Dalla potestà alla responsabilità genitoriale

Enrico Al Mureden, Dalla potestà alla responsabilità genitoriale, in Giur. It., 2014, 5

Dalla potestà alla responsabilità genitoriale

Sommario: Premesse. – La nuova disciplina della responsabilità genitoriale. – La condizione del figlio nella famiglia, le nuove responsabilità dei genitori e i nuovi vincoli di parentela. – L’usufrutto legale dei genitori e l’amministrazione dei beni del figlio. – La responsabilità genitoriale come nuovo strumento di coesione dei rapporti genitori-figlio.

Premesse.

[Il lavoro ripropone parzialmente, con aggiornamenti, il contenuto del saggio La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e pluralità di modelli familiari, in Fam. e Dir., 2014, 466 e segg.]

La L. 10 dicembre 2012, n. 219, che «ha proclamato il principio della unicità dello stato di filiazione»(1), prevedeva che il legislatore delegato dovesse provvedere alla «unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e dei figli nati fuori del matrimonio, delineando la nozione di responsabilità genitoriale quale aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale» (art. 2, comma 1, lett. h)(2). In linea con questa previsione il D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 (“Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione a norma dell’art. 2 della L. 10 dicembre 2012, n. 219“) ha introdotto una disciplina della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio che presenta significativi profili di novità rispetto al sistema di regole previgente.

Il legislatore è intervenuto riorganizzando all’interno del Titolo IX del Libro I le norme che regolano l’esercizio della responsabilità genitoriale ed ha introdotto significative modificazioni della disciplina previgente sotto differenti profili. Occorre considerare in primo luogo i due aspetti di novità più evidenti: quello lessicale e quello sistematico. Con riguardo al profilo lessicale emerge la sostituzione del termine potestà genitoriale con quello di responsabilità genitoriale; innovazione che, come si osserverà, testimonia una mutata considerazione del rapporto tra genitori e figlio nella quale vengono posti in primo piano i diritti di quest’ultimo(3). Per quanto concerne il profilo sistematico, si riscontrano mutamenti in ragione dei quali le disposizioni che regolano i rapporti genitori-figlio in caso di rottura dell’unione dei genitori, in precedenza collocate nel contesto dei rapporti tra coniugi (artt. 155-155 sexies c.c.), sono state ricollocate negli artt. 337 bis-337 octies c.c., compendiati nel Capo II (intitolato “Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio”), rendendo così più evidente e coerente la scelta legislativa di regolare in modo uniforme il rapporto genitori-figlio a prescindere dal tipo di unione che lega questi ultimi(4).

Oltre ai profili di novità indicati occorre considerare le rilevanti modificazioni “indirette” che interessano norme in materia di responsabilità genitoriale il cui contenuto è rimasto apparentemente invariato ma che, in ragione delle profonde trasformazioni introdotte dalla riforma, assumono una portata significativamente diversa rispetto al passato.

Come si osserverà più ampiamente, l’insieme dei profili di innovazione indicati può condurre, nel suo complesso, a delineare una nuova 

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dimensione del rapporto tra genitori e figli con riferimento a quelle situazioni che un tempo erano riconducibili alla nozione di potestà e che oggi rientrano nella responsabilità genitoriale; proprio in questa prospettiva sarà possibile cogliere ulteriormente i profili di innovazione sostanziale sottesi alla modifica terminologica che ha portato alla sostituzione del termine potestà con quello di responsabilità genitoriale.

La nuova disciplina della responsabilità genitoriale.

Come anticipato, le regole che governano la responsabilità genitoriale sono state riorganizzate nel Titolo IX (“Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio”) del Libro I. Per quanto concerne il Capo I (“Dei diritti e dei doveri del figlio”) del richiamato Titolo IX, le innovazioni introdotte dalla riforma hanno interessato gli artt. 315 e 315 bis c.c. (già modificati ad opera della legge n. 219/2012), e gli artt. 316, 316 bis, 317, 317bis e 318 c.c., modificati a seguito dell’introduzione del D.Lgs. n. 154/2013.

Nell’attuale formulazione dell’art. 316 c.c. il riferimento alla potestà genitoriale è sostituito da quello alla responsabilità genitoriale. La Relazione illustrativa della riforma chiarisce che l’abbandono della nozione di potestà corrisponde alla scelta di valorizzare il profilo della «assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio»(5). Il legislatore delegato ha optato per la soluzione di non fornire una definizione della responsabilità genitoriale anche al fine di conferire l’elasticità e la plasmabilità funzionali a garantire una maggiore capacità di adattamento della nozione alle future evoluzioni. Cionondimeno la Relazione illustrativa della riforma precisa che con il termine responsabilità genitoriale si indica una «situazione giuridica complessa idonea a riassumere i doveri, gli obblighi e i diritti derivanti per il genitore dalla filiazione che viene a sostituire il tradizionale concetto di potestà»(6). La “modifica terminologica”, continua la stessa Relazione, «dà risalto alla diversa visione prospettica che nel corso degli anni si è sviluppata ed è ormai da considerare patrimonio condiviso»; “i rapporti genitori figli”, quindi, «non devono essere più considerati avendo riguardo al punto di vista dei genitori, ma occorre porre in risalto il superiore interesse dei figli minori»(7). Ciò, del resto, appare pienamente coerente rispetto alle linee guida emerse nelle discipline europee più recenti e, in particolare, nell’art. 2, n. 7, Reg. (CE) n. 2201/2003(8), che si riferisce alla responsabilità genitoriale indicandola come l’insieme dei “diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore”(9).

Un particolare elemento di differenziazione sostanziale che caratterizza la responsabilità genitoriale rispetto alla potestà e ne testimonia il carattere più ampio può cogliersi sotto il profilo dell’assenza di una limitazione temporale. La stessa Relazione infatti sottolinea che la responsabilità genitoriale «vincola i genitori ben oltre il raggiungimento della maggiore età, fino cioè al raggiungimento dell’indipendenza economica»; per questa ragione il legislatore ha eliminato ogni riferimento alla durata della responsabilità genitoriale «inserendo tale specificazione solo dove necessario». Così, la precisazione secondo cui il figlio era «soggetto alla potestà dei genitori sino all’età maggiore o alla emancipazione», contenuta nel previgente art. 316 c.c., non compare nell’attuale art. 316 c.c., che investe i genitori della responsabilità genitoriale, senza indicare limitazioni di durata dipendenti dalla acquisizione della capacità di agire in capo al figlio. Poiché la limitazione della durata della responsabilità genitoriale è ora esclusa in termini generali, il legislatore è intervenuto a modificare il testo di alcune disposizioni nelle quali — venendo in considerazione aspetti della responsabilità genitoriale riferiti al figlio non ancora capace di agire — si rende necessario esplicitare che la responsabilità genitoriale persiste sino “alla maggiore età o all’emancipazione”. Questa precisazione, infatti, è contenuta nel nuovo testo dell’art. 318 c.c. (“Abbandono della casa del genitore”), dell’art. 320 c.c. (“Rappresentanza e amministrazione”) e dell’art. 324 c.c. (“Usufrutto legale”)(10).

