La controversa categoria delle obbligazioni ex lege

Stefano Faillace, La controversa categoria delle obbligazioni ex lege, in “IX incontro nazionale coordinamento dei dottorati di ricerca in diritto privato” a cura di Pasquale Stanzione e Daniela Valentino, Rubbettino editore, 2009, p. 341 ss.

Sommario: 1. Premessa 2. Un frammento di Modestino dà inizio ad una disputa tuttora irrisolta 3. L’inserimento nel code civil delle obbligazioni che sorgono “de l’autorité seule de la loi” al vaglio della dottrina, tra ripensamenti e inattese conferme 4. Il sistema giuridico italiano e la parabola incerta delle obbligazioni legali fino alla scelta dell’espunzione dal codice civile 5. La discussa reintroduzione della categoria delle obbligazioni legali nel linguaggio del legislatore, nelle argomentazioni della dottrina ed in quelle della giurisprudenza 6. Le relazioni ambigue tra l’obbligazione legale e quella quasi-contrattuale tra diritto tedesco e diritto italiano 7. L’inadempimento di obblighi legali informativi da parte di soggetti qualificati e natura della conseguente responsabilità.

  1. Premessa

Chi si accinge ad occuparsi della categoria delle obbligazioni nascenti dalla legge deve subito accettare l’idea che l’ambito del proprio studio è incerto, perché l’esperienza storica dei principali ordinamenti giuridici ne ha dato definizioni non collimanti e, spesso, addirittura contrapposte.

Va poi tenuto in considerazione che sviluppare tale tematica significa contrapporsi alla più recente tendenza della riflessione giuridica, che predilige problemi di natura funzionale ed economica a quelli di carattere strutturale, e la verifica degli effetti diretti o mediati d’ogni singola soluzione legislativa o ermeneutica alle categorie generali ed astratte.

La stessa teoria generale dell’obbligazione da tempo sembra non gravitare più sul dovere, sull’agire di un soggetto in vantaggio altrui, ma sull’inadempimento e sui modi e sulle forme con cui il creditore cerca o ottiene la soddisfazione del proprio interesse. In questo quadro, il mio tentativo sarà anche quello di dimostrare la persistente utilità dell’approfondimento di questa materia.

Del resto, all’obbligazione legale continua ad alludere, in modo promiscuo e confuso, la giurisprudenza e non con minori incertezze la dottrina, che denuncia singolari sfasature, giungendo non di rado a conclusioni contraddittorie.

Si ponga mente al fatto che, per la teoria dominante, ogni obbligazione sorge mediatamente dalla legge, mentre nessuna obbligazione nasce direttamente da essa, ma tramite l’intermediazione di atti o fatti giuridici.1 Per un diffuso e trasversale orientamento dottrinale, tuttavia, al di fuori del contratto è la legge che viene in rilievo come fonte dell’obbligazione.2 Nella codificazione francese del 1804, tuttora in vigore, alle obbligazioni legali è stata riservata una collocazione a fianco delle altre fonti di derivazione giustinianea, quali il contratto, il fatto illecito, il quasi-contratto ed il quasi-delitto. Nel progetto di ricodificazione francese, presentato nel settembre 2005, invece, si è deciso di

Contenuto Riservato!

Iscriviti alla nostra newsletter per avere accesso immediato

Se sei già iscritto, inserisci nuovamente la tua email per accedere

abbracciare la teoria degli atti o fatti giuridici quali fonti dell’obbligazione, mantenendo però inconseguentemente la categoria delle obbligazioni ex lege.

Nel codice civile italiano, è stato espunto il riferimento alla legge, ma la nostra giurisprudenza, seguendo una discutibile tradizione secolare, attribuisce alla fonte legale la nascita di obbligazioni anche in casi in cui è evidente la presenza di fatti idonei a crearle. Ciò fa utilizzando questa espressione in un significato atecnico, che si esaurisce, in definitiva, nella riaffermazione della giuridicità dell’obbligazione (che è legale in quanto prevista dalla legge, e dunque giuridicamente vincolante), correndo il rischio di assegnare alla legge il ruolo residuale di raccolta di tutte le ipotesi che non rientrino in alcuna delle categorie principali.

