Formazione di una nuova famiglia non matrimoniale ed estinzione definitiva dell’assegno divorzile

Enrico Al Mureden, Formazione di una nuova famiglia non matrimoniale ed estinzione definitiva dell’assegno divorzile in Nuova Giur. Civ., 2015, 7-8, 10681

Sommario: I. Il caso – II. Le questioni – III. I precedenti – IV. La dottrina

Nota di commento: «Formazione di una nuova famiglia non matrimoniale ed estinzione definitiva dell’assegno divorzile»

I. Il caso

Nel caso che ha dato origine alla pronuncia in commento la ex moglie, titolare di assegno post-matrimoniale, aveva instaurato con un nuovo partner una stabile convivenza cementata dalla nascita di figli; convivenza, che, tuttavia, si era da tempo interrotta determinando il venir meno del contributo economico inizialmente prestato dal nuovo partner. Proprio muovendo dalla constatata cessazione del supporto economico goduto dalla ex coniuge divorziata nell’ambito della nuova famiglia di fatto, il giudice di primo grado e quello di appello avevano ritenuto infondata la pretesa dell’ex marito volta a conseguire l’esonero definitivo dell’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile.

Questa conclusione, del resto, appariva coerente rispetto all’orientamento consolidato in ragione del quale l’instaurazione di una stabile convivenza da parte dell’ex coniuge titolare di assegno divorzile può condurre ad una sospensione del contributo dovuto dall’altro; sospensione che determina una situazione di «quiescenza», di modo che, all’eventuale venir meno del beneficio economico derivante dall’instaurazione della nuova convivenza conseguirebbe il ripristino dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile (Cass., 8.8.2003, n. 11975; Cass., 11.8.2011, n. 17195; Cass.,12.3.2012, n. 3923;Cass., 18.11.2013, n. 25845, tutte infra, sez. III). Quest’ultima eventualità ricorreva nella fattispecie che ha dato origine alla decisione in commento, nella quale, come osservato, si poneva il problema della spettanza dell’assegno divorzile in capo all’ex coniuge che, dopo aver formato una famiglia non fondata sul matrimonio e cementata dalla nascita di figli, vedeva andare in crisi il nuovo rapporto e venir meno il contributo economico prestato dal convivente.

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La Supr. Corte, con una decisione che segna un momento di evidente discontinuità rispetto ad orientamenti consolidati, cassa la decisione di appello e si spinge ad affermare che la formazione di una nuova famiglia non fondata sul matrimonio da parte dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile può determinare la perdita definitiva di tale diritto. In altri termini, quindi, la Supr. Corte, discostandosi dall’orientamento consolidato, esclude che l’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile possa risorgere nell’ipotesi in cui venga meno il beneficio economico che l’ex coniuge divorziato avesse tratto dall’instaurazione di un nuovo rapporto fondato sulla convivenza. La stessa motivazione sottolinea l’opportunità di un«riesame» del problema della «quiescenza» dell’assegno divorzile determinata dalla nuova convivenza dell’ex coniuge che ne sia titolare; riesame che, continua la Supr. Corte, appare pienamente giustificato in ragione delle recenti modificazioni del sistema normativo che, rendendo unica le condizione dei figli, hanno profondamente inciso sia sulla valenza del matrimonio, sia sul rilievo attribuito a quelle formazioni sociali identificate con il termine di famiglia di fatto. Proprio alla luce della recente Riforma, infatti, la Supr. Corte giunge ad affermare che la decisione di dare vita ad una famiglia non fondata sul matrimonio, ma cementata dalla convivenza e, soprattutto, dalla presenza di figli comuni, debba essere osservata, nel sistema giuridico attuale, come una assunzione di responsabilità dalla quale dovrebbe discendere l’esclusione di «ogni residua solidarietà postmatrimoniale» con l’ex coniuge e, quindi, anche l’esonero definitivo ed irreversibile di quest’ultimo dal dovere di corrispondere l’assegno divorzile.

II. Le questioni

1. Il nuovo orientamento della Cassazione. Premesse.Nell’ambito della complessa trama di rapporti che può crearsi quando, successivamente alla rottura della coppia coniugale si instaurano nuove relazioni familiari, rientra indubbiamente l’ipotesi nella quale il coniuge titolare di assegno di mantenimento o dell’assegno post-matrimoniale formi una seconda famiglia. Al riguardo il legislatore ha contemplato la sola ipotesi nella quale l’ex coniuge titolare di assegno divorzile passi a nuove nozze, sancendo che, in tal caso, «l’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa» (art. 5, comma 10°, l. div.) (Bonilini-Totaro, entrambi infra, sez. IV). Può accadere, tuttavia, che l’ex coniuge divorziato titolare di assegno post-matrimoniale instauri una nuova convivenza nell’ambito della quale benefici del supporto economico del nuovo partner; la stessa situazione può riguardare anche la posizione del coniuge ancora separato, per il quale l’opzione delle seconde nozze è preclusa.

La decisione in commento, da una parte sembra presentare profili di non piena coerenza rispetto al tenore letterale dell’art. 5, comma 10°, l. div., che ricollega il definitivo ed irreversibile venir meno del diritto a percepire l’assegno divorzile alla sola ipotesi in cui il titolare contragga nuove nozze (Cass., 17.10.1989, n. 4158;Cass., 22.4.1993, n. 4761;Cass., 5.6.1997, n. 5024; Cass.,4.4.1998, n. 3503, tutti infra, sez. III). Cionondimeno essa appare condivisibile in quanto riconsidera il problema del mantenimento della parte economicamente debole in una prospettiva che valorizza le significative modificazioni della disciplina del rapporto genitori-figli nell’ambito della famiglia non fondata sul matrimonio ed attribuisce rilievo al principio dell’autoresponsabilità, ormai affermatosi in altri ordinamenti europei e di common law nei quali la crescente instabilità del rapporto tra genitori e la rilevanza del fenomeno delle famiglie che si sovrappongono nel tempo ha imposto un ripensamento complessivo delle regole che governano il diritto al mantenimento della parte debole successivamente alla rottura del matrimonio.

In prima approssimazione si può affermare che l’instaurazione di una nuova convivenza da parte del coniuge separato o dell’ex coniuge divorziato economicamente dipendente dall’altro impone di risolvere quattro ordini di problemi.

Occorre stabilire, in primo luogo, quali siano i presupposti al ricorrere dei quali l’instaurazione di una convivenza more uxorio possa assumere rilievo al fine della ridefinizione dei rapporti economici tra gli ex coniugi divorziati; in altri termini si tratta di individuare quali caratteristiche debba presentare la relazione instaurata con il nuovo partner affinché essa possa essere considerata alla stregua di un elemento capace di giustificare una limitazione dei doveri di solidarietà post-coniugale gravanti sul coniuge tenuto alla corresponsione dell’assegno post-matrimoniale.