Tra i profili di innovazione dell’art. 316 c.c., occorre richiamare anche l’intervenuta soppressione della parte in cui si prevedeva che venisse attribuita al padre una posizione di preminenza qualora fosse necessario adottare provvedimenti urgenti ed indifferibili in situazioni di incombente pericolo di un grave pregiudizio per il figlio(11).

Non vi è dubbio che tra le modifiche introdotte dalla riforma meriti particolare attenzione il disposto dell’art. 316, comma 4, c.c., laddove sancisce che «il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui» e che «se il riconoscimento del figlio, nato fuori dal matrimonio, è fatto dai genitori, l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi». Con questa norma, infatti, la regola dell’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale assume una portata generale e si estende anche all’ipotesi in cui i genitori biologici non siano mai stati uniti né dal matrimonio, né da una convivenza more uxorio. Si risolve, così, quell’incertezza interpretativa che si era posta successivamente all’entrata in vigore della legge n. 54/2006, relativa alla persistente vigenza della regola (art. 317 bis c.c.) secondo cui nella famiglia di fatto la potestà spettava ad entrambi i genitori solo se entrambi avevano effettuato il riconoscimento ed avevano formato tra loro un’unione fondata sulla convivenza(12).

L’art. 316 bis c.c., intitolato “Concorso nel mantenimento”, riproduce la norma precedentemente contenuta nell’art. 148 c.c.; in tal caso, quindi, si è in presenza di una mera modificazione della collocazione sistematica di una norma il cui contenuto è rimasto sostanzialmente inalterato.

Anche l’art. 317 c.c., intitolato “Impedimento di uno dei genitori”, non presenta tratti di novità particolari in quanto riproduce il testo previgente, salve alcune modificazioni lessicali determinate dall’esigenza di sostituire il riferimento alla potestà con quello alla responsabilità genitoriale.

Indubbiamente una disposizione dal carattere estremamente innovativo, che rappresenta una significativa modifica del sistema previgente, è quella contenuta all’art. 317 bis c.c. Essa, per la prima volta, riconosce in capo agli ascendenti «il diritto di mantenere rapporti significativi i con i nipoti minorenni», precisando che «l’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore […]»(13).

Per quanto concerne le norme che regolano la rappresentanza dei genitori, l’amministrazione dei beni del figlio (artt. 320-323 c.c.)(14) e l’usufrutto legale dei genitori (artt. 324-329 c.c.)(15), si può affermare che, ad una prima osservazione, gli elementi di novità si limitano solamente alla sostituzione del termine potestà con quello di responsabilità genitoriale, nonché alla esplicita indicazione che limita la persistenza delle indicate prerogative inerenti al contenuto patrimoniale della responsabilità genitoriale “fino alla maggiore età o all’emancipazione” del figlio. Tuttavia, come si osserverà, riguardando queste stesse disposizioni in una prospettiva sistematica, è possibile riscontrare profonde modificazioni nella loro lettura; modificazioni che, in prima approssimazione, possono essere considerate quali indirette conseguenze dell’estensione generalizzata della regola dell’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale, nonché dell’ampliamento dei legami di parentela determinato dalla modificazione degli artt. 74(16) e 258 c.c.(17)

Nel nuovo Capo II, intitolato “Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio”, sono compendiati gli artt. 337 bis-337 octies c.c. In essi è stata trasposta la disciplina dei rapporti genitori-figlio delineata dalla legge n. 54/2006 e collocata in precedenza negli artt. 155-155sexies c.c. Si riscontrano, inoltre, significative modificazioni rispetto al contenuto delle norme previgenti. Indubbiamente, la più rilevante di esse è riscontrabile nell’art. 337 quater c.c., che sancisce la regola secondo cui l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale è circoscritto alla sola ipotesi in cui il figlio sia affidato in via esclusiva ad uno solo dei genitori; la stessa norma precisa che anche in tal caso, tuttavia, «salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggior interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori»(18). Indubbiamente la disposizione contenuta nell’art. 337 quater c.c., pone fine all’incertezza interpretativa che, a seguito dell’introduzione della legge n. 54/2006, vedeva contrapposti quanti ritenevano che, in caso di affidamento esclusivo, la potestà genitoriale dovesse essere esercitata dal solo genitore affidatario(19) e quanti, invece, propendevano per l’esercizio congiunto anche nell’ipotesi dell’affidamento monogenitoriale(20).

La regola generale, secondo cui «la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori», già contenuta nel previgente art. 155, comma 3, c.c., è oggi collocata nell’art. 337 ter, comma 3, c.c., che, invero, contiene una significativa integrazione laddove, oltre a sancire che «le decisioni di maggior interesse per i figli relative all’istruzione, l’educazione, la salute […] sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli», indica esplicitamente che tra le decisioni di maggior interesse rientra anche la «scelta della residenza abituale del minore».

In definitiva, il combinato disposto degli artt. 316, comma 4, c.c., 337 ter, comma 3, c.c., e 337 quater c.c. conduce, oggi, ad affermare la regola dell’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale come principio generale. Il figlio, quindi, salvi i casi nei quali sia accertato un suo interesse di segno contrario, di regola fa riferimento ad entrambe le figure genitoriali, investite congiuntamente nei suoi confronti della responsabilità, ossia di quella «situazione giuridica complessa idonea a riassumere i doveri, gli obblighi e i diritti derivanti per il genitore dalla filiazione che viene a sostituire il tradizionale concetto di potestà»(21).

La condizione del figlio nella famiglia, le nuove responsabilità dei genitori e i nuovi vincoli di parentela.

La prospettiva di osservazione che prende in considerazione la crescente diffusione della pluralità di modelli familiari diversi da quello della famiglia matrimoniale unita sembra consentire una più piena comprensione delle innovazioni introdotte dalla legge n. 219/2012 e dal D.Lgs. n. 154/2013 in materia di attribuzione della parentela e di esercizio della responsabilità genitoriale.

