Alberto Mastromatteo, Il riconoscimento della personalità giuridica, in www.lexenia.it
Sommario: 1. Una premessa: la funzione del riconoscimento tra passato e presente – 2. Il procedimento di riconoscimento – 3. Le particolari fattispecie sottratte alla disciplina prevista dal d.p.r. 361/2000 – 4. Situazioni anomale – 5. La cancellazione dal registro.
Par. 1. Una premessa: la funzione del riconoscimento tra passato e presente.
Nel fornire un’analisi adeguata ai nostri scopi dell’istituto del riconoscimento delle persone giuridiche, occorre in primo luogo spendere qualche parola sulle dinamiche interrelazionali che caratterizzano il rapporto tra ordinamenti diversi (nel nostro caso, tra l’ordinamento statale, inteso come organizzazione politica di una collettività, e quello delle organizzazioni originate in seno a quella stessa collettività, mediante atti di autonomia privata).
E così, storicamente, l’atteggiamento dello Stato ha attraversato stadi diversi: dal divieto, penalmente sanzionato, di costituire corporazioni “parallele” all’organizzazione pubblica; si è passati, poi, attraverso forme di autorizzazioni presupponenti una particolare invasività dell’ordinamento Statale rispetto alla struttura adottata ed alle finalità perseguite da tali enti; fino a giungere ad una integrale “liberalizzazione” nell’utilizzo di tali forme corporative, con la possibilità per il singolo di trovare, a seconda del periodo storico di riferimento, finanche tutela nelle norme di legge statali, qualora la sua posizione giuridica soggettiva venisse lesa in qualche misura all’interno dell’ente.
Ed è in questo processo storico/relazionale che viene ad insinuarsi il tema del riconoscimento, che, a seconda del momento storico, secondo alcuna dottrina1 assolve, [thrive_lead_lock id=’4487′] sostanzialmente, due funzioni.
La prima è quella in cui esso funge da “riconoscimento dell’autonomia privata” ed in cui si sostanzia nel provvedimento con cui l’autorità governativa autorizza i privati a costituire lo specifico rapporto associativo o la particolare fondazione, consentendo la produzione degli effetti giuridici collegati a quell’attività all’interno dell’ordinamento. La seconda è invece quella in cui esso funge da “riconoscimento della personalità giuridica“, ed in cui assume la veste di provvedimento con cui l’autorità governativa attribuisce una specifica qualità (da cui derivano dati effetti) all’associazione o alla fondazione2.
E così, mentre ab originis il provvedimento di riconoscimento assolveva la prima funzione, ad oggi assolve quella di attribuzione della qualità di persona giuridica.
Pertanto, passando attraverso le più recenti codificazioni, nel codice civile del 1865, a fronte di una particolareggiata regolamentazione delle società, sulle associazioni non si rinveniva altro che una limitata previsione, all’art. 2, sull’ammissibilità di un “legale riconoscimento” dei “corpi morali”. Ne derivava che i patti corporativi tra gli associati erano privi di efficacia giuridica, fintanto che non fosse intervenuto il riconoscimento, stante la mancanza di un vincolo e rapporto giuridico che rinvenisse un fondamento giuridico nella legge; inoltre, le garanzie giurisdizionali ad essi connesse erano limitate soltanto alle questioni di interesse patrimoniale.
Di tal guisa, il riconoscimento assolveva una funzione di “riconoscimento dell’autonomia privata”. Le associazioni, infatti, in quanto riconosciute, trovavano disciplina nelle leggi dello Stato ed i rapporti ad esse connessi fruivano altresì di tutela giurisdizionale; le associazioni, invece, prive di riconoscimento erano irrilevanti per il diritto e le controversie relative a rapporti interni fra gli associati venivano devolute alla cognizione esclusiva degli organi di giustizia interni. Apparentemente, v’era piena libertà di associarsi, anche se in concreto tale libertà non veniva resa tutelabile, salvo che l’ente corporativo conseguisse il placet governativo.
Con il codice civile del 1942, prima, e con l’avvento nel 1948 della Costituzione Repubblicana, poi, è stata rimodellata la funzione del riconoscimento.
Il primo atto legislativo, è noto, ha previsto, accanto alle persone giuridiche riconosciute, anche un capo relativo alle associazioni non riconosciute, presupponendo in esse un’autonoma soggettività giuridica, che si sostanzia in capacità processuale e negoziale ed in autonomia del fondo comune3. Ne deriva che il riconoscimento non è più condizione necessaria per la rilevanza giuridica del fenomeno corporativo, conseguendo l’ente, conseguendolo, taluni benefici, come la limitazione di responsabilità dei suoi amministratori o la possibilità di accettare lasciti ereditari e donazioni.