Tenteremo di verificare, in questo complesso quadro, se e quale sia l’attuale validità di tale figura, quali le incidenze con altri istituti, quali le caratteristiche salienti cui assolve. Va, infatti, tenuto presente che molti fattori partecipano alla nascita dell’obbligazione, che, al pari di ogni altro rapporto giuridico, sorge dalle molteplici e mutevoli necessità della vita che vengono riconosciute dall’ordinamento giuridico. Infatti, spesso le regole del diritto positivo sono ispirate da considerazioni morali, filosofiche e sociologiche come l’equità, la giustizia, l’equilibrio tra patrimoni.

L’ingresso tra le fonti della norma di legge può rispondere a funzioni politiche diverse. Può essere visto come strumento a garanzia dei privati, ma anche indicare l’intervento dello Stato sul terreno della nascita degli obblighi.

Per giungere ad una compiuta valutazione di tale figura appare necessaria, come si potrà intuire, un’attenta analisi del dato storico, dato che ciò può elevare la coscienza critica rispetto al dato positivo attuale, eventualmente demistificandolo o relativizzandolo.

Ciò considerato anche il percorso impervio ed alquanto controverso dell’istituto trattato, protagonista di una querelle nata con i primi vagiti della storia del diritto civile e ancora irrisolta.

2. Un frammento di Modestino dà inizio ad una disputa tuttora irrisolta

Già nell’epoca classica, accanto alle due tipiche e antiche fonti dell’obbligazione, vi erano diversi altri casi di obbligazioni che per una speciale norma dell’ordinamento giuridico sorgevano da un atto non volontario o da una oggettiva situazione giuridica. La sistematica si limitò solo a raggrupparli facendone quasi un’appendice alle categorie precise e determinate del contratto e del delitto.

La classificazione delle fonti divenne poi quadripartita (contratto, quasi-contratto, delitto, quasi-delitto) per effetto dell’influsso delle scuole di Berito e di Bisanzio, e questa può considerarsi come la dottrina ufficiale dei giustinanei.

Nel Digesto, però, si trova un’altra classificazione delle fonti dell’obbligazione diversa da quella di Gaio e dovuta all’ultimo dei giuristi classici, Modestino, allievo di Ulpiano, che operò nella prima metà del III secolo d.c.. Dal noto passo attribuito a Modestino risulta che: “Obligamur aut re aut verbis aut simul utroque aut consensu aut lege aut iure honorario aut necessitate aut ex peccato…lege obligamur, cum obtemperantes legibus aliquid secundum praeceptum legis aut contra facimus”.

Il sospetto di interpolazione di questo frammento è maturato presso vari giuristi.3

Coloro che hanno inserito tra le fonti dell’obbligazione la legge hanno riconosciuto la paternità di tale concetto a Modestino; chi con veemenza lo ha rigettato, ha colto, proprio in quel frammento, un’inaccettabile commistione tra il piano delle fonti del diritto e quello delle fonti dell’obbligazione, che dovrebbero, invece, comportarsi come due rette parallele che non possono intersecarsi.

Inoltre, l’ingresso della legge tra le fonti delle obbligazioni rappresentava un elemento antitetico rispetto alla concezione romana, alla quale ripugnava ammettere che un vincolo grave e anormale il quale investa una persona assoggettandola al potere di un’altra, come è l’obligatio, possa prodursi da sé, ope legis, all’insaputa e senza la volontà od un comportamento della persona stessa che deve essere vincolata.

Rimane, poi, l’obiezione di fondo che può farsi, e che sarà fatta in tempi più vicini a noi, sulla correttezza di porre la legge, o in genere una fonte del diritto, in un catalogo di fonti d’obbligazione: la legge non fa, infatti, sorgere l’obbligazione di per se stessa, ma qualifica certi fatti come produttivi di obbligazione, sicchè saranno questi fatti a rappresentare in concreto la fonte: insomma, il soggetto tenuto a riparare il danno al proprietario di cui ha ucciso un animale non risulta obbligato ex lege aquilia, ma per il fatto di avere ucciso l’animale, e cioè ex delicto.

Nuova spinta all’idea che l’obbligazione potesse sorgere da una fonte legale venne data da Grozio (1583-1645), padre del giusnaturalismo, il quale pose, accanto alla pactio ed al maleficium, la lex come fonte equivalente di obbligazioni, tanto quasi-contrattuali quanto quasi-delittuali.

