Le incerte soluzioni sulla natura da attribuire all’ente collettivo istituito da un ente pubblico: un tentativo di risistemazione

Alberto Mastromatteo, Le incerte soluzioni sulla natura da attribuire all’ente collettivo istituito da un ente pubblico: un tentativo di risistemazione, in Il Civilista, Giuffrè Editore, luglio 2011

DIRITTO CIVILE/NATURA GIURIDICA DELL’ENTE ISTITUITO DAL COMUNE E CONSEGUENZE IN TEMA DI RESPONSABILITA’.

Le incerte soluzioni sulla natura da attribuire all’ente collettivo istituito da un ente pubblico: un tentativo di risistemazione.

La giurisprudenza “appare” sicura sulla natura giuridica da attribuire agli enti istituiti da un Comune: ma non di rado confonde tra presupposti e conseguenze da farne derivare in tema di responsabilità civile.

Alberto Mastromatteo, Avvocato in Bologna

IL CASO

Il Comune di Marsala istituisce l’Ente Teatro di Marsala (E.T.M.) per la promozione di manifestazioni ed eventi teatrali e culturali, dotandolo di uno statuto e degli strumenti giuridici utili al conseguimento dell’autonomia funzionale e patrimoniale.

L’Ente in questione sceglieva lo stabile denominato Palazzo Rallo, come struttura destinata ad ospitare i suoi organi e gli eventi da questi organizzati, convenendo con i titolari dello stabile medesimo un canone locatizio annuo pari a £. 44.000.000.

A seguito dell’inadempimento dell’obbligazione locatizia da parte dell’Ente Teatro di Marsala, i proprietari di Palazzo Rallo convenivano in giudizio il Comune di Marsala per sentirlo condannare non solo al pagamento del debeatur contrattuale, ma anche del risarcimento danni per l’inadempimento.

Il Comune, dal canto suo, eccepiva l’insussistenza della propria legittimazione passiva, sottolineando l’autonomia funzionale e patrimoniale dell’Ente Teatro e, quindi, l’esclusiva responsabilità civile di questi.

Il Tribunale di Marsala, in primo grado, rigettava la domanda, sul rilievo che tale Ente fosse da considerare soggetto giuridicamente distinto dal Comune e non mera

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articolazione organizzativa di questo.

La Corte d’Appello di Palermo, invece, giungeva ad opposta soluzione.

Ne scaturiva, quindi, ricorso in Cassazione.

PUNTI CONTROVERSI

1. Quale natura giuridica deve attribuirsi al comitato?

2. Come deve inquadrarsi l’ente istituito dal Comune per lo svolgimento di attività dal contenuto “morale”?

3. Può ritenersi solidalmente ed illimitatamente responsabile con tale ente il Comune istitutore per le obbligazioni negoziali ed extracontrattuali dal primo assunte?

TRATTAZIONE

1   Premessi cenni sulla definizione e sulla distinzione tra fondazioni e associazioni.

Rimanendo sul piano delle macro-distinzioni, il nostro codice civile conosce tre categorie di persone giuridiche private: le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato.

Le associazioni (alias, corporazioni) trovano origine nel diritto romano e si caratterizzano per la presenza di un gruppo di persone che si riunisce con il fine di conseguire uno scopo comune (non di lucro, ché, altrimenti, di società trattasi). E tali sono, per esempio, i partiti politici, i sindacati, le associazioni sportive, ecc.

Le fondazioni (alias, istituzioni), dal canto loro, nascono nel diritto medievale e si distinguono per l’essere create da un fondatore che, dotandole di un patrimonio e di un’amministrazione, consente che esse realizzino lo scopo da egli predeterminato e la loro attività si risolve nell’amministrazione dei beni/dotazione e la destinazione di questi ad una determinata opera. E tali sono le fondazioni di studio, che erogano borse di studio a soggetti meritevoli e/o indigenti; le fondazioni di famiglia, di cui all’art. 28, comma 3, c.c.; le fondazioni ospedaliere per la cura di determinate malattie, ecc.