Ad un’analisi attenta non sfugge, quindi, che gli intenti del legislatore del ’42 erano quelli di fornire, da un lato, tutela ai soggetti terzi che intrattengano rapporti patrimoniali con questi autonomi soggetti di diritto privi di personalità giuridica; dall’altro, di mantenere una gelosa prerogativa al potere politico in punto di valutazione dell’opportunità di concedere il decreto di riconoscimento. In altri termini, se si è ammesso che l’associazione non riconosciuta si manifesti all’esterno, proietti una propria ombra nell’ordinamento statale, si continua comunque a considerarla un’entità evanescente, a cui manca corporalità agli occhi dell’ordinamento, restando sostanzialmente privi di rilievo giuridico i suoi rapporti interni, che continuano ad essere regolati esclusivamente dai patti corporativi.
Tuttavia, il momento che ha segnato il passaggio definitivo dalla funzione del nostro istituto come “riconoscimento dell’autonomia privata” a quella di “riconoscimento della personalità giuridica“, avviene con l’avvento della Costituzione, il cui art. 2 riconosce alla Repubblica il compito di garantire i diritti fondamentali dell’individuo anche nelle formazioni sociali, tra cui rientrano, appunto, gli enti privi di riconoscimento. Pertanto, da tale formula deriva l’obbligo per l’ordinamento statale di tutelare in via giurisdizionale le posizioni giuridiche soggettive che qualunque individuo maturi nei confronti di organismi sociali anche privi di personalità giuridica.
Per tale via, si perveniva a realizzare compiutamente, secondo alcuna dottrina4, quella concezione «pluralistica» della società, che induce lo Stato a “riconoscere” l’esistenza/preesistenza di talune formazioni sociali aggreganti più individui, che devono mantenere piena dignità quali ordinamenti ulteriori rispetto all’ordinamento statale, seppur a condizione che non siano in contrasto con le norme da questo dettate ed i fini da esso perseguiti.
In definitiva, il decreto con cui si concede il riconoscimento si trasforma da atto a contenuto politico, in atto a contenuto tecnico, con cui, cioè, non si valutano più aspetti di “opportunità”, di astratta compatibilità tra gli scopi perseguiti dall’ente e l’interesse pubblico alla luce del quale operare le valutazioni di merito sulla concessione del riconoscimento, ma con cui si analizzano elementi fattuali obiettivamente riscontrabili (come, ad esempio, la presenza di un fondo comune idoneo allo scopo). Ecco, allora, che tale decreto assolve la funzione di “riconoscimento della personalità giuridica“, limitandosi l’autorità governativa a riconoscere per suo tramite una qualità all’ente, da cui derivano poi tutti gli effetti del caso.
Ne consegue l’assenza di efficacia costitutiva del decreto di riconoscimento, in quanto esso, a differenza del riconoscimento mediante registrazione proprio delle società di capitali e cooperative, avente questo, sì, funzione costitutiva, non opera quale condizione di esistenza dell’ente, che può ben esistere e vivere anche sotto forma di associazione o fondazione non riconosciuta
Tali considerazioni di ordine storico/giuridico vengono criticate da coloro i quali escludono che possa affermarsi che in passato il riconoscimento avesse “valore politico”, mentre oggi esso avrebbe solo un “valore tecnico” e che, quindi, l’esistenza giuridica dell’ente, a prescindere dall’intervento del decreto di riconoscimento, discende ad oggi solo dalla legge, mentre il detto decreto produrrebbe soltanto l’effetto di fare acquistare all’ente alcune determinate prerogative5. Ne deriva che il decreto in parola ha natura costitutiva (e, quindi, opera con efficacia ex nunc) della personalità giuridica.
Tuttavia, tale soluzione, a nostro parere, non appare preferibile, in quanto omette di spiegare il fenomeno della “continuità” di diritti e doveri, allorché l’ente si trasformi da soggetto privo di personalità in soggetto avente personalità giuridica. Non pare sia da revocare in dubbio, infatti, che quando ciò accade, non ci si trova di fronte a due distinti soggetti giuridici, perdurando la stessa ontologia dell’ente e mutando solo la disciplina applicabile, con l’effetto che, in concomitanza con l’intervento del riconoscimento, l’ente acquista appunto talune “prerogative” (ad esempio, gli amministratori che abbiano agito in nome e per conto dell’associazione risponderanno personalmente e solidalmente, insieme all’associazione, delle obbligazioni assunte per essa prima del riconoscimento; intervenuto questo, si applicherà la “prerogativa” della limitazione di responsabilità per gli amministratori. Tuttavia, l’ente ed il suo fondo continueranno a rispondere anche per le obbligazioni sorte anteriormente al riconoscimento, anche se in solido con gli amministratori agenti del tempo6).