Una formulazione più matura e completa della categoria delle obbligazioni che sorgono dalla legge troviamo però in Heineccius (1718-1791). Questi riconosce che tutte le obbligazioni in tanto esistono in quanto sono riconosciute dalla legge (alias non esset vinculum iuris), ma esse si dividono in due grandi categorie poiché alcune immediate ex sola aequitate vel lege nascuntur,quaedam mediate, accedente facto quodam obbligatorio.

3. L’inserimento nel code civil delle obbligazioni che sorgono “de l’autorité seule de la loi” al vaglio della dottrina, tra ripensamenti e inattese conferme

Le obbligazioni che nascono direttamente dalla legge sono state inserite, poi, nell’articolo 1370 del code civil, il quale divide le obbligazioni che sorgono senza l’intervento di alcuna convenzione da quelle che si formano mediante convenzione: “Certains engagements se forment sans qu’il intervienne aucune convention, ni de la part de celui qui s’oblige, ni de la part de celui envers le quel il est obligé. Les uns resultent de l’autoritè seule de la loi; les autres naissent d’un fait personnel à celui qui se trouve obligé. Les premiers sont les engagemments formés involontairement, tels que ceux entre proprietaires voisins, ou ceux des tuteurs et des autres administrateurs, qui ne peuvent refuser la function qui leur est deferée.”

Nell’ambito delle obbligazioni non volontarie, si distinse, quindi, tra obbligazioni quasi-contrattuali e obbligazioni legali. Le prime hanno per causa prossima l’azione volontaria dell’uomo, le altre sorgono immediatamente dall’autorità della legge.

L’esame di due secoli di dottrina francese relativa all’interpretazione di questa norma ha contribuito a dare un quadro ben delineato dei profondi cambiamenti e della maturazione progressiva nelle opinioni dei giuristi.

L’idea di abbandonare questa classificazione codicistica per abbracciare la nota ed universalmente riconosciuta teoria degli atti e fatti giuridici si è presentata per la prima volta in Francia già verso la metà del XIX secolo. Si evidenziò correttamente che la legge non può essere fonte materiale di una obbligazione, ma solo la fonte formale di essa.

Si comprese che se Pothier aveva indicato la legge come possibile origine di un’obbligazione è perché non aveva colto che, all’infuori di ogni intervento umano, anche un fatto naturale, come la nascita di un soggetto, può essere considerato fonte dell’obbligazione. Il significato di fatto giuridico, inteso come accadimento specifico o modificazione della realtà di origine sia umana che naturale può, infatti, consistere anche in un mutamento qualitativo della persona, da ricomprendere nel concetto di cambiamento di status.

Si contestava la razionalità della distinzione codicistica, considerando la legge come fonte generale di ogni obbligazione, attraverso la mediazione di un atto o di un fatto giuridico.

Quando il codice parla di obbligazioni provenienti solo dalla legge, tale parola non va intesa in senso assoluto, ma relativo. Si vuole dire che la legge è sola in quanto non è ricollegata né ad un contratto, né ad un quasi-contratto, né ad un delitto, né ad un quasi-delitto, ma vi sono sempre motivi di ragione ed equità che intervengono per la formazione di una obbligazione.

Un rilevante orientamento dottrinale4 del sorgere del secolo scorso ha tentato di dimostrare che, in una partizione scientifica, le fonti delle obbligazioni, in realtà, si riducono a due somme categorie: la volontà dell’uomo e la legge.

Si innalzò sostanzialmente il contratto allo stesso livello proprio della legge.

Ciò in quanto la sola forza della volontà sarebbe sufficiente a creare l’obbligazione, agendo sola ed indipendentemente dalla legge. Ma per la moderna dottrina è considerato ormai jus receptum che se il contratto esiste e crea obbligazioni civili è perché è il diritto oggettivo, la legge che lo abilita a ciò. Quindi la legge va considerata la fonte mediata anche delle obbligazioni contrattuali.

