Uso del cellulare e danni alla salute: la responsabilità del produttore tra dannosità “tollerabile”, principio di precauzione e nuovi obblighi informativi

Al Mureden Enrico, Uso del cellulare e danni alla salute: la responsabilità del produttore tra dannosità “tollerabile”, principio di precauzione e nuovi obblighi informativi, in Corriere Giur., 2013, 3, 327

Cass. civ. Sez. lavoro Sentenza, 12 ottobre 2012, n. 17438 – Assicurazione – Malattia professionale

Uso del cellulare e danni alla salute: la responsabilità del produttore tra dannosità “tollerabile”, principio di precauzione e nuovi obblighi informativi

Sommario: I rischi da elettrosmog tra principio di precauzione e sicurezza “ragionevole” – I danni da uso intensivo del cellulare ed il riconoscimento della rendita per malattia professionale non tabellata – La responsabilità del produttore di telefoni cellulari. Premesse – Prospettive e limiti nel diritto statunitense… – . …e nel diritto italiano – I limiti della responsabilità del produttore e la disciplina delle attività pericolose come strumento per superarli- I danni da uso del cellulare e l’inopportunità dell’applicazione all’art. 2050 c.c. – La responsabilità del produttore di telefoni cellulari per i difetti di informazione – L’autoresponsabilità dell’utilizzatore – Osservazioni conclusive

I rischi da elettrosmog tra principio di precauzione e sicurezza “ragionevole”

La diffusione crescente degli strumenti di comunicazione il cui funzionamento presuppone l’emissione di onde elettromagnetiche sta ponendo, sotto diversi profili, il problema di contenere i possibili danni alla salute delle persone soggette ad esposizioni prolungate.

L’analisi del quadro normativo e giurisprudenziale formatosi nel nostro ordinamento fa emergere indicazioni non sempre univoche. Da un lato, con la l. n. 36/2001 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) il legislatore ha regolato il problema dell’esposizione ai campi elettromagnetici emessi dagli impianti fissi ispirandosi al principio di precauzione (1) ed introducendo soglie di attenzione che sono state giudicate particolarmente “protettive” della salute delle persone (2).

L’opportunità di adottare un approccio ispirato al principio di precauzione volto a valorizzare l’esigenza di tutelare la salute delle persone anche a fronte di rischi non ancora definitivamente accertati è stata ulteriormente ribadita a seguito della pubblicazione, nel maggio 2011, dei dati epidemiologici emersi da studi condotti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per mezzo della International Agency for Research on Cancer (IARC) che hanno confermato come l’utilizzo prolungato del telefono cellulare costituisce un significativo fattore di rischio di contrarre gravi patologie ed hanno indotto a classificare quest’esposizione nella categoria dei cosiddetti “cancerogeni possibili” (2B) (3). Sempre in questo senso un’importante Risoluzione del Consiglio d’Europa del 27 maggio 2011, ha reso esplicito l’invito a tutti i Paesi Membri a “fissare i limiti cautelativi di esposizione alle microonde per lungo termine in tutti gli ambienti indoor, in accordo con il principio di precauzione”.

Peraltro l’obiettivo di garantire un elevato livello di protezione della salute dei lavoratori sotteso alla direttiva 2004/40/CE ha incontrato resistenze e difficoltà di attuazione così diffuse e consistenti da indurre dapprima ad una proroga dell’attuazione della disciplina e, in seguito, ad un suo ripensamento funzionale ad assecondare le istanze avanzate dagli operatori di settori come quello militare, automobilistico e sanitario (4).

Il problema di proteggere la salute delle persone rispetto ai rischi che possono derivare dall’esposizione ai campi elettromagnetici si è posto anche nella particolare prospettiva della compensazione economica di quanti lamentino di avere subito un danno alla salute in conseguenza dell’uso del telefono cellulare. In questo contesto si inquadrano l’importante decisione della Corte d’appello di Brescia (5) che, nel 2010, condannò l’Inail a corrispondere una rendita per malattia professionale al dipendente di una società che, a seguito di un intenso uso del telefono cellulare e del telefono cordless, aveva contratto una grave patologia e la recente decisione della S.C. che la ha integralmente confermata (6).

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I danni da uso intensivo del cellulare ed il riconoscimento della rendita per malattia professionale non tabellata

La condanna dell’INAIL alla corresponsione della rendita professionale è stata giustificata sia nella sentenza di merito che in quella di legittimità sulla base dell’individuazione di un nesso di concausa (7) tra l’esposizione alle radiazioni emesse dai telefoni utilizzati per svolgere l’attività lavorativa e l’insorgere della patologia (8). In particolare la C.T.U. ha rilevato che per un periodo di 12 anni il dipendente dell’impresa aveva utilizzato il telefonocordless ed il telefono cellulare per 5-6 ore al giorno al fine di svolgere la sua attività all’interno della società in cui lavorava; che questi apparecchi irradiavano quasi sempre il lato sinistro del viso perché la mano destra veniva impegnata per prendere appunti; che proprio su questo punto del corpo si era sviluppata la patologia degenerativa; e, infine, che studi epidemiologici hanno dimostrato l’esistenza di un nesso causale tra l’esposizione alle onde elettromagnetiche emesse dai telefoni cellulari e l’insorgere della patologia lamentata dal danneggiato. Il dato secondo cui gli studi epidemiologici più accreditati individuano nell’esposizione protratta per oltre dieci anni un rischio sicuramente significativo ha indotto la Corte d’appello a ravvisare, anche sul piano individuale (9), la c.d. causalità debole, rilevante ai fini dell’attribuzione delle prestazioni previdenziali.

Nella motivazione della pronuncia della Cassazione in commento riveste particolare interesse, in termini generali, l’enfasi con la quale vengono messe in risalto le conclusioni a cui sono pervenuti gli studi scientifici indipendenti ritenuti maggiormente attendibili e quelle, successive alla decisione di merito, raggiunte nella ricerca epidemiologica condotta dalla IARC. Sotto il primo profilo viene evidenziato un rischio epidemiologico connesso all’esposizione ai campi elettromagnetici emessi dai cellulari che potrebbe risultare di gran lunga superiore rispetto a quello “provocato dalle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki”; con riferimento agli studi condotti dalla IARC viene messa in risalto la necessità di dare applicazione al principio di precauzione e quindi di adottare misure protettive anche in una situazione di incertezza scientifica.

Le indicazioni che emergono dalla pronuncia della SC, del resto, trovano riscontro anche nella posizione assunta dal Consiglio Superiore di Sanità. L’opportunità di adottare un approccio ispirato al principio di precauzione, infatti, è stata esplicitata già a partire dal novembre 2011 affermando che, allo stato delle conoscenze scientifiche, il rapporto di causalità tra l’esposizione a radiofrequenze e l’insorgere di patologie tumorali da un lato non può dirsi ancora definitivamente dimostrato, ma, dall’altro non può nemmeno essere radicalmente escluso. Pertanto, afferma il Consiglio Superiore di Sanità, nella persistente condizione di incertezza scientifica, appare ragionevole adottare il principio di precauzione ed attuare iniziative volte ad informare le persone circa i potenziali rischi connessi all’utilizzo intensivo del telefono cellulare e promuoverne un “utilizzo responsabile”, soprattutto per quanto riguarda i bambini.

Occorre considerare, tuttavia, che alle preoccupazioni che riguardano la salute dei soggetti esposti alle emissioni di onde elettromagnetiche dei telefoni cellulari si contrappongono quelle, manifestate dall’Istituto Superiore di Sanità, che si possa dar luogo ad “un numero ingestibile di ricorsi per il riconoscimento di nessi causali tra insorgenza di tumori (…) in relazione all’uso (non solo professionale) di telefoni mobili e di altre sorgenti di radio-frequenza” (10). Proprio quest’ultimo profilo riveste un interesse particolare in quanto l’individuazione del nesso causale tra utilizzo intensivo del telefono cellulare e l’insorgere di una malattia professionale si riverbererà verosimilmente nel contesto dei rapporti privatistici tra il produttore e coloro che utilizzano il telefono cellulare al di fuori di un rapporto lavorativo rilevante ai fini del conseguimento della tutela previdenziale assicurata dall’Inail (11). In questo scenario si pongono questioni complesse e delicate che impongono di osservare il tema della responsabilità del produttore anche tenendo conto della disciplina sulla sicurezza dei prodotti e delle esigenze di armonizzazione imposte dal legislatore dell’Unione Europea.