A questo proposito occorre considerare, anzitutto, il dato, più volte richiamato nella Relazione illustrativa della riforma, secondo cui circa un quinto dei figli nati nel nostro Paese è generato da persone non coniugate(22). Al tempo stesso conviene soffermare l’attenzione sulle complesse trame di rapporti che possono crearsi nel contesto di gruppi familiari diversi dal modello della famiglia unita. Sotto questo profilo vengono in considerazione, anzitutto, i gruppi familiari inizialmente uniti che, a seguito della separazione e del divorzio, vivono in una dimensione “destrutturata”(23) e sono suscettibili di modificare ulteriormente la loro composizione qualora i partnersdella coppia originariamente unita diano vita a nuovi nuclei familiari fondati sulla convivenza o sul matrimonio(24). Le innovazioni introdotte dalla recente riforma, inoltre, inducono a considerare un modello di famiglia che potrebbe essere definito come “originariamente destrutturata” in quanto la coppia dei genitori non è mai stata unita, né coniugata. Tale situazione può verificarsi nel caso in cui il rapporto di filiazione si collochi nel contesto di una relazione tra i genitori non fondata sulla convivenza. In questo particolare ambito, poi, è possibile isolare un’ipotesi ulteriore e ancor più specifica: quella della c.d. relazione adulterina dalla quale nasca un figlio che si trova ad avere almeno un genitore già coniugato ed inserito nella sua famiglia matrimoniale. Nel quadro che è stato brevemente delineato appare particolarmente apprezzabile l’intervento con il quale il legislatore ha introdotto norme funzionali a garantire che la partecipazione ed il coinvolgimento dei genitori nella vita dei figli siano significativi e costanti a prescindere dalla circostanza che la coppia dei genitori sia cementata da un’unione matrimoniale o da una convivenza stabile (art. 316, comma 4, c.c.; art. 337 ter, comma 3, c.c.). Invero, anche la volontà di garantire il pieno inserimento del figlio nelle reti di parentela di entrambi i genitori a prescindere dalla circostanza che questi ultimi siano coniugati (artt. 74 e 258 c.c.), sembra coerente con l’obbiettivo di “compensare” l’instabilità della relazione di coppia con il rafforzamento dei legami su cui si fonda la famiglia in senso “esteso”(25).

La contemporanea presenza dei due elementi di novità appena indicati impone una rilettura di tutte le norme in materia di responsabilità genitoriale che, come si avrà modo di osservare, assumono oggi una portata ed una valenza sensibilmente diverse rispetto alla situazione che caratterizzava il sistema previgente(26).

In definitiva, si può affermare che la riforma, oltre ad incidere sulla modalità (generalmente condivisa) di esercizio della responsabilità genitoriale, ha dato luogo ad una modificazione delle strutture familiari nelle quali la responsabilità genitoriale viene esercitata. Tali profonde modificazioni dell’assetto normativo determinano conseguenze applicative che presentano elementi di assoluta novità rispetto alle situazioni che potevano prospettarsi nella disciplina previgente. In questa particolare prospettiva, pertanto, occorre individuare, in primo luogo, alcune delle più rilevanti conseguenze applicative delle nuove regole in materia di responsabilità genitoriale; in secondo luogo può porsi il problema di verificare se l’abbandono del concetto di potestà genitoriale e l’adozione di quello di responsabilità genitoriale indichi anche il passaggio da uno strumento riferito alle strutture familiari regolate dalla disciplina previgente ad un diverso strumento capace di rispondere alle peculiari esigenze poste dal rinnovato assetto delle strutture familiari operato dalla riforma.

L’usufrutto legale dei genitori e l’amministrazione dei beni del figlio.

Le considerazioni appena svolte in termini generali possono essere colte in una prospettiva più immediata e concreta qualora si considerino alcune fattispecie nelle quali l’applicazione di norme che presentano un contenuto sostanzialmente analogo a quello precedente l’introduzione della riforma conduce oggi a risultati applicativi assai distanti da quelli che si riscontravano nel contesto previgente. In questo senso l’analisi delle norme che regolano gli aspetti patrimoniali della responsabilità dei genitori costituisce indubbiamente un angolo di osservazione che consente di porre in risalto le profonde trasformazioni indotte in via indiretta dalle regole introdotte dalla legge n. 219/2012 e dal D.Lgs. n. 154/2013. Come osservato, le modifiche dell’art. 74 e dell’art. 258 c.c. hanno radicalmente inciso sulla disciplina giuridica della parentela, consentendo al figlio di essere inserito nelle reti di parentela delle famiglie dei genitori a prescindere dal fatto che questi ultimi siano coniugati. Pertanto, in assenza di matrimonio tra genitori, «il figlio si trova inserito in due famiglie, quella paterna e quella materna, tra loro non comunicanti»(27). Al tempo stesso la regola secondo cui la responsabilità genitoriale «è esercitata di comune accordo» (art. 316 c.c.) ha assunto una valenza generalizzata: essa, pertanto, trova applicazione nel contesto della famiglia matrimoniale unita, in quello della famiglia formata da genitori non coniugati, persino nel caso in cui questi ultimi non abbiano mai convissuto (art. 316, comma 4, c.c.), nonché in tutte le ipotesi nelle quali la crisi e la rottura della coppia dei genitori determini la divisione di un nucleo familiare inizialmente unito (art. 337 ter, comma 3, c.c.).

Le trasformazioni intervenute nel complesso quadro normativo che risulta dalla lettura sistematica delle nuove norme in materia di parentela e di esercizio della responsabilità genitoriale possono essere colte con evidenza analizzando le disposizioni in materia di usufrutto legale dei genitori sui beni dei figli (art. 324-329 c.c.) e quelle relative alla rappresentanza ed amministrazione (art. 320-323 c.c. ). Queste ultime regole, infatti, appaiono sostanzialmente immutate, salve le modifiche lessicali che hanno condotto a sostituire il termine potestà con quello di responsabilità genitoriale; cionondimeno esse risultano oggi profondamente trasformate sotto il profilo della loro applicazione ed assumono una valenza completamente diversa rispetto a quella che poteva essere a loro attribuita nel sistema precedente la riforma del ‘75 ed in quello vigente tra il ‘75 ed il 2014.

Al fine di comprendere in che misura i mutamenti che hanno interessato in via diretta la disciplina della parentela e della responsabilità genitoriale abbiano inciso in modo indiretto sulle regole che governano l’usufrutto legale dei genitori sui beni dei figli e sui profili legati alla rappresentanza di questi ultimi ed alla amministrazione del loro patrimonio può risultare opportuno analizzare i risultati applicativi della regola secondo cui «i genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, rappresentano i figli nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni» (art. 320, comma 1, c.c.) e della norma secondo la quale «i genitori esercenti la responsabilità genitoriale hanno in comune l’usufrutto dei beni del figlio» (art. 324, comma 1, c.c.) concentrando l’attenzione sulla situazione che viene a crearsi in caso di rapporti di filiazione “adulterina”.