E non vi è dubbio che esista una grande differenza tra il caso in cui la legge riconosce un rapporto obbligatorio creato dalla volontà umana, e perfetto, per opera di questa volontà, in tutti i suoi elementi caratteristici, e l’altro, in cui essa stessa è la causa generatrice dell’obbligazione, che, pur collegandosi ad una attività umana, sorge malgrado o anche contro la volontà dell’uomo. Nel primo caso, la funzione della legge è quella di attribuire valore giuridico alla volontà umana che è la causa immediata e diretta del rapporto obbligatorio; nel secondo, invece, la funzione della legge è quella di creare, in base a circostanze di fatto di diversissima natura, che si collegano ad attività o modi di essere dell’uomo, rapporti obbligatori, dei quali, perciò, essa è la causa immediata.

L’analisi delle speciali figure previste dall’art. 1370 come obbligazioni ex lege stricto sensu induce a comprendere che la loro importanza è relativa, a livello sistematico, in quanto le stesse possiedono uno statuto particolare. Si pensi all’obbligazione alimentare, i cui caratteri di irrinunciabilità, indisponibilità, imprescrittibilità, deviano dalla disciplina generale sull’obbligazione, e ne certificano la peculiarità.

Né potrebbe essere diversamente in un sistema quale quello francese privo di una disciplina generale delle obbligazioni.

Conferma tali valutazioni anche l’Avant-projet de reforme du droit des obligations, presentato al Ministro della Giustizia il 22 settembre 2005, sull’onda dei festeggiamenti del bicentenario del code civil, il quale, nel mantenere tale figura, contestualmente ne nega un’importanza sistematica.

All’art. 1101, comma 2, si stabilisce che “certaines obligations naissent également de l’autorité seule de la loi, comme les obligations de voisinage et les charges publiques dont il est traité dans les matières qui les concernent”. Aspetto singolare di questa tentata ricodificazione riguarda, però, l’incoerenza delle scelte fatte proprio in tema di classificazione delle fonti.

L’avant-projet, infatti, consacra ed integra formalmente nel tessuto codicistico le categorie degli atti e fatti giuridici, mettendo in rilievo che è sempre la legge che ricollega loro l’effetto di diritto che determinano.

Viene, però, illogicamente riproposta la categoria delle obbligazioni ex lege, la cui origine è pur determinata da un fatto giuridico. E’ stata creata, quindi, una terza via ibrida ed inaccettabile, facendo pagare un pesante tributo alla logica per un ossequio alla tradizione. Ben diversa scelta, cui sarebbe stato più saggio uniformarsi, è stata fatta dall’ordinamento del Quebec, vicino per tradizione anche giuridica a quello francese. I compilatori della ricodificazione del 1994, non indifferenti alle critiche di coloro che stigmatizzarono la presenza della legge nella classificazione delle fonti dell’obbligazione del codice previgente, decisero di inserire nell’art. 1372 una disposizione a tenore della quale L’obligation naît du contrat et de tout acte ou fait auquel la loi attache d’autorité les effets d’une obligation. Viene da considerare che se lo scopo dell’avant-projet era quello di far recuperare al diritto francese quel ruolo di primazia e di modello che le era proprio due secoli fa, tale scopo, almeno rispetto alla materia della classificazione delle fonti non sembra essere stato raggiunto.

Né si può tralasciare che la dottrina francese più recente5 ha proposto un tentativo, che pare per la verità maldestro, di rivitalizzare la figura di cui si tratta.

Sono state, infatti, avvicinate all’obbligazione legale figure eterogenee quali l’apparenza e le immissioni, che, in maniera certamente più corretta, andrebbero ricondotte ad ipotesi quasi-contrattuali o extracontrattuali. Proprio la scarsa credibilità di tali tentativi conferma l’inutilità di riproporre e rivitalizzare nel nuovo codice francese, che già contempla il quasi-contratto, una figura che raccolga fattispecie residuali, già compiutamente regolamentate dalla materia di riferimento.

4. Il sistema giuridico italiano e la parabola incerta delle obbligazioni legali fino alla scelta dell’espunzione dal codice civile

Passando ad esaminare il nostro ordinamento giuridico, va constatato che la figura dell’obbligazione legale ha mantenuto un suo riconoscimento formale finchè è rimasto forte il legame del nostro paese con la Francia. L’art. 1097 del codice civile del 1865 la inseriva fra le fonti dell’obbligazione ed autorevoli giuscommercialisti ne individuavano ipotesi anche all’interno del quadro disegnato dal codice di commercio del 1882.6

Qualche tempo dopo, i nostri giuristi decisero di affrancarsi dal diritto d’oltralpe, prima gettando alle ortiche per motivazioni politiche il lungo e meritevole lavoro sul progetto di un codice italo-francese sulle obbligazioni, e poi creando nel nuovo codice del 1942, ad imitazione del BGB, un libro intero dedicato alle obbligazioni ed espungendo dalla classificazione delle fonti la categoria delle obbligazioni ex lege.

