Profili di responsabilità civile dell’organismo di vigilanza istituito ai sensi del d.lg. n. 231/2001

Carlo Berti, Profili di responsabilità civile dell’organismo di vigilanza istituito ai sensi del d.lg. n. 231/2001, in Resp. Civ., 2011, 7, 539

Profili di responsabilità civile dell’organismo di vigilanza istituito ai sensi del d.lg. n. 231/2001

Sommario: 1. Premessa – 2. Segue: L’Organismo di Vigilanza: poteri e composizione – 3. Segue: La nomina dell’Organismo di Vigilanza – 4. Segue: Funzione dell’OdV – 5. Segue: Requisiti di autonomia, indipendenza e professionalità – 5. Segue: Sulla necessarietà dell’OdV – 6. Segue: Composizione dell’OdV – 7. Le responsabilità dell’OdV – 8. Segue: Responsabilità penale dell’OdV – 9. Segue: Profili di responsabilità civile dell’OdV -10. Conclusioni

1. Premessa

Il d.lg. 8.6.2001, n. 231 ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reati commessi “nell’interesse” o “a vantaggio” degli stessi, da parte di “soggetti in posizione apicale”, ovvero di “soggetti sottoposti all’altrui direzione”(1). Più in dettaglio, l’art. 5 del menzionato decreto dispone che «1. L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;

b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

2. L’ente non risponde se le persone indicate nel 1° comma hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi».

In particolare, se il reato presupposto(2) è stato compiuto da soggetti in posizione apicale, l’ente non risponde se, ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo in parola, riesce a provare che:

a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli, nonché quello di curare il loro aggiornamento, è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;

d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b).

Diversamente, se il reato presupposto è stato commesso da un soggetto “sottoposto”, in forza dell’art. 7 d.lg. n. 231/2001, l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza. In ogni caso, è esclusa l’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l’ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

In questa sede, ci si propone l’obiettivo di indagare se – e in che limiti – nel caso di commissione dei reati previsti dal d.lg. n. 231/2001, sia possibile configurare una responsabilità in capo all’organismo di vigilanza (OdV), e come essa debba qualificarsi.

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2. Segue: L’Organismo di Vigilanza: poteri e composizione

Il d.lg. n. 231/2001 affida «il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento […] a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo», in tal modo istituzionalizzando il c.d. risk management in seno alle imprese, attraverso un’attività di controllo demandata ad un organismo – privo di rilevanza esterna e/o “statutaria”, in quanto – interno alla società. La Relazione di accompagnamento al d.lg. n. 231/2001 spiega, infatti, che «per garantire la massima effettività al sistema, è disposto che la società si avvalga di una struttura che deve essere costituita al suo interno (onde evitare facili manovre volte a precostituire una patente di legittimità all’operato della societas attraverso il ricorso ad organismi compiacenti, e soprattutto per fondare una vera e propria colpa dell’ente)».

L’Organismo di Vigilanza è, dunque, “organo interno”(3) – alla e – della società, cui sono demandate funzioni di controllo (non dell’attività dell’ente, bensì) dei “Modelli di organizzazione e di gestione” idonei a prevenire quei reati previsti ex d.lg. n. 231/2001, nonché della loro concreta diffusione, conoscenza ed attuazione, del loro funzionamento e del loro aggiornamento. In altre parole, l’Organismo di Vigilanza, privo di rilevanza giuridica “statutaria” e/o esterna, costituisce mera fase e/o ufficio interno all’azienda (seppur autonomo ed indipendente rispetto ai diversi organi e/o funzioni sociali), preordinato – non già alla prevenzione dei c.d. reati presupposto, bensì – ad un sindacato giudiziale di esclusione della imputazione di una responsabilità amministrativa della persona giuridica, ex d.lg. n. 231/2001, pur in presenza di fattispecie penalmente rilevanti declinate dalla richiamata fonte normativa ed astrattamente riferibili all’ente medesimo.

3. Segue: La nomina dell’Organismo di Vigilanza

Quanto al procedimento di nomina dell’Organismo, nulla al riguardo dice la legge e tanto ha portato ad interrogarsi circa la opportunità di una sua nomina da parte dell’organo amministrativo, ovvero dell’assemblea dei soci. Al riguardo, pare condivisibile la prima delle prefigurate soluzioni (4). E tanto per le seguenti ragioni.

La prima, di carattere “normativo”: infatti, l’art. 6, 1° co., lett. a), attribuisce espressamente all’“organo dirigente” di ciascun ente il compito di adottare ed efficacemente attuare il modello di organizzazione e gestione, ricomprendendo implicitamente in tale funzione anche la nomina dell’OdV.

La seconda, sulla base di una adeguata valorizzazione dell’art. 2381 c.c.; il quale impone, in via esclusiva, al consiglio di amministrazione ed ai soggetti da esso delegati la cura dell’assetto organizzativo della società e il controllo sull’adeguatezza dell’assetto stesso. Il potere-dovere di vigilanza di cui l’OdV è investito all’atto della nomina pare, dunque, configurarsi quale “potere derivato”, ovvero attribuito dal medesimo soggetto cui tale potere spetterebbe originariamente. Infine, la competenza a nominare l’OdV sembra appartenere a tale soggetto anche alla luce di quanto disposto dall’art. 6, 4° co., d.lg. n. 231/2001, il quale prevede che negli enti di piccole dimensioni il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curarne l’aggiornamento possa essere svolto direttamente dallo stesso organo dirigente (5).

4. Segue: Funzione dell’OdV

La funzione demandata all’Organismo di Vigilanza deve intendersi espressiva del potere-dovere di accertare distonie rispetto alle formalità ed alle prassi stabilite dal Modello di organizzazione e gestione, in quanto preordinata alla prevenzione dei reati presupposto ex d.lg. n. 231/2001; il dato testuale consente, infatti, di attrarre la nozione di controllo prevista dagli artt. 6 e 7 del Decreto nella più ampia nozione di controllo giuridico consistente in un processo di accertamento su una determinata attività svolta in concreto con conseguente giudizio di conformità rispetto al relativo parametro e/o “protocollo” astratto.

Ad ogni modo, sebbene la formulazione del dettato normativo si limiti ad attribuire all’OdV generiche funzioni di impulso e critica nei confronti dell’attività svolta dall’organo dirigente (6), i compiti affidati all’OdV sembrano essere finalizzati esclusivamente alla prevenzione di quelle situazioni che potrebbero consentire un giudizio di imputazione ex d.lg. n. 231/2001 dei c.d. reati presupposto in capo all’ente.