Tratti comuni tra le due figure sono: la normale presenza di un patrimonio; un’organizzazione di mezzi finalizzata al conseguimento di uno scopo comune; l’istituzione mediante un atto di autonomia privata; il riconoscimento (almeno potenziale) da parte dell’ordinamento.

Al contempo, le due figure presentano taluni tratti differenziali.

Il primo da evidenziare è quello per cui nelle associazioni è preponderante un elemento soggettivo (le persone); diversamente nelle fondazioni assume rilievo principale un elemento oggettivo (il patrimonio).

Ulteriormente, è differente il tipo di scopo che, nelle associazioni, è “interno”, nel senso che esso riguarda la tutela degli stessi associati (si pensi, in particolare, alle associazioni di categoria); nelle fondazioni, invece, è “esterno”, nel senso che lo scopo da esse perseguito è quello di realizzare un’utilità funzionale a soggetti ad esse estranei (esempi sono le fondazioni di studio, gli enti di beneficenza, ecc.).

Ancora, mentre nelle associazioni la volontà rivolta all’accordo costitutivo è interna, provenendo da soggetti che ne fanno parte (gli associati); nelle fondazioni tale volontà è esterna, provenendo dal fondatore che, una volta costituita la fondazione, rimane privo di qualsiasi potere sulla gestione dell’ente e del suo patrimonio.

Infine, pur avendo in entrambi i casi carattere negoziale, la costituzione dell’associazione assume forma contrattuale; mentre nel caso della fondazione rileva l’atto unilaterale di costituzione promanante dal fondatore.

In generale, per quanto in questa sede giova rilevare, le altre istituzioni di carattere privato saranno regolate dalla disciplina delle associazioni o delle fondazioni a seconda che la loro natura si avvicini prevalentemente all’una o all’altra forma.

2   In particolare, i comitati…

Per quanto concerne, più specificamente, il comitato, tale figura è «un’organizzazione di persone che persegue uno scopo altruistico mediante la raccolta di pubblici fondi» (in questi termini, Bianca, Diritto Civile, 1, la norma giuridica, i soggetti, Giuffrè Editore, Milano, 2002, p. 401).

Tale ente è privo di espressa definizione legislativa, offrendone il codice civile (agli artt. da 39 a 42) un elenco esemplificativo di scopi perseguibili per suo tramite e la disciplina in tema di responsabilità dei soggetti promotori e dei componenti, nonché della destinazione dei fondi raccolti e non più destinabili allo scopo.

Vengono tradizionalmente considerati elementi utili ad identificare il comitato quelli a seguire.

La denominazione; anche se tale elemento non viene ritenuto essenziale. Infatti, da un lato, essa non è prevista dalla legge e, dall’altro, potrebbe ben attribuirsi tale nomen anche ad enti che in concreto non posseggano le caratteristiche del comitato.

La sede; ossia il centro principale dell’attività del comitato, potendo, tuttavia, i terzi ritenere rilevante o la sede ufficiale, quale risultante dall’atto costitutivo, o quella effettiva.

La durata; di norma limitata, non potendosi tuttavia escludere l’esistenza di comitati a durata illimitata.

La pubblica sottoscrizione; che, come i precedenti, secondo alcuni autori (cfr. Loffredo, Le persone giuridiche e le organizzazioni senza personalità giuridica, Giuffrè Editore, Milano, 2010, p. 270) è elemento normale ma non essenziale, potendosi configurare l’ipotesi di un comitato la cui attività venga realizzata con fondi precostituiti (caso tipico essendo, per taluna giurisprudenza, proprio quello dei comitati istituiti da enti pubblici; ma, come si vedrà meglio infra – cfr. par. 4 – avanziamo sin d’ora riserva mentale sopra tale assunto).