Il legislatore napoleonico e quello italiano, con il riferimento espresso alle obbligazioni che nascono dalla legge, non intendevano, per la verità, esaltare l’arbitrio dello Stato, ma volevano, piuttosto, affermare che, laddove non vi sia un fatto volontario, soltanto una legge può imporre obblighi. La legge era intesa, insomma, come garanzia di una previsione certa che escludesse, per la sua generalità ed astrattezza, privilegi e discriminazioni.

Questa visione sembrava favorire, comunque, un sistema delle fonti delle obbligazioni caratterizzato, nel complesso, da una nota di rigidità o di chiusura.

Il principio di tipicità era del tutto funzionale ad un sistema di circolazione della ricchezza che, se da un lato esaltava il ruolo della volontà privata, purchè si esprimesse con riguardo a funzioni conosciute, dall’altro lato, sul versante della responsabilità, trovava nel principio della colpa e in quello della natura dei diritti tutelabili un limite all’insorgere di obbligazioni che ostacolassero l’iniziativa dei privati. Nel modello teorico dell’Ottocento, l’obbligazione era, del resto, riguardata prevalentemente come modo di acquisto della proprietà. Tale concezione era riflesso di una struttura produttiva e sociale in cui l’agricoltura era ancora l’attività fondamentale ed in cui la proprietà della terra svolgeva un ruolo primario. L’obbligazione ed il contratto erano, infatti, gli strumenti per mezzo dei quali si poteva aspirare alla proprietà dei beni, una proprietà statica, quindi finalizzata a se stessa.

Tra i giuristi che commentarono la classificazione delle fonti del codice del 1865, c’è chi espresse il pensiero comune sintetizzandolo così: “la legge a una mente moderna non può apparire che come la fonte di tutte le obbligazioni e non di una sola categoria e la Scuola deve ricorrere ad ogni sorta di espedienti per impedirle di assorbire tutte le altre cause.”7 Si precisava, poi, che l’unico elemento comune a tutti i vincoli che rientrano nelle obbligazioni ex lege era l’esistenza di uno stato di fatto, sia esso umano (volontario o involontario) oppure naturale.

A cavallo tra il codice del 1865 e la ricodificazione del 1942, come anticipato, notevole importanza ebbe il tentativo di creare un Codice italo-francese delle obbligazioni e dei contratti. Questo progetto nacque da un’idea di Vittorio Scialoja e, dopo varie vicissitudini, prese forma concreta nel 1927, con la sua pubblicazione l’anno successivo.

Nel corso dei lavori preparatori, si decise, in prima istanza, di completare e correggere la classificazione delle fonti dell’obbligazione contenuta nell’art. 1097, aggiungendo a quella lista il testamento e la promessa unilaterale e sostituendo alle due categorie dei delitti e dei quasi-delitti l’unica categoria degli atti illeciti. Questo testo venne, però, contestato laddove manteneva la legge come diretta fonte delle obbligazioni. Si considerò “superfluo dire che l’autorità della legge possa imporre delle obbligazioni, mentre non è sempre agevole stabilire, come è necessario nella classificazione tradizionale, in quale caso l’obbligazione nasca per il solo fatto della legge, senza alcun fatto obiettivo, ed in quale ipotesi, al contrario, è questo fatto in sé dal quale trae origine l’obbligazione.”8

Si decise, infine, di eliminare del tutto la classificazione delle fonti, cosicchè la dottrina avrebbe potuto ancora professare l’antica divisione o sostituirla con altre più razionali e più scientifiche: il testo legislativo non le sarebbe stata più d’impaccio nella libera elaborazione dei concetti.

Nonostante la qualità del lavoro svolto, il progetto italo-francese, per questioni soprattutto politiche, non entrò mai in vigore, ed il regime decise, piuttosto, di cominciare i lavori per la stesura di un nuovo codice civile.