In questo senso, ed in via di estrema semplificazione, la legge attribuisce all’OdV: a) compiti di vigilanza sull’applicazione del Modello; b) compiti di iniziativa e controllo sulla conoscenza, sul funzionamento e sull’aggiornamento del Modello stesso.

Ai componenti dell’OdV non sono, quindi, richieste funzioni operative, atteso che al medesimo non sono attribuiti poteri di intervento diretto sul Modello, tanto in sede applicativa, quanto in quella sanzionatoria, nel caso di sua inosservanza: tali compiti, infatti, spettano all’organo amministrativo. All’Organismo di Vigilanza sembrano, tutt’al più, essere riconosciuti poteri di sollecitazione e/o di impulso da indirizzare all’organo dirigente (7); solo a quest’ultimo spetterà, poi, l’adozione e/o la concreta attuazione del Modello e la definizione del suo contenuto, in quanto attività afferente alla sfera organizzativa/gestionale dell’ente (8), ben potendo, poi, il Modello stesso, essere occasione per “fotografare” ed orientare l’assetto organizzativo dell’ente medesimo anche in relazione a processi aziendali non necessariamente correlati ad ipotizzabili situazioni a rischio di reati presupposto ex d.lg. n. 231/2001.

5. Segue: Requisiti di autonomia, indipendenza e professionalità

L’art. 6, 1° co., lett. b), d.lg. n. 231/2001, attribuendo all’OdV «il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento», stabilisce come l’organismo debba essere «dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo».

Per garantire l’autonomia dell’iniziativa e l’indipendenza nel controllo, l’OdV deve necessariamente essere estraneo ad interferenze e/o condizionamenti di sorta (9).

L’autonomia e l’indipendenza saranno altresì garantite solo ove all’OdV non siano riconosciuti compiti operativi che, rendendolo partecipe di decisioni ed attività gestorie, ne minerebbero l’obiettività di giudizio al momento delle verifiche dallo stesso condotte sui comportamenti aziendali e sul Modello.

Quanto al requisito della professionalità, si ritiene che l’Organismo di Vigilanza debba essere in possesso di competenze tecniche alquanto specifiche, sia di natura ispettiva che consulenziale (10).

5. Segue: Sulla necessarietà dell’OdV

Il d.lg. n. 231/2001 non crea nuovi obblighi in capo agli enti, ma si inserisce in un quadro di adempimenti funzionali ad una valutazione di corretta attività gestionale dell’azienda, sul piano della predisposizione e della adozione di un sistema idoneo a consentire un giudizio di irresponsabilità dell’Ente anche nella ipotesi di reati occasionati dalla attività aziendale stessa.

Tutto si risolve, quindi, in una scelta di opportunità o meno circa la adozione di Modelli organizzativi, rimessa interamente alla libera e discrezionale valutazione dell’ente stesso (11).

La non obbligatorietà dell’adozione del c.d. “modello 231” è, tra l’altro, confermata dalla stessa Corte di Cassazione che – in sede di annullamento di un’ordinanza del giudice cautelare (che disponeva misure interdittive nei confronti di due società) – ha rilevato che «nella specie, il giudice cautelare ha sostanzialmente imposto l’adozione di un modello organizzativo alla società, secondo una procedura che non trova appiglio nella normativa contenuta nel d.lg. n. 231 del 2001, in cui non si prevede alcuna forma di imposizione coattiva dei modelli organizzativi, la cui adozione, invece, è sempre spontanea, in quanto è proprio la scelta di dotarsi di uno strumento organizzativo in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società a determinare in alcuni casi la esclusione della responsabilità (d.lg. n. 231 del 2001, art. 6), in altri un sollievo sanzionatorio (d.lg. n. 231 del 2001 citato, artt. 17, 78) e che, nella fase cautelare, può portare alla sospensione o alla non applicazione delle misure interdittive (d.lg. n. 231 del 2001 citato, art. 49)» (12).

L’adozione del Modello organizzativo previsto dal d.lg. n. 231/2001 andrà, pertanto, intesa non come contenuto di un obbligo giuridico bensì come espressiva di un onere, quantomeno sul versante delle fattispecie di responsabilità tipizzate e delineate dalla richiamata disciplina.

Quanto, invece, alle correlate responsabilità degli amministratori in relazione alla evenienza di un reato presupposto dovuto alla mancata adozione di un Modello, ovvero alla introduzione di un Modello inadeguato, si potrebbe ragionevolmente ipotizzare, in capo all’organo amministrativo, un comportamento poco diligente sotto il profilo gestorio, con conseguente possibile esercizio, a carico dei suoi componenti, dell’azione di responsabilità da parte della società per violazione del dovere di corretta amministrazione e del dovere di vigilanza sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo.

L’art. 2381 c.c., infatti, impone agli amministratori di dotare la società di assetti organizzativi adeguati: ciò vuol dire che in caso di mancata predisposizione ovvero di inottemperanza al dettato dell’art. 6 d.lg. n. 231/2001, gli amministratori potrebbero essere ritenuti inadempienti a tale obbligo, secondo il combinato disposto degli artt. 2381 e 2392 c.c. (13)(14).

6. Segue: Composizione dell’OdV

Delineate le funzioni dell’OdV, bisogna interrogarsi se le stesse possano essere assorbite da strutture aziendali già esistenti o se, invece, sia necessario costituire un organismo ad hoc.

L’affidamento delle funzioni di vigilanza ad uno degli organi societari può essere ritenuto una soluzione plausibile, in tal modo orientando la scelta a favore del collegio sindacale.

La tesi però sembra fragile, perché: 1) verrebbero fortemente attenuate le caratteristiche di autonomia ed indipendenza, previste e richieste dal d.lg. 231 del 2001 (al collegio sindacale, tra l’altro, l’art. 2403 c.c. rimette la valutazione circa «l’adeguatezza dell’assetto amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento»); 2) il nuovo diritto societario ha ridotto le attribuzioni del collegio sindacale per permettere il più attento svolgimento delle funzioni residue; 3) l’art. 2397 c.c. impone, per le società chiuse, un numero massimo di sindaci; ciò che genera perplessità circa la capienza soggettiva rispetto alla complessità di funzioni che andrebbero ad assommarsi in capo ad un organo dalla composizione rigida; 4) il collegio sindacale può divenire in alcuni casi correo dei reati presupposto, così come accade nei casi di cui all’art. 25 ter del Decreto, in tal modo potendosi delineare una inammissibile coincidenza tra i due soggetti in discussione (15).