La struttura chiusa del rapporto; in altri termini, lo scopo deve essere conseguito da una ristretta cerchia di persone (i promotori). In ciò il comitato si differenzia dall’associazione che, per definizione, presenta una struttura aperta a tutti quanti vi vogliano successivamente aderire. Peraltro, secondo Cass. 23 giugno 1994, n. 6032 (in Riv Not., 1995, p. 921), anche questo elemento, pur ricorrente, non è essenziale, essendo concepibile che la prolungata durata dell’attività del comitato renda necessaria la sostituzione di alcuni o tutti i suoi componenti.

Lo scopo; questo, in definitiva, secondo alcuni autori, sembra essere l’unico elemento essenziale caratterizzante il comitato ed esso, secondo la giurisprudenza (Cass., 28 ottobre 1959, n. 3138, in Giust. Civ., 1960, I, p. 61; Cass., 14 ottobre 1960, n. 2743, in Giust. Civ., 1960, I, p. 1900; Cass., 29 novembre 1999, n. 13338, in Corr. Giur. 2000, 10, p. 1362), deve necessariamente essere altruistico (essendo invece quello dell’associazione solo facoltativamente altruistico) ed è, parimenti a quello della fondazione, esterno (cioè, si ricorda, rivolto al beneficio di soggetti esterni all’istituzione). Tale ultima precisazione, in definitiva, è quella che consentirebbe di distinguere tra associazioni e comitati permanenti.

Tuttavia, se si ammettesse che solo tale elemento sia dirimente per distinguere tra associazione e comitato, non si vede come si potrebbe stabilire in concreto se un ente, che persegua uno scopo altruistico e che sia stato istituito con patrimonio precostituito, possa ritenersi associazione o comitato (sul punto, per ora ci si limita a rimandare infra – cfr. par. 4).

La distinzione tra tali due figure, naturalmente, è foriera di ulteriori conseguenze, essendo differente il regime di responsabilità per gli atti compiuti nell’interesse dell’ente, posto che nel comitato, che non abbia ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica, l’art. 41 dispone che delle obbligazioni assunte rispondono tutti i componenti, illimitatamente e solidalmente, inclusi quelli che non abbiano agito in suo nome e per suo conto. Diversamente, nel caso di associazioni non riconosciute, delle obbligazioni rispondono il fondo comune e soltanto coloro che abbiano agito in nome e per conto dell’ente.

Infine, taluna dottrina (Azzaro, Capacità immobiliare del comitato, in Riv. Not., 1995, p. 926) evidenzia come accada solo nel comitato che i suoi componenti non possano destinare i fondi raccolti a finalità diversa da quella pubblicamente annunciata e rispetto alla quale sono state effettuate le oblazioni.

3   …e relativa natura giuridica.

Sulla natura giuridica del comitato insistono, principalmente, tre teorie.

La prima, c.d. soggettiva (cfr., inter alios, Bianca, op. cit., pp. 401 e ss.; Loffredo, op. cit., pp. 274 e ss.), incentra la propria attenzione sugli aspetti soggettivi del comitato, ossia promotori, organizzazione e relative responsabilità.

In tal senso, si ritiene che il comitato costituisca una sottospecie di associazione non riconosciuta (cfr., analogamente, Cass., 28 ottobre 1959, n. 3138; Cass., 14 ottobre 1960, n. 2743, citt.) e, quindi, consista in un insieme di più persone riunite per la raccolta di fondi da destinare a date finalità. Rispetto all’associazione, tale ente si distinguerebbe per la fonte di approvvigionamento del patrimonio che, nel primo caso, è costituita dal contributo di ogni associato, nel secondo, invece, da soggetti esterni all’organizzazione, ossia dagli oblatori.