Peraltro, occorre sin d’ora precisare che, con l’entrata in vigore del d.p.r. 10 febbraio 2000, n. 361, che, come si vedrà tra breve, ha abrogato l’art. 12, c.c., apprestando una disciplina organica sulla procedura di riconoscimento delle persone giuridiche, è stata introdotta una previsione (art. 1) in forza della quale l’acquisto della personalità giuridica si consegue solo con l’iscrizione dell’ente nel Registro delle Persone Giuridiche, istituito presso le Prefetture e tenuto sotto la diretta sorveglianza del Prefetto. Ne deriva che tale iscrizione ha assunto il valore di pubblicità costitutiva, non essendo più sufficiente, a tal fine, la semplice emanazione del decreto di riconoscimento.
Par. 2. Il procedimento di riconoscimento.
La disposizione di cui all’abrogato art. 12, c.c., stabiliva che «le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con Decreto del Presidente della Repubblica».
Il carattere “concessorio” di tale decreto, che, in quanto attributivo di uno status, come detto, alcuni ritenevano possedesse carattere costitutivo, ne esaltava la natura discrezionale (potendo l’autorità governativa valutarne i profili di opportunità, come anche quelli di merito sull’attività che l’ente sarebbe andato a svolgere), anche se infrequenti erano le ipotesi in cui esso veniva negato ai soggetti istanti. Inoltre, il sistema soffriva la patologica eccessiva durata propria di ogni procedimento burocratico.
Il problema veniva, invero, ridimensionato già con l’emanazione della legge sul procedimento amministrativo (l. 241 del 1990), mediante la quale il legislatore aveva ridotto le lungaggini procedimentali amministrative trasversalmente a tutto il settore, le sue disposizione elidendo tutti i termini di durata dei procedimenti in parola (in generale, l’art. 2, comma 2, l. cit., prevede che il procedimento amministrativo non debba avere durata superiore a 30 giorni). Sempre nel solco della semplificazione dei procedimenti, un certo rilievo assumeva la l. 573 del 1993, con cui il Parlamento delegava il Governo, fra le altre cose, ad ulteriormente semplificare, favorendone l’accelerazione, i procedimenti amministrativi, ivi inclusi quelli di riconoscimento delle persone giuridiche7.
Da ultimo, come anticipato al paragrafo precedente, interveniva l’attuale disciplina di cui al cit. d.p.r. 10 febbraio 2000, n. 361, abrogativa, tra le altre norme, dell’art. 12, c.c., e recante il «Regolamento di semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento di persone giuridiche private e per l’approvazione delle modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto, a norma dell’art. 20, comma 8, legge 15 marzo 1997, n. 59».
In sintesi, le principali novità introdotte con il decreto cit. constano dell’eliminazione dell’atto di concessione della personalità; nel conferimento al Prefetto del compito di eseguire l’iscrizione degli enti che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica nel registro all’uopo preposto tenuto presso la Prefettura; infine, nella produzione dell’effetto, attribuito all’iscrizione dell’ente nel predetto registro, di pubblicità costitutiva dello status di persona giuridica, accanto agli ordinari effetti, insiti nei sistemi pubblicistici, della conoscibilità dell’ente e delle sue vicende, rivolti ai terzi interessati. Inoltre, sono state soppresse talune fasi della procedura di riconoscimento8, nonché accelerate le fasi di emanazione dei singoli atti endoprocedimentali, mediante la previsione di termini più stringenti.
Ai sensi dell’art. 1, comma 3, che individua i presupposti che devono ricorrere affinchè l’ente possa ricevere riconoscimento dallo Stato, è necessario che 1) siano state soddisfatte le condizioni previste da norme di legge o di regolamento per la costituzione dell’ente; 2) lo scopo sia possibile e lecito; 3) il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo (a tal fine occorre allegare alla domanda di riconoscimento idonea documentazione comprovante la consistenza del patrimonio).
L’elenco dei menzionati presupposti disvela l’intento del legislatore di ridurre l’ambito di discrezionalità dell’autorità governativa nell’emanazione del decreto di riconoscimento, dovendo la medesima autorità limitarsi a constatare il rispetto delle condizioni previste dalla legge, il tipo di scopo (che non deve essere soltanto illecito o impossibile) e la sussistenza di un patrimonio sufficiente a realizzare le finalità dell’ente. Al riguardo, è utile precisare come non sia nemmeno previsto alcun controllo prefettizio in merito ad ordinamento interno e statuto dei soggetti istanti.
Occorre segnalare, inoltre (comma 2), che l’istanza deve essere presentata direttamente al prefetto della provincia in cui ha sede l’ente e alla domanda i richiedenti allegano copia autentica dell’atto costitutivo e dello statuto. La prefettura rilascia una ricevuta che attesta la data di presentazione della domanda. Il prefetto (comma 6), accertate le condizioni richieste dal comma 3, e verificata l’assenza di ragioni ostative all’accoglimento della richiesta, procede all’iscrizione nel più volte citato registro.