Quanto alla scelta di attribuire le funzioni dell’OdV al consiglio di sorveglianza, previsto dall’art. 2409 octies c.c., questa suscita forti perplessità, se si considera la medesima potenziale correità ex art. 25 ter del Decreto (già segnalata per il collegio sindacale) nella quale può incorrere anche tale organo, destando, in aggiunta, ulteriori perplessità: 1) l’affidamento di compiti operativi al consiglio di sorveglianza (artt. 2409 terdecies e 2409quaterdecies c.c.), il quale fa sorgere dubbi circa la sussistenza, in capo al Consiglio, dei requisiti di indipendenza; 2) una incerta continuità d’azione, in quanto potenzialmente indebolita dalla scelta legislativa di non condizionare la revoca dei membri del consiglio alla giusta causa e all’approvazione della delibera da parte del tribunale (16).

In merito al comitato per il controllo sulla gestione, previsto dall’art. 2409 sexiesdecies c.c., è la sua stessa peculiare posizione nella struttura societaria che lo vede interno al consiglio di amministrazione, a sconsigliarne la scelta ai fini dell’attribuzione delle funzioni di sorveglianza sul Modello ex d.lg. 231 del 2001 (17)(18).

7. Le responsabilità dell’OdV

Come si è già avuto modo di rilevare, perché si possa configurare la responsabilità prevista dal d.lg. n. 231/2001 per tutti gli enti, dalle società alle associazioni, anche privi di personalità giuridica, si devono verificare i seguenti presupposti:

1) la commissione, da parte di un soggetto legato all’ente, di un reato previsto dal Decreto;

2) il reato deve essere commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente;

3) il soggetto che ha commesso il reato deve essere legato da un rapporto funzionale all’ente nel cui interesse il reato stesso è stato commesso (19).

La sussistenza di queste circostanze integra, come già visto, la responsabilità dell’ente salvo questo provi di:

a. «aver adottato ed efficacemente attuato un Modello organizzativo» idoneo a prevenire, al suo interno, la commissione di quella specifica categoria di reati e che il reato è stato commesso attraverso l’elusione fraudolenta del modello stesso;

b. aver affidato il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli, nonché di curarne l’aggiornamento ad un Organismo di Vigilanza (“OdV”) e che questo a svolto sufficientemente il proprio compito di vigilanza (20).

Tanto premesso, occorre interrogarsi se l’insufficiente o l’omessa vigilanza da parte dell’OdV generi in capo ai suoi membri una sua qualche tipo di responsabilità verso l’ente medesimo e/o verso altri soggetti, e, in caso affermativo, quale responsabilità sia ravvisabile.

8. Segue: Responsabilità penale dell’OdV

La responsabilità dei componenti dell’organismo di vigilanza è stata affrontata in primis in ambito penalistico.

Infatti, ferma in ogni caso, e nei limiti anzidetti, la responsabilità amministrativa dell’ente in caso di commissione dei c.d. reati presupposto da parte dei soggetti in posizione apicale e/o sottoposti, a causa del mancato esercizio del potere di vigilanza sul modello da parte dell’Organismo di Vigilanza, giova rilevare come, a fronte di un indirizzo minoritario (21) secondo il quale sussisterebbe una vera e propria posizione di garanzia dello stesso rispetto alla commissione dei reati previsti dal Decreto in parola, da cui discenderebbe la configurabilità di una responsabilità penale dei singoli membri per l’omesso impedimento dei suddetti illeciti penali ex art. 40, comma 2°, codice penale (22), tale ricostruzione viene correttamente esclusa da altra dottrina (23) in ragione della mancata previsione di espliciti poteri impeditivi in capo all’OdV. Ed infatti, come già rilevato, in capo all’Organismo di Vigilanza sussiste un mero potere di controllo e di vigilanza circa il funzionamento e l’osservanza del Modello, ma non con riguardo all’impedimento dei reati (24) (25) (26); fatta salva, ovviamente, la ipotesi in cui i componenti dell’OdV concorrano personalmente e materialmente in una fattispecie tipica di reato.

9. Segue: Profili di responsabilità civile dell’OdV

Tanto premesso, tuttavia, in presenza di un reato-presupposto non scriminato dalla presenza dell’OdV e/o di un adeguato Modello, se è da ragionevolmente escludere una responsabilità penale in capo di ciascuno dei componenti dell’OdV specificamente correlata alle funzioni agli stessi affidate dal d.lg. n. 231/2001, non devono escludersi eventuali profili di responsabilità civile a carico di questi ultimi. Anche in questo caso, pur convenendo con chi sostiene che il regime di responsabilità civile di ciascun componente dell’OdV debba «essere ricostruito … dall’interprete sulla base delle disposizioni applicabili alle singole fattispecie e dei criteri ermeneutici previsti dal codice civile» (27), non possono non individuarsi, come nucleo caratterizzante e contenuto imperativo del divisato regime di responsabilità, le sole previsioni contenute all’art. 5, n. 3, lett. b), e, d), d.lg. n. 231/2001 – in assenza di una espressa e condivisa adesione negoziale dell’OdV, all’atto del suo concreto insediamento, ad un regime obbligatorio convenzionale dai più ampi contenuti – capaci di introdurre veri e propri doveri di comportamento “ex lege”, certo valutabili alla stregua delle clausole generali di buona fede e correttezza ex artt. 1173 e 1176 c.c., ma pur sempre idonee ad orientare ogni valutazione di esatto adempimento allo scopo cui è tipicamente preordinata l’attività dell’OdV, così come declinata dal d.lg. n. 231/2001. Ogni diversa giustificazione circa la natura obbligatoria delle previsioni del Modello di organizzazione rispetto alle funzioni assegnate ai componenti dell’OdV si scontrerebbe, inevitabilmente, con un mancato – e necessario – esplicito consenso, prestato, da questi soggetti, a quegli eventuali ed ulteriori profili “normativi” del Modello stesso non direttamente giustificati dalla imperatività dei contenuti espressi, al riguardo, dal d.lg. n. 231/2001.