Della intensissima fase finale dei lavori, svoltasi tra il settembre del 1939 e la fine del 1941, moltissimo resta da indagare sotto il profilo storico. Ciò in quanto i verbali, se pur sono esistiti, sono comunque stati perduti e non sarà dunque mai possibile ricostruire la genesi del codice.

Analizzando l’art. 1173, norma che disciplina le fonti dell’obbligazione, si deve rilevare che il legislatore del 1942, abbandonando le categorie pseudoclassiche del quasi-contratto e del quasi-delitto, intese rivitalizzare la formula gaiana delle variae causarum figurae. L’idea apertamente dichiarata nella Relazione al Re era che, fuori del terreno del contratto e dell’illecito, i fatti ed atti produttivi di rapporti obbligatori sono così eterogenei da non potere essere ordinati in categorie.

Nel caso di specie, è accaduto, dunque, che nell’art. 1173 c.c. il richiamo all’ordinamento giuridico abbia abolito definitivamente qualsiasi rigidità dell’elencazione e svuotato di qualsiasi effettivo contenuto l’elencazione della stessa, cosicché il sistema introdotto dal codice del 1942 può considerarsi in realtà equivalente a quello del BGB, il quale ha rinunziato come è noto a qualsiasi elencazione delle fonti delle obbligazioni.

Il legislatore si è astenuto dal riproporre tra le fonti dell’obbligazione la legge per l’eterogeneità di una previsione che accostasse la legge stessa ai fatti naturali ed umani produttivi di conseguenze giuridiche, e data la presenza della legge medesima quale causa concorrente degli effetti, anche là dove il rapporto nasce dall’autonomia negoziale o dalla commissione del fatto dannoso.

La legge di per sé sola non crea mai alcun effetto giuridico, ma pone sempre il c.d. nesso causale tra una situazione di fatto (fattispecie) e il trattamento correlativo.

D’altra parte, va messo in rilievo che la codificazione ha impresso alla materia delle obbligazioni il ruolo di diritto comune a tutti gli obblighi aventi ad oggetto una prestazione economica, superando i limiti del libro IV, e comprendendo anche gli obblighi patrimoniali connessi ai rapporti di diritto reale, ai rapporti di famiglia, alle successioni per causa di morte. Il risultato pratico consiste nell’applicazione dello schema e della generale normativa delle obbligazioni anche fuori dallo specifico settore, ogni qual volta del rapporto obbligatorio ricorrano la struttura e la funzione, intesi come relazione tra soggetti che si traduce nel sacrificio della volontà della libertà dell’uno per la soddisfazione dell’interesse dell’altro soggetto.

E’ così, nonostante l’espunzione implicita della categoria dal codice, sono state individuate numerose ipotesi di obbligazioni ex lege all’interno dei rapporti successori o dei rapporti familiari.

Data l’ampiezza del concetto di obbligazione, sono state, poi, ricondotte ad essa anche i vincoli aventi contenuto patrimoniale nei quali la p.a. assume la veste di soggetto attivo o passivo, essendo beneficiaria di una prestazione cui è tenuto il privato o rispettivamente vincolata ad una prestazione nei confronti dello stesso. Si è detto che la prestazione in favore del privato sorga direttamente dalla legge solo nel caso in cui l’amministrazione effettui esclusivamente un controllo in ordine all’effettiva sussistenza dei presupposti puntualmente indicati dalla legge stessa; essa nascerebbe, invece, da un provvedimento amministrativo, quando la legge attribuisce all’amministrazione il potere di riconoscere l’ausilio, previa valutazione comparativa degli interessi pubblici o privati in relazione all’interesse pubblico primario, apprezzando discrezionalmente l’an, il quid ed il quomodo dell’erogazione. Ma nelle obbligazioni che si dicono nascenti dalla legge, la fonte dell’obbligazione dell’ente pubblico è in realtà un fatto giuridico, all’avveramento del quale la norma fa nascere un diritto di credito per il privato ed un obbligo patrimoniale dell’ente, attribuendo i caratteri dell’obbligazione alle due situazioni correlate. L’atto dell’autorità ha la sola funzione di conferire certezza al fatto giuridico che si è avverato, giustificando e documentando la nascita dell’obbligazione dell’ente.