Un diverso problema consiste nello stabilire se l’accertamento di un rapporto di convivenza sufficientemente solido e stabile costituisca una condizione di per sé sufficiente a legittimare una limitazione dei doveri gravanti sull’ex coniuge, oppure se tale accertamento rappresenti solamente una condizione necessaria a tal fine, ma non sufficiente. Questa seconda opzione interpretativa, infatti, sembra ravvisabile in quelle motivazioni nelle quali l’instaurazione di una nuova convivenza viene considerata rilevante non di per sé, ma solamente laddove da essa scaturisca un effettivo miglioramento della condizione economica del coniuge beneficiario di assegno di mantenimento o dell’ex coniuge titolare di assegno divorzile.

Una volta individuati i presupposti al ricorrere dei quali risulta possibile affermare che la nuova convivenza del coniuge beneficiario del mantenimento presenti caratteri tali da poter condurre ad una limitazione dei doveri gravanti sulla parte economicamente forte, può porsi l’ulteriore interrogativo di stabilire se tale limitazione si risolva nella netta esclusione del dovere di mantenimento o debba essere modulata tenendo conto dell’entità del beneficio economico ricavato dalla nuova convivenza.

Da ultimo, inoltre, si pone il problema di stabilire se limitazione o esclusione dell’obbligo di mantenimento gravante sul coniuge economicamente forte possa essere considerata «reversibile» oppure se, una volta intervenuta, essa precluda la possibilità di una reviviscenza degli obblighi di mantenimento fondati sulla solidarietà post-coniugale.

Con riferimento ai problemi illustrati la giurisprudenza ha elaborato principi comuni applicabili in linea di principio sia al coniuge separato, sia all’ex coniuge divorziato. In effetti sotto alcuni profili sembra emergere l’opportunità di formulare regole uniformi, applicabili sia nel contesto della separazione che in quello del divorzio; al tempo stesso, tuttavia, occorre tenere conto di significativi profili di differenziazione tra i due istituti, che, soprattutto per quanto concerne il problema della reviviscenza degli obblighi gravanti sulla parte economicamente forte, sembrano suggerire l’opportunità di affrontare le questioni connesse all’instaurazione di una nuova convivenza da parte del beneficiario del mantenimento secondo approcci che tengano conto delle peculiarità che caratterizzano la condizione del coniuge separato e quella dell’ex coniuge divorziato.

2. La «famiglia di fatto» dopo la riforma della filiazione. Per quanto concerne l’individuazione dei presupposti al ricorrere dei quali l’instaurazione di una convivenza more uxoriopossa assumere rilievo al fine della ridefinizione dei rapporti economici tra i coniugi separati o tra gli ex coniugi divorziati è stato valorizzato principalmente il profilo dell’intento «di mettere in comune con il nuovo partner tutti i propri interessi materiali, morali ed affettivi» (Cass., 8.8.2003, n. 11975; Balestra, Rapporti di convivenza; Ferrando, Il matrimonio, entrambi infra, sez. IV). Utilizzando questa espressione la giurisprudenza di legittimità ha inteso affermare il principio secondo cui «la stabilità del rapporto di convivenza (…) non può rapportarsi ad una mera formula temporale, ma dipende principalmente da una valutazione relativa al livello di compenetrazione delle scelte di vita effettuate dalla nuova coppia» (Trib. Bari, 25.9.2012; Cass., 8.8.2003, n. 11975, entrambe infra, sez. III; Porcelli, infra, sez. IV). Tale criterio, appare invero, connotato da un significativo margine di indeterminatezza, che si risolve nell’attribuzione di una ampia discrezionalità giudiziale. Le considerazioni appena svolte possono essere estese anche alle motivazioni nelle quali viene affermata l’opportunità di distinguere «tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto», ribadendo che tale distinzione dovrebbe basarsi sul carattere di stabilità e di certezza del rapporto di fatto sussistente tra i partners (Cass., 11.8.2011, n. 17195;Cass., 12.3.2012, n. 3923; Cass., 18.11.2013, n. 25845; Bonilini; Totaro; Vaccaro, infra, sez. III).

La possibilità di operare una simile distinzione sulla base di criteri affidabili risulta, invero, estremamente complessa nell’ipotesi in cui si tratti di decidere riguardo alla convivenza tra persone che non hanno figli comuni.

Peraltro, ove la coppia non coniugata abbia figli comuni, sembra possibile, soprattutto alla luce delle recenti modificazioni della disciplina del rapporto genitori-figli, individuare con maggiore sicurezza quei presupposti al ricorrere dei quali si può escludere che la famiglia non fondata sul matrimonio si risolva in un mero rapporto di convivenza ed affermare che, al contrario, in linea di principio, essa presenti quei caratteri di certezza e stabilità necessari per poter parlare di una vera e propria formazione familiare autonoma e stabile. La base sulla quale sostenere quest’ultimo assunto non è solo quella che fa capo a considerazioni di carattere demografico e sottolinea la diffusione della famiglia non fondata sul matrimonio nell’attuale tessuto sociale (Cass., 19.3.2014, n. 6289, infra, sez. III e Buzzelli, pure infra, sez. III). A ben vedere le ragioni che inducono ad attribuire i caratteri della certezza e della stabilità ad una famiglia non fondata sul matrimonio nella quale siano presenti figli si basano sulle profonde modificazioni del sistema normativo che hanno reso unica condizione dei figli, hanno determinato il loro inserimento nelle relazioni di parentela dei genitori a prescindere dal matrimonio di questi ultimi (art. 74 cod. civ. e art. 258 cod. civ.) ed hanno sancito la portata generale della regola dell’esercizio condiviso dalla responsabilità genitoriale a prescindere dal tipo di unione che lega i genitori e dalla sua sorte (artt. 316, comma 4°, e 337 ter, comma 3°, cod. civ.). Le trasformazioni del sistema giuridico appena indicate hanno dato vita ad una condizione del figlio della coppia non coniugata completamente diversa da quella propria del contesto normativo precedente l’introduzione della l. n. 219/2012 e del d. legis. n. 154/2013. Oggi il figlio di una coppia non coniugata risulta inserito contemporaneamente nelle reti di parentela di entrambi i genitori, e quindi in due famiglie non comunicanti fra loro (Sesta, L’unicità dello stato di filiazione, infra, sez. IV). Al tempo stesso la regola dell’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale può dar luogo a situazioni nelle quali i genitori di figli nati nell’ambito di contesti familiari diversi esercitino parallelamente ed autonomamente la responsabilità genitoriale in due famiglie distinte (Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, 5, infra, sez. IV). In definitiva si può affermare che l’ordinamento crea intorno al fatto della generazione biologica un nucleo di diritti del figlio e di responsabilità dei genitori che prescindono dall’esistenza di un’unione stabile di questi ultimi e dalla circostanza che essa sia fondata sulla convivenza o sul matrimonio. In questo mutato contesto persino i genitori che non abbiano mai formato una famiglia unita si trovano, in ogni caso, nella condizione di essere obbligati ad assumere decisioni concordate relativamente alla vita del figlio ed agli aspetti che, sebbene in modo indiretto, si riflettono anche sulla vita della coppia (Al Mureden, La responsabilità genitoriale, infra, sez. IV). A seguito delle intervenute modifiche legislative viene meno la necessaria corrispondenza tra famiglia e matrimonio in quanto l’instaurazione di legami di parentela dipende oggi esclusivamente dal fatto biologico della generazione. Al tempo stesso la riforma introduce una necessaria corrispondenza tra la generazione dei figli e la formazione di una famiglia incidendo profondamente su situazioni che nel sistema previgente non assumevano rilievo giuridico. I doveri richiesti ai genitori nei confronti del figlio, infatti, impongono la definizione concordata di un indirizzo della vita familiare persino a coloro che non hanno mai formato una coppia unita (Al Mureden, La responsabilità genitoriale).