Sulla base di una così concepita premessa, l’eventuale responsabilità civile ascrivibile all’OdV assume, poi, rilevanza sotto due distinti profili (a) l’uno, interno, relativo alla responsabilità dell’OdV verso l’ente; (b) l’altro, esterno, ovvero nei confronti di terzi soggetti eventualmente danneggiati da un comportamento dell’OdV non conforme ai criteri di comportamento ed ai parametri espressi dal d.lg. n. 231/2001.

Sotto il primo profilo, occorre ribadire come l’OdV non sia un organo di controllo sulla gestione dell’impresa e neppure sia titolare di doveri simili a quelli previsti a carico del Collegio Sindacale: pertanto, in presenza di un reato presupposto, non potrà essere responsabilizzato dalla società per ragioni attinenti a mala gestio societaria, e, comunque, per effetto del semplice accertamento di una fattispecie di responsabilità di tal natura.

Tanto, però, non può escludere che ciascun componente dell’OdV possa essere responsabilizzato nei confronti dell’ente che lo ha nominato, per effetto di un non corretto adempimento delle obbligazioni allo stesso imposte “ex lege”, per effetto della valorizzazione dei parametri di comportamento evincibili dai normativamente tipizzati scopi cui è preordinata l’attività dell’OdV, così come in precedenza individuati nelle lettere b) e d) d.lg. n. 231/2001.

Infatti, al contrario di quanto avviene per gli organi sociali (quale, ad esempio, il Collegio Sindacale) – per i quali il legislatore ne individua dettagliatamente i poteri e le obbligazioni – si è già rilevato come la normativa introdotta dal d.lg. n. 231/2001 definisca il contenuto essenziale e caratterizzante della prestazione dell’OdV, altrimenti non delineabile, in assenza di una sua rilevanza statutaria e/o “organica” rispetto alle “Funzioni” aziendali tipiche.

L’ente, dunque, per agire verso ciascun componente dell’OdV, dovrà prospettare l’inadempimento o la violazione di un obbligo posto a suo carico, valorizzando, quindi, il contenuto “obbligatorio” delle prescrizioni tipizzanti il contegno dell’OdV contenute nel d.lg. n. 231/2001. La responsabilità dell’OdV dovrà, quindi, essere valutata in relazione al caso concreto, e affermata solo in presenza di una violazione delle descritte obbligazioni ex legeed allorché sia provato che il reato presupposto sia la conseguenza immediata e diretta di tale inadempimento, ovvero che, in presenza di un’attività dell’OdV conforme al contenuto obbligatorio espresso dalla richiamata fonte normativa, il reato non si sarebbe realizzato e l’ente non avrebbe dovuto subire le conseguenze negative correlate al predetto accertamento.

Spetta, poi, esclusivamente all’ente che li ha nominati la titolarità dell’azione sociale verso i membri dell’OdV; trattandosi di una scelta gestoria dovrà essere assunta di regola dall’organo dirigente (organo amministrativo).

Quanto all’onere della prova, l’ente dovrà prospettare sia la violazione degli obblighi di diligenza caratterizzati dalle previsioni normative che rendono peculiare l’attività dell’OdV, in quanto preordinate a consentire all’ente medesimo di sottrarsi ad un giudizio di imputazione di responsabilità ex d.lg. n. 231/2001, sia il nesso causale tra il ravvisato inadempimento ed i pregiudizi subiti dall’ente medesimo per effetto della imputazione di una responsabilità da “reato presupposto” ex d.lg. n. 231/2001.

Occorre, poi, rilevare come, nel caso di specie, potrebbe essere non facilmente concepibile il soccorso dell’esimente dell’art. 2236 c.c., che «si applica solo ai casi in cui o la difficoltà non è riconoscibile dal professionista medio, o non è possibile ricorrere ad uno specialista» (28): il che non dovrebbe ricorrere in capo all’Organismo, dati i requisiti di professionalità che dottrina (29) e giurisprudenza (30) impongono a carico dei componenti dello stesso.

In ogni caso, l’unico parametro su cui misurare l’inadempimento sarà l’obbligo di diligenza richiesta nell’esecuzione di un incarico – caratterizzato nei termini in precedenza enunciati – e ciò indipendentemente dal fatto che il componente dell’OdV sia legato, per altro e/o diverso titolo, da un vincolo di subordinazione e/o collaborazione con la società o sia un professionista esterno.

Quanto alla ipotizzabile responsabilità dell’OdV nei confronti di terzi, in presenza di un reato presupposto, rilevante ex d.lg. n. 231/2001, commesso dall’ente, la stessa rischia di essere difficilmente configurabile, atteso che, come detto, l’OdV non assurge alla qualifica di organo della società, ma ne rappresenta esclusivamente un ufficio, ricoprendo, cioè, una funzione organizzativa rilevante solo sul piano dei controlli interni dell’ente (31), restando, per ciò stesso, confinata a livello endosocietario.

Da quanto riportato, sembra, dunque, difficile costruire in capo all’OdV uno Statuto di responsabilità anche solo extracontrattuale, capace di giustificare, cioè, una pretesa risarcitoria, di natura aquiliana (32), in capo al danneggiato dal reato presupposto, verificatosi per “colpa”, ex art. 2043 c.c., dell’OdV.

Per tali effetti od omissioni, i soggetti lesi dal reato presupposto commesso in loro danno, e, comunque, dalla accertata responsabilità amministrativa dell’ente, così come dalle correlate conseguenze sanzionatorie (33), potranno, tutt’al più, invocare la responsabilità extracontrattuale – da “inadeguata” scelta gestoria – della società e/o dei propri amministratori o sindaci (34), fermo il regresso contrattuale di questi nei confronti dell’OdV.

Né, infine, potrà ascriversi all’OdV alcuna responsabilità extracontrattuale da inadeguatezza del Modello, ovvero da suo mancato e/o carente funzionamento, in quanto riferibili a competenze ex lege assegnate, in via esclusiva, all’organo amministrativo, anche nel caso in cui l’OdV non abbia tempestivamente sollecitato interventi e/o adeguamenti (35), fermo, ovviamente, anche in questo caso, un ipotizzabile regresso nei confronti dell’OdV.