Da tale impostazione e da ragioni di ordine sistematico, posto che il comitato trova disciplina nel capo III, del titolo II, del libro I, c.c., che titola “Delle associazioni non riconosciute e dei comitati” e che regola, tout court, gli enti privi di personalità giuridica, derivano due conseguenze: la prima è che si applica la normativa sulle associazioni non riconosciute, per quanto non espressamente regolato dal codice sui comitati; la seconda è che i predetti enti debbano tutti considerarsi autonomi soggetti di diritto, pur se privi di personalità giuridica. Circostanza, questa, che viene confermata ulteriormente dall’art. 41, c.c.: tale norma, infatti, al comma 1, fa riferimento all’eventualità che il comitato ottenga la personalità giuridica, ciò che implica che, come accade anche per le associazioni, l’assunzione di tale qualità non sia costitutiva dell’autonomia soggettiva dell’ente, ma semplicemente modificativa di alcuni aspetti di disciplina; inoltre, al comma 2 la disposizione riconosce al comitato la capacità processuale in persona del suo presidente.

Sempre nella medesima prospettiva, occorre anche segnalare che l’art. 75, comma 3, c.p.c., regola unitariamente le associazioni ed i comitati privi del riconoscimento della personalità giuridica, disponendo che essi stiano «in giudizio per mezzo delle persone indicate negli artt. 36 e ss. codice civile».

I sostenitori di tale teoria osservano che l’opinione (di altra teoria), secondo cui la gestione di fondi di provenienza esterna all’amministrazione (con la peculiare modalità della pubblica sottoscrizione) farebbe assimilare tale figura a quella della fondazione, è inesatta, in quanto il comitato, a differenza di quest’ultima, non è governato da un organo di amministrazione, gestore su incarico del fondatore. In altri termini, i componenti del comitato sarebbero «portatori in proprio dell’interesse all’attività dell’organizzazione di cui fanno parte» e non sono tra di loro legati da un rapporto di amministrazione o di mandato.

E, quindi, analogamente al fenomeno associativo, ai membri del comitato competono le scelte finali in punto di sorte e disciplina dell’organizzazione. Inoltre, sempre in analogia all’associazione e diversamente dalla fondazione, il comitato origina da un contratto associativo dei promotori, volto al raggiungimento di uno scopo altruistico e non da un atto unilaterale.

Secondo altra teoria, c.d. oggettiva (cfr. inter alios, Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. 1, Giuffrè, Milano, 1952), il comitato sarebbe da ricondurre alla figura della fondazione. Alla stregua di tale ricostruzione, ciò che rileva maggiormente è la destinazione del patrimonio allo scopo altruistico, prescindendosi completamente dagli elementi soggettivi della fattispecie.

In tale prospettiva, si evidenzia che la gestione del fondo viene realizzata per soddisfare interessi diversi da quelli propri dei singoli componenti, a differenza dell’associazione, in cui l’organizzazione collettiva viene costituita per realizzare un interesse dei propri associati, seppur di tipo non patrimoniale.

Ne deriva la negazione di una autonoma soggettività al comitato, fino a quando non intervenga il riconoscimento della personalità giuridica.

Infine, deve segnalarsi un’isolata, ma autorevole teoria (Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, libro Primo. Delle persone e della famiglia, in Comm. Del Cod. Civ., a cura di Scialoja Branca, Roma-Bologna, Soc. ed. del Foro italiano-Zanichelli, 1976; in giurisprudenza, cfr. Cass. 12 giugno 1986, n. 3898, in Giust. Civ., 1986, I. p. 2786; Cass., 23 giugno 1994, n. 6032, cit.), c.d. dualistica, secondo cui, a seconda dell’attività esercitata, il comitato assume una duplice struttura: una prima, che configura un ente con struttura assimilabile all’associazione, in cui i promotori stipulano un contratto con cui si impegnano a raccogliere fondi mediante pubbliche sottoscrizioni e oblazioni destinandole ad uno scopo; una seconda, che ipotizza un ente con struttura assimilabile ad una fondazione, in cui il patrimonio raccolto viene gestito da soggetti distinti dai promotori (organizzatori e componenti della fondazione), ovvero dagli amministratori, che destinano quel patrimonio all’assolvimento in concreto delle finalità predeterminate.