In definitiva il nucleo di diritti riconosciuti al figlio e le correlative responsabilità attribuite ai genitori consente di ravvisare la sussistenza di un consorzio familiare nel quale l’ordinamento esige da essi una soglia minima di stabilità e di coinvolgimento, tant’è che, come si è opportunamente osservato, la stessa espressione famiglia di fatto non appare più appropriata per designare quei nuclei familiari non fondati sul matrimonio nei quali sono presenti figli comuni della coppia (Sesta, Stato unico di filiazione diritto ereditario; Id.,Manuale di diritto di famiglia, infra, sez. IV).

A ben vedere, proprio quella responsabilità a cui l’ordinamento chiama i genitori non può non assumere rilievo anche quando si tratta di decidere riguardo alla persistenza di diritti scaturenti dalla solidarietà post-coniugale nei confronti di un soggetto che, successivamente alla separazione o al divorzio abbia dato vita ad una famiglia nella quale siano presenti figli. In altri termini colui che, assieme al nuovo partner, assuma la veste di genitore ed una responsabilità nei confronti del figlio pone in essere un atto di autoresponsabilità che nel sistema giuridico attuale mal si concilia con il persistente godimento di diritti che scaturiscono dalla solidarietà post-coniugale riferita ad un rapporto matrimoniale terminato. Ciò, infatti, determinerebbe l’ingresso di risorse economiche provenienti da un coniuge separato o da un ex coniuge divorziato nella nuova famiglia costituita dopo la separazione o il divorzio, creando una situazione incoerente rispetto all’atto dell’assunzione di autoresponsabilità determinato dalla sua formazione (Trib. Lamezia Terme, 1°.12.2011, infra, sez. III). Questa, in definitiva, appare la ragione che rende pienamente condivisibile la soluzione alla quale la Supr. Corte è pervenuta allorché ha stabilito che la perdita del diritto all’assegno divorzile assume carattere non reversibile (Ferrando, Famiglia di fatto, infra, sez. IV; Cass., 8.8.2003, n. 11975;Cass., 11.8.2011, n. 17195, Cass.,12.3.2012, n. 3923;Cass., 18.11.2013, n. 25845).

3. Solidarietà post-coniugale e famiglie che si sovrappongono nel tempo.La lettura interpretativa appena prospettata con riferimento alle fattispecie nelle quali nella nuova famiglia formata da parte del coniuge titolare di un assegno di mantenimento o dell’ex coniuge a cui sia attribuito un assegno post-matrimoniale sembra suggerire una revisione complessiva degli assunti consolidatisi riguardo al problema di stabilire se l’accertamento di un rapporto di convivenza sufficientemente solido e stabile costituisca una condizione di per sé sufficiente a legittimare una limitazione dei doveri gravanti sul coniuge o ex coniuge oppure se tale accertamento costituisca solamente una condizione necessaria a tal fine, ma non sufficiente.

Come anticipato, da alcune pronunce sembra emergere una propensione a considerare la convivenza instaurata dal beneficiario del mantenimento alla stregua di un elemento capace di limitare gli obblighi del coniuge onerato solo laddove sia effettivamente riscontrabile un miglioramento della posizione economica conseguente all’instaurazione della convivenza. Così la soppressione, o, quantomeno, la congrua riduzione dell’assegno dovuto a titolo di mantenimento del coniuge separato è stata giustificata ponendo in rilievo i «notevoli benefici economici» derivanti dalla possibilità di «condividere, con il convivente, le spese di ordinaria amministrazione (vitto, alloggio, e relativi oneri)»; possibilità preclusa al «coniuge rimasto solo», il quale, oltre a dover affrontare le spese di ordinaria amministrazione e «le spese relative al mantenimento del coniuge separato» non aveva instaurato una nuova convivenza (Trib. Lamezia Terme, 1°.12.2011).

In modo ancor più esplicito, è stato disposto che sul coniuge tenuto al pagamento dell’assegno di mantenimento grava l’onere di provare «non solo l’instaurazione ed il permanere di una convivenza more uxorio dell’avente diritto con altra persona, ma anche il miglioramento delle condizioni economiche dell’avente diritto a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, quantomeno in termini di risparmio di spesa». Infatti, precisa la motivazione, «la convivenza in quanto tale è di per sé neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche del titolare dell’assegno, potendo essere instaurata anche con una persona priva di redditi e patrimonio» (Trib. Roma, 22.4.2011, infra, sez. III). L’impostazione appena riassunta e, in particolare, l’ultimo degli assunti riportati, sembrano indicare che il presupposto necessario al fine di giustificare l’eliminazione alla riduzione del contributo dovuto dal coniuge economicamente forte per il mantenimento dell’altro non sia rappresentato dall’instaurazione della convivenza in sé considerata, ma dal beneficio economico che ne scaturisce. Questa ricostruzione – sicuramente coerente con il contesto normativo in cui fu elaborata – sembra richiedere oggi una profonda rivisitazione soprattutto in ragione delle riflessioni già svolte con riferimento alle intervenute modificazioni del sistema normativo che hanno reso unica la condizione dei figli. Come si è avuto modo di osservare, infatti, la creazione di legami di parentela che si basano sul mero dato della derivazione biologica e l’affermazione della regola generalizzata dell’esercizio condiviso dalla responsabilità genitoriale hanno conferito alla famiglia non fondata sul matrimonio una rilevanza tale per cui appare oggi possibile affermare che, in ogni caso, la nascita di un figlio impone ai genitori l’assunzione di un nucleo minimo di responsabilità richieste dalla conduzione del nucleo familiare in ogni suo frangente. Il che non sembra lasciare spazio alla persistenza di diritti vantati nei confronti dell’ex coniuge divorziato. In altri termini, nel mutato contesto normativo, l’instaurazione di una nuova famiglia e l’assunzione di responsabilità nei confronti dei figli comuni generati con il nuovo partner dovrebbe comportare, di per sé, la tendenziale eliminazione di ogni posizione di dipendenza dal coniuge separato o dall’ex coniuge divorziato ed ogni aspirazione al mantenimento del tenore di vita riferito al periodo della convivenza matrimoniale, ormai venuta meno ed alla quale è stata sovrapposta una nuova convivenza familiare nell’ambito del nuovo nucleo formato successivamente alla crisi del matrimonio. Ogni considerazione relativa alle condizioni economiche godute dal nuovo convivente ed ogni comparazione tra il livello di benessere della nuova famiglia fondata sulla convivenza rispetto a quello che aveva caratterizzato la precedente unione matrimoniale dovrebbero risultare in linea di principio prive di rilievo proprio perché, una volta assunta la decisione (e la responsabilità) di costituire un nuovo nucleo familiare autonomo, non dovrebbe residuare più spazio per interferenze tra questo nuovo nucleo e persistenti doveri di solidarietà post-coniugale radicati sul matrimonio precedente.