Sempre ai sensi dell’art. 1, comma 6, qualora il prefetto ravvisi la presenza di ragioni ostative9 all’accoglimento dell’istanza o la necessità di integrare la documentazione prodotta dai richiedenti, entro 120 giorni (il dies a quo è rappresentato dalla data riportata sulla ricevuta che la Prefettura deve rilasciare all’ente al momento della richiesta di iscrizione) deve darne comunicazione a costoro, i quali hanno il diritto di presentare memorie e documenti nel termine di 30 giorni. Espletata tale attività, qualora entro ulteriori 30 giorni il Prefetto non comunichi agli istanti le motivazioni del diniego o non proceda all’iscrizione, si verifica un’ipotesi di silenzio rigetto10.
Alla luce della normativa esaminata e delle precedenti considerazioni può concludersi che ben pochi margini di discrezionalità, intesa come valutazione dell’opportunità, in ordine all’iscrizione dell’ente nel registro delle persone giuridiche, residuano in potere del prefetto. Al punto che v’è chi assimila la procedura di cui si discorre a quella di omologazione delle società, presupposta all’iscrizione nel registro delle imprese.
Esaurita la fase dialettica tra amministrazione e richiedenti, funzionale all’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, il Prefetto procede alla registrazione nel predetto registro, la cui disciplina è fornita dall’art. 3. La normativa ivi prevista ricalca le previsioni di cui agli abrogati artt. 33, 34, c.c., e 22-23 e da 25 a 30 delle Disposizioni di attuazione al codice civile. La differenza rispetto al passato concerne la circostanza che il registro non è più istituito presso la Cancelleria del Tribunale di ogni capoluogo di Provincia e tenuto sotto la sorveglianza del Presidente del Tribunale, ma è istituito presso le Prefetture e tenuto sotto la sorveglianza del Prefetto. Come visto, la registrazione assolve una funzione di pubblicità costitutiva dello status di persona giuridica.
La procedura prevista per l’iscrizione deve essere seguita anche per le modifiche sia dell’atto costitutivo, che dello statuto. Viene inoltre anelato dall’art. 3, ultimo comma, il ricorso all’utilizzo degli strumenti telematici per dare adempimento alle previsioni contenute nel d.p.r. (ciò che dovrebbe snellire i tempi ed agevolare le procedure di registrazione).
L’art. 4, comma 1, prevede, poi, una serie di elementi “identificativi” dell’ente che devono essere indicati nel registro (la data dell’atto costitutivo, la denominazione, lo scopo, il patrimonio, la durata, qualora sia stata determinata, la sede della persona giuridica e il cognome, il nome e il codice fiscale degli amministratori, con menzione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza). Vanno altresì registrate le modifiche di ognuno di tali elementi.
Ai sensi dell’art. 7, la stessa procedura si applica per il caso di richiesta di riconoscimento alle Regioni per le associazioni che operano nelle materie di cui al d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, e le cui finalità statutarie si esauriscono nell’ambito di una sola regione. Nel qual caso, i compiti prefettizi sono svolti dal Presidente della Giunta regionale. Analogamente, nel caso l’istanza di riconoscimento provanga da associazioni che operano nelle materie riservate alla competenza esclusiva delle province autonome, le funzioni prefettizie di cui si discorre verranno svolte dal Presidente della Giunta provinciale.
Infine, occorre segnalare l’art. 1, comma 7, il quale prevede un’eccezione all’ordinario procedimento per richiedere il riconoscimento, nel caso di fondazione istituita con testamento. Infatti, nell’ipotesi in cui il soggetto abilitato a presentare la domanda di iscrizione resti inerte, il Prefetto, d’ufficio, può concederlo, procedendo all’iscrizione. Ai sensi dell’art. 3, disp. att. c.c., «Il notaio che interviene […] per la pubblicazione di testamenti, con i quali si dispongono fondazioni o si fanno donazioni o lasciti in favore di enti da istituire, è obbligato a farne denunzia al prefetto entro trenta giorni. La denunzia deve contenere gli estremi essenziali dell’atto, il testo letterale concernente le liberalità, la indicazione degli eredi e della loro residenza».
3. Le particolari fattispecie sottratte alla disciplina prevista dal d.p.r. 361/2000.
La disciplina fin’ora esaminata è quella che si applica in generale ad associazioni, fondazioni e altre istituzioni private sul territorio nazionale. Tuttavia, vi sono delle ipotesi particolari che si sottraggono alla sua applicazione.