In questa prospettiva è possibile immaginare una situazione nella quale una donna dia alla luce un figlio concepito con un uomo già coniugato e che non intende rompere il proprio vincolo matrimoniale. Nel contesto precedente la riforma del ‘75 il figlio adulterino non poteva — salvo casi del tutto particolari — essere riconosciuto dal genitore già coniugato (art. 252 c.c.)(28); egli poteva essere riconosciuto solamente dal genitore unito in matrimonio e, stante il tenore dell’art. 252 c.c., non poteva entrare nelle reti di parentela di quest’ultimo e quindi conseguire un legame giuridicamente rilevante con i nonni, gli zii e i cugini “naturali”; la potestà veniva esercitata in via esclusiva dall’unico genitore che avesse effettuato il riconoscimento al quale, pertanto, competeva anche il potere di rappresentare il minore ed amministrarne i beni, nonché l’usufrutto legale su di essi.

La situazione appena descritta si presentava in termini sostanzialmente analoghi nel contesto normativo vigente tra il ‘75 e il 2014. Infatti, il venir meno del divieto di riconoscimento dei figli adulterini, da un lato, avrebbe consentito la possibilità del riconoscimento da parte del padre; d’altra parte, tuttavia, stante il tenore degli artt. 74 e 258 c.c., l’inserimento del figlio nelle reti di parentela dei genitori continuava ad essere indefettibilmente condizionato al matrimonio di questi ultimi; anche l’esercizio della potestà genitoriale avrebbe potuto essere condiviso solo nel caso in cui, dopo la rottura del primo matrimonio del padre, i genitori avessero potuto formare una coppia di fatto convivente oppure avessero deciso di dare vita ad un’unione matrimoniale. Nel primo caso sarebbero risultati soddisfatti i presupposti al ricorrere dei quali l’art. 317 bis c.c. ricollegava l’esercizio condiviso della potestà; nel secondo caso avrebbe trovato applicazione la regola generale sancita dall’art. 316, comma 2, c.c. Diversamente, qualora, il padre avesse deciso di non rompere il vincolo coniugale già in atto al momento del concepimento, doveva escludersi radicalmente l’eventualità di un esercizio condiviso della potestà genitoriale e, di conseguenza, della contitolarità della rappresentanza del minore, dell’amministrazione dei suoi beni e dell’usufrutto legale su di essi.

L’assolutezza dell’affermazione appena riportata avrebbe potuto essere messa in dubbio già a partire dal momento nel quale, a seguito dell’introduzione della legge n. 54/2006, è stata sancita la regola generalizzata secondo cui «la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori» (art. 155, comma 3, c.c. letto in combinato disposto con l’art. 4 legge n. 54/2006, che disponeva l’estensione della norma anche al caso della rottura della coppia di fatto). In quel contesto si dubitava, inizialmente, che la norma appena citata potesse essere estesa anche ai casi in cui i genitori non avessero mai formato una coppia unita ed uno di essi non avesse mai convissuto con il figlio, con la conseguenza di considerare tacitamente abrogata la disposizione contenuta nell’art. 317 bis c.c.(29)

Invero la Cassazione ha risolto questa delicata questione interpretativa chiarendo che la regola dell’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale aveva valenza generalizzata e pertanto riguardava anche l’ipotesi considerata da ultimo(30). Questa soluzione — motivatamente criticata con riferimento al contesto normativo allora vigente(31) — ha anticipato di pochi mesi quella adottata dal legislatore e contenuta negli attuali artt. 316 e 337 ter c.c.(32)

In questo mutato contesto il figlio adulterino che si trovi in una situazione coincidente con quella assunta come esempio risulterà inserito in due famiglie che non comunicano tra di loro; la responsabilità genitoriale sarà condivisa tra la madre e il padre, nonostante quest’ultimo sia ancora inserito nel suo nucleo familiare fondato sul matrimonio(33). Questa situazione, che può realizzarsi solo in ragione delle profonde trasformazioni operate dalla legge n. 219/2012 e dal D.Lgs. n. 154/2013, impone una rilettura ed un ripensamento delle regole che governano la rappresentanza dei genitori, l’amministrazione dei beni e i figli e l’usufrutto legale sugli stessi.

Un primo ordine di questioni riguarda la rilettura dell’art. 324, comma 3, n. 3, c.c. La norma prevede la possibilità che possono essere esclusi dall’usufrutto legale «i beni lasciati o donati con la condizione che i genitori esercenti la responsabilità genitoriale o uno di essi non ne abbiano l’usufrutto»(34). Secondo un’opinione largamente condivisa la disposizione contenuta nell’art. 324, comma 3, n. 3, c.c. risponde all’esigenza di evitare che un soggetto, intenzionato ad attribuire uno o più beni ad un minore, possa recedere da tale proposito per evitare di favorire i genitori o il genitore rispetto a cui nutra diffidenza o avversione(35). Si ritiene che la previsione rivesta carattere eccezionale in quanto consente che l’autonomia privata limiti la responsabilità genitoriale con riferimento allo specifico profilo dell’usufrutto(36). Come anticipato, le profonde trasformazioni introdotte dallalegge n. 219/2012 e dal D.Lgs. n. 154/2013, ancorché in modo indiretto, hanno inciso sensibilmente sulla valenza della norma contenuta nell’art. 324, comma 3, n. 3, c.c.: oggi, infatti, risulta notevolmente ampliato il novero delle ipotesi nelle quali è possibile ravvisare un interesse del disponente ad escludere il genitore dall’usufrutto legale sul bene attribuito al figlio. In passato l’esigenza del disponente del bene destinato al minore di escludere dall’usufrutto legale uno dei genitori risultava estremamente limitata. Infatti, qualora la coppia dei genitori non fosse stata unita, perché coppia di fatto non convivente oppure coppia coniugata legalmente separata o divorziata, la disciplina dell’esercizio della potestà genitoriale risultava strutturata secondo modalità che — in una fattispecie analoga a quella presa ad esempio — rendevano superflua l’esplicitazione di una volontà del disponente che escludesse la titolarità dell’usufrutto legale in capo al genitore “sgradito”(37). In quest’ultimo genere di ipotesi poteva rientrare, ad esempio, il caso dei nonni che intendessero attribuire un immobile di valore al nipote, figlio della loro figlia e di un uomo già inserito nella propria famiglia coniugale. In tal caso l’applicazione dell’art. 317 bis c.c. escludeva in radice la possibilità di configurare l’esercizio della potestà genitoriale in capo al genitore non convivente con il proprio figlio e quindi rendeva superflua la manifestazione della volontà dei nonni che, nel momento in cui decidevano di attribuire un bene al nipote, avessero voluto escludere dall’usufrutto legale il padre “assente” o comunque “non convivente”.