Adottando l’impostazione appena descritta sarebbe possibile risolvere un’ulteriore incertezza interpretativa: ossia quella di stabilire se a seguito dell’accertamento di una stabile convivenza del coniuge beneficiario del diritto al mantenimento consegua una limitazione dei doveri della parte obbligata che si risolva in una netta esclusione del dovere di mantenimento o in una sua rimodulazione operata in funzione dell’entità del beneficio economico ricavato dalla nuova convivenza. Tale questione potrebbe essere risolta nel senso di conformare il dovere di mantenimento gravante sul coniuge separato o sull’ex coniuge divorziato in funzione del beneficio che il coniuge economicamente debole ricavi dalla nuova convivenza (Cass., 22.4.1993, n. 4761). Tuttavia, adottando la condivisibile impostazione già adombrata da pronunce di legittimità relativamente recenti (Cass., 11.8.2011, n. 17195) e oggi definitivamente confermata dalla decisione in commento appare preferibile optare per una soluzione che conduce, in linea di principio, ad una eliminazione radicale del contributo dovuto dalla parte economicamente forte; soluzione che, come la Supr. Corte pone in evidenza, attribuisce fondamentale rilievo alle sopravvenute modifiche legislative e fa discendere dall’instaurazione di una nuova convivenza, viepiù se cementata dalla presenza di figli, una rottura netta ed incondizionata della situazione di interdipendenza economica creata dal precedente matrimonio.

4. Formazione di una nuova famiglia, «quiescenza» dell’assegno di mantenimento ed estinzione definitiva dell’assegno divorzile? Come anticipato, le osservazioni svolte a proposito della rilevanza assunta nel contesto normativo attuale dalla formazione di una famiglia non fondata sul matrimonio nella quale siano presenti figli assumono rilievo anche quando si tratta di risolvere la questione relativa al carattere definitivo o reversibile dell’eliminazione del contributo economico dovuto per il mantenimento dell’ex coniuge divorziato che abbia dato vita ad una nuova famiglia.

La soluzione accolta dalla giurisprudenza di legittimità e di merito fino ad oggi dominante propendeva per il carattere reversibile delle limitazioni del dovere di mantenimento gravante sull’ex coniuge. Pronunce recenti, infatti, avevano chiarito che l’instaurazione di una stabile convivenza da parte del beneficiario dell’assegno divorzile costituiva un limite agli obblighi imposti alla parte economicamente forte e poneva detto assegno «in una fase di quiescenza»; il che comportava la possibilità che la parte economicamente debole riproponesse l’istanza volta al conseguimento dell’assegno divorzile in caso di rottura della convivenza (Cass., 11.8.2011, n. 17195; Cass., 18.11.2013, n. 25845; Cass., 12.3.2012, n. 3923). Questa soluzione, appare in effetti espressione di una concezione dei rapporti tra ex coniugi che mal si concilia con il contesto normativo attuale e con la rilevanza che in esso viene attribuita alla formazione di una nuova famiglia nella quale siano presenti figli comuni dei partners. Infatti, qualora si convenga circa il fatto che attraverso la creazione di una nuova famiglia si compie un atto di autoresponsabilità inconciliabile con il persistente godimento dei benefici economici derivanti da rapporto coniugale ormai terminato, appare più ragionevole concludere che il venir meno dell’assegno post-matrimoniale dovrebbe assumere, in linea di principio, un carattere definitivo e quindi non reversibile (Al Mureden, Il «diritto a formare una seconda famiglia», infra, sez. IV). La soluzione adottata dalla recente decisione della Cassazione, secondo la quale l’intervenuta instaurazione di una convivenza da parte dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno post-matrimoniale dopo la definitiva rottura del vincolo coniugale dovrebbe determinare l’effetto di limitare o escludere i doveri di mantenimento gravanti sull’altro in via definitiva ed irreversibile appare, quindi, in linea di principio condivisibile.

Cionondimeno occorre precisare che la validità dell’assunto appena riportato dovrebbe essere circoscritta alla sola ipotesi in cui l’ex coniuge divorziato dia vita ad una formazione familiare non fondata sul matrimonio, ma cementata dalla presenza di figli.

Considerazioni in parte differenziate dovrebbero essere formulate con riferimento all’ipotesi nella quale la seconda famiglia formata dall’ex coniuge divorziato si sostanzi in una stabile convivenza con il nuovo partner nell’ambito della quale non siano presenti figli comuni. In tal caso la irreversibile estinzione del dovere di corrispondere l’assegno divorzile – pur condivisibile in linea di principio – dovrebbe essere giustificata sulla base di argomentazioni in parte differenti e dotate, nell’attuale contesto normativo, di una minore solidità. Infatti, le profonde trasformazioni del sistema giuridico che, rendendo unica la condizione del figlio, hanno inciso sulla valenza giuridica del concetto di famiglia non matrimoniale, sembrano assumere rilievo limitatamente alle situazioni caratterizzate dalla presenza di figli comuni. Come osservato, ove essi siano presenti, l’ordinamento crea tra i genitori una coesione minima inderogabile dalla quale scaturisce una trama di rapporti esclusivamente determinata dalla comune genitorialità e funzionale all’esigenza di garantire la massima coesione del nucleo familiare nell’interesse dei figli.