La responsabilità del produttore di telefoni cellulari. Premesse

Concentrando l’attenzione sul contesto della responsabilità del produttore si pongono diversi ordini di problemi; problemi che, evidentemente, sono destinati a manifestarsi solo una volta superata la questione preliminare dell’individuazione di un nesso causale tra l’utilizzo del cellulare e l’insorgere di una patologia.

Muovendo, quindi, da una prospettiva che assume come dimostrato tale nesso, occorre considerare che ogniqualvolta sia riscontrabile un nesso di causalità tra l’insorgere di una patologia e l’utilizzo di un prodotto è possibile affermare che esso è dannoso; ciò non significa, tuttavia, che il prodotto possa essere considerato anche difettoso e quindi fonte di responsabilità per il produttore (12).

È infatti assai frequente che, nonostante il rispetto di tutte le regole che la legge prevede per tutelare la salute dei consumatori, possano residuare margini di pericolosità connessi all’utilizzo di un prodotto; margini che, in linea di massima, non assumono rilievo ai fini di una pretesa risarcitoria. I consociati sono costantemente esposti a molteplici fattori di rischio per la salute inevitabilmente connessi all’utilizzo di beni indispensabili, utili o quanto meno “accettati” e diffusi. (13).

Calando queste considerazioni nello specifico contesto dei danni che derivano dall’esposizione prolungata alle onde elettromagnetiche emesse dal telefono cellulare si pone il problema di stabilire se nel momento in cui si giungesse alla sicura individuazione di un nesso di causalità tra esposizione alle radiofrequenze ed i danni alla salute possano delinearsi limiti ulteriori all’affermazione della responsabilità del produttore.

La responsabilità potrebbe risultare esclusa, in primo luogo, dalla previsione secondo cui “lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto” non permetteva di considerare quest’ultimo difettoso [art. 118, lett. e), cod. cons.].

In secondo luogo occorre considerare che la responsabilità del produttore dovrebbe in linea di principio escludersi laddove il prodotto non possa essere considerato difettoso; tale situazione, in effetti, ricorre nel caso in cui il bene risulti conforme alle normative che ne disciplinano la sicurezza e le caratteristiche costruttive.

Il complesso quadro dei limiti alla responsabilità del produttore per i danni che scaturiscono da beni “inevitabilmente dannosi”, poi, deve essere completato tenendo conto anche del profilo della cosiddetta “autoresponsabilità” dell’utilizzatore consapevole e correttamente informato.

Prospettive e limiti nel diritto statunitense…

Il problema della responsabilità del produttore di telefoni cellulari è stato già affrontato dalla giurisprudenza statunitense (14). Fino ad ora, tuttavia, non è mai stata sancita una responsabilità del produttore in quanto l’effettiva capacità dei cellulari di causare danni alla salute si è sempre arrestata all’indicazione di mere possibilità, senza raggiungere un grado sufficiente di certezza (15).

In ogni caso, anche qualora fosse dimostrata l’esistenza di un nesso causale tra l’utilizzo del telefono cellulare e l’insorgere di determinate patologie, si andrebbe comunque incontro ad ostacoli “normativi” capaci di escludere la responsabilità del produttore. Il presupposto per configurare una responsabilità del produttore, infatti, è che il prodotto sia difettoso perché unreasonably dangerous (16). Il che significa che nell’ipotesi in cui il produttore dimostri che il prodotto è in linea con le regole previste ai fini della sua immissione in commercio (compliance defense), rispettoso degli standards federali fissati dalle agenzie governative (federal preemption defense (17)e rispondente ai requisiti che coincidono con il c.d. stato dell’arte (state of the art defense (18) non è possibile – in linea di principio – configurare una difettosità, né, quindi, sancire la responsabilità del produttore (19). In definitiva, con specifico riferimento ai danni cagionati dall’utilizzo di telefoni cellulari, si potrebbe affermare che nell’esperienza statunitense la responsabilità del produttore trova un serio limite nelle difficoltà a provare il nesso causale (20) tra esposizione alle radiofrequenze ed insorgenza delle patologie, ma incontra un limite ancor più significativo nel fatto che la responsabilità del produttore si arresta di fronte al rispetto delle norme tecniche in cui è sintetizzato lo stato dell’arte (21).

Queste conclusioni sono ulteriormente confermate dalla decisione Farina v. Nokia (22). In questo caso era stata promossa una class action volta ad accertare la pericolosità del prodotto nelle condizioni di utilizzo normale previste dagli standards elaborati a livello federale dalla Federal Communication Commission’s (FCC). Tali standards, infatti, risultavano meno protettivi di quelli previsti dalla legge della Pennsylvania soprattutto laddove non imponevano l’adozione di accorgimenti necessari (in particolare gli auricolari) a ridurre al minimo il rischio di patologie connesse all’emissione di radiofrequenze né la previsione di avvertenze volte ad incentivare un utilizzo responsabile e sicuro.

La Corte, invero, ha escluso la possibilità di considerare pericoloso il prodotto conforme agli standards di sicurezza adottati a livello federale ed ha precisato che l’Agenzia federale (FCC) è indubbiamente nella migliore posizione per bilanciare le esigenze di tutela della salute con le altre rilevanti esigenze che vengono in considerazione. Gli standards da essa individuati rispondono all’esigenza di conciliare la necessità di protezione della salute con quella di garantire un servizio efficiente e dai costi sostenibili; essi, pertanto, non possono essere messi in discussione (second-guess) né dalla legislazione statale, né, a maggior ragione, da azioni di responsabilità basate su quest’ultima (23).

. …e nel diritto italiano

Anche nel nostro ordinamento l’applicazione della disciplina della responsabilità del produttore introdotta dalla dir. 374/85/CEE, attuata dal d.p.r. 224/1988 e oggi rifluita nel Codice del consumo (artt. 114-127), (24)sembrerebbe condurre a conclusioni simili a quelle descritte con riferimento alla situazione statunitense.

La responsabilità del produttore, infatti, ha un carattere oggettivo e relativo (25): essa si basa sulla difettosità del prodotto; il che presuppone una valutazione sulla sua sicurezza che assume come punto di riferimento lostandard fissato dalle norme generali sulla sicurezza dei prodotti (artt. 102-113 cod. cons.) (26) oppure quello più specifico di volta in volta delineato da normative di settore dettate con riferimento a determinate categorie di prodotti (27). Sia la disciplina sulla sicurezza generale dei prodotti sia le singole legislazioni di settore, poi, attribuiscono particolare rilevanza alle c.d. “norme armonizzate” (28), ossia a quelle regole formulate da organismi privati di “normalizzazione” europei (29) e nazionali che rappresentano una definizione dello “stato dell’arte” nei diversi settori produttivi. Esse, invero, assumono un’importanza determinante e costituiscono il parametro decisivo sulla base del quale valutare la sicurezza del prodotto. La dichiarazione di conformità del produttore o la certificazione di conformità emessa da un ente determinano una presunzione relativa di conformità che lascia al danneggiato solo lo spazio per promuovere un giudizio volto ad ottenere l’accertamento dell’integrale conformità del prodotto agli standards; ma se all’esito del giudizio risulta confermato il pieno rispetto delle norme armonizzate “il prodotto va ritenuto “sicuro”” e, attesa la “piena equiparazione tra prodotto “sicuro” e prodotto “non difettoso””, la responsabilità del produttore va esclusa (30).

In conclusione si può affermare che la normativa sul danno da prodotto pone precisi limiti alla responsabilità del fabbricante, il quale, in linea di principio, non risponde se il prodotto è sicuro, ossia costruito “a regola d’arte”.

Le stesse considerazioni valgono, a maggior ragione, qualora “lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto”, non permetteva di considerarlo difettoso [art. 118 lett. e) cod. cons.] (31).

