitare stabilmente nella casa familiare o convive more uxorio o contrae nuovo matrimonio.

12 Per una ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale in materia, cfr. A. Arceri, op. cit., pp. 596 e ss.

13 La Corte Cost. e le SSUU della Cassazione avevano posto in via interpretativa il limite minimo dell’opponibilità del novennio, pur in assenza di trascrizione del provvedimento, in funzione di tutela della prole alla continuità abitativa nell’habitat domestico: cfr C. Cost., 15 marzo 2002, n. 57 e Sez. Un., 26 luglio 2002, n. 11096.

14 A. Arceri, op. cit., p. 598, sostiene che la novella abbia introdotto una disciplina peggiorativa nei riguardi del coniuge assegnatario, infatti «laddove il coniuge titolare di diritto di proprietà o di comproprietà sull’immobile effettui atti di disposizione in favore di terzi nel periodo compreso tra l’udienza in cui viene adottato il provvedimento di assegnazione e la successiva data di trascrizione di esso […] il conflitto tra il coniuge assegnatario ed i terzi aventi causa dell’altro coniuge andrà risolto secondo le regole dettate dall’art. 2644 c.c., con eventuale vanificazione dei diritti del primo e, ciò che è più grave, della prole convivente».

15 F. Panuccio Dattola, op. cit., p. 1110 afferma che «Si tratterebbe comunque di un diritto atipico. Considerata cioè la tipicità del contenuto dei diritti reali, il diritto conferito al coniuge affidatario non può che essere un diritto personale, sia pur con contenuto analogo a quello di un diritto reale. Tuttavia, l’analogia dei contenuti non esclude la differenza della tipologia dei diritti».

16 Cfr, da ultimo, Cass., 13 febbraio 2007, n. 3179, in Corriere giuridico, 2007, n. 10, p. 1409. Sulla base di tale premessa, il giudice di legittimità nella fattispecie afferma che «ciò comporta che gli effetti riconducibili al provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, che legittima l’esclusione di uno dei coniugi dall’utilizzazione in atto e consente la concentrazione del godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, restano regolati dalla stessa disciplina già vigente nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Pertanto, ove si tratti di comodato senza la fissazione di un termine predeterminato (c.d. precario), il comodatario è tenuto a restituire il bene quando il comodante lo richieda (art. 1810 c.c.)».

17 La Suprema Corte si esprime in termini di «finalizzazione dell’istituto alla esclusiva tutela della prole».