Nelle fattispecie in cui non siano presenti figli comuni della coppia, invece, non si riscontra quell’elemento di coesione tra i partners determinato dalla comune genitorialità. In queste ipotesi, pertanto, la presenza di relazioni familiari giuridicamente rilevanti deve essere valutata sulla base della tradizionale distinzione tra famiglia fondata sul matrimonio e cosiddetta famiglia di fatto, caratterizzata da un legame tra i conviventi che presenta i caratteri della stabilità, continuità e regolarità alle quali il «diritto vivente» ha attribuito rilievo al fine di riconoscere specifiche tutele. In questa prospettiva sembra senz’altro opportuno sottolineare come l’esigenza di attribuire rilievo nel nostro ordinamento alla famiglia di fatto come formazione sociale familiare fondata sulla convivenza – tradizionalmente assecondata muovendo del disposto dell’art. 2 Cost. (Morrone, infra, sez. III; Perlingieri; Gazzoni; Ferrando,Il matrimonio, tutti infra, sez. IV) ed emersa in norme presenti in contesti differenziati (Balestra, L’evoluzione del diritto di famiglia, infra, sez. IV) – sia stata ulteriormente evidenziata in tempi relativamente recenti dalla Corte costituzionale (Corte cost., 15.4.2010, n. 138, infra, sez. III) e dalla Cassazione (Cass., 15.3.2012, n. 4184, infra, sez. III), anche valorizzando le norme sovranazionali che possono considerarsi parte integrante del sistema giuridico interno. Così appare verosimile immaginare che – in linea con una tendenza già sviluppata in altri ordinamenti (Bonini Baraldi, infra, sez. IV) – il legislatore interverrà a disciplinare in modo organico la tutela della convivenza di fatto, portando a compimento un disegno di politica del diritto – ora frammentario – che emerge laddove si riconosce al convivente superstite il diritto alla successione nel contratto di locazione di un immobile adibito ad uso di abitazione ( Corte cost.,7.4.1988, n. 404, infra, sez. III), al risarcimento del danno subito a seguito dell’uccisione del partner (Cass., 28.3.1994, n. 2988; Cass.,16.6.2014, n. 13654;Cass., 21.3.2013, n. 7128, tutte infra, sez. III; Balestra, Rapporti di convivenza) e la tutela possessoria in caso di repentina rottura dell’unione con il partner proprietario della casa in cui la convivenza si era svolta ( Cass.,2.1.2014, n. 7, infra, sez. III; Riccio; Gabbanelli, entrambi infra, sez. IV).

Queste osservazioni sembrano confermate dall’analisi dei progetti di legge più recenti (sullo schema di testo unificato proposto alla Commissione Giustizia del Senato il 24 giugno 2014, «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», v. Oberto, infra, sez. IV), ove sono previsti a favore di coloro che abbiano dato vita ad un’unione non matrimoniale fondata su una convivenza protratta per un ragionevole lasso temporale significativi diritti nei rapporti esterni come, ad esempio, quelli relativi all’assistenza in caso di malattia e ricovero, all’assunzione di decisioni relative alla salute del partner o conseguenti al suo decesso, alla successione nel contratto di locazione, all’inserimento nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, all’assistenza «sanitaria e penitenziaria». Peraltro si riscontrano anche significative forme di tutela nell’ambito dei rapporti interni alla coppia e, segnatamente, l’estensione dei diritti riconosciuti al coniuge in veste di collaboratore dell’impresa familiare e la previsione di un obbligo alimentare per le ipotesi nelle quali uno dei conviventi versi nelle condizioni previste dall’art. 438, comma 1°, cod. civ.; obbligo, quest’ultimo, che persiste anche successivamente alla cessazione della convivenza, per un periodo determinato in proporzione alla durata della stessa.

In definitiva, la pronuncia in commento, ricollegando all’instaurazione di una convivenza stabile l’effetto di estinguere il diritto dell’ex coniuge divorziato alla percezione dell’assegno divorzile appare coerente rispetto ad un disegno complessivo, nel quale la giurisprudenza, verosimilmente anticipando il legislatore, attribuisce gradualmente rilievo alla famiglia non fondata sul matrimonio, sia in termini «positivi», riconoscendo al convivente specifiche tutele, sia in termini «negativi», ossia ricollegando alla convivenza la perdita di diritti scaturenti da un precedente vincolo coniugale andato in crisi.

Da ultimo occorre precisare che le osservazioni svolte con riferimento ai riflessi che l’instaurazione di una nuova convivenza può determinare sull’assegno divorzile non sembrano poter essere ripetute nelle ipotesi in cui la convivenza sia instaurata da un coniuge separato titolare di assegno di mantenimento. La separazione, infatti, determina un allentamento del vincolo matrimoniale, che tuttavia persiste e quindi la permanenza di uno status di coniuge che è persino suscettibile di riacquistare una rilevanza piena a seguito di una eventuale riconciliazione. In quest’ultima ipotesi potrebbe addirittura risorgere l’obbligo di contribuzione ex art. 143 cod. civ, e, in caso di una successiva crisi dei coniugi già riconciliati, potrebbero ancora ricorrere i presupposti per l’attribuzione di un assegno di mantenimento ex art. 156 cod. civ. In altri termini l’instaurazione di una convivenza more uxorio da parte di un soggetto che, in quanto separato, conservi ancora un significativo legame con l’altro coniuge può sicuramente legittimare la limitazione o l’esclusione dei doveri di mantenimento scaturenti dall’art. 156 cod. civ. Al tempo stesso la persistenza del vincolo coniugale dovrebbe consentire di attribuire alla limitazione o all’esclusione dei doveri di mantenimento gravanti sul coniuge i caratteri della provvisorietà e reversibilità in ragione dei quali appare possibile ritenere che il diritto al mantenimento della parte economicamente debole si trovi in una situazione di quiescenza e possa ripristinarsi in caso di rottura della nuova convivenza o di riconciliazione con il coniuge separato. Questa soluzione sembra dover essere confermata persino nell’ipotesi in cui il coniuge separato beneficiario dell’assegno di mantenimento dia vita ad una famiglia non fondata sul matrimonio e caratterizzata dalla presenza di figli comuni con il nuovo partner. Anche in questa ipotesi, infatti, resterebbe sempre possibile l’eventualità di una riconciliazione con il coniuge e di una ricomposizione della piena unità del primo nucleo familiare fondato sul matrimonio. In altri termini quella nuova assunzione di responsabilità manifestata mediante la formazione di una nuova famiglia coesisterebbe in quest’ipotesi con la perdurante sussistenza di una famiglia fondata sul matrimonio che, dopo un periodo di crisi formalizzato attraverso la separazione personale, eventualmente recuperi la sua piena coesione.

5. Limitazione delle perduranti posizioni di interdipendenza economica tra ex coniugi e prospettive de iure condendo. Il problema della limitazione ed esclusione di contributi economici forniti dall’ex coniuge divorziato in caso di formazione da parte del beneficiario di una nuova famiglia non fondata sul matrimonio sembra dover essere osservato nella prospettiva più ampia della persistenza di vincoli di solidarietà economica tra gli ex coniugi. Sotto questo profilo l’analisi comparatistica testimonia che nella maggior parte degli ordinamenti europei e di common law si è ormai affermato il principio secondo cui appare preferibile, ove possibile, limitare la presenza di posizioni di interdipendenza tra gli ex coniugi (Al Mureden, Il parametro del tenore di vita coniugale nel «diritto vivente», infra, sez. IV). La predisposizione di efficaci strumenti funzionali a conseguire questo obiettivo consentono, in effetti, di risolvere in radice molti dei problemi descritti con riferimento all’ipotesi in cui l’ex coniuge economicamente debole e dipendente dall’altro insaturi una nuova convivenza. In quest’ottica vengono in considerazione anzitutto l’introduzione di forme di mantenimento con funzione riabilitativa e soggette a rigorosi limiti temporali; quindi gli strumenti di definizione una tantum delle conseguenze del divorzio, che consentono di eliminare in radice i problemi connessi alla sussistenza di obblighi di mantenimento periodici; infine la crescente attribuzione di rilievo alla formazione di nuclei familiari non fondati sul matrimonio come limite alla persistenza di obblighi di mantenimento scaturenti dalla dissoluzione di una precedente unione matrimoniale.