10. Conclusioni

Sulla scorta di quanto sopra esposto, è possibile conclusivamente affermare quanto segue:

– il d.lg. n. 231 del 2001 non obbliga gli enti dotati di personalità giuridica all’adozione dei c.d. modelli organizzativi previsti da tale fonte normativa: l’attuazione del c.d. “Modello 231” opera, infatti, come mera esimente (art. 7 d.lg. n. 231/2001), ovvero su di un piano di “alleggerimento sanzionatorio” (art. 17 d.lg. n. 231/2001);

– l’Organismo di Vigilanza, se costituito, deve essere inteso come realtà giuridica interna all’ente, seppur dotata di autonomia ed indipendenza, chiamata a svolgere una attività di consulenza e consultiva, non assolvendo alcuna funzione di garanzia (anche perché sfornita di poteri impeditivi);

il vincolo obbligatorio sorto tra Ente/OdV sarà sussumibile entro lo schema del mandato professionale. Conseguentemente, i membri dell’Organismo risponderanno nei confronti dell’Ente per inadempimento ai doveri di corretto adempimento della loro funzione, connotata, in modo peculiare e tipico, dai contenuti precettivi del d.lg. n. 231/2001, nei limiti della loro riconducibilità alla funzione ex lege assegnata all’OdV.

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(1) Art. 1: «1. Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.
2. Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
3. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale»
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Tra le opere monografiche in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche si segnalano:
Aa.Vv.,
Reati e responsabilità degli enti – Guida al d.lg. 8.6.2001, n. 231, a cura di Lattanzi, 2ͣ ed., Milano, 2010; Aa.Vv., Responsabilità «penale» delle persone giuridiche – D.lg. 8.6.2001, n. 231, a cura diGiarda, Mancuso, Spangher, Varraso, Milano, 2007; Aa.Vv., La responsabilità da reato degli enti collettivi – Cinque anni di applicazione del d.lg. 8.6.2001, n. 231 (atti del convegno, Bari, 26-27.5.2006), a cura di Spagnolo, Milano, 2007; Aa.Vv., La responsabilità amministrativa degli enti: d.lg. 8.6.2001, n. 231, Milano, 2002; Bernasconi, Presutti, C. Fiorio, La responsabilità degli enti – Commento articolo per articolo al d.lg. 8.6.2001, n. 231, Padova, 2008; De Felice, La responsabilità da reato degli enti collettivi – Parte I: Principi generali e criteri d’imputazione (d.lg. 231/2001), Bari, 2002; Di Pinto, La responsabilità amministrativa da reato degli enti – Profili penali sostanziali e ricadute sul piano civilistico, Torino, 2003; Fiorella, Lancellotti, La responsabilità dell’impresa per i fatti di reato – Commento alla l. 29.9.2000, n. 300 e al d.lg. 8.6.2001, n. 231 – Presupposti della responsabilità e modelli organizzativi, Torino, 2004; Gennai e Traversi, La responsabilità degli enti – Per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato (commento al d.lg. 8.6.2001, n. 231), Milano, 2001; Razzante e Toscano, La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche – Profili teorici e pratici connessi all’applicazione del d.lg. 8.6.2001, n. 231, Torino, 2003; Vinciguerra, Ceresa-Gastraldo e Rossi, La responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse (d.lg. n. 231/2001), Padova, 2004.

(2) Vedi agli artt. 24 ss. d.lg. 231/2001 per il catalogo dei reati per i quali è prevista la responsabilità degli enti, i c.d. “reati presupposto”.

(3) La dottrina maggioritaria ritiene la necessaria appartenenza dell’OdV all’ente nel senso che esso costituisce un ufficio ad hoc di questo, facente parte della struttura organizzativa dell’ente: tra tutti vedi Pisani, cit., Frignani-Grosso-Rossi, I modelli di organizzazione previsti dal d.lg. n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti, Società, 2002, 149; Benvenuto, Organi sociali e responsabilità amministrativa da reato degli enti, Società, 2009, 6, 673 ss., Gargarella Martelli, cit., Pisani, I requisiti di autonomia ed indipendenza dell’organismo di vigilanza istituito ai sensi del d.lg. 231/20011, Resp. amm. soc. enti, 2008, 1, 155, così anche Confindustriua, Linee Guida per la costruzione dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo ex d.lg. 231/2001, 7.3.2003, 26. A sostegno della tesi secondo cui i compiti dell’OdV possono sovrapporsi a quelli di altri organi societari vedi Fiorella, voce Responsabilità da reato degli enti, in Cassese, Dizionario di diritto pubblico, Milano 2006; Pisani, Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, Milano, 2003; in senso analogo, rispetto alla possibilità che il collegio sindacale nel suo complesso coincida con l’OdV; così anche, Manna, La c.d. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: un primo sguardo d’insieme, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2002, 509).

(4) Valensise, L’organismo di vigilanza ex d.lg. n. 231/2001: considerazioni su poteri, composizione e responsabilità, in Società e modello “231”: ma che colpa abbiamo noi?, a cura di Abriani, Meo e Presti, AGE, 2/2009, Bologna, 358; Colombo, Garavaglia, I “modelli di organizzazione, gestione e controllo” di cui al d.lg. n. 231/2001 nel contesto della corporate governante, in Il controllo nelle società e negli enti, 2006, 421 ss.; Galletti, I modelli organizzativi nel d.lg. n. 231 del 2001: le implicazioni per la corporate governance (Intervento al Convegno “La modellistica organizzativa nel d.lg. n. 231 del 2001. Profili di corporate governance ed esperienze aziendali”, Trento 11.2.2005), in Giur. comm., 2006, I, 135; Mancini, Osservazioni a margine di un’interpretazione giurisprudenziale in tema di responsabilità amministrativa degli enti e modelli organizzativi, nota a Trib. Roma, ord. 4.4.2003, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 2005, …, 58; Sfameni, Responsabilità da reato degli enti e nuovo diritto azionario: appunti in tema di doveri degli amministratori ed organismo di vigilanza, in Riv. società, 2007, 154 ss.

(5) Anche la giurisprudenza pare confermare come, posto che la nomina dell’organismo di vigilanza è un atto di natura prettamente organizzativo-amministrativa, spetti all’organo a ciò deputato, e cioè all’organo di gestione, provvedervi: cfr. Trib. Roma, (ord.), 4.4.2003, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 2005, …, 43 ss. Parte della dottrina, poi, non ritiene di escludere che un ruolo all’assemblea, nella nomina dell’organismo di vigilanza, possa essere attribuito per via statutaria nei limiti di cui all’art. 2364, 1° co., n. 5, c.c. (Valensise, L’organismo di vigilanza ex d.lg. n. 231/2001: considerazioni su poteri, composizione e responsabilità, in Società e modello “231”: ma che colpa abbiamo noi?, cit., 359).