Osservazioni analoghe potrebbero essere ripetute anche qualora si consideri una diversa situazione nella quale, per ipotesi, fosse il nuovo partner della madre a decidere di attribuire un bene al figlio che quest’ultima aveva concepito con un altro uomo già coniugato al momento del concepimento o, comunque non intenzionato a formare con essa una coppia basata su una convivenza stabile; anche in questo caso, infatti, l’applicazione dell’art. 317 bis c.c. escludeva in radice la possibilità di configurare l’esercizio della potestà genitoriale in capo al genitore non convivente con il proprio figlio biologico e quindi rendeva superflua la manifestazione della volontà del nuovo partner della madre, volta ad escludere il padre biologico dall’usufrutto legale sul bene che avrebbe dovuto essere attribuito al figlio.

L’introduzione della regola secondo cui l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale viene attribuito in via generalizzata (art. 316 e art. 337 ter, comma 3 c.c.), ed esteso anche al caso in cui i genitori non abbiano mai dato vita ad una coppia unita (art. 316, comma 4, c.c.) ha considerevolmente ampliato l’ambito entro il quale potrebbe ravvisarsi un interesse all’esclusione di uno dei genitori dall’usufrutto legale sui beni del figlio e quindi a ricorrere all’opzione contemplata dall’art. 324, comma 3, c.c. In questa prospettiva dovrebbero essere sicuramente considerate le aspirazioni dei nonni che, in una fattispecie analoga a quella descritta poc’anzi, intendano escludere dall’usufrutto legale dei beni attribuiti al nipote il padre biologico, già “impegnato” in un’unione matrimoniale, oppure il padre biologico che non abbia mai formato una coppia unita con la madre e non abbia mai convissuto con il figlio.

Queste stesse considerazioni possono essere ripetute, ad esempio, anche nella prospettiva del nuovo partner della madre, intenzionato ad attribuire uno o più beni al figlio che quest’ultima avesse concepito con un altro uomo(38).

L’interesse ad escludere uno dei genitori dall’usufrutto legale di un bene attribuito al figlio può manifestarsi anche da parte dell’altro genitore separato, divorziato o reduce dalla rottura dell’unione di fatto che cementava la famiglia. In questi casi la regola dell’esercizio congiunto della potestà genitoriale nella famiglia “divisa” era già stata introdotta nell’art. 155, comma 3, c.c., riformato seguito dell’entrata in vigore della legge n. 54/2006. Poiché tale regola risulta oggi ribadita dagli artt. 337 ter, comma 3, c.c. e 316, comma 4, c.c., si può affermare che anche il genitore che componga una coppia non unita possa essere incluso nel novero dei soggetti interessati ad esercitare la propria autonomia secondo le modalità previste dall’art. 324, comma 3, c.c.(39) e quindi ad escludere l’altro genitore biologico dall’usufrutto legale sui beni che egli intenda attribuire al figlio comune.

L’esigenza di limitare i poteri del genitore sul bene appartenente al figlio può essere soddisfatta anche intervenendo sul profilo dell’amministrazione(40). In questo ambito l’art. 356 c.c. sancisce che colui che «fa una donazione o dispone con testamento a favore di un minore, anche se questi è soggetto alla responsabilità genitoriale, può nominargli un curatore speciale per l’amministrazione dei beni donati o lasciati». Tale previsione costituisce un significativo riconoscimento dell’autonomia privata che, a ben vedere, si risolve in un limite altrettanto significativo alla responsabilità genitoriale(41).

Similmente a quanto osservato con riferimento all’art. 324, comma 3, n. 3 c.c., anche in questo caso è possibile individuare un’ampia schiera di soggetti potenzialmente interessati ad estromettere il genitore biologico dall’amministrazione dei beni attribuiti al figlio minore. Tra di essi può essere individuato, anzitutto, il genitore reduce dalla rottura dell’unione che lo legava all’altro: come osservato egli potrà ricorrere all’art. 324, comma 3, n. 3, c.c. al fine di escludere la titolarità dell’usufrutto legale in capo all’ex partner (salvi i limiti che la stessa disposizione prevede con riferimento ai beni rientranti nella legittima) e potrà, in ogni caso, escludere l’ex partnerdall’amministrazione dei beni conferiti al figlio sulla base di quanto disposto dall’art. 356 c.c. Quest’ultima norma consentirebbe anche ai nonni di attribuire uno o più beni al nipote e di disporre che il genitore a loro “sgradito” sia escluso dalla loro amministrazione. Sempre in quest’ordine di idee persino il nuovo partner di uno dei genitori potrebbe attribuire uno o più beni al figlio di quest’ultimo e, al tempo stesso, escludere dalla loro amministrazione il genitore biologico.

Per completare il quadro brevemente delineato occorre considerare che all’esclusione del genitore biologico dall’amministrazione dei beni del minore corrisponde l’attribuzione dell’amministrazione stessa ad un curatore speciale; quest’ultima veste ben potrebbe essere assunta dal nuovo partner dell’altro genitore il quale potrebbe essere investito dei poteri di amministrazione dal genitore stesso (con il quale egli conviva o sia coniugato), dai nomi del minore o da altri soggetti che dispongano favore del minore.

Le diverse situazioni indicate a titolo di esempio fanno emergere un quadro estremamente articolato, ma caratterizzato da un denominatore comune, che suggerisce una riflessione di portata generale riguardo ai rapporti tra il principio della bigenitorialità, la regola dell’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale ed i limiti che essa può subire a fronte di un esercizio dell’autonomia privata riconosciuto dal legislatore. In particolare sembra che la previsione contenuta all’art. 356 c.c. — in virtù della quale è possibile privare il genitore biologico dell’amministrazione dei beni del minore per attribuirla ad un curatore speciale — e quella dell’art. 324, comma 3, n. 3, c.c. — che consente di escludere il genitore biologico del minore dall’usufrutto legale dei beni ricevuti dal figlio minore — costituiscano un limite assai significativo al principio della bigenitorialità. In ragione di queste previsioni, infatti, può realizzarsi una situazione nella quale una parte delle prerogative compendiate nella responsabilità genitoriale possono essere attribuite ad un soggetto diverso dal genitore. D’altra parte occorre considerare che la diffusione sempre più frequente di famiglie nelle quali la crisi dell’unione dei genitori porta alla divisione del nucleo originario ed alla ricomposizione di nuclei familiari “nuovi” impone, da un lato, l’esigenza di valorizzare il principio della bigenitorialità, ma comporta, al tempo stesso, anche la necessità di evitare interferenze “indebite” ed inopportune all’interno della complessa rete di rapporti che spesso vedono sovrapporsi nuclei familiari formati in tempi successivi.

Un’ulteriore testimonianza dell’inadeguatezza delle norme concepite in funzione del paradigma della famiglia coniugata unita e della crescente esigenza di valorizzare l’autonomia dei privati al fine di correggere eventuali effetti “distorsivi” con riferimento ai nuovi modelli familiari emerge, in modo emblematico, osservando il disposto dell’art. 328 c.c. La norma prevede che il genitore passato nuove nozze conservi l’usufrutto legale sui beni del figlio, con l’obbligo, tuttavia, di accantonare in favore del figlio stesso quanto risulti eccedente rispetto alle spese per il mantenimento l’istruzione e l’educazione di quest’ultimo.