Così, in molti paesi dell’Unione europea si sta affermando il cosiddetto principio dell’autoresponsabilità (Patti, I rapporti patrimoniali tra coniugi, 229; Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio, 22; Blumberg, 398; Katz, 87, tutti, infra, sez. IV), che conduce a prevedere una tutela assistenziale-riabilitativa e tendenzialmente limitata nel tempo per il coniuge reduce da un matrimonio di breve durata, ancora in giovane età e non gravato dall’impegno richiesto per l’accudimento dei figli (Cubeddu, Solidarietà e autoresponsabilità; Al Mureden,Nuove prospettive di tutela del coniuge debole, 108 ss., entrambi infra, sez. IV). Questa scelta del legislatore non di rado si accompagna a norme che impongono una definizione una tantum delle conseguenze economiche del divorzio. Nei sistemi di common law, ad esempio, l’adesione alla c.d. clean break theory (Blumberg, 393 ss.; Katz, 87) consente di risolvere il problema dei riflessi patrimoniali del divorzio mediante l’attribuzione di una somma una tantum (lump sum) o l’assegnazione al coniuge economicamente debole di uno o più beni appartenenti all’altro, limitando ad ipotesi residuali il pagamento di somme periodiche a titolo di mantenimento. Tale impostazione è indubbiamente funzionale all’esigenza di consentire ai coniugi di definire una volta per tutte i rapporti patrimoniali conseguenti al divorzio e lasciarsi alle spalle la passata esperienza per ricominciare una nuova vita (Al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole). Del resto, anche in ordinamenti di civil law maggiormente affini al nostro, sono stati introdotti in tempi relativamente recenti strumenti idonei a conciliare l’esigenza di mantenimento del coniuge economicamente con quella di evitare il protrarsi di posizioni di interdipendenza economica successivamente al divorzio. Così, ad esempio, nell’ordinamento francese, la corresponsione della prestation compensatoire deve essere effettuata, ove possibile, mediante l’attribuzione una tantum di una somma di denaro o di un bene immobile (art. 270 code civil) e, solo in caso di mancanza di risorse sufficienti in capo al coniuge economicamente forte, può essere assolta mediante pagamenti periodici (art. 275 code civil).

Per quanto riguarda l’attribuzione di rilievo alle relazioni familiari non basate sul matrimonio riveste sicuro interesse la soluzione recepita nel nuovo art. 101 del codice civile spagnolo che, oltre al passaggio a nuove nozze, annovera tra le cause di estinzione del diritto a percepire l’assegno divorzile anche la formazione di una famiglia non fondata sul matrimonio.

Indubbiamente – anche alla luce delle recenti riforme che hanno condotto all’introduzione della c.d. negoziazione assistita (d.l. n. 132/2014, poi convertito con modifiche dalla l. n. 162/2014) e del «divorzio breve» (l. n. 55/2015) – sarebbe auspicabile un intervento del legislatore che – allineandosi a soluzioni già praticate in altri ordinamenti – risulti funzionale ad adeguare la disciplina delle conseguenze economiche della rottura del matrimonio alle esigenze determinate dalla crescente diffusione di nuovi modelli di famiglia articolati e complessi determinati dalla sovrapposizione nel tempo di diversi nuclei familiari che fanno capo all’unico soggetto economicamente forte.

Per quanto concerne l’introduzione di strumenti di definizione una tantum dei rapporti economici tra ex coniugi divorziati e la previsione di un mantenimento dell’ex coniuge circoscritto entro ragionevoli limiti temporali l’intervento del legislatore appare l’unica soluzione percorribile, stante l’assenza di elementi positivi sulla base dei quali operare una rilettura interpretativa del sistema. Diversamente, la possibilità di individuare nell’autoresponsabilità del coniuge economicamente debole e, in particolare, nella scelta di quest’ultimo di dare vita ad nuova famiglia elementi capaci di eliminare posizioni di interdipendenza scaturenti dal precedente matrimonio costituisce un obiettivo che – oltre a poter essere attuato dal legislatore in una prospettiva de iure condendo – sembra possibile conseguire, allo stato attuale, anche in via interpretativa.

Anche sotto questo profilo, quindi, la decisione che si commenta può essere osservata come un apprezzabile tassello di un disegno teso alla limitazione di perduranti posizioni di dipendenza economica tra ex coniugi ed alla valorizzazione del principio dell’autoresponsabilità.

L’affermarsi di questo orientamento, inoltre, potrebbe rappresentare un incentivo alla soluzione negoziale una tantum delle conseguenze economiche del divorzio. La prospettiva di poter incorrere in una perdita irreversibile dell’assegno divorzile a seguito della instaurazione di una nuova convivenza, infatti, dovrebbe condurre a valutare con maggior favore l’eventualità di una definizione concordata delle conseguenze economiche del divorzio che consenta di chiudere in una unica soluzione la questione del mantenimento della parte debole.

III. I precedenti

1. Il nuovo orientamento della Cassazione. Premesse. L’orientamento secondo cui la previsione contenuta nell’art. 5, comma 10°, l. div., che ricollega il definitivo ed irreversibile venir meno del diritto a percepire l’assegno divorzile non può essere estesa all’ipotesi della instaurazione di una nuova convivenza da parte del beneficiario dell’assegno stesso è stato espresso da Cass., 17.10.1989, n. 4158, in Giur. it., 1990, I, 1, 587; Cass., 22.4.1993, n. 4761, ivi, 1994, I, 1, 1832; Cass.,5.6.1997, n. 5024, in Dir. fam. e pers., 1997, 305; Cass., 4.4.1998, n. 3503, ivi, 1998, 333.