(6) Cfr. De Stefanis, Profili di responsabilità dell’organismo di vigilanza ai sensi del d.lg. 231/2001, in Danno e resp., 2010, 4, 239 ss.; Montalenti, Organismo di vigilanza e sistema dei controlli, in Giur. comm., 2009, 04, 643 ss.; Gargarella Martelli, L’organismo di vigilanza tra disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, in Giur. comm., 2009, 4, 762 ss.

(7) In tal senso, vedi De Stefanis, cit., Gargarella Martelli, cit.; Troyer-Ingrassia, Vi è una posizione di garanzia in capo ai membri dell’Organismo di Vigilanza? Spunti di riflessione, in Riv. dott. commercialisti, 2008, 6, 1266 ss., Antonetto, Il regime del rapporto e della responsabilità dei membri dell’organismo di vigilanza, in Resp. amm. soc. e enti, 2008, 1, 80, Sfameni, Responsabilità da reato degli enti e nuovo diritto azionario: appunti in tema di doveri degli amministratori ed Organismo di Vigilanza, in Riv. società, 2007, 185 ss.; Pisani, La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: i modelli organizzativi, in Fisco, 2006, 35, 5422; Linee Guida Confindustria, 36.

(8) Giova, comunque, ricordare come le Linee guida elaborate da Confindustria (Confindustria, Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex d.lg. n. 231/2001, approvate il 7.3.2002 (aggiornate al 31.3.2008) individuino le attività demandate all’OdV, sulla base delle indicazioni contenute negli artt. 6 e 7 d.lg. n. 231/2001, in «vigilanza sull’effettività del modello, che si sostanzia nella verifica della coerenza tra i comportamenti concreti ed il modello istituito; disamina in merito all’adeguatezza del modello ossia della sua reale (e non meramente formale) capacità di prevenire, in linea di massima, i comportamenti non voluti; analisi circa il mantenimento nel tempo dei requisiti di solidità e funzionalità del modello; cura del necessario aggiornamento in senso dinamico del modello, nell’ipotesi in cui le analisi operate rendano necessario effettuare correzioni ed adeguamenti. Tale cura, di norma, si realizza in due momenti distinti ed integrati; presentazione di proposte di adeguamento del modello verso gli organi/funzioni aziendali in grado di dare loro concreta attuazione nel tessuto aziendale. A seconda della tipologia e della portata degli interventi, le proposte saranno dirette verso le funzioni di Personale e Organizzazione, Amministrazione, ecc., o, in taluni casi di particolare rilevanza, verso il Consiglio di Amministrazione; follow-up, ossia verifica dell’attuazione e dell’effettiva funzionalità delle soluzioni proposte. Si tratta di attività specialistiche, prevalentemente di controllo, che presuppongono la conoscenza di tecniche e strumenti ad hoc, nonché una continuità di azione elevata».

(9) Sempre secondo le Linee Guida dettate da Confindustria «tali requisiti sembrano assicurati dall’inserimento dell’Organismo in esame come unità di staff in una posizione gerarchica la più elevata possibile e prevedendo il “riporto” al massimo Vertice operativo aziendale ovvero al Consiglio di Amministrazione nel suo complesso».

(10) Un elenco analitico delle competenze richieste all’organismo di vigilanza è stato proposto da Confindustria nelle già richiamate Linee Guida.

(11) Ciò si evince in modo ancora più evidente dall’incipit delle linee guida elaborate da Confindustria, ove si afferma che «la legge prevede l’adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo in termini di facoltatività e non di obbligatorietà, tuttavia la mancata adozione del modello espone l’ente alla responsabilità per gli illeciti realizzati da amministratori e dipendenti. L’adozione del modello diviene, pertanto, di fatto necessaria se si vuole beneficiare dell’esimente».

(12) Cfr. Cass. pen., sez. VI, 23.6.2006, n. 32626, in Cass. pen., 2007, 4228.

(13) Trib. Milano, 13.2.2008, n. 1774, su www.confindustria.it.

(14) Così Montalenti, cit., Gargarella Martelli, cit., Troyer-Ingrassia, cit., Sfameni, cit., 163 ss. Per completezza, secondo parte della dottrina (Sfameni, cit., 165, Benvenuto, cit.) l’adeguatezza dell’assetto organizzativo e del modello di organizzazione deve essere strettamente funzionale alla natura, alle dimensioni ed alla complessità dell’attività svolta. Ne consegue che l’adozione di un Modello e la nomina di un OdV devono essere considerate un obbligo solo per le società per le quali questi configurino un assetto organizzativo adeguato in ragione delle dimensioni e della complessità dell’attività.

(15) Cfr. Gargarella Martelli, L’organismo di vigilanza tra disciplina della responsabilità amministrativa degli enti e diritto societario, in Giur. comm., 2009, 04, 762.

(16) Cfr. Gargarella Martelli, L’organismo di vigilanza tra disciplina della responsabilità amministrativa degli enti e diritto societario, cit.

(17) Cfr. Gargarella Martelli, L’organismo di vigilanza tra disciplina della responsabilità amministrativa degli enti e diritto societario, cit.

(18) Le Linee Guida dettate da Confindustria circoscrivono a tre le possibili scelte per l’individuazione e configurazione dell’Organismo di Vigilanza:
Il Comitato per il controllo interno (ovviamente per quelle società che ne siano dotate), in quanto dotato di autonomia ed indipendenza, dovendo essere composto (secondo le indicazioni del Codice di autodisciplina per le società quotate) da amministratori non esecutivi, la maggioranza dei quali indipendenti; l’art. 2409
octiesdecies, 2° co., c.c., richiede ai componenti il possesso dei requisiti di indipendenza, onorabilità e professionalità; il Comitato svolge un ruolo del tutto assimilabile a quello richiesto all’OdV;
in alternativa, l’Internal Audit (o revisore interno), in quanto si configura come un’articolazione interna all’azienda e svolge un’attività indipendente ed obiettiva di consulenza, strumentale all’ottimizzazione dell’assetto organizzativo della società in termini di efficacia ed efficienza. Lo
status dei componenti dell’Internal Audit è per certi versi assimilabile a quello dei revisori contabili. Certa dottrina, tenendo conto «da un lato, del consolidarsi nella prassi dell’adozione di un sistema di revisione interna da parte delle imprese medio-grandi, nel rispetto dei codici di Autodisciplina; dall’altro, del bilanciamento costi/benefici che qualunque impresa è solita fare, per cui, laddove già esista un organismo idoneo ad adattarsi alle funzioni ed ai requisiti dell’OdV, non si renderà necessario creare tout court un nuovo soggetto” ritiene preferibile attribuire all’Internal Audit il ruolo di OdV» (La Rosa, Teoria e prassi del controllo “interno” ed “esterno” sull’illecito dell’ente collettivo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2006, 4, 1297).
La creazione di un ufficio
ad hoc a composizione pluripersonale mista, alternativa praticabile a condizione che la funzione di cui all’art. 6, lett. b), d.lg. in commento sia demandata ad un organo dell’ente (che potrà tuttavia avvalersi delle specifiche professionalità di consulenti esterni per l’esecuzione delle operazioni tecniche per lo svolgimento della funzione di controllo).
Negli enti di piccole dimensioni, i compiti di cui all’art. 6, 1° co., lett. b), d.lg. n. 231/2001 possono essere svolti direttamente dall’organo dirigente (cfr. art. 6, 4° co., d.lg. n. 231/2001).