Semplificando, si potrebbe concludere che la responsabilità per i danni conseguenti all’esposizione a sostanze tossiche o ad emissioni nocive postula l’individuazione di un difetto del prodotto, l’inosservanza di specifici doveri di informazione o il mancato adeguamento a standards di qualità dei beni: occorre, quindi, che si versi in una situazione di dannosità che l’ordinamento mostra di non tollerare. Al di fuori di queste ipotesi – e cioè laddove il prodotto sia rispettoso degli standards individuati alla stregua di scelte di compromesso tra costi e benefici sanciti dalle norme giuridiche e circostanziati da quelle tecniche – il conseguimento di un livello di “sicurezza accettabile” determina, in linea di principio, l’irrilevanza dei danni conseguenti all’uso del prodotto (32).

Una significativa conferma della validità di questa lettura interpretativa si riscontra in un’importante pronuncia in cui la S.C. ha chiarito che a fronte di una patologia riconducibile ai componenti chimici presenti in un cosmetico, non è configurabile alcuna responsabilità se non si consegue la prova della violazione di specifiche norme di sicurezza (l. 11 ottobre 1986 n. 713). In altre parole, se un danno alla salute è generato da componenti che, seppure nocivi, sono presenti in concentrazioni considerate ammissibili dal legislatore non è configurabile una responsabilità del produttore (33).

Anche con riferimento ai telefoni cellulari il legislatore non sembra prevedere regole tali da indicare una responsabilità del produttore che persista nonostante il rispetto di tutti gli standards imposti dalla legislazione sulla sicurezza e nonostante il prodursi di rischi non preventivabili al momento della commercializzazione (34). Dunque, i produttori di telefoni cellulari, una volta rispettati gli standards di conformità del prodotto in base ai requisiti fissati dalla direttiva riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazione (Direttiva 1999/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 1999) nonché le prescrizioni contenute nelle norme armonizzate a cui essa fa rinvio (35), dovrebbero risultare sostanzialmente esenti da responsabilità. In questo modo, salvi i difetti di costruzione che si risolvano nel mal funzionamento del singolo esemplare, si determinerebbe una sostanziale impossibilità di considerare il prodotto difettoso e di sancire una responsabilità del produttore per i danni alla salute che derivano dal suo utilizzo.

I limiti della responsabilità del produttore e la disciplina delle attività pericolose come strumento per superarli

Il raffronto tra lo scenario che caratterizza la responsabilità del produttore e quello che si è delineato in ambito previdenziale (36) testimonia l’importanza delle scelte del legislatore riguardo al contemperamento del diritto alla salute con altri “fattori pertinenti”. Il fatto che la scienza giunga ad individuare un rapporto di causalità probabilistico (o anche certo) tra uso di un prodotto ed insorgere di una patologia, infatti, costituisce un elemento solo necessario, ma non sufficiente per conseguire un risultato sul piano previdenziale o risarcitorio. In altri termini occorre sempre che le norme attraverso cui viene domandato un ristoro del danno alla salute siano concepite in modo da attribuire rilevanza a quel nesso causale. Quindi lo stesso rapporto di causalità accertato nella prospettiva scientifica può condurre ad un esito favorevole per il danneggiato sul piano previdenziale e, al tempo stesso, non assumere alcuna rilevanza nel contesto della responsabilità del produttore.

Il sistema di regole volte a proteggere la salute del lavoratore, in linea di massima, consente di attribuire rilievo ai danni alla salute causati da esposizioni a fattori di rischio anche a prescindere dal fatto che siano stati rispettati gli obblighi legali di volta in volta previsti ed anche qualora la nocività dell’esposizione non fosse nota al momento in cui fu contratta la patologia (37).

Diversamente la disciplina della responsabilità del produttore, così come concepita dal legislatore e costantemente interpretata dalla giurisprudenza, pone limiti assai significativi all'”utilizzabilità” dei nessi causali svelati dalla scienza. L’esimente del rischio da sviluppo impedisce di considerare rilevante il nesso causale scoperto dopo la commercializzazione del prodotto (38). A ciò si deve aggiungere che la necessità di ricavare il carattere difettoso del prodotto dall’assenza di un livello di sicurezza accettabile secondo le regole generali o dai più specifici standards costruttivi imposti dal legislatore (da integrare in entrambi i casi con le indicazioni contenute nelle norme tecniche) rende di fatto impossibile configurare una responsabilità per i danni cagionati da un prodotto costruito “a regola d’arte” e secondo lo “stato dell’arte”.

L’analisi della casistica giurisprudenziale formatasi con riferimento ad altri prodotti, come i farmaci ed i derivati del tabacco, tuttavia, induce ad affermare che la risarcibilità dei danni alla salute cagionati dalle sostanze tossiche contenute nelle quantità ammesse dalla legge risulti possibile a condizione che la responsabilità di chi produce questi beni sia ricondotta all’esercizio di attività pericolosa (art. 2050 c.c.). Solo in questo caso la dimostrazione di un nesso causale tra esposizione tossica e patologia potrebbe “incanalarsi” in una disciplina della responsabilità capace di conseguire risultati risarcitori. Con riferimento ai danni del cellulare, tuttavia, questa eventualità sembra da escludere per diversi ordini di ragioni.

I danni da uso del cellulare e l’inopportunità dell’applicazione all’art. 2050 c.c.

Come anticipato, l’applicazione del regime di responsabilità previsto dall’art. 2050 c.c. (39) consente di considerare il rispetto degli standards sanciti dalle legislazioni di settore e dalle norme tecniche armonizzate alla stregua di un requisito minimo di sicurezza il cui rispetto non esclude la responsabilità del produttore. Questo orientamento ha trovato conferma con riferimento alla produzione di farmaci (40), bombole a gas (41), più di recente, dei prodotti derivati dal tabacco (42) e, indubbiamente, potrebbe espandersi fino a ricomprendere anche la produzione e la commercializzazione di telefoni cellulari.

La giurisprudenza, infatti, individua il novero delle attività pericolose facendo ricorso ad un criterio “scientifico-statistico” (43). Così, come precisa la S.C., l’art. 2050 c.c., deve trovare applicazione con riferimento alle attività “potenzialmente dannose per l’alta percentuale di danni che possono provocare”, in ragione della loro natura o per il tipo di mezzi adoperati (44). A ben vedere, adottando il criterio appena enunciato, si potrebbe immaginare che anche la produzione e commercializzazione di telefoni cellulari possa rientrare tra le attività soggette all’applicazione dell’art. 2050 c.c. nel caso in cui ricerche epidemiologiche ampiamente condivise dimostrassero un’elevata incidenza di danni alla salute provocati dall’uso del cellulare.

Occorre considerare, peraltro, che l’inopportunità di sancire la responsabilità del produttore dando applicazione all’art. 2050 c.c. è stata affermata sotto diversi profili.

Anzitutto il criterio “scientifico-statistico”, poc’anzi illustrato, non sembra confermato con una continuità sufficiente per poter essere considerato affidabile. Dall’analisi della casistica giurisprudenziale, infatti, emerge l’impressione che l’art. 2050 c.c. sia applicato in funzione di un’idea di pericolo che si basa più su una percezione sociale ed empirica (45) che non su dati scientifici (46). Il che rende estremamente difficile individuare criteri sufficientemente precisi sulla base dei quali individuare ex ante le attività che rientrano nel novero di quelle soggette all’applicazione dell’art. 2050 c.c.

Invero, con particolare riferimento al contesto della responsabilità del produttore, emerge un’obiezione ancor più rilevante. L’applicazione dell’art. 2050 c.c., in luogo della disciplina della responsabilità del produttore (114-127 cod. cons.), infatti, si pone in contrasto con il principio dell’armonizzazione che dovrebbe governare la materia regolata dalla dir. 374/85/CEE. Infatti, secondo l’opinione che appare preferibile e che ha ricevuto l’avallo di importanti decisioni della Corte di giustizia (47), nei contesti in cui trova applicazione la direttiva sulla responsabilità del produttore non residuerebbe alcuno spazio per dare applicazione a regimi di responsabilità diversi da quelli previsti dalla direttiva stessa.