2. La «famiglia di fatto» dopo la riforma della filiazione.Sull’insaturazione di una nuova convivenza da parte dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile e sui caratteri che essa deve rivestire per poter assumere rilievo ai fini della riduzione o eliminazione dell’assegno di mantenimento o dell’assegno divorzile, v. Cass., 8.8.2003, n. 11975, in Giur. it., 2004, 1601; Cass., 11.8.2011, n. 17195, in Fam. e dir., 2011, 27, con nota di Figone, La convivenza more uxorio può escludere l’assegno divorzile; in Guida al dir., 2011, fasc. 44, 63, con nota di Vaccaro, Il coniuge divorziato perde il mantenimento se instaura una convivenza stabile con un altro. In senso conforme si sono espresse anche Cass., 18.11.2013, n. 25845, inDir. e giust., 2013 e Cass., 12.3.2012, n. 3923, in Giust. civ., 2013, 2197. Nella giurisprudenza di merito Trib. Bari, 25.9.2012, in Dir. fam. e pers., 2013, 549. I profili di irragionevolezza riscontrabili nella persistenza del diritto al mantenimento in capo al coniuge o all’ex coniuge che abbia formato una nuova famiglia emergono in particolare nella motivazione di Trib. Lamezia Terme, 1°.12.2011, ivi, 2012, 797, che ha disposto la riduzione dell’assegno divorzile dovuto all’ex coniuge economicamente debole sottolineando che nel caso in cui quest’ultimo abbia instaurato una nuova convivenza more uxorio nell’ambito della quale sia nata prole, la persistenza di diritti economici scaturenti dal precedente matrimonio condurrebbe «alla paradossale, inopportuna, illegittima conclusione che il coniuge tenuto all’assegno debba contribuire al mantenimento del figlio (o dei figli) nato dalla relazione concubinaria del coniuge separato». Il problema della instabilità coniugale e della complessità dei rapporti che si formano a seguito della ricomposizione di nuclei familiari nuovi successivamente al divorzio emerge in Cass., 19.3.2014, n. 6289, in Fam. e dir., 2015, 471, con nota di Buzzelli, Assegno di divorzio e nuova famiglia dell’obbligato: spunti per una rimeditazione del problema dell’attribuzione e della determinazione dell’assegno divorzile.

3. Solidarietà post-coniugale e famiglie che si sovrappongono nel tempo.La necessità di dimostrare che l’ex coniuge titolare dell’assegno post-matrimoniale tragga dalla nuova connivenza un beneficio economico che giustifichi la riduzione o la sospensione dell’assegno stesso è stata evidenziata, tra le altre, nella decisione emessa da Trib. Roma, 22.4.2011, inGiur. merito, 2013, 2106, con nota di Serrao. Sul problema della persistente adeguatezza del parametro del tenore di vita coniugale al fine di determinare la spettanza e la misura dell’assegno divorzile si veda la questione di legittimità costituzionale sollevata da Trib. Firenze, 22.5.2013, in Fam. e dir., 2014, 687, con nota di Al Mureden, Il parametro del tenore di vita coniugale nel «diritto vivente» in materia di assegno divorzile tra persistente validità, dubbi di legittimità costituzionale ed esigenze di revisione e di Morrone, Una questione di ragionevolezza: l’assegno divorzile e il criterio del «medesimo tenore di vita». La questione è stata ritenuta infondata da Corte cost., 11.2.2015, n. 11, in Fam. e dir., 2015, 537, con nota di Al Mureden, Assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e principio di autoresponsabilità.

4. Formazione di una nuova famiglia, «quiescenza» dell’assegno di mantenimento ed estinzione definitiva dell’assegno divorzile?L’assunto secondo cui la formazione di un nucleo fondato sulla stabile convivenza determina la quiescenza dell’assegno divorzile è stato espresso in Cass.,18.11.2013, n. 25845;Cass., 12.3.2012, n. 3923; Cass., 11.8.2011, n. 17195. Nella giurisprudenza di merito Trib. Bari, 25.9.2012, tutte citt.

L’opportunità di attribuire rilevo sotto profili particolari alla instaurazione di relazioni familiari non fondate sul matrimonio è stata sottolineata da Corte cost., 15.4.2010, n. 138, inGiur. cost., 2010, 1604, con nota di Romboli, Il diritto «consentito» al matrimonio ed il diritto «garantito» alla vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la Corte dice «troppo» e «troppo poco» e da Cass., 15.3.2012, n. 4184, in questa Rivista, 2012, I, 615 ss., con nota di Fiorato e Ferrari, Lo status giuridico delle coppie omosessuali. Il diritto alla vita familiare in due recenti pronunce; in Giur. it., 2012, 1767, con nota di Calevi, Unioni same-sex dall’inesistenza all’inidoneità a produrre effetti giuridici.

Sul riconoscimento al convivente superstite del diritto alla successione nel contratto di locazione di un immobile adibito ad uso di abitazione (Corte cost., 7.4.1988, n. 404, in Foro it., 1988, I, 2515, con nota di Piombo). Sul risarcimento del danno subito a seguito dell’uccisione del partner v. la risalente pronuncia Cass., 28.3.1994, n. 2988, in Giur. it., 1995, I, 1, 1366; da ultimo, Cass.,16.6.2014, n. 13654, in Foro it., 2014, I, 2055; Cass., 21.3.2013, n. 7128, in Guida al dir., 2013, fasc. 17, 71; sulla tutela possessoria attribuita al convivente in caso di repentina rottura dell’unione con il partner proprietario della casa in cui la convivenza si era svolta, Cass.,2.1.2014, n. 7, in Fam. e dir., 2014, con nota di Riccio, Azione di spoglio a favore del familiare convivente contro il terzo; Cass.,21.3.2013, n. 7214, ivi, 2013, 649, con nota di Gabbanelli, Il convivente «more uxorio» non è paragonabile a un mero ospite e in caso di estromissione violenta dall’abitazione è legittimato a esercitare le azioni a tutela del possesso.

5. Limitazione delle perduranti posizioni di interdipendenza economica tra ex coniugi e prospettive de iure condendo.

IV. La dottrina

1. Il nuovo orientamento della Cassazione. Premesse.Sull’estinzione dell’assegno divorzile a seguito del passaggio a nuove nozze Bonilini, L’assegno post-matrimoniale, Lo scioglimento del matrimonio, nel Commentario Schlesinger, Giuffrè, 2010, 699; Totaro, Gli effetti del divorzio, nel Trattato dir. fam., diretto da Zatti, I, 2, Famiglia e matrimonio, a cura di Ferrando, Fortino e Ruscello, Giuffrè, 2011, 1660.

2. La «famiglia di fatto» dopo la riforma della filiazione. La soluzione della definitiva estinzione dell’assegno divorzile in caso di instaurazione di una nuova convivenza da parte dell’ex coniuge beneficiario – adottata dalla decisione che si annota – è stata considerata condivisibile da Ferrando, «Famiglia di fatto» e assegno di divorzio: il nuovo indirizzo della Corte di Cassazione, in Fam. e dir., 2015, 687.

Per quanto concerne l’individuazione dei presupposti al ricorrere dei quali l’instaurazione di una convivenza more uxorio possa assumere rilievo al fine della ridefinizione dei rapporti economici tra i coniugi separati o tra gli ex coniugi divorziati, cfr. Balestra, Rapporti di convivenza, nel Codice della famiglia, a cura di Sesta, Giuffrè, 2015, 2639; Bonilini, op. cit., 733; Totaro, op. cit., 1660.