Ai sensi dell’art. 9, comma 2, “nulla è innovato” per gli organismi riconoscibili come enti ecclesiastici ai sensi della l. 222/1985 e per quegli enti che sono disciplinati da leggi che approvano intese intervenute con confessioni diverse da quella cattolica (anche se viene prescritta dalla medesima norma l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche anche di tali enti11). In particolare, ne deriva, per gli enti ecclesiastici, che continuerà ad applicarsi l’art. 1 della l. 222/1985, in forza del quale tali enti, costituiti o approvati dall’autorità ecclesiastica, aventi sede in Italia, i quali abbiano fine di religione o di culto, possono essere riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno (il quale è l’unico organo competente all’accertamento delle finalità religiose12). Tale procedura non è necessaria per quegli enti che abbiano acquistato personalità giuridica in virtù dell’«antico possesso di stato»13, come la Santa Sede e gli enti centrali della Chiesa.
Ancora, sono esclusi dall’applicazione delle norme per il riconoscimento di cui al d.p.r. 361/2000 anche gli enti costituiti in epoca preunitaria14.
Ne sono altresì esclusi gli enti costituiti all’estero e che ivi abbiano conseguito la qualità di persone giuridiche, secondo le leggi dei rispettivi ordinamenti, venendo tali enti considerati persone giuridiche anche in Italia, in forza del dettato di cui agli artt. 16, cpv. delle preleggi e 25, l. 218/1995.
Sono fatte ulteriormente salve alcune norme speciali che, quindi, derogano al d.p.r. 361 cit. E così, le federazioni sportive che intendano associarsi al CONI acquistano la personalità giuridica tramite il riconoscimento da parte del consiglio nazionale del Comitato Olimpico (art. 15, d.lgs. 242/1999). Ancora, i fondi pensione, di cui all’art. 4, comma primo, lett. b), d.lgs. 124/1993, le fondazioni di previdenza a favore dei liberi professionisti, di cui all’art. 6, comma 5, d.lgs. 103/1996, gli istituti di patronato e assistenza sociale, di cui all’art. 3, l. 152/2001, sono tutti subordinati al riconoscimento da parte del Ministero del Lavoro. Permanogono, inoltre, altre situazioni eccezionali (ad es., le associazioni venatorie, che conseguono il riconoscimento da parte del Ministero dell’Ambiente).
4. Situazioni anomale.
Nella pratica potrebbero verificarsi delle situazioni di anomalia rispetto all’ordinario iter procedimentale che si conclude e si cristallizza nel riconoscimento della personalità giuridica.
E così, potrebbe verificarsi il caso in cui il Prefetto (o il Presidente della Giunta Regionale), accolta la richiesta di riconoscimento, dovesse in seguito riscontrare vizi relativi alla registrazione o agli atti che la precedono. In tal caso, tale organo potrà annullare l’atto viziato, attingendo al generale potere di autotutela (o annullamento d’ufficio) delle Pubbliche Amministrazioni, di cui all’art. 21-octies, aggiunto con l. 15/2005 nel corpo della l. 241/1990. L’annullamento per erronea valutazione dei presupposti del riconoscimento, inoltre, potrà essere richiesto al giudice amministrativo anche da chiunque abbia un interesse differenziato e qualificato ad agire in tal senso.
Altra situazione che si può verificare è quella della revoca del riconoscimento, che va tenuta distinta dalla diversa ipotesi di estinzione della persona giuridica. Mentre quest’ultima, infatti, presuppone il verificarsi di una delle cause di estinzione di cui all’art. 27, c.c. (di cui si dirà meglio infra), la revoca concerne le ipotesi in cui venga meno uno dei presupposti in base ai quali era stato concesso il riconoscimento (come ad esempio l’esistenza di un patrimonio idoneo a raggiungere lo scopo dell’ente). Occorre non confondere le due ipotesi, in quanto, mentre la revoca del riconoscimento non determina necessariamente l’estinzione dell’ente15, che potrà continuare la propria attività come ente privo di personalità giuridica (con l’effetto che chi agisce in suo nome e per suo conto tornerà ad essere personalmente e solidalmente responsabile per le obbligazioni assunte), l’estinzione determina l’applicazione del regime previsto dagli artt. 29 e ss, c.c..
Nel caso, poi, di inerzia dell’autorità Governativa o Regionale in merito alla richiesta di riconoscimento, l’istante potrebbe fare ricorso allo strumento del ricorso avverso il silenzio inadempimento (di cui all’art. 21-bis, l. 1034/1971, c.d. l. TAR)16. Per tale via, dopo aver notificato all’autorità competente una diffida ad agire, con assegnazione di un termine entro cui l’autorità deve fornire una risposta, e decorso inutilmente tale termine, il richiedente potrà ricorrere dinanzi alla giustizia amministrativa e potrà ottenere da questa un ordine, rivolto al Prefetto o al Presidente della Giunta Regionale, «di provvedere di norma entro un termine non superiore a trenta giorni». Qualora, poi, anche quest’ordine dovesse restare disatteso, decorso il termine predetto il richiedente potrebbe attivare un giudizio di ottemperanza dell’ordine (fase esecutiva del processo amministrativo) dinanzi al medesimo giudice da cui è stato emanato, con la possibilità, per quest’ultimo, di nomina di un commissario ad acta, che surroghi l’autorità amministrativa compiendo l’atto del caso.