Pur astrattamente suggestiva, tuttavia tale impostazione offre il fianco alla critica per le difficoltà insite nella configurazione appunto dualistica di un fenomeno che in realtà è unitario. I sostenitori della tesi, infatti, ammettono, sì, come non sia sempre possibile scandire cronologicamente il passaggio dalla fase/associazione alla fase/fondazione, ma spiegano che sia possibile operare tale scansione solo sul piano logico, il che, per essi, sarebbe sufficiente.

Ma sul piano pratico, si creerebbero dei difficili problemi interpretativi. Infatti, l’applicazione per analogia della disciplina dell’associazione o di quella della fondazione sarebbe lasciata ad un incontrollabile potere di valutazione nel merito (non sindacabile in Cassazione) da parte del giudice sulle singole, specifiche attività dell’ente, tale da non rendere accettabile tale teoria (si pensi al caso in cui i componenti del comitato, esaurita una prima fase di raccolta fondi, compiano atti di gestione e, al contempo, effettuino spese per reclamizzare l’attività dell’ente al fine di ottenere nuove oblazioni: in tal caso, il comitato opera per favorire il prosieguo di attività della struttura comitato/fondazione o di quella comitato/associazione? E quale disciplina si dovrebbe applicare?).

In definitiva, non si vede come possa ritenersi concepibile che l’ente in una situazione goda di autonoma soggettività e al contempo ne sia privo, a seconda del singolo atto compiuto.

4   Alcuni cenni sulle fondazioni non riconosciute o di fatto.

L’excursus su tutte queste figure di persona giuridica, ci consentirà di giungere funditus ad un’elaborazione della soluzione al casus. Pertanto, per ragioni di completezza, occorre spendere alcune parole anche sulla controversa ammissibilità della fondazione di fatto, ossia quell’ente, privo di personalità giuridica, ma rispetto al quale sussistano gli elementi della presenza di un patrimonio autonomo sul quale insiste un vincolo di destinazione ad uno scopo e dell’esistenza di un apparato organizzativo che provvede alla sua amministrazione.

Taluna dottrina (cfr. inter alios, Galgano, op. cit., pp. 290 e ss.) e giurisprudenza (Trib. Rovereto, 23 marzo 1973, in Giur. it., 1973, I, 2, p. 1093), facendo ricorso, come per i comitati, alla teoria dualistica di cui si è fatta menzione retro, ammettono tout court la configurabilità di una categoria generale di fondazioni non riconosciute, in tutte quelle ipotesi in cui, esaurita la fase della pubblica sottoscrizione e della raccolta di oblazioni, il comitato/fondazione agisca, pur senza aver ancora conseguito la personalità giuridica.

In tale prospettiva, tale dottrina pone a fondamento positivo l’art. 41, c.c., che, nel prevedere soltanto l’eventualità del riconoscimento della personalità giuridica, implicitamente ammette l’esistenza di qualunque ente collettivo privo del detto riconoscimento.

Altre dottrina (cfr., ex multis, Tamburrino, Persone giuridiche e associazioni non riconosciute. Comitati, in Giur. Sist. Civ. e Comm. Fondata da W. Bigiavi, Utet, Torino, p. 497) e giurisprudenza (cfr. App. Napoli, 6 febbraio 1952, in Dir. Eccl., 1952, II, p. 534; App. Trento, 27 maggio 1974, in Giur. it., 1974, I, 2, p. 673), per contro, escludono possa configurarsi una nozione di fondazione non riconosciuta. Tale teoria presuppone, infatti, la natura di associazione del comitato e, pertanto, non essendoci un’espressa previsione normativa delle fondazioni non riconosciute, non può argomentarsi della loro esistenza sulla scorta di equiparazione a figura del tutto diversa, quale, appunto, è il comitato. Inoltre, stante il divieto evincibile dalla lettura coordinata degli artt. 688, 795, 692 e 698, c.c., da cui tali autori fanno derivare pure l’impossibilità d’ingresso, nel nostro ordinamento, del trust e delle sue potenziali utilizzazioni (sul punto, tuttavia, ci si permette di rimandare al nostro lavoro, Bernardini, Mastromatteo, Il trust, in Trust e altre tutele del patrimonio familiare, a cura di Arceri, Bernardini, Bucchi, Maggioli, Sant’Arcangelo di Romagna, 2010, pp. 29 e ss.), la destinazione reale di un patrimonio ad uno scopo, in assenza del riconoscimento della persona giuridica, sarebbe vietata dal nostro sistema.