In conclusione, il problema della responsabilità del produttore per i danni riconducibili all’utilizzo dei telefoni cellulari dovrebbe essere risolto facendo riferimento esclusivo alla disciplina della responsabilità del produttore (artt. 114 ss cod. cons.) e, quindi, tenendo conto anche dei limiti che essa pone sotto il profilo del risarcimento dei danni inevitabilmente connessi all’utilizzo di prodotti rispettosi delle norme che delimitano livelli di sicurezza accettabile. Ciò, tuttavia, non significa escludere la possibilità di mettere in discussione le norme che disciplinano la sicurezza di questa particolare tipologia di prodotti. Al contrario, ove esse si rivelino inadeguate a consentire un’effettiva tutela della salute delle persone ed un equilibrato contemperamento delle diverse esigenze antagonistiche da comporre, sarebbe auspicabile provocarne una revisione (48). Proprio in questa particolare prospettiva il principio di precauzione dovrebbe costituire il criterio sulla base del quale operare un sindacato giudiziale delle regole in materia di sicurezza ed addivenire ad una loro eventuale modificazione laddove le esigenze di tutela della salute delle persone lo rendano necessario. In altri termini, il giudice chiamato a decidere riguardo al risarcimento del danno non sarebbe legittimato a sancire la responsabilità del produttore che abbia immesso sul mercato un bene rispettoso degli standards tecnici, ma potrebbe assecondare l’istanza di sottoporre ad una revisione critica gli standards stessi inducendone una modificazione ed un aggiornamento.

La responsabilità del produttore di telefoni cellulari per i difetti di informazione

La possibilità di configurare un obbligo risarcitorio in capo ai produttori di beni da cui scaturiscono danni per l’utilizzatore potrebbe configurarsi anche sotto il profilo dei difetti di informazione (49). La presenza di studi scientifici che segnalino la potenziale pericolosità di un prodotto, infatti, potrebbe assumere un’importanza decisiva, soprattutto alla luce della crescente rilevanza rivestita dal principio di precauzione.

In termini più specifici è opportuno domandarsi entro che limiti il produttore di telefoni cellulari possa essere considerato responsabile per non aver fornito – soprattutto in una situazione di incertezza scientifica – adeguate informazioni riguardo ai possibili rischi per la salute connessi ad un utilizzo intensivo.

Sotto questo profilo l’analisi comparatistica riferita al contesto statunitense induce ad affermare che il produttore di cellulari è tenuto ad informare i consumatori sui possibili effetti dannosi solo nei limiti e nei modi in cui la legge lo preveda. Pertanto la sua responsabilità dovrebbe essere circoscritta alle ipotesi in cui non siano rispettati obblighi legali di informazione e non potrebbe essere affermata con riferimento alla mancata comunicazione di dati che, pur destando allarme (50), non sono oggetto di una particolare attenzione da parte del legislatore (51).

Anche nel nostro ordinamento si riscontra una tendenziale coincidenza tra le informazioni che il produttore fornisce al fine di assicurare un uso dei telefoni cellulari privo di rischi ed i profili che le norme di settore considerano meritevoli di attenzione. Così la Direttiva 2004/108/CE, recepita in Italia dal d.lgs. 6 novembre 2007, n. 194, si limita a regolare i problemi che derivano dall’interferenza delle radiazioni emesse dai cellulari con altre apparecchiature e con l’ambiente, ma non regola i profili attinenti ai limiti di esposizione da rispettare per evitare danni alla salute (52). A testimonianza del fatto che le informazioni fornite dai produttori tendono a modellarsi sugli obblighi imposti dal legislatore, i fabbricanti di telefoni cellulari da un lato sottolineano la necessità di utilizzare i prodotti rispettando le norme relative all’esposizione alle radiofrequenze, evitando che le emissioni del cellulare interferiscano con apparecchiature mediche, con i pacemaker, con accessori elettronici delle auto (abs, airbag, ecc.), o provochino rischi in ambienti nei quali sono presenti sostanze altamente infiammabili, ma, dall’altro si astengono dal comunicare all’utilizzatore dati scientifici che, pur potendo destare allarme, non sono oggetto di specifica attenzione da parte della legislazione di settore (53).

In un contesto come quello descritto appare verosimile ritenere che – in assenza di specifiche previsioni legislative – non possa configurarsi una responsabilità per difetto di informazione in capo al produttore che ometta di apporre avvertimenti circa i potenziali pericoli connessi ad un uso intensivo del cellulare.

L’autoresponsabilità dell’utilizzatore

Nel quadro delineato occorre considerare che il profilo dell’informazione circa i rischi connessi ad un utilizzo eccessivo del telefono cellulare si riflette sia sulla posizione del produttore sia su quella dell’utilizzatore. In termini generali si potrebbe affermare che il primo è tenuto a fornire informazioni adeguate riguardo all’uso privo di rischi del prodotto e che al secondo è richiesta una condotta volta a minimizzare i rischi comunemente noti e quelli evidenziati dalle informazioni fornite dal produttore stesso o da soggetti qualificati. All’utilizzatore, in definitiva, è richiesta una condotta informata al canone dell’autoresponsabilità.

Invero l’individuazione circostanziata dei doveri di informazione che gravano sul produttore, delle condotte responsabili esigibili dall’utilizzatore e delle interconnessioni che si instaurano tra questi profili risulta particolarmente complessa.

In prima approssimazione si può affermare che i rapporti tra dovere di informazione e responsabilità civile si atteggiano in modo sensibilmente differenziato a seconda della tipologia di prodotto considerata.

Per quanto concerne il danno provocato da farmaci emerge un orientamento consolidato secondo cui è esclusa la possibilità che il produttore si liberi dalla responsabilità per i danni arrecati dal suo prodotto anche laddove dimostri di avere fornito tutte le informazioni necessarie a garantirne un uso sicuro. Questa soluzione è stata adottata sia dalla giurisprudenza statunitense (54), sia nel contesto nazionale (55).

Anche il produttore di auto potrebbe essere considerato responsabile per aver omesso di informare l’automobilista riguardo al fatto che il veicolo garantisca la sopravvivenza degli occupanti in caso di incidente solo entro limiti assai lontani rispetto alle velocità che il veicolo può raggiungere ed a quelle che sono consentite dai limiti di velocità fissati dal legislatore (56). Questo assunto ha trovato conferma in una recente sentenza di merito che ha sancito la responsabilità del produttore di motoveicoli proprio assumendo che egli avrebbe dovuto segnalare nel libretto di istruzioni che il motoveicolo non è in grado di proteggere il conducente in caso di sinistri che si verifichino a velocità superiori ai 50 chilometri all’ora (57).

Allargando l’ambito di osservazione ad altre categorie di prodotti, tuttavia, si ricavano anche indicazioni di segno opposto rispetto a quelle appena illustrate. Così, colui che fabbrica e commercializza prodotti derivati dal tabacco non è responsabile per i danni eventualmente provocati agli utilizzatori una volta che abbia assolto gli obblighi informativi imposti dalla legge (58).

La sommaria analisi delle fattispecie appena indicate conferma la difficoltà di individuare linee guida unitarie in ragione delle quali decidere sia riguardo alla responsabilità del fabbricante per omessa informazione circa i rischi connessi all’uso dei prodotti, sia riguardo ad un eventuale concorso colposo dell’utilizzatore-danneggiato.

Ciononostante è possibile ipotizzare l’esistenza di rationes decidendi che in qualche modo tengano conto del carattere “voluttuario” o “necessario” del prodotto di volta in volta considerato. Adottando questo particolare angolo visuale si potrebbe ipotizzare che per quanto concerne la responsabilità del produttore di farmaci la regola secondo cui la comunicazione di informazioni non può mai escludere un obbligo risarcitorio a favore del danneggiato trovi fondamento soprattutto laddove si consideri che l’utilizzo di questa tipologia di prodotti è tipicamente “necessitato”; in altri termini, i margini di scelta da parte dell’utilizzatore, devono considerarsi estremamente limitati.