A ben vedere le esigenze sottese alla previsione appena illustrata si riscontrano attualmente in molte situazioni diverse dal passaggio a nuove nozze, ma nelle quali emergono interessi che, verosimilmente, coincidono con quelli che il legislatore del ‘75 giudicò meritevoli della tutela offerta dall’art. 328 c.c. In questo senso può essere ricordata, anzitutto, l’ipotesi del figlio nato da una relazione adulterina; figlio il cui genitore non è passato nuove nozze in quanto, al momento della nascita, risultava essere già coniugato. Considerazioni analoghe possono essere formulate anche ipotizzando la situazione nella quale il figlio nato da una coppia coniugata assista alla rottura dell’unione che lega i genitori ed alla successiva formazione da parte di uno di essi (o di entrambi) di nuove famiglie non fondate sul matrimonio nelle quali nascano figli che oggi risultano inseriti nelle reti di parentela dei genitori a pieno titolo e quindi possono essere considerati a tutti gli effetti suoi fratelli. Anche nella particolare prospettiva che si sta esaminando la previsione di una limitazione di una prerogativa connessa alla responsabilità genitoriale (e segnatamente dell’usufrutto legale) potrebbe apparire, da un lato, come una disposizione eccezionale, la cui applicazione sarebbe da circoscrivere ai soli casi esplicitamente considerati; d’altra parte la sovrapposizione di nuclei familiari diversi nel corso del tempo ed i mutamenti del sistema giuridico che hanno ampliato l’estensione della parentela sembrano reclamare la presenza di strumenti legali o convenzionali capaci di estendere la norma contenuta nell’art. 328 c.c. anche a fattispecie diverse da quelle esplicitamente considerate; e ciò al fine di evitare che un’applicazione incondizionata del principio della bigenitorialità possa condurre a risultati applicativi irrazionali o, più in generale, scarsamente rispondenti alle dinamiche familiari ormai consolidate nel tessuto sociale. Proprio in questa particolare prospettiva sembrano pienamente condivisibili le opinioni di quanti, già prima della riforma introdotta dalla legge n. 219/2012 e dal D.Lgs. n. 154/2013, avevano auspicato un’applicazione analogica dell’art. 328 c.c.(42) Sempre in questo senso possono considerarsi positivamente le eventuali estrinsecazioni dell’autonomia privata che, ricorrendo agli strumenti offerti dall’art. 324, comma 3, n. 3, c.c. e 356 c.c., riproducano una situazione tendenzialmente corrispondente a quella previstadall’art. 328 c.c. anche nei casi che esso non menziona esplicitamente.

La responsabilità genitoriale come nuovo strumento di coesione dei rapporti genitori-figlio.

Volendo trarre una prima impressione rispetto alle profonde trasformazioni attuate dalla riforma, sembra possibile affermare che la conseguita consapevolezza del legislatore riguardo alla varietà di situazioni che possono caratterizzare il legame tra i genitori, incidendo sulla sua solidità e sulla sua stabilità, ha condotto a valorizzare legami familiari che in precedenza non assumevano rilievo giuridico. Sotto questo profilo è stata posta in evidenza la trasformazione epocale che ha portato, per la prima volta, alla creazione del legame di parentela indipendentemente dall’unione matrimoniale dei genitori. Anche per quanto concerne la responsabilità genitoriale, a ben vedere, si riscontra una trasformazione forse meno enfatizzata, ma sicuramente altrettanto “epocale”. Come osservato, nel sistema ideato dal legislatore del ’75, l’esercizio congiunto della potestà genitoriale presupponeva necessariamente la convivenza dei genitori: in caso di separazione o divorzio l’esercizio della potestà si concentrava sul genitore affidatario (art. 155, comma 3, c.c.); nella famiglia non fondata sul matrimonio l’esercizio congiunto della potestà era limitato al solo caso in cui entrambi i genitori avessero riconosciuto il figlio e convivessero con lui (art. 317 bis c.c.). La possibilità di un esercizio congiunto della potestà genitoriale anche da parte di una coppia non più unita è stata contemplata solamente a seguito dell’introduzione della legge n. 54/2006. L’ambito applicativo di tale regola, poi, è stato ulteriormente esteso anche all’ipotesi in cui la coppia non avesse mai convissuto e formato un consorzio familiare coeso da una pronuncia di legittimità(43) che ha anticipato la soluzione oggi recepita dal legislatore(44). Nel contesto normativo attuale, pertanto, si realizza completamente il disegno introdotto con la legge n. 54/2006 e si afferma la regola secondo la quale l’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale non presuppone la convivenza della coppia dei genitori e del figlio.

La creazione di rapporti di parentela a prescindere dal matrimonio dei genitori e l’affermazione dell’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale a prescindere dalla convivenza di questi ultimi costituiscono profili autonomi che, nondimeno, appaiono collegati e in un certo senso si saldano intorno ad un’esigenza comune: quella di compensare la fragilità e l’instabilità che caratterizzano le unioni dei genitori attribuendo rilievo a nuove forme di responsabilità e coinvolgimento in capo ai genitori ed a nuovi legami di parentela all’interno del nucleo familiare inteso in senso “esteso”.

Proprio questa particolare prospettiva consente di valorizzare ulteriormente il profilo di novità che caratterizza il passaggio dalla potestà alla responsabilità genitoriale. A ben vedere esso può essere osservato come un corollario di un nuovo assetto dei rapporti familiari che il legislatore ha delineato prendendo atto della pluralità dei modelli familiari che caratterizzano l’unione dei genitori e perseguendo l’obiettivo di garantire al figlio la maggiore coesione possibile della rete familiare che lo circonda.

In definitiva, le due trasformazioni menzionate, nel loro insieme, determinano una condizione unica del figlio che, a differenza del passato, si trova ad essere inserito nelle relazioni di parentela di entrambi genitori e vede gli stessi genitori congiuntamente coinvolti in una responsabilità nei suoi confronti che si basa esclusivamente sulla generazione e prescinde totalmente dalla tipologia di unione che li lega, dalla sua stabilità e dalla creazione di unioni nuove.

L’introduzione della responsabilità genitoriale in luogo della potestà genitoriale assume, quindi, un significato ancora più pregnante proprio valorizzando la prospettiva delle diverse tipologie di struttura familiare nelle quali deve essere calata. Infatti, per la prima volta, il legislatore ammette la possibilità di un esercizio condiviso di quella «situazione giuridica complessa idonea a riassumere i doveri, gli obblighi e i diritti derivanti per il genitore dalla filiazione che viene a sostituire il tradizionale concetto di potestà» a prescindere dall’esistenza di un nucleo familiare cementato dal matrimonio o quantomeno dalla convivenza dei genitori; genitori che, come si è visto, in alcuni casi, potrebbero persino trovarsi ad esercitare la responsabilità genitoriale parallelamente nel contesto di due nuclei familiari diversi nei quali siano inseriti i figli generati con partners diversi.