Infine, alcuni autori (cfr., in tal senso, Greco, Le fondazioni non riconosciute, Giuffrè, Milano, 1980) ammettono l’esistenza delle fondazioni non riconosciute, limitatamente ai casi espressamente previsti dalla legge.

E così, l’art. 15, c.c., nel limitare la facoltà del fondatore di revocare l’atto di fondazione alle ipotesi in cui non sia ancora intervenuto il riconoscimento o l’attività dell’opera da lui disposta non sia stata ancora iniziata, ammette implicitamente l’esistenza di una fondazione di fatto rispetto alla quale, pur non ancora ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica, si sia tuttavia registrato una iniziale operatività, in conformità allo scopo .

Ancora, l’art. 32, c.c., disciplina una fattispecie con i tratti tipici della fondazione non riconosciuta (patrimonio separato e destinato ad uno scopo e amministrazione affidata agli organi dell’ente beneficiario della donazione o del lascito testamentario), allorché dispone che «Nel caso di trasformazione o di scioglimento di un ente, al quale sono stati donati o lasciati beni con destinazione a scopo diverso da quello proprio dell’ente, l’autorità governativa devolve tali beni, con lo stesso onere, ad altre persone giuridiche che hanno fini analoghi».

Infine, l’art. 2117, c.c., a sua volta configura una fattispecie in cui paiono essere compresenti i due elementi dianzi menzionati, atti ad identificare una fondazione di fatto (patrimonio distinto e apparato organizzativo per la sua gestione), recitando tale norma che «I fondi speciali per la previdenza e l’assistenza che l’imprenditore abbia costituiti, anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell’imprenditore o del prestatore di lavoro».

5   I soggetti istituiti dall’ente pubblico.

Per quanto riguarda i soggetti collettivi istituiti da un ente pubblico in questa sede ci si limiterà ad offrire un inquadramento di alcuni di essi da un punto di vista civilistico (infatti, pur rilevante e di interesse, non è possibile affrontare il vasto tema dell’istituzione di ognuno degli enti collettivi – società incluse – che costellano il panorama del diritto amministrativo, per cui si rimanda ad un qualsiasi manuale sull’argomento).

In sostanza il problema si pone in relazione a quelle ipotesi in cui un ente pubblico istituisca un ente collettivo per lo svolgimento di attività che rientrano tra gli scopi che l’art. 39, c.c., individua esemplificativamente. Tuttavia, l’elenco in parola possiede una latitudine potenzialmente sconfinata, tale da comprendere qualunque scopo “altruistico”, talché si rende necessaria l’individuazione di elementi atti ad identificare l’esistenza di un comitato anche da un punto di vista strutturale.

Sicché, probabilmente tale elemento di distinzione potrebbe riconoscersi proprio nella fase di raccolta fondi mediante pubblica sottoscrizione (cfr., in tal senso, Mariconda, Comitati: basta un unico promotore?, in Corr. Giur., 2000, 10, pp. 1362-1363). Inoltre, ancor prima, “a monte”, tale requisito differenziale andrebbe ricercato «nell’accordo tra più soggetti per la sottoposizione al pubblico del programma di raccolta fondi da destinare allo scopo annunciato nel programma» (la stessa Cass. 6032/1994, cit., osserva come per i comitati «all’origine del fenomeno vi è un contratto associativo, avente ad oggetto l’esercizio in comune dell’attività di raccolta dei mezzi finanziari presso il pubblico»; in senso analogo, Cass. 3898/1986, cit.). In definitiva, la pluralità di promotori, che si accordano nel senso dianzi precisato che, in funzione del raggiungimento di uno scopo altruistico (che rientri nell’area tematica elencata dall’art. 39), fanno ricorso alla pubblica sottoscrizione mediante oblazioni, consente di identificare l’esistenza di un comitato.