Peraltro, con riferimento alla responsabilità del produttore di sigarette, la regola secondo cui la comunicazione di informazioni idonee a rendere il consumatore consapevole dei rischi è sufficiente ad escludere una pretesa risarcitoria troverebbe giustificazione sulla base dell’assunto secondo cui la scelta di consumare derivati del tabacco riveste un carattere “voluttuario”; di qui l’impossibilità di avanzare pretese risarcitorie che conseguono all’assunzione consapevole e non necessitata di un rischio rispetto al quale il soggetto era stato debitamente informato.

Occorre tener presente che le soluzioni appena prospettate sono riferite a situazioni in cui emerge con estrema chiarezza il carattere “necessario” o “voluttuario” dei prodotti. Questa condizione, invero, si verifica assai di rado: la maggior parte dei prodotti, infatti, non sembra poter essere ricondotta in termini così netti in nessuna delle due categorie appena indicate.

La scelta di consumare alimenti largamente diffusi nei quali siano presenti additivi o conservanti, quella di utilizzare il telefono cellulare, quella di utilizzare l’automobile sono tutte decisioni che comportano l’assunzione di rischi ben individuabili e talvolta significativi. Le scelte appena indicate, tuttavia, non possono essere considerate “voluttuarie” (e quindi equiparate, ad esempio, alla decisione di fumare); al tempo stesso esse non possono essere considerate nemmeno “necessitate”, come, ad esempio, la decisione di assumere farmaci indispensabili. La scelta di rinunciare all’uso dell’automobile, del cellulare, o al consumo di prodotti alimentari nei quali sono contenute sostanze dannose per la salute rappresenta una decisione astrattamente possibile, ma praticata generalmente da “gruppi minoritari” in quanto comporta l’adozione di comportamenti difficilmente conciliabili con quelli necessari per condurre una vita simile a quella della maggior parte dei consociati. Si potrebbe parlare a questo riguardo di prodotti para-necessari in quanto la rinuncia ad essi, seppur possibile, comporterebbe inevitabilmente l’assunzione di abitudini sensibilmente differenziate rispetto a quelle che caratterizzano la vita quotidiana della maggior parte delle persone e diverrebbe, in ultima analisi, fonte di considerevoli “disagi”. In questo particolare contesto, quindi, non sembra ragionevole ritenere che il profilo dell’autoresponsabilità del consumatore consapevole ed informato possa costituire un limite alla responsabilità del produttore capace di escludere qualsiasi pretesa risarcitoria, come avviene, ad esempio, nel caso dei danni da fumo.

Osservazioni conclusive

La comparazione tra le conseguenze dell’accertamento di un nesso causale tra utilizzo del telefono cellulare e danni alla salute nel contesto del sistema previdenziale ed in quello della responsabilità del produttore fa emergere chiaramente la presenza di limiti della responsabilità civile. Tali limiti da un lato sono funzionali all’esigenza di contenere entro ambiti “ragionevoli” i costi necessari per assicurare una larga diffusione di prodotti che l’ordinamento ritiene sostanzialmente indispensabili ai fini dello svolgimento di attività che attengono alla sfera personale e professionale dei consociati; dall’altro, tuttavia, questi stessi limiti possono essere percepiti come la manifestazione di lacune di tutela della salute della persona soprattutto laddove si considerino le indicazioni sempre più frequenti ed allarmanti che emergono dagli studi epidemiologici recenti.

L’obiettivo di addivenire ad una revisione degli standards di “sicurezza ragionevole” che il legislatore ha individuato dovrebbe essere perseguito utilizzando strumenti la cui introduzione è relativamente recente e che possono considerarsi l’espressione di un approccio “nuovo”. In quest’ottica il principio di precauzione – introdotto nel nostro ordinamento dal legislatore dell’Unione Europea e frequentemente richiamato anche dai giudici nazionali (59)– potrebbe costituire la base normativa sulla quale fondare un diritto delle persone ad essere correttamente informate circa i possibili rischi connessi all’utilizzo del telefono cellulare ed i comportamenti da adottare per neutralizzarne o minimizzarne la portata. Muovendo da questa particolare prospettiva non sembra da escludere la possibilità che le scarne indicazioni attualmente contenute nei libretti illustrativi forniti dai produttori (60)possano essere considerate difetti di informazione laddove omettono di esplicitare con chiarezza i rischi (anche solo potenziali) connessi all’uso del telefono cellulare e di indicare le precauzioni da adottare per neutralizzarli o limitarli (61).

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(1) Il referente normativo di tale principio viene individuato nell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’UE. Sul principio di precauzione Cfr. Il Principio di precauzione: profili bioetica, filosofici, giuridici, redatto dal C.N.B. e pubblicato il 18 giugno 2004, in http://www.governo.it/BIOETICA/, 37; Nanna, Principio di precauzione e lesioni da radiazioni non ionizzanti, Napoli, 2003, in part. p. 67; Zei, Principio di precauzione, 2008, in Dig. pubbl., Torino, t. II, 670 ss; Casolari, Politiche precauzionali ed esposizione a campi elettromagnetici artificiali: modelli gestionali dell’inquinamento elettromagnetico nel diritto internazionale e comunitario, in Il principio di precauzione nel diritto internazionale e comunitario, a cura di A. Bianchi e M. Gestri, Milano, 2006, 398 ss.

(2) D’altra parte la Corte costituzionale, chiamata a decidere sulla legittimità di provvedimenti adottati da singole regioni, ha escluso che il legislatore regionale possa fissare in modo autonomo valori ulteriormente protettivi per la salute operando “valutazioni indipendenti” rispetto a quelle adottate dal legislatore nazionale (Corte cost. 7 ottobre 2003, n. 307, in Foro amm., 2003, 2811, nota di De Leonardis).

(3) Cfr. www.rfcom.ca/programs/interphone.shtml.

(4) Per una attenta ed ampia illustrazione Casale, Campi elettromagnetici e tumori professionali: Unione Europea e Cassazione a confronto, in corso di pubblicazione, in Riv. giur. lav., 2013.

(5) App. Brescia, sez. lav., 22 dicembre 2009, in Resp. civ. e prev., 2010, 1369 con commento di Al Mureden, I danni da uso del cellulare tra tutela previdenziale e limiti della responsabilità del produttore (Resp. civ. e prev., 2010, 1392); in Guida dir., 2010, 11, 61, con nota di Tatarelli, Riconosciuta la malattia professionale per uso eccessivo del telefono cellulare; in www.applelettrosmog.com, con nota di Levis.

(6) Per una accurata ricostruzione dei termini del dibattito generato dalla sentenza nella comunità scientifica v. il commento apparso sulla Rivista Nature/editorial on “Murky Manoeuvres” (Nature: 491, 7 of 1st Nov. 2012:www.nature.com/news/murky-manoeuvres-1.11678 ed il relativo commento critico di Levis, A Critical Comment Upon Nature/Editorial On “Murky Manoeuvres”.

(7) Sul vastissimo tema della causalità in ambito civilistico e in particolare della rilevanza dei nessi causali probabilistici v. Pucella, La causalità incerta, Torino, 2007; Baldini, Il danno da fumo, Napoli, 2008; Capecchi, Il nesso di causalità. Da elemento della fattispecie fatto illecito a criterio di limitazione del risarcimento del danno, Padova, 2005; Tassone, Responsabilità da prodotto e nesso di causa, in Danno e responsabilità, Speciale 2012,I 25 anni di products liability”, a cura di R. Pardolesi e G. Ponzanelli, 21.

(8) Sulle c.d. “malattie professionali tabellate” e non tabellate v. Tatarelli, Riconosciuta la malattia professionale per uso eccessivo del telefono cellulare, cit., 66; sulla prova del nesso causale Cass. civ., 15 maggio 2007, n. 11087;Cass. civ., 5 settembre 2006, n. 19047;Cass. civ., 21 febbraio 2003, n. 2716. Per una disamina più completa della normativa volta a tutelare il lavoratore Mazzacuva-Vincieri (a cura di), La sicurezza del lavoro nel d.lgs. n. 81/2008 e successive modifiche e integrazioni, Bologna, 2010, 23 ss.