Ancora, si può verificare l’ipotesi in cui la registrazione venga negata sulla base di una motivazione relativa alle ragioni ostative o alla necessità di integrazione della documentazione, resa dal Prefetto o dal Presidente della Giunta Regionale. Nel qual caso sarà in facoltà del richiedente proporre ricorso alla giustizia amministrativa, lamentando l’illegittimità delle motivazioni addotte dall’autorità amministrativa e, se del caso, chiedendo il risarcimento dell’eventuale danno che esso provi di aver sofferto, sia nel caso in cui il diniego di registrazione abbia una motivazione espressa, sia nel caso in cui l’abbia implicita (e cioè venga effettuata de relato rispetto alla precedente comunicazione con cui si avvisava il richiedente di non poter accogliere la sua richiesta e, quindi, ammettendolo a produrre memorie e documenti ad integrazione della richiesta originariamente effettuata).
Infine, segnaliamo l’esistenza di dubbi interpretativi relativi all’ipotesi in cui, successivamente al conseguimento della personalità giuridica e, quindi, del riconoscimento, venga accertata l’esistenza di cause di nullità.
I sostenitori della tesi che riconduce al decreto di riconoscimento l’efficacia costitutiva dell’ente postulano la necessità che tra i presupposti del riconoscimento vi sia un valido contratto associativo o atto di fondazione. Ne deriverebbe che l’accertamento della nullità di questi atti debba indurre l’autorità governativa a revocare il decreto di riconoscimento, con l’ulteriore corollario che qualora la revoca non intervenga vengono fatti salvi gli effetti del riconoscimento17.
Secondo altri autori18, invece, l’accertamento della nullità del contratto associativo o dell’atto di fondazione, conosciuto dall’autorità giurisdizionale, implica che rientra nella sua competenza anche la funzione, contestuale al predetto accertamento, di nominare i liquidatori, analogamente a quanto previsto dall’art. 2332, c.c., in materia di nullità della società per azioni. In quest’ipotesi, quindi, si prescinde da qualunque intervento da parte dell’autorità governativa.
Nel solco di queste considerazioni, si afferma che le cause di nullità del contratto associativo o dell’atto di fondazione, viste le esigenze di tutela dei diritti che i terzi vantino sulla base di rapporti intercorsi con l’ente prima della dichiarazione di nullità, debbano tradursi in cause di risoluzione del rapporto, con efficacia ex nunc.
5. La cancellazione dal registro.
Qualora si verifichi una delle cause di estinzione di cui all’art. 27, c.c., Il Prefetto, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della Giunta provinciale accertano, su istanza di parte o d’ufficio, l’esistenza delle cause predette e comunicano la dichiarazione di estinzione agli amministratori ed al Presidente del Tribunale, affinché vengano nominati i liquidatori (art. 6, d.p.r. 361 cit.). Se ne deduce che, analogamente al sistema precedente, la cancellazione dal registro non sia effetto immediato della comunicazione agli organi competenti del verificarsi della causa di estinzione, dovendo prima attendersi la chiusura della fase di liquidazione.
1In tal senso, F. Galgano, Persone giuridiche, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, 2a ed., Zanichelli, Soc. Ed. Del Foro Italiano, Bologna, 2006, sub) art. 12.
2Sull’approfondimento delle tematiche di cui trattasi, soprattutto da un punto di vista storico, cfr. F. Galgano, op. cit., pp. 162 e ss. In particolare, citiamo quanto scritto dall’illustre Autore (che a sua volta assimila taluni insegnamenti di F. Ferrara, Teoria delle persone giuridiche, Utet, Torino, 1923) a pag. 163: «La storia delle persone giuridiche, anteriore alle codificazioni moderne, presenta questo elemento costante: le istituzioni create dai privati erano, per il solo fatto della loro valida costituzione, altrettante persone giuridiche; l’attributo di persona giuridica non dipendeva da uno speciale octroi dello Stato, ma era attributo inerente al concetto stesso di associazione o fondazione. Questo era, invece, l’elemento storicamente variabile: aveva trovato vigore, in alcune epoche, il principio cosiddetto della “libera formazione corporativa”, in virtù del quale le private istituzioni potevano validamente essere costituite indipendentemente dalla sanzione dello Stato; si era imposto, in altre epoche, l’opposto principio per il quale la valida, oltre che lecita, costituzione dell’ente era subordinata ad una concessione sovrana. Ma, anche in quest’ultimo caso, l’intervento dello Stato “si riferiva al diritto di associazione, non era un conferimento di personalità, perché il corpus habere deriva già come effetto del coire licet“».