(19) In particolare, il medesimo art. 5 elenca due categorie di soggetti: da un lato, le persone che rivestono funzioni di amministrazione, rappresentanza o direzione dell’ente – c.d. organi apicali –; dall’altro, tutti i soggetti sottoposti alla direzione e al controllo degli organi apicali.

(20) È d’uopo precisare come tale condizione sia prevista dall’art. 6 nel solo caso di reato commesso da soggetti apicali.

(21) Panagia, Rilievi critici sulla responsabilità punitiva degli enti, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2008, 165 ss.

(22) Si ricorda come, ai sensi dell’art. 40, 2° co., codice penale, non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. La responsabilità in questione sussiste in presenza di un dovere giuridico di attivarsi per impedire il verificarsi dell’evento. Tale dovere giuridico sussiste qualora siano ravvisabili in capo all’obbligato una posizione di garanzia derivante da una fonte normativa nonché il potere giuridico e di fatto di impedire l’evento tenendo la condotta doverosa. Sotto tale profilo hanno indagato Bartolomucci, Corporate governante e responsabilità delle persone giuridiche, Milano, 2004; Baudino, Santoriello, La responsabilità dei componenti dell’organismo di vigilanza, in Resp. amm. soc. e enti, 2009, 76-80; De Vivo, Martino, L’organismo di vigilanza, in D’Andrea, De Vivo, Martino, I modelli organizzativi ex d.lg. n. 231/2001. La responsabilità amministrativa delle imprese, Milano, 2006, 173 ss.; Foglia Manzillo, Nessun obbligo per l’organo di vigilanza di impedire gli illeciti penali, in Dir. e prat. soc., 2003, 34 ss; Frignani, Grasso,L’organismo di controllo, sua composizione e problematiche, in Aa.Vv., I modelli organizzativi ex d.lg. n. 231/2001. Etica di impresa e punibilità degli enti, a cura di Monesi, Milano, 2005, 381 ss.

(23) Troyer-Ingrassia, cit., De Stefanis, cit.

(24) Si legga, in proposito, Valensise, L’organismo di vigilanza ex d.lg. n. 231/2001: considerazioni su poteri, composizione e responsabilità”, in Società e modello “231”: ma che colpa abbiamo noi?, cit., 381, secondo il quale «Prova di ciò è che nessun potere/dovere di intervento diretto è attribuito dalla legge all’organismo di vigilanza, il quale anche in caso di riscontrate violazioni del modello, può al massimo rivolgersi all’organo di gestione per segnalare la commissione delle violazioni e, eventualmente per proporre l’applicazione delle sanzioni ovvero la modifica del modello. Non sussistendo, dunque, in capo all’organismo di vigilanza, alcuna posizione di garanzia né alcun potere impeditivo si ritiene che esso non possa rispondere dei reati commessi dall’ente, neppure a titolo di concorso omissivo ex art. 40, 2° co., c.p. Ciò detto, resta ovviamente salva l’eventuale responsabilità penale dei componenti dell’organismo di vigilanza nel caso di concorso di questi ultimi con l’autore del reato, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 110 c.p.».

(25) Confindustria, allineandosi a quanto sostenuto in dottrina, individua la funzione precipua dell’organismo di vigilanza in una “finalità preventiva indiretta”. L’organo in esame, cioè, «non serve a prevenire concreti episodi delittuosi, bensì ad assicurare l’effettività dei modelli di organizzazione e di gestione adottati». Il suo compito precipuo è quello di rilevare rischi, facendo sì che si riducano i margini di commissione d’illeciti.
In effetti – spiegano le Linee Guida – «l’attribuzione all’organismo di compiti di impedimento dei reati non si concilia con la sostanziale assenza di poteri impeditivi, giacché l’organismo non può neppure modificare, di propria iniziativa i modelli esistenti, assolvendo, invece un compito consultivo dell’organo dirigente cui compete il compito di modificare i modelli. […] L’organismo di vigilanza non ha obblighi di controllo dell’attività, ma doveri di verifica della idoneità e sufficienza dei modelli organizzativi a prevenire i reati».
Si deve pertanto escludere una responsabilità penale, anche
ex art. 40, 2° co., c.p.c., in capo all’OdV, il quale non è soggetto garante del bene giuridico protetto.