(9) Sul problema di “trasferire” nel contesto del singolo giudizio individuale le relazioni di causalità individuate nella rispettiva epidemiologica v. Nanna, Principio di precauzione e lesioni da radiazioni non ionizzanti, Napoli, 2003, in part. 67; Baldini, Il danno da fumo, cit.; Pucella, La causalità incerta, cit., p. 22-80.

(10) In questo senso v. Lagorio e Vecchia, Lo studio Interphone è indipendente?, in Epidemiol Prev 2011 (www.epiprev.it/ pubblicazione/epidemiol-prev-2011-35-1-epidimezzo ); Lagorio e Vecchia, Una Corte italiana riconosce l’origine professionale di un neurinoma del trigemino in un utilizzatore di telefoni mobili: un esempio concreto dei complessi rapporti tra scienza e diritto, in Med Lav, 2011, 102: 144-162. Per una critica agli studi appena citati Levis, La posizione innovativa della magistratura italiana sui rischi per la salute da campi elettromagnetici non ionizzanti (CEM), in http://www.applelettrosmog.it/public/index.php p. 13; Levis Difetti e pregi (a lungo nascosti) dello studio Interphone, in Epidemiol Prev (www.epiprev.it/pubblicazione/epidemiol-prev-2011-35-1-epidimezzo) 2011; Levis, Grasso, Palmisano, Consigliere, Gennaro, Telefoni mobili e tumori alla testa: La sentenza della Corte d’Appello di Brescia – Sezione Lavoro – alla luce delle attuali conoscenze scientifiche e della legislazione in materia, in Med Lav2012; 103, 4.

(11) Per una attenta disamina del diverso problema della concausalità ed esposizione extra-lavorativa v. Casale, Campi elettromagnetici e tumori professionali: Unione Europea e Cassazione a confronto, cit.

(12) Carnevali, voce Nuovi prodotti dannosi, in XXI Secolo, in Enc. Treccani, Roma, 2009, 347-348, fa riferimento in particolare ai prodotti come i farmaci che, pur potendo causare pericolosi effetti collaterali, rivestono una significativa utilità sociale.

(13) Questa situazione è stata colta con estrema chiarezza dapprima negli studi statunitensi dei primi anni Settanta che osservavano il problema del “costo degli incidenti” nella prospettiva dell’analisi economica del diritto (Calabresi, The Cost of Accidents: A Legal and Economic Analysis, New Haven, 1970; e traduzione italiana Calabresi, Il costo degli incidenti, Milano, 1975). Nel contesto europeo, poi, un importante studio della metà degli anni Ottanta fece ricorso all’incisiva espressione “imbroglio dei valori massimi consentiti” (Beck, La società del rischio: verso una seconda modernità, edizione italiana a cura di W. Privitera, Roma, 2000, in part. 84-92) proprio per indicare che il riferimento a soglie “accettabili” di esposizione a fattori di rischio finisce per rendere possibile “una razione permanente di avvelenamento collettivo standardizzato” (Beck, La società del rischio: verso una seconda modernità, cit., 84-92).

(14) Capriotti, Is There a Future for Cell Phone Litigation?, in www.lexisnexis.com (18 J Pol’y 489 (2002), 504. Contemp. Health L. &).

(15) Nel caso Motorola v. Ward, 478 S.E.2d 465, 466 (Ga. Ct. App. 1996), ad esempio, il cellulare aveva causato una grave patologia (tumore maligno alla parte destra del cervello). Tuttavia non è stata sancita alcuna responsabilità del produttore perché non è stata dimostrata compiutamente l’esistenza di un nesso causale tra il danno subito e l’uso del telefono mobile. Nella decisione Verb v. Motorola, Inc., 672 N.E.2d 1287, 1296 (Ill. App. Ct. 1996), la class action intentata nei confronti della Motorola e di altri produttori adducendo una responsabilità per mancanza di avvertenze in merito ai possibili rischi connessi all’uso del telefono cellulare non portò ad una condanna dei produttori perché secondo la corte la prova riguardo alla capacità dei cellulari di causare patologie non fu fornita in modo univoco, ma si limitò alla mera enunciazione di un pericolo di danno.

(16) Per una analitica disamina del problema cfr. Owen, Products Liability Law, Thompson West, St. Paul, MN, 2 ed., 2008, p. 669, il quale dà ampio conto delle regole sintetizzate dapprima nel Restatement (Second) of Torts, section 402 A e ora nel Restatement (Third) of Torts pubblicati dall’American Law Institute rispettivamente nel 1965 e nel 1998. Sul punto v. Anche Cantù, Distinguishing the concept of strict liability for ultra-hazardous activities from strict liability under section 402a of the restatement (second) of torts: tow parallel lines of reasoning that should never meet, in Akron Law Review, 35, 1, 2001, 40.

(17) Con questa espressione si indica la prevalenza delle leggi costituzionali e federali su quelle statali. Nello specifico contesto della responsabilità del produttore la preemption doctrine è stata applicata al fine di sancire la prevalenza degli standards federali su quelli previsti dalle singole giurisdizioni e costituisce uno strumento fondamentale per perseguire l’obiettivo della armonizzazione degli standards di sicurezza nei diversi stati. In argomento v. O’Reilly, Federal Preemption of State and Local Law, Chicago, 2006; McGarity, The Preemption War, Yale Univerity Press, New Haven London, 2008, p. 170.

(18) Con questa espressione si indica la possibilità che il produttore possa liberarsi dalla responsabilità per i danni cagionati da un prodotto che, in base alla conoscenze tecniche esistenti al momento della commercializzazione non potevano essere previsti (Baker v. Lull Engineering Co., 573 P.2d 443, 455 (Cal. 1978).

(19) Owen, Products Liability Law, cit., 669.

(20) Capriotti, Is There a Future for Cell Phone Litigation?, cit., 504. Per una panoramica generale Owen, La responsabilità del produttore negli Stati Uniti d’America: il terzo Restatement, in Danno e resp., 1999, 1066.

(21)Nella decisione Murray v. Motorola Inc., no. 07-cv-1074, A. 2d, 2009, WL 3459991 (D.C. Oct. 29, 2009), si afferma chiaramente che la conformità dei telefoni cellulari alle regole tecniche imposte dalla FCC ai fini della commercializzazione esclude radicalmente la possibilità di considerare il prodotto difettoso e quindi di affermare una responsabilità del fabbricante.

(22) Farina v. Nokia, 625 F. 3d 97, 2010 U.S. App. Lexis 22.383, 51, Comm. Reg. (P & F) 955.

(23) Farina v. Nokia, cit.

(24) Caruso e Pardolesi, Per una storia della direttiva 1985/374/CEE, in Speciale 2012, I 25 anni di products liability, a cura di Pardolesi e Ponzanelli, cit., 8.

(25) In questo senso Alpa, Il diritto dei consumatori, Bari, 1999, 372; Baldini, Il danno da fumo, cit., 404, 430.

(26) La presenza di un “anello di congiunzione tra la nozione di prodotto “difettoso” (…) e la nozione di prodotto “sicuro”” è compiutamente messa in luce da Carnevali, Prevenzione e risarcimento nelle direttive comunitarie sulla sicurezza dei prodotti, in Resp. civ. prev., 2005, 12. Sul punto v. anche Bellisario, in Codice del consumatore – Commentario, a cura di Alpa-Rossi Carleo, Napoli, 2005, 676; Busoni, Premessa al Titolo Primo, in Codice del consumo, a cura di Vettori, Padova, 2007, 794; Thiene, sub art. 114 cod. cons., in Commentario breve al Diritto dei consumatori, diretto da De Cristofaro e Zaccaria, Padova, 2010, 767.

(27) Carnevali, Prevenzione e risarcimento nelle direttive comunitarie sulla sicurezza dei prodotti, cit., 11.