3F. Galgano, op. cit., p. 168, osserva che «la condizione giuridica delle associazioni non riconosciute differisce, in termini di soggettività giuridica, da quella delle associazioni riconosciute solo in ciò, che le une non possono, a differenza delle altre, accettare eredità, legati e donazioni, che gli amministratori delle une assumono, a differenza di quelli delle altre, responsabilità illimitata per le obbligazioni del gruppo». Altre differenza sulla disciplina esistono, ma sul punto si rimanda alle trattazioni sull’argomento.
4P. Rescigno, Persona e comunità: saggi di diritto privato, Mulino, Bologna, 1966.
5Cfr., inter alios, F. Ferrara, op. cit., pp. 248 e ss; C.M. Bianca, Diritto Civile, I, La norma giuridica. I soggetti, Giuffrè, Milano, 2002, pp. p. 329. In tal senso, in particolare, G. Tamburrino, Persone giuridiche e associazioni non riconosciute, Utet, Torino, 1980, argomenta, osservando che «nessuno nega che nel vigente ordinamento è ammessa e garantita la libertà di associazione, ma del pari non può negarsi che la persona giuridica acquista una sua posizione peculiare nell’ambito degli enti e delle collettività che operano per il raggiungimento di una finalità comune. Questa posizione particolare è data appunto dal riconoscimento che fa dell’ente o associazione un autonomo soggetto di diritto, nella piena ampiezza di tale accezione, costituendo le cosiddette “prerogative” soltanto alcune delle conseguenze della acquistata soggettività giuridica. Il che separa nettamente il concetto legislativo di persona giuridica da quello di associazione non riconosciuta: con la prima si opera la sussunzione nell’ordinamento dell’ente prima esistente solo come substrato sociale e lo si rende soggetto capace autonomamente di diritto e di doveri; in ordine alla seconda, lungi da una qualsiasi sussunzione o da una qualsiasi soggettività autonoma, la legge tende a proteggere limitatamente il substrato sociale per il raggiungimento dei fini collettivi, coordinando, nei limiti del possibile e della tutela dei terzi, le attività dei singoli verso quei fini». Ne deriva che, nell’opinione dell’Autore, «il riconoscimento è l’atto costitutivo della nuova persona giuridica con l’attribuzione ad esso della autonoma soggettività di diritti e di doveri».
6Lo stesso G. Tamburrino, op. cit., p. 226, riferendosi all’efficacia costitutiva della nuova persona giuridica ad opera del riconoscimento ammette come sia «chiaro che i rapporti in corso, anche se iniziati prima del riconoscimento, faranno capo alla nuova persona e saranno da essa autonomamente esercitati».
7F. Loffredo, Le persone giuridiche e le organizzazioni senza personalità giuridica, 3a ed., Giuffrè, Milano, 2010, p. 58, ricorda che, in seguito, «il disegno di Legge Cassese includeva la proposta […] di trasformare l’autorizzazione aministrativa da atto discrezionale a mero controllo di legalità proprio allo scopo di superare una volta per tutte ogni inconveniente del sistema concessorio». Tuttavia, tale disegno di legge non ebbe fortuna, in quanto il Consiglio di Stato, Ad. Gen., 13 aprile 1994, in Giur. Comm., 1995, I, p. 640, fornì parere contrario.
8 In particolare, sono state soppressi il parere del Consiglio di Stato e la pubblicazione del decreto di riconoscimento della Repubblica.
9Riteniamo opportuno sottolineare come l’indeterminatezza di tali ragioni ostative potrebbe restituire un margine di discrezionalità amministrativa all’autorità di governo nella concessione del decreto di riconoscimento.
10M. Basile, Le persone giuridiche, in Trattato di Diritto Privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Giuffrè, Milano, 2003, p. 165-166, osserva che «Invero, il testo normativo non affida in modo espresso al prefetto il compito di accertare che siano state adempiute le condizioni prescritte per la costituzione dell’ente, che lo scopo sia possibile e lecito, e che sia documentata la spettanza alla persona giuridica di un patrimonio adeguato alla realizzazione del suo scopo […]. Il d.p.r. 361/2000 affida al prefetto, piuttosto, il compito di verificare l’esistenza di eventuali circostanze ostative alla registrazione. E ciò potrebbe far ritenere che egli possa negare quest’ultima a prescindere dall’accertamento delle circostanze indicate nel terzo comma dell’art. 1. Ma simile ipotesi interpretativa non sarebbe certo plausibile. È più ragionevole arguire che tocchi al prefetto – dovendo questi verificare la sussistenza di eventuali circostanze ostative – compiere le indagini e le valutazioni richieste “ai fini del riconoscimento” dal d.p.r. (art. 1, terzo e quarto comma)».