Sulle modificazioni introdotte nell’ordinamento dalla l. n. 219/2012 e dal d. legis. n. 154/2013, v. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, inFam. e dir., 2013, 233; Id., Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, 5. Con specifico riferimento ai profili inerenti la responsabilità genitoriale Al Mureden,La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e pluralità di modelli familiari, in Fam. e dir., 2014, 466; Id., nel Codice della famiglia, a cura di Sesta, Giuffrè, 2015, subart. 316 cod. civ., spec. 1168. Sulla opportunità di una revisione del concetto di famiglia di fatto, Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, cit., 7; Id., Manuale di diritto di famiglia, Cedam, 2015, 203, ove si osserva che nei nuclei familiari non fondati sul matrimonio nei quali sono presenti figli comuni della coppia l’espressione famiglia di fatto può essere riferita al solo rapporto tra i genitori, ma non estesa a quelli che intercorrono tra genitori e figli.

3. Solidarietà post-coniugale e famiglie che si sovrappongono nel tempo. Sulle trame di rapporti determinate dalla sovrapposizione nel tempo di nuclei familiari che facciano capo ad un unico soggetto Al Mureden, Il «diritto a formare una seconda famiglia» tra doveri di solidarietà post-coniugale e principio di «autoresponsabilità», in Fam e dir., 2014, 1043.

4. Formazione di una nuova famiglia, «quiescenza» dell’assegno di mantenimento ed estinzione definitiva dell’assegno divorzile?Sul problema della «quiescenza» dell’obbligo di mantenimento gravante sul coniuge separato o sull’ex coniuge divorziato determinata dalla instaurazione di una nuova convivenza da parte del beneficiario Al Mureden, Il «diritto a formare una seconda famiglia», cit., 1043.

Sulla convivenza fuori dal matrimonio e sulla tutela ad esso accordata dal nostro ordinamento alla famiglia di fatto come formazione sociale familiare fondata sulla convivenza Gazzoni,Dal concubinato alla famiglia di fatto, Giuffrè, 1983, 69; Balestra, L’evoluzione del diritto di famiglia le molteplici realtà affettive, nel Trattato dir. priv., diretto da Bessone, IV, I,Famiglia e matrimonio, a cura di Auletta, Giappichelli, 2010, 13; Id., Convivenza «more uxorio» e autonomia contrattuale, in Giust, civ., 2014, 134; Id., Rapporti di convivenza, cit., 2639; Prosperi, La famiglia non fondata sul matrimonio, Esi, 1980, 84; Perlingieri, La famiglia senza matrimonio tra l’irrilevanza giuridica e l’equiparazione alla famiglia legittima, inRass. dir. civ., 1988, 601; Romeo, Famiglia legittima e unioni non coniugali, in Le relazioni affettive non matrimoniali, a cura di Id., Giappichelli, 2014, 3; Porcelli, La rottura della convivenza di fatto, nel Trattato dir. fam., diretto da Zatti, I, 2, Famiglia e matrimonio, a cura di Ferrando-Fortino-Ruscello, Giuffrè, 2011, 1967 (con aggiornamento a cura diRuscello); Ferrando, Il matrimonio, nel Trattato Cicu-Messineo, V, 1, Giuffrè, 2015, 225. Per una esaustiva analisi comparatistica delle soluzioni adottate in altri ordinamenti Bonini Baraldi, Le nuove convivenze tra discipline straniere e diritto interno, Ipsoa, 2006.

Sulla tutela possessoria attribuita al convivente in caso di repentina rottura dell’unione con il partner proprietario della casa in cui la convivenza si era svolta, Riccio, Azione di spoglio, cit.; Gabbanelli, Il convivente «more uxorio», cit., 649.

Per una approfondita analisi dei progetti di legge più recenti Oberto, I contratti di convivenza dei progetti di legge (ovvero sull’imprescindibilità di un raffronto tra contratti di convivenza contratti prematrimoniali), in Fam. e dir., 2015, 165.

5. Limitazione delle perduranti posizioni di interdipendenza economica tra ex coniugi e prospettive de iure condendo. Sulla necessità di limitare la presenza di vincoli di solidarietà economica tra gli ex coniugi e la predisposizione di efficaci strumenti che consentano di conseguire questo obiettivo Patti, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Modelli europei a confronto, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, II, Zanichelli, 2008, 229; Id., Obbligo di mantenere e obbligo di lavorare, in Cubeddu-Patti, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Giuffrè, 2008, 309; Ferrando, Le conseguenze patrimoniali del divorzio tra autonomia e tutela, in Dir. fam. e pers., 1998, 728; Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, in Familia, 2008, 22; Blumberg, The Financial Incidents of Family Dissolution, in Aa.Vv.,Cross Currents, Family Law and Policy in the United States and England, a cura di Katz, Eekelaar e Maclean, Oxford University Press, 2000, 398; Katz, Family Law in America, Oxford University Press, 2003, 87.

Professore Associato di Diritto privato a tempo pieno nell'Università di Bologna. Ha conseguito in data 24 dicembre 2013 l'Abilitazione Scientifica Nazionale per il ruolo di Professore di prima fascia nel settore scientifico 12/A1 (Diritto privato). È docente di Diritto privato, Diritto di famiglia e Diritto dei contratti nella Scuola di Giurisprudenza del Dipartimento di Scienze giuridiche dell'Università di Bologna. Dal 1 marzo 2006 al 14 aprile 2011 è stato in servizio come ricercatore a tempo pieno nella Facoltà di Giurisprudenza di Bologna, sede di Ravenna. Dottore di ricerca in Diritto civile (voto finale “eccellente”), discutendo la tesi dal titolo “Crisi coniugale e riflessi sul regime patrimoniale. La tutela del coniuge debole tra legge e autonomia privata”. Il 20 novembre 2000 ha conseguito il titolo di avvocato. Il 23 novembre 1995 ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza, con lode, nell’Università di Bologna. Ha pubblicato tre monografie (Le sopravvenienze contrattuali tra lacune normative e ricostruzioni degli interpreti, Padova, 2004; Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007; Principio di precauzione, tutela della salute e responsabilità civile, Bologna, 2008) ed altri 60 lavori scientifici principalmente in tema di diritto patrimoniale della famiglia, diritto dei contratti e responsabilità civile. È membro del Comitato scientifico della Rivista Famiglia e Diritto. Ha tenuto in qualità di Visiting Professor un ciclo di lezioni in materia di Contract Law nell’ambito del LLM Master of European and International Law presso la China-EU School of Law (CESL), Beijing (China) negli a.a. 2011- 2012 e 2012-2013. Ha svolto periodi di studio all’estero presso la School of Law della Yale University (Connetticut - USA) (2011) e la University of Kent di Canterbury (2001, 2002, 2004). Tiene corsi di Diritto di famiglia nella Scuola di specializzazione per le professioni legali “E. Redenti” dell'Università di Bologna.

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