(28) Sul punto v. Carnevali, La norma tecnica da regola di esperienza a norma giuridicamente rilevante ricognizione storica e sistemazione teorica ruolo dell’UNI e del CEI, in Resp. civ. e prev., 1997, 257; Id.,Prevenzione e risarcimento nelle direttive comunitarie sulla sicurezza dei prodotti, cit., 9; Id., Sub art. 105 cod. cons., in Commentario breve al Diritto dei consumatori, diretto da De Cristofaro e Zaccaria, Padova, 2010, 105; Cafaggi, La responsabilità dell’impresa per i prodotti difettosi, in Trattato di diritto privato europeo, a cura di Lipari, II, Padova, 2003, 537ss.; Ponzanelli, Introduzione, Speciale 2012, I 25 anni di products liability a cura di Pardolesi e Ponzanelli, cit., 7.

(29) Il CEN (http://www.cen. eu/cen/AboutUs/Pages/ default.aspx) è l’organismo che, in virtù dei poteri conferiti dalla direttiva 98/34/EC, emana gli stadards tecnici a livello europeo con riferimento a tutte le attività produttive eccetto quella della electrotechnology la cui competenza è riservata al CENELEC (http://www.cenelec.eu) e quella delle telecomunicazioni, di competenza del ETSI (http://www.etsi.org). Le norme tecniche elaborate ed approvate dagli organismi europei di normalizzazione vengono pubblicate, in seguito, sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (GUCE) e nella Gazzetta Ufficiale di ogni Paese aderente. Da questo momento la loro adozione come norme tecniche nazionali è obbligatoria. Pertanto gli enti di normalizzazione istituiti in ciascuno degli Stati membri dovranno riprodurre a livello nazionale le norme tecniche corrispondenti a quelle emanate dagli enti di normazione europei. Nel nostro ordinamento questa funzione è assolta dall’UNI, Ente Nazionale Italiano di Unificazione e, limitatamente al settore elettrico ed elettrotecnico, dal CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano).

(30) Carnevali, Prevenzione e risarcimento nelle direttive comunitarie sulla sicurezza dei prodotti, cit. 14-18.

(31) Pertanto, nel caso in cui il prodotto fosse conforme allo stato dell’arte dovrebbe escludersi la responsabilità per i c.d. danni da “ignoto tecnologico” (Galgano, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2010, 1026).

(32) Carnevali, Prevenzione e risarcimento nelle direttive comunitarie sulla sicurezza dei prodotti, cit., 12; con riferimento ai danni da autoveicoli cfr. Al Mureden, Sicurezza “ragionevole” degli autoveicoli e responsabilità del produttore nell’ordinamento italiano e negli Stati Uniti, in Contratto e impresa, 2012, 1505 ss.

(33) Nel caso di specie la responsabilità del produttore è stata esclusa soprattutto in considerazione del fatto che tutti i componenti della tintura erano ammessi dalla legge (Cass. civ., 15 marzo 2007, n. 6007, in Danno e resp., 2007, 1216 con nota di A.l. Bitetto).

(34) Osserva Carnevali, voce Nuovi prodotti dannosi, cit., 355, che la Direttiva 2004/108/CE, recepita in Italia dal d. lgs. 6 novembre 2007, n. 194, si limita a regolare i problemi che derivano dall’interferenza delle radiazioni emesse dai cellulari con altre apparecchiature e con l’ambiente “non si occupa dei problemi relativi alla salute” e non regola i profili attinenti ai limiti di esposizione da rispettare per evitare danni alla salute.

(35) Anche per quanto riguarda questa categoria di prodotti viene ribadita la fondamentale importanza delle norme armonizzate al fine della valutazione sulla conformità. L’art. 5 della Dir. 1999/5/CE, infatti, dispone che “Gli Stati membri presumono che gli apparecchi conformi alle norme tecniche armonizzate, o a parte di esse, i cui numeri di riferimento siano stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, sono conformi ai requisiti essenziali elencati nell’articolo 3, nella misura in cui siano contemplati nelle dette norme armonizzate o in parte di esse”.

(36) App. Brescia, sez. lav., 22 dicembre 2009, cit.

(37) Sul punto v. Baldini, Il danno da fumo, cit., 534 ss. e in part. 546.

(38) Querci, Il rischio da sviluppo: origini ed evoluzioni nella moderna “società del rischio”, Speciale 2012, I 25 anni di products liability, a cura di Pardolesi e Ponzanelli, cit., 31.

(39) Cabella Pisu, Ombre e luci nella responsabilità del produttore, in Contratto impr. Europa, 2008, 645, parla a questo proposito di una “casistica parallela”. La possibilità di individuare ambiti di applicazione dell’art. 2050 c.c. rispetto ai danni da prodotto è stata messa in luce anche da Ruffolo, La responsabilità secondo altre disposizioni di legge, in Aa.Vv., La responsabilità per danno da prodotti difettosi, Milano, 1990, 352-353; Galgano, Trattato di Diritto civile, cit., 1027-1030, ha affermato, invece, che il “diritto comune” non possa applicarsi nelle materie regolate dalla normativa sulla responsabilità del produttore.

(40) Con riferimento ai danni provocati (epatite B) dal farmaco Trilergan v. Cass. civ., 15 luglio 1987, n. 6241, in Foro it., 1988, I, 144, secondo cui per escludere la responsabilità del produttore non è sufficiente la prova “negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge”, ma occorre la prova positiva di “aver impiegato ogni cura e misura atta ad impedire il danno”. Sul produttore, quindi, grava l’obbligo di adottare ogni strumento “sperimentale, ancora imperfetto, ma comunque esperibile come mezzo di prevenzione”; per una ampia rassegna della giurisprudenza in tema di danno da farmaci v. Querci, Sicurezza e danno da prodotti medicali, Torino, 2011 in part., 150 ss.

(41) Cass. 26 luglio 2012, n. 13214;Cass. 27 luglio 2012, n. 13397;Cass. 4 giugno 1998, n. 5484;Cass. 19 gennaio 1995, n. 567 in Foro it. online.

(42) Sica-D’Antonio, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, in La tutela del consumatore, a cura di Stanzione-Musio, in Trattato di diritto privato diretto da Bessone, XXX, Torino, 2009, 618; Cafrì, inCodice del consumo e norme collegate, a cura di Cuffaro, Milano, 2008, 566.

(43) Per una accurata trattazione v. Franzoni, L’illecito, in Trattato della responsabilità civile, diretto da Franzoni, Milano 2010, 414; Facci, La responsabilità da attività pericolosa, in Le obbligazioni, a cura di Franzoni, II, Torino, 2004, 275.

(44) Cass. civ., 21 ottobre 2005, n. 20359, in Foro it. online.

(45) Cass. civ., 17 dicembre 2009, n. 26516, in questa Rivista 2010, 4, 482, con nota di Ponzanelli, La produzione di sigarette è attività pericolosa; in Danno e resp., 2011, 57, con nota di Monateri, La Cassazionee i danni da fumo: evitare un ennesimo “isolamento italiano”.

(46) De Leonardis, Il principio di precauzione nell’amministrazione del rischio, Milano, 2005, 134.

(47) Cfr. in tal senso le tre sentenze in data 25 aprile 2002 (nn. 52, 154 e 183) con cui la Corte ha sancito che l’art. 13 della Direttiva intende fare salvi solo regimi di responsabilità contrattuale od extracontrattuale che si basino su presupposti diversi da quelli su cui si fonda la Direttiva, come la generale responsabilità per colpa o la garanzia per vizi occulti, non potendo invece le disposizioni nazionali offrire una specifica tutela. Le pronunce sono commentate da Ponzanelli, Armonizzazione del diritto v. protezione del consumatore, in Danno resp., 2002, 717 ss.; Palmieri-Pardolesi, Difetti del prodotto e del diritto privato europeo, in Foro it., 2002, IV, 294 ss; Thiene, sub art. 114 cod. cons., cit., p. 748. I principi appena enunciati hanno trovato ulteriore conferma in una importante decisione della Cassazione in materia di danno da farmaci (Cass. 31 marzo 2011, n. 7441, in Resp. civ. e prev., 2011, 158, con nota di Carnevali, Farmaci difettosi e autorizzazione ministeriale).