11La giustizia amministrativa ha avuto modo, peraltro, di operare talune precisazioni sul punto. In particolare, segnaliamo, Cons. St., sez. I, 8 novembre 2006, n. 3621, in Rep. F. it., 2007, v. Religione (libertà di), [5670], n. 28, che afferma la seguente massima: «Gli istituti di culto acattolici riconosciuti da stati esteri ed ammessi a condizione di reciprocità a godere dei diritti civili, ai sensi dell’art. 16 preleggi al c.c., non possono esercitare automaticamente i loro diritti in base alla personalità giuridica attribuita dallo stato estero di appartenenza, in quanto gli effetti della “presa d’atto” che lo stato italiano per prassi rilascia, consistono soltanto nell’iscrizione dell’ente straniero nel registro delle persone giuridiche e non nel riconoscimento implicito dell’ente come ente di culto».
12Cfr., T.A.R. Emilia Romagna, sez. I, 26 ottobre 2007, n. 2512, in Dir. Eccl., 2008, p. 645, secondo cui «Il ministro dell’interno è l’unico organo competente all’accertamento delle finalità religiose (come costitutive ed essenziali) di un ente che intenda ottenere il riconoscimento della personalità giuridica civile quale ente di culto; invece, al prefetto compete solo l’iscrizione del provvedimento ministeriale (nel caso di enti cattolici) o del provvedimento governativo (nel caso di culti diversi) di riconoscimento della personalità giuridica dell’ente di culto nel registro delle persone giuridiche».
13In questi termini, F. Finocchiaro, v. Enti ecclesiastici cattolici, in Enc. Giur. Treccani, Vol. XII, Roma, 1989, p. 3.
14In tal senso, cfr., ex pluris, Cass., 18 ottobre 1960, in Mass. F. it., 1960, n. 2785, secondo la quale «gli enti morali (nella specie: fondazione) sorti in epoca nella quale non occorreva un formale riconoscimento dello Stato per la creazione della persona giuridica (nella specie: Collegio dei Cicognini di Prato) non perdono, con l’avvento del nuovo ordinamento, che quel riconoscimento formale richiede, la loro personalità giuridica, ma questa conservano pienamente, in quanto vengono automaticamente sussunti nel nuovo ordinamento, quali insopprimibili realtà di fatto o di diritto preesistenti».
15Potrebbe determinarla qualora gli associati o il fondatore nell’atto costitutivo abbiano posto il riconoscimento della personalità quale condizione di esistenza dell’ente. Nel qual caso, nell’ipotesi di associazione, i contributi sociali versati dagli associati andranno ad essi restituiti; mentre, nell’ipotesi di fondazione le restituzioni del caso saranno destinate al fondatore o ai suoi eredi.
16Osserva M. Basile, op. cit., p. 169, che tale inerzia potrebbe assumere varie forme: «omettendo sia di provvedere alla tempestiva registrazione sia di fornire al richiedente motivata comunicazione della sussistenza di ragioni ostative oppure di carenze documentali (all’inerzia assoluta potrebbe equipararsi un’eventuale comunicazione immotivata, non anche un’eventuale comunicazione mal motivata)». L’ipotesi di comunicazione mal motivata, infatti, non sostanzierebbe un’ipotesi di inerzia, tutelabile mediante il ricorso avverso il silenzio, disciplinato dall’art. 21-bis, l. 1034 cit., bensì un’ipotesi tutelabile con ricorso di legittimità al g.a. per ottenere la caducazione dell’atto.
17Cfr., in tal senso, ex multis, F. Ferrara, op. cit., p. 249. In senso contrario, sembra muoversi la Suprema Corte. Al riguardo, cfr. Cass., Sez. Un., 26 febbraio 2004, n. 3892, in NGCC, 2004, I, p. 440 (con nota di M.V. De Giorgi), a tenore della quale: «La controversia circa la validità o l’efficacia dell’atto costitutivo di una fondazione (nella specie impugnato per simulazione e per frode alla legge) rientra, anche dopo che sia intervenuto il provvedimento di riconoscimento della personalità giuridica, nella giurisdizione del giudice ordinario, atteso che il negozio di fondazione integra un atto di autonomia privata, che non partecipa della natura del provvedimento amministrativo di riconoscimento, ma è regolato in relazione alla sua validità ed efficacia dalle norme privatistiche e genera rapporti di diritto privato e posizioni di diritto soggettivo».
18F. Galgano, op. cit., p. 188. [/thrive_lead_lock]