Qualora, poi, tale ente non abbia conseguito il riconoscimento della personalità giuridica, per le obbligazioni assunte per l’esercizio della sua attività saranno responsabili illimitatamente ed in solido tutti i soggetti promotori, senza il limite posto dall’art. 38, c.c., in capo ai soli soggetti che abbiano agito in nome e per conto dell’ente.

A nostro parere, da tali considerazioni deriva che, qualora l’ente collettivo venga istituito da un ente pubblico, che lo doti di strumenti utili a svolgere in autonomia le attività finalizzate ad uno scopo; e qualora l’ente istituito non abbia ancora ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica, esso andrà considerato un’associazione non riconosciuta, non potendosi pretendere che l’ente pubblico debba essere chiamato a rispondere di tutte le obbligazioni assunte dai componenti dell’ente istituito, sol perché lo si vuol considerare in ogni caso “promotore” di un comitato privo di personalità giuridica.

Nell’ipotesi in cui, poi, si evidenzi l’assenza dei requisiti dell’associazione (e cioè l’accordo associativo e la pluralità di associati), la fattispecie potrebbe essere inquadrata come fondazione di fatto, e allora sul piano della responsabilità potrebbe trovare applicazione l’art. 41, con la responsabilità illimitata e solidale dei suoi componenti. Ma qui si arriva al punto e ci chiediamo: può l’ente pubblico, che abbia dotato tale ente morale di un patrimonio e di una struttura per la sua gestione, considerarsi “componente” del comitato? A nostro parere, quale ibrido tra un “fondatore” ed un “oblatore” (seppure esclusivo), non lo si può ritenere responsabile delle obbligazioni assunte dai membri dell’apparato organizzativo, se non nei limiti in cui esso abbia pubblicamente sottoscritto il finanziamento. Ma allora in tale veste (di oblatore) dovrà essere chiamato in giudizio e non quale componente il comitato, ché, diversamente, il giudice del merito dovrebbe rigettare la domanda proposta nei suoi confronti. D’altronde la stessa Cassazione, nella cit. sentenza 3898/1986, afferma che «la provenienza dei fondi dall’esterno è proprio elemento essenziale, non solo naturale, del comitato: si parla infatti (art. 40 c.c.) di fondi “raccolti”, e correttamente, anche in materia di comitati, come di fondazione, si parla di “patrimonio legato ad uno scopo”, appunto perché si tratta dello scopo, annunziato sì dai promotori, ma accolto e fatto proprio dagli oblatori che appunto costituiscono il patrimonio con le loro offerte».

 SOLUZIONE AL CASO

esclusione della responsabilità del comune

  • Occorre evitare che il giudice supponga la natura di comitato dell’ente che il comune abbia istituito per la gestione di attività di natura morale.

argomentazione

  • È necessario sottolineare non soltanto l’autonomia funzionale e contabile dell’ente in questione, ma bisogna altresì evidenziare sia l’assenza di una pluralità di promotori che, dopo essersi accordati in tal senso, procedono alla raccolta dei fondi presso il pubblico, sia la presenza di uno scopo che può anche essere morale ed esterno. Negli scritti difensivi non bisogna mai definire “comitato” l’ente in questione.

alternativa

  • Nell’ipotesi in cui il giudice insista nel voler considerare l’ente in questione “comitato”, occorre evidenziare che esso debba rispondere al più in veste di “oblatore” e non certo come componente il comitato medesimo.

GIURISPRUDENZA RILEVANTE

Orientamento maggioritario

Cass., 12 giugno 1986, n. 3898

Oltre allo scopo altruistico, elemento caratterizzante il comitato è quello che sussista una pluralità di soggetti promotori, tra cui sia intervenuto un contratto associativo finalizzato alla raccolta di fondi presso il pubblico.