(48) Gli studi più attenti hanno messo in luce che le norme armonizzate europee non tengono conto dell’aumento dell’emissione del cellulare determinato dalla riduzione del campo che si verifica in condizioni di elevata distanza dall’antenna base, durante l’uso in movimento e/o in ambienti fortemente schermati; detti standards, inoltre, non tengono conto nemmeno della durata giornaliera d’uso del cellulare (c.d. dose cumulativa). Per una panoramica completa v. Applelettrosmog (http://www.applelettrosmog.it/admin/uploaded/allegati/92.pdf).

(49) Bitetto, Difetti di informazione, in Danno e responsabilità, Speciale 2012, “I 25 anni di products liability”, a cura di Pardolesi e Ponzanelli, cit., 18.

(50) Il fatto che i produttori conoscano da oltre un decennio gli effetti dannosi per la salute umana connessi all’uso dei telefoni cellulari e che le assicurazioni abbiano sospeso le polizze volte a risarcire eventuali danni è dettagliatamente documentato da Staglianò, Toglietevelo dalla testa: cellulari, tumori e tutto quello che le lobby non dicono, Milano, 2012, 74 ss.

(51) La decisione Farina v. Nokia, 578 F. Supp. 2D 740, 759, U.S. Dist. Ct. (Pa), 2 sept. 2008, ha ulteriormente ribadito che, una volta che il Congresso abbia individuato attraverso i poteri regolamentari attribuiti allaFederal Communication Commission quali siano le condizioni per commercializzare i telefoni cellulari e quali gli obblighi informativi che gravano sul produttore, non possono essere accolte le richieste risarcitorie di coloro che mirano a far valere una responsabilità del produttore per aver omesso di informare i consumatori su profili ulteriori riguardo ai pericoli connessi all’esposizione alle onde elettromagnetiche.

(52) Carnevali, voce Nuovi prodotti dannosi, cit., 355.

(53) Un decalogo sulle precauzioni da seguire per ridurre i rischi connessi all’utilizzo del telefono cellulare è consultabile sul sito dell’associazione Applelettrosmog (http://www.applelettro smog.it/admin/uploaded/allegati/92.pdf). Sempre allo stesso indirizzo è possibile reperire alcuni esempi di avvertimenti forniti dai produttori nei libretti di istruzioni e finalizzati a garantire un uso del cellulare ragionevolmente sicuro.

(54) Questo orientamento è stato ulteriormente confermato dalla leading decision Wyeth v. Levine, 129 S. Ct. 1187, 1194 (2009), in cui è stato ribadito che l’approvazione da parte della FDA non esonera da responsabilità il produttore, che continua a rispondere dei danni cagionati dal farmaco se il foglio illustrativo allegato – pur approvato dall’FDA – non contiene informazioni sufficienti o adeguate.

(55) Per una ampia ricostruzione v. Querci, Sicurezza e danno da prodotti medicali, cit., in part., p. 150 ss.

(56) Sul punto v. Al Mureden, Sicurezza “ragionevole” degli autoveicoli e responsabilità del produttore nell’ordinamento italiano e negli Stati Uniti, cit., 1505 ss.

(57) Tribunale Pisa, 16 marzo 2011, con nota di Carnevali, Il difetto di progettazione negli autoveicoli, in Resp. civ. e prev., 2011, 10, 2108.

(58) Trib. Roma, 11 febbraio 2000, n. 4119 in Foro it. online, ha sancito che “in mancanza di una specifica disposizione, non è configurabile ex art. 2043 c.c. un dovere d’informazione dei produttori di sigarette circa i pericoli derivanti dal fumo se non nel caso in cui il prodotto posto in commercio abbia una pericolosità intrinseca (in relazione all’uso normale del bene) e sempre che l’utilizzatore non sia stato posto in grado di rappresentarsi la possibilità di eventuali conseguenze dannose correlate ad un determinato uso”.

(59) Da ultimo T.A.R. Lazio, sez. II bis, 20 gennaio 2012, n. 668, in Danno e resp., 2012, 1071, con nota di Planchenstainer, Arsenico e vecchi acquedotti: la responsabilità della P.A. per la fornitura di acqua potabile non a norma. Con particolare riferimento al tema dei pericoli connessi all’esposizione al c.d. elettrosmog v. Cass. 23 gennaio 2007, n. 1391, Foro it., 2007, I, c. 2125, con nota di Mattassoglio, Tutela della salute e inquinamento elettromagnetico: quale valore per i limiti legali?, e Trib. Venezia, sez. III, 18-19 febbraio 2008, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 1169, con nota di Gelli, Le immissioni elettromagnetiche tra mera possibilità e ragionevole probabilità di danno alla salute.

(60) Si legge sul sito sul sito Applelettrosmog (http://www.applelettrosmog.it/admin/uploaded/allegati/92.pdf) che gli avvertimenti contenuti all’interno dei “bugiardini” allegati ai cellulari risultano fortemente carenti e, di fatto, non consentono all’utilizzatore di conseguire un’effettiva consapevolezza circa i rischi connessi ad un uso inappropriato del telefono cellulare (per una panoramica completa si vedano le osservazioni del prof. Levis reperibili nei contributi pubblicati sul sito appena indicato.

(61) Sull’azione collettiva esperita dal CODACONS contro i produttori di sigarette e volta ad accertare la responsabilità di questi ultimi per la dipendenza creata nei consumatori mediante l’impiego di additivi chimici capaci di indurre assuefazione si vedano le riflessioni di Ferrante, L’azione di classe nel diritto italiano, Padova, 2012, in part. p. 232 ss., che prende in esame Trib. Roma, sez. XII, 14 aprile 2011, in Corr. merito, 2011, p. 1172 ed anche il successivo reclamo sul quale ha deciso App. Roma, 27 gennaio 2012, in Foro it., 2012, 6, I, p. 1908. L’azione è stata ritenuta inammissibile dal Tribunale di Roma, nella cui motivazione si legge che è “da escludere, sulla base degli studi e delle conoscenze scientifiche ormai consolidate, che la dipendenza da nicotina determini l’annullamento o la seria compromissione della volontà del fumatore nella forma di costrizione al consumo, tale da inibirgli in modo assoluto qualsiasi facoltà di scelta tra la continuazione del fumo e l’interruzione dello stesso”.


Professore Associato di Diritto privato a tempo pieno nell'Università di Bologna. Ha conseguito in data 24 dicembre 2013 l'Abilitazione Scientifica Nazionale per il ruolo di Professore di prima fascia nel settore scientifico 12/A1 (Diritto privato). È docente di Diritto privato, Diritto di famiglia e Diritto dei contratti nella Scuola di Giurisprudenza del Dipartimento di Scienze giuridiche dell'Università di Bologna. Dal 1 marzo 2006 al 14 aprile 2011 è stato in servizio come ricercatore a tempo pieno nella Facoltà di Giurisprudenza di Bologna, sede di Ravenna. Dottore di ricerca in Diritto civile (voto finale “eccellente”), discutendo la tesi dal titolo “Crisi coniugale e riflessi sul regime patrimoniale. La tutela del coniuge debole tra legge e autonomia privata”. Il 20 novembre 2000 ha conseguito il titolo di avvocato. Il 23 novembre 1995 ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza, con lode, nell’Università di Bologna. Ha pubblicato tre monografie (Le sopravvenienze contrattuali tra lacune normative e ricostruzioni degli interpreti, Padova, 2004; Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007; Principio di precauzione, tutela della salute e responsabilità civile, Bologna, 2008) ed altri 60 lavori scientifici principalmente in tema di diritto patrimoniale della famiglia, diritto dei contratti e responsabilità civile. È membro del Comitato scientifico della Rivista Famiglia e Diritto. Ha tenuto in qualità di Visiting Professor un ciclo di lezioni in materia di Contract Law nell’ambito del LLM Master of European and International Law presso la China-EU School of Law (CESL), Beijing (China) negli a.a. 2011- 2012 e 2012-2013. Ha svolto periodi di studio all’estero presso la School of Law della Yale University (Connetticut - USA) (2011) e la University of Kent di Canterbury (2001, 2002, 2004). Tiene corsi di Diritto di famiglia nella Scuola di specializzazione per le professioni legali “E. Redenti” dell'Università di Bologna.

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