In definitiva la necessità di prendere atto dell’esistenza e della diffusione di modelli diversi da quello della famiglia unita ha portato, inevitabilmente, a delineare una modalità di partecipazione e di coinvolgimento dei genitori nella vita del figlio (la responsabilità genitoriale) che deve necessariamente presentare caratteri diversi da quelli della potestà genitoriale e, segnatamente, quei caratteri di plasmabilità che appaiono necessari quando si tratta di comporre le complesse trame di rapporti generate dalla sovrapposizione di nuclei familiari ulteriori rispetto a quello originario, composto dai genitori e dal figlio.

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(1) C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia, 5a ed., Milano, 2014, 330; Id., Note introduttive, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2013, 437; M. Bianca, Tutti i figli hanno lo stesso statuto giuridico, ibid., 507 e segg.; Berretta, Introduzione, in M. Bianca (a cura di), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, XVII; M. Dossetti, M. Moretti, C. Moretti, La riforma della filiazione: aspetti personali, successori e processuali. L. 10 dicembre 2012, n. 219, Bologna, 2013.

(2) Dogliotti, Nuova Filiazione: la delega al Governo, in Fam. e Dir., 2013, 279; Gorassini, in Filiazione. Commento al decreto attuativo, in M. Bianca (a cura di), cit., 91 e segg.

(3) Berretta, Introduzione, cit., XVIII.

(4) La Relazione conclusiva, 4 marzo 2013, (v. in part. 14) sottolinea come questa scelta abbia consentito di superare una persistente “discriminazione sistematica” tra i figli nati da genitori coniugati ed i figli nati da genitori non uniti in matrimonio. Sul punto v. Morace-Pinelli, in Filiazione. Commento al decreto attuativo, in M. Bianca (a cura di), cit., 173 e segg.

(5) Relazione conclusiva, 4 marzo 2013, 16.

(6) Relazione conclusiva, 4 marzo 2013, 144.

(7) Relazione conclusiva, 4 marzo 2013, 146.

(8) Reg. (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.

(9) C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia, cit., 343, pone in luce che con il termine “responsabilità genitoriale” si è voluto «sottolineare il mutamento dell’antica concezione dell’autorità spettante ai genitori e, in passato al capo della famiglia»; concezione che, continua Bianca, «ha ormai lasciato il posto all’idea che i genitori sono titolari di un ufficio, che si devono esercitare nell’interesse della prole».

(10) Relazione conclusiva, 4 marzo 2013, 166.

(11) Relazione conclusiva, 4 marzo 2013, 166.

(12) Sul punto v. C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia, cit., 346; per una esaustiva ricostruzione del dibattito v. anche Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. e Dir., 2013, 231; Id., La nuova disciplina dell’affidamento dei figli nei processi di separazione, divorzio, annullamento matrimoniale e nel procedimento riguardante i figli nati fuori del matrimonio, in Sesta, Arceri (a cura di), L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, Torino, 2012, 26; C. Irti, L’affidamento esclusivo, in Patti e Rossi Carleo (a cura di), Provvedimenti riguardo ai figli, in Comm. Scialoja-Branca a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2010, 53.

(13) Carrano, in M. Bianca (a cura di), Filiazione. Commento al decreto attuativo, cit., 160; Morace-Pinelli, ibid., 180.

(14) Sesta e Baldini, La potestà dei genitori, in Sesta, Arceri (a cura di), L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, cit., 147; Sesta, Filiazione, in Tratt. Dir. Priv. diretto da Bessone, IV, Il diritto di famiglia a cura di T. Auletta, Torino, 2011, 113 e segg.; De Cristofaro, Il contenuto patrimoniale della potestà, in Tratt. Dir. Fam. diretto da Zatti, 2a ed., I, 1, Milano 2011, 1356 e segg.; Dogliotti, La potestà dei genitori e l’autonomia del minore, in Tratt. Dir. Civ. e Comm. a cura di Cicu, Messineo continuato da Schlesinger, Milano, 2007, 351 e segg.

(15) Sesta, Filiazione, in Tratt. Dir. Priv. a cura di Bessone, IV, Il diritto di famiglia, cit., 143 e segg.; De Cristofaro, L’usufrutto legale, in Tratt. Dir. Fam. diretto da Zatti, cit., 1447 e segg.

(16) Velletti, La nuova nozione di parentela, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2013, 441 e segg.

(17) Frezza, Gli effetti del riconoscimento, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2013, 493 e segg.

(18) Napoli, in Filiazione. Commento al decreto attuativo, in M. Bianca (a cura di), cit., 185.

(19) Sesta e Baldini, La potestà dei genitori, in Sesta, Arceri (a cura di), Affidamento dei figli nella crisi della famiglia, cit., 28; Bugetti, Affidamento condiviso ed affidamento monogenitoriale. La sorte dell’affidamento a terzi, in Sesta, Arceri (a cura di), Affidamento dei figli nella crisi della famiglia, cit., 70.

(20) De Filippis, in De Filippis, Casaburi, Separazione e divorzio nella dottrina e nella giurisprudenza, 3a ed., Padova, 2004, 73; Padalino, L’affidamento condiviso dei figli, Torino, 2006, 44.

(21) Relazione conclusiva, 4 marzo 2013, 152.

(22) Cfr. lo studio dell’ISTAT Natalità e fecondità della popolazione residente, 7, pubblicato nel dicembre 2011, reperibile all’indirizzo www.istat.it/it/archivio/38402.

(23) Al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, 20.

(24) Sul fenomeno della cosiddetta famiglia ricomposta v. Buzzelli, La famiglia “composita”, Napoli, 2012; Bilò, I problemi della famiglia ricostituita e le soluzioni dell’ordinamento inglese, in Familia, 2004, 831 e segg.

(25) Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., 233.

(26) Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., 233, mette in luce che la modificazione delle norme che governano l’attribuzione della parentela attuata con la legge n. 219/2012incide in modo indiretto, ma assai profondo, sulle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale. In virtù del nuovo disposto dell’art. 74 c.c. — giusta il quale «la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo» — e dell’art. 258 c.c. — ai sensi del quale «il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso» — è possibile affermare che il conseguimento dello stato di figlio comporta l’inserimento nella famiglia di entrambi i genitori e quindi nelle loro reti di parentela a prescindere dal fatto che essi siano uniti in matrimonio. Come è stato prespicuamente osservato, si realizza così una situazione, ignota al sistema previgente, nella quale «il figlio si trova inserito in due famiglie, quella materna e quella paterna, tra loro non comunicanti» (Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., 233).