Cass. 23 giugno 1994, n. 6032

È consentito individuare l’esistenza di un comitato quando sia possibile riscontrare che all’origine vi sia un contratto associativo avente ad oggetto l’esercizio in comune dell’attività di raccolta dei mezzi finanziari presso il pubblico.

Orientamento minoritario

Cass, 22 giugno 2006, n. 14453

Un comitato può essere costituito da un ente pubblico non economico, ancorché manchi di autonomia nell’attività di raccolta dei fondi da impiegare per il raggiungimento dello scopo, posto che ciò che caratterizza un tal tipo di ente sono il fatto del suo costituirsi per uno dei fini indicati dall’art. 39 c.c. e la esistenza di un fondo con cui perseguire detto fine, e non certo l’attività di raccolta dei fondi stessi. Conseguentemente, anche in tal caso, esso ha – pur privo di personalità giuridica – la titolarità piena e diretta dei rapporti patrimoniali relativi sia a beni mobili che immobili, e quindi risponde delle obbligazioni assunte dai suoi rappresentanti.

AUTONOMA SOGGETTIVITÀ DELL’ENTE

PRESUPPOSTO

MECCANISMO

CONSEGUENZA

Comitato come associazione

L’ente pubblico istituisce un ente collettivo dotandolo di autonomia.

Tale ente non ha il riconoscimento della personalità giuridica.

Tale ente assume obbligazioni

L’ente pubblico non risponde delle obbligazioni assunte dall’ente istituito

Comitato come fondazione

L’ente pubblico istituisce un ente collettivo dotandolo di autonomia.

Tale ente non ha il riconoscimento della personalità giuridica.

Tale ente assume obbligazioni

L’ente pubblico risponde delle obbligazioni assunte dall’ente istituito

Comitato come struttura associazione e struttura fondazione

L’ente pubblico istituisce un ente collettivo dotandolo di autonomia.

Tale ente non ha il riconoscimento della personalità giuridica.

Tale ente assume obbligazioni

L’ente pubblico risponde delle obbligazioni assunte dall’ente istituito solo se l’attività in concreto svolta sia da ricondurre alla struttura comitato/fondazione

RIFERIMENTI NORMATIVI

Art. 39, c.c.

Comitati .

I comitati di soccorso o di beneficenza e i comitati promotori di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili sono regolati dalle disposizioni seguenti, salvo quanto è stabilito nelle leggi speciali.

Art. 40, c.c.

Responsabilità degli organizzatori.

Gli organizzatori e coloro che assumono la gestione dei fondi raccolti sono responsabili personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo scopo annunziato.

Art. 41, c.c.

Responsabilità dei componenti. Rappresentanza in giudizio.

Qualora il comitato non abbia ottenuto la personalità giuridica, i suoi componenti rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni assunte. I sottoscrittori sono tenuti soltanto a effettuare le oblazioni promesse.

Il comitato può stare in giudizio nella persona del presidente.

Art. 42, c.c.

Diversa destinazione dei fondi.

Qualora i fondi raccolti siano insufficienti allo scopo, o questo non sia più attuabile, o, raggiunto lo scopo, si abbia un residuo di fondi, l’autorità governativa stabilisce la devoluzione dei beni, se questa non è stata disciplinata al momento della costituzione. 

Autore: Avv. Alberto Mastromatteo

Funzionario Ministeriale, attualmente in servizio presso l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna; membro della Commissione per la Ripartizione Fondi per eventi nefasti nel 2012, dell’U.S.R. Emilia-Romagna e di tre Commissioni di Vigilanza al Concorso Docenti 2012. È anche revisore dei conti pubblici MIUR. Ha conseguito il titolo di abilitazione all’esercizio della professione forense nel 2005. È stato membro del comitato di Redazione della Rivista Questioni di Diritto di Famiglia. Autore di contributi, articoli e note a sentenza in materia civile e amministrativa, ha svolto anche incarichi di docenza in Master ed eventi organizzati per la formazione dei Professionisti dell’area legale e commerciale.

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