(26) Per completezza, si ricorda come certa dottrina ha ipotizzato di poter configurare una posizione di garanzia in tre casi.
La prima, relativa alla possibilità di ricostruire una posizione di garanzia dell’OdV in riferimento alle lesioni colpose ed all’omicidio colposo da mancato rispetto delle norme sulla sicurezza e sull’igiene dei posti di lavoro (cfr. Antonetto, cit.) di cui all’art. 25
septies d.lg. n. 231/2001: si tratterebbe di una responsabilità per concorso omissivo a titolo colposo in un reato commissivo o omissivo ugualmente colposo. Si sostiene, dunque, l’assimilabilità della posizione dell’OdV a quella del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (in seguito RSPP), nonostante la diversità di posizione e compiti.
La seconda ipotesi di posizione di garanzia riguarderebbe «La prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo» di cui al d.lg. n. 231/2007. Tale decreto amplia il ruolo dell’OdV, giacché l’art. 52 impone l’obbligo di comunicazione di determinate attività, ritenute rilevanti dal legislatore ai fini della prevenzione e dell’accertamento del reato di riciclaggio, sia ad enti esterni alla società, ovvero le autorità di vigilanza di settore, l’Unità d’Informazione Finanziaria e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sia ai soggetti, amministratori delegati, titolari o rappresentanti legali di società di cui è denunciata una infrazione. Viene, poi, prevista una sanzione penale specifica per l’omessa comunicazione dei fatti che riguarda i membri dell’OdV. Ciò nonostante, appare evidente che anche la normativa antiriciclaggio non impone specifici poteri impeditivi in capo all’OdV necessari alla costruzione di una posizione di garanzia (Troyer-Ingrassia, cit.).
Resta teoricamente percorribile, infine, la possibilità che attraverso lo strumento della delega, l’organo dirigente, nell’istituire l’OdV, gli conferisca specifici poteri impeditivi.
Tale ipotesi (da molti considerata irrealizzabile: vedi Troyer-Ingrassia, cit., De Stefanis, cit.) potrebbe essere efficace al fine di ricostruire una posizione di garanzia in capo all’OdV nel caso in cui il contratto da cui nasce l’obbligazione avesse un contenuto puntuale e prevedesse gli specifici poteri impeditivi dell’evento.

(27) Baudino, Santoriello, Responsabilità dei componenti dell’organismo di vigilanza, cit., 59; in tal senso vedi anche De Stefanis, cit.; Antonetto, cit.

(28) Cian-Trabucchi, Commentario breve al codice civile, Padova 2006, 2486.

(29) Per tutti Sfameni, cit., 195.

(30) Trib. Napoli, 26.6.2007, in www.rivista231.it; Trib. Milano, 20.9.2004, in Guida dir., 2004, 47, 79.

(31) Ex multis, Sfameni, cit., 154 ss.

(32) Così «i membri dell’OdV, pertanto, non potranno vedersi addebitare, in via concorrente, pregiudizi subiti dai soci/creditori/terzi in conseguenza di fatti omissioni posti in essere dal CdA e concretizzatesi in carenze o mal funzionamento del Modello» (De Stefanis, op. cit.).

(33) Il d.lg. n. 231/2001 prevede sia sanzioni amministrative pecuniarie, che si applicano in ogni caso di accertamento di illecito amministrativo dipendente da reato (art. 10), sia sanzioni interdittive, che si applicano, invece, in relazione ai soli reati per i quali sono espressamente previste (art. 14). Nel caso di applicazione di una sanzione interdittiva, può essere, altresì, disposta la pubblicazione della sentenza di condanna (art. 18). Infine, con la sentenza di condanna dell’ente, è sempre disposta la confisca del prezzo o del profitto del reato (art. 19).

(34) In questo senso Baruffi, L’organismo di vigilanza ex d.lg. 231/2001, in Il modello di organizzazione, gestione e controllo di cui al d.lg. n. 231/2001, Milano, 2008, 390. Secondo recente dottrina (De Stefanis Rachele, Profili di responsabilità dell’organismo di vigilanza ai sensi del d.lg. n. 231/2001, in Danno e resp., 2010, 329) «L’iniziativa di un’eventuale azione nei confronti dell’Organismo spetterà esclusivamente alla società che li ha nominati in quanto “creditrice” della prestazione in base al rapporto contrattuale di affidamento dell’incarico, prestazione che è identificabile nel generico obbligo, sancito direttamente della legge, di “vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e curarne di aggiornamenti”. L’esercizio dell’eventuale azione di responsabilità, trattandosi di una scelta gestoria, dovrà essere assunta dall’organismo amministrativo dell’ente, salvo che, in base allo statuto della società, tale potere sia attribuito ad un diverso organo.
Un’ultima osservazione, infine, merita il tema dell’onere della prova gravante sulla società che agisca nei confronti dei membri dell’OdV posto che la dottrina è solita ricondurre l’obbligazione che sorge tra società e OdV tra le c.d. obbligazioni di mezzi. Un tale inquadramento, infatti, comporta fondamentali conseguenze sia sotto il profilo della responsabilità che dell’onere della prova.
La società, infatti, non avrà soltanto l’onere di provare la sussistenza del danno, ma dovrà dimostrare la violazione degli obblighi di diligenza cui il “debitore” della prestazione di mezzi era tenuto. La sola commissione di un reato presupposto da parte degli organi apicali della società o dei loro dipendenti, non sarà, quindi, sufficiente per dimostrare automaticamente il comportamento negligente o imperito dei membri dell’OdV né potrà assurgere a fonte di responsabilità oggettiva a questi ultimi ascrivibile.
L’onere di provare l’inadempimento agli obblighi contrattuali graverà esclusivamente sulla società la quale dovrà dimostrare che i componenti dell’Organismo non hanno eseguito la propria prestazione secondo le regole di diligenza cui erano tenuti, prestazione essenzialmente consistente in un’attività di vigilanza sul funzionamento del Modello.
L’unico parametro su cui misurare l’inadempimento, quindi, sarà il suddetto obbligo di diligenza richiesta nell’esecuzione di un incarico e ciò indipendentemente dal fatto che il soggetto sia legato da un vincolo di subordinazione con la società o sia un professionista esterno».

(35) A conferma della responsabilità degli amministratori per mancata predisposizione di un modello Trib. Milano, 13.2.2008, n. 1774.


Avvocato Cassazionista e Professore Associato di Diritto Privato, Diritto Civile e Diritto della Comunicazione presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bologna, sedi di Bologna e Ravenna, dall’A.A. 2002/2003; Docente presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali istituita presso l’Università degli Studi di Bologna; Docente accreditato in materia di mediazione civile e commerciale e D. Lgs. n. 231/2001. Curatore, coautore e autore di numerosi articoli pubblicati in Riviste di Settore, in materia di diritto commerciale e industriale, antitrust e concorrenza, pubblicità commerciale ed etichettatura dei prodotti, responsabilità civile e di impresa, diritto e responsabilità nel settore societario, bancario e creditizio, diritto della mediazione e dell’arbitrato, nazionale ed internazionale, contratti d’impresa, diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’internet, ha pubblicato, tra l’altro, le seguenti recenti monografie: Lezioni di diritto dei mass media, Bologna, 2010; Responsabilità amministrativa dell’ente e responsabilità civile dell’Organismo di Vigilanza, Padova, 2012; Accordo amichevole e procedimento di mediazione civile e commerciale, Bologna, 2015.

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