(27) Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. Dir. Civ., 2014, 5

(28) Al riguardo l’art. 252 c.c., nella sua formulazione precedente la Riforma del ‘75, limitava la possibilità di riconoscimento del figlio adulterino al solo genitore che non era unito in matrimonio al tempo del concepimento. Per quanto concerneva il genitore unito in matrimonio, invece, il riconoscimento del figlio adulterino era possibile solo a seguito dello scioglimento del matrimonio per effetto della morte dell’altro coniuge ed a condizione che non fossero presenti figli legittimi, o legittimati, o loro discendenti legittimi. Nel caso in cui essi fossero stati presenti, la possibilità di riconoscimento era condizionata all’emissione di un decreto da parte del Presidente della Repubblica, che doveva essere preceduta da un parere del Consiglio di Stato e che, in ogni caso, presupponeva che i figli legittimi o legittimati avessero raggiunto la maggiore età e fossero stati sentiti (sul punto v. Azzariti, voce “Filiazione legittima e naturale”, in Noviss. Dig. It., VII, Torino 1961, 324; Id., voce “Adulterini e incestuosi (Figli)”, ibid., I, Torino 1957, 309).

(29) Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., 236.

(30) Cass., 10 maggio 2011, n. 10265, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2011, 1206, con nota critica di Sesta, L’esercizio della potestà sui figli naturali dopo la legge n. 54/2006: quale sorte dell’art. 317 bis c.c.?, e inFam. e Dir, 2011, 1097, con nota di Mansi, Figli naturali e potestà genitoriale tra l’art. 317 bis c.c. e la l. n. 54/2006.

(31) Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., 236.

(32) Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., 236.

(33) Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, cit., 5.

(34) La stessa norma, inoltre, limita l’autonomia del disponete laddove prevede che la condizione menzionata non abbia effetto “per i beni spettanti al figlio a titolo di legittima”; De Cristofaro, L’usufrutto legale, cit., 1470, individua la giustificazione della disposizione menzionata nelle esigenze di solidarietà familiare.

(35) De Cristofaro, L’usufrutto legale, cit., 1470; Sesta, Filiazione, in Tratt. Dir. Priv. a cura di Bessone, cit., 151.

(36) Cicu, La filiazione, in Tratt. Dir. Civ. It. sotto la direzione di Vassalli, 3a rist. 2a ed., Milano 1969, 400, osserva che la norma riveste carattere eccezionale e deve essere interpretata restrittivamente in quanto consente che un atto di autonomia possa limitare la potestà del genitore.

(37) Nel contesto normativo vigente tra il ‘75 e la riforma introdotta dalla legge n. 54/2006, la regola secondo cui la potestà si concentrava sul genitore a cui veniva attribuito l’affidamento esclusivo (art. 155, comma 3, c.c.) poteva dare vita a situazioni nelle quali l’interesse ad escludere uno dei genitori dall’usufrutto legale sui beni attribuiti al figlio e dall’amministrazione degli stessi era ravvisabile anche in capo ai familiari del genitore titolare del solo diritto di visita ed “escluso” dall’esercizio della potestà. In tal caso, infatti, il conferimento del bene al minore avrebbe comportato, automaticamente, l’attribuzione dell’usufrutto legale sul bene stesso e del diritto di amministrarlo in capo al genitore non appartenente al nucleo familiare dei disponenti.

(38) Identiche considerazioni possono essere formulate anche nell’ipotesi in cui si tratti della nuova partner del padre intenzionata ad attribuire uno o più beni al figlio che quest’ultimo abbia dato alla luce con un’altra donna.

(39) Conviene ricordare, tuttavia, che in questo caso l’efficacia della condizione che esclude l’usufrutto legale del genitore risulta limitata ai soli beni che non rientrano nella quota di eredità necessariamente riservata al minore; la manifestazione di volontà del genitore, quindi, conserverebbe efficacia limitatamente alla porzione disponibile (art. 324, comma 3, c.c.).

(40) Chiarisce Ferri, Potestà dei genitori, in Comm. Scialoja-Branca a cura di Galgano, Bologna Roma, 1988, 132, che si tratta di un aspetto che, sebbene connesso a quello dell’usufrutto legale, risulta comunque autonomo. In altri termini usufrutto legale sui beni del minore ed amministrazione degli stessi operano su piani differenti.

(41) Il che, a ben vedere, pone delicati problemi di coordinamento con l’assunto secondo cui il genitore «ha diritto alla titolarità e all’esercizio del suo ufficio privato», ossia della responsabilità genitoriale, che non può essere contestato, impedito o usurpato da parte di terzi (C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia, cit., 345).

(42) De Cristofaro, L’usufrutto legale, cit., 1491-1493.

(43) Cass., 10 maggio 2011, n. 10265, cit.

(44) Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., 236.


Professore Associato di Diritto privato a tempo pieno nell'Università di Bologna. Ha conseguito in data 24 dicembre 2013 l'Abilitazione Scientifica Nazionale per il ruolo di Professore di prima fascia nel settore scientifico 12/A1 (Diritto privato). È docente di Diritto privato, Diritto di famiglia e Diritto dei contratti nella Scuola di Giurisprudenza del Dipartimento di Scienze giuridiche dell'Università di Bologna. Dal 1 marzo 2006 al 14 aprile 2011 è stato in servizio come ricercatore a tempo pieno nella Facoltà di Giurisprudenza di Bologna, sede di Ravenna. Dottore di ricerca in Diritto civile (voto finale “eccellente”), discutendo la tesi dal titolo “Crisi coniugale e riflessi sul regime patrimoniale. La tutela del coniuge debole tra legge e autonomia privata”. Il 20 novembre 2000 ha conseguito il titolo di avvocato. Il 23 novembre 1995 ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza, con lode, nell’Università di Bologna. Ha pubblicato tre monografie (Le sopravvenienze contrattuali tra lacune normative e ricostruzioni degli interpreti, Padova, 2004; Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007; Principio di precauzione, tutela della salute e responsabilità civile, Bologna, 2008) ed altri 60 lavori scientifici principalmente in tema di diritto patrimoniale della famiglia, diritto dei contratti e responsabilità civile. È membro del Comitato scientifico della Rivista Famiglia e Diritto. Ha tenuto in qualità di Visiting Professor un ciclo di lezioni in materia di Contract Law nell’ambito del LLM Master of European and International Law presso la China-EU School of Law (CESL), Beijing (China) negli a.a. 2011- 2012 e 2012-2013. Ha svolto periodi di studio all’estero presso la School of Law della Yale University (Connetticut - USA) (2011) e la University of Kent di Canterbury (2001, 2002, 2004). Tiene corsi di Diritto di famiglia nella Scuola di specializzazione per le professioni legali “E. Redenti” dell'Università di Bologna.

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