Esempio classico è rinvenibile nelle obbligazioni tributarie, la cui riconducibilità all’ambito privatistico è tuttora molto dubbia, in considerazione del fatto che il diritto tributario è materia dalle rilevanti specificità. Tuttavia, anche includendo il rapporto tributario tra le obbligazioni di diritto comune, si è autorevolmente rilevato9 come tale vincolo, in realtà, nasca nel momento in cui si verifica il fatto della vita sociale cui la legge lega il sorgere del debito tributario: la percezione di un reddito, la stipulazione di un contratto, l’apertura di una successione, la vendita di una merce, etc.

5. La discussa reintroduzione della categoria delle obbligazioni legali nel linguaggio del legislatore, nelle argomentazioni della dottrina ed in quelle della giurisprudenza

In contrasto con il chiaro intendimento del legislatore del 1942 e con la quasi unanime dottrina civilistica, la legge di riforma del diritto internazionale privato n. 218 del 1995, all’art. 61, ha introdotto, tra le categorie disciplinate, le obbligazioni nascenti dalla legge, inserendo in tale ambito, a sorpresa, oltre alla gestione di affari altrui, all’arricchimento senza causa, al pagamento dell’indebito, anche “le altre obbligazioni legali.”10

Va rilevato, comunque, che fin dal primo progetto di riforma elaborato dal prof. Vitta nel 1968, la categoria delle obbligazioni ex lege ha sempre avuto una sua collocazione nel nuovo diritto internazionale privato e nessuna eccezione o distinguo trapela dai lavori preparatori o dagli interventi dei giuristi a commento dei progetti e dei disegni di legge.

Date le notevoli incertezze del quadro interpretativo già delineato, la reintroduzione di questa categoria nella legge di riforma del d.i.p. sembrerebbe un segnale di ripensamento, se non fosse che la formulazione dell’art. 61 l. 218/95 non è convincente laddove, forse inconsapevolmente contraddicendosi, sottopone le obbligazioni legali «alla legge dello Stato in cui si è verificato il fatto da cui deriva l’obbligazione».11 È legittimo allora chiedersi quale sia la vera fonte dell’obbligazione, se il fatto o la legge.

Va pure preso in considerazione che il meccanismo delle norme di conflitto, ed in particolare l’ampiezza delle categorie giuridiche previste nelle medesime, fanno sì che tali obbligazioni abbiano per lo più una natura meramente residuale e siano spesso riconducibili nell’ambito delle regole aventi ad oggetto altri rapporti. Si può ravvisare la possibilità di un’interferenza tra la sfera di applicazione dell’art. 61 e quella propria di altre norme, quali, ad esempio, l’art. 45 per le obbligazioni alimentari nella famiglia, gli artt. 36 e 42-43 per i diritti e gli obblighi a contenuto patrimoniale tra genitori e figli e tra tutore ed incapace, l’art. 46 quanto ai rapporti tra erede e legatario, l’art. 51 quanto ai rapporti tra proprietari di immobili e loro vicini.

Scarsi, peraltro, sono i casi di obbligazioni ex lege analizzati finora dalla giurisprudenza italiana per i loro profili internazional-privatistici. Tra questi, vi è l’ipotesi dell’unico azionista che ha responsabilità illimitata, ai sensi dell’art. 2362 c.c., vecchio testo, per le obbligazioni sorte nel periodo in cui le azioni risultavano appartenere ad un unico socio.12 Recentemente, la Suprema Corte ha correttamente escluso, poi, che tra le “altre obbligazioni legali non diversamente regolate” di cui all’art. 61 della legge 218/1995 possa annoverarsi l’azione revocatoria,13 tanto se esercitata dal singolo creditore, quanto se esperita dal curatore di un fallimento. Ciò in quanto non sussiste alcuna obbligazione legale pregressa alla cui attuazione il giudizio sia preordinato.

Questa innovazione legislativa spinge, comunque, a porsi degli interrogativi sull’effettivo recepimento della teoria bipartita degli atti e fatti giuridici nel nostro ordinamento, essendo quest’ultima inattaccabile da un punto di vista logico, ma ponendo forse qualche perplessità agli interpreti per la visione razionalistica che propone.

Il terreno di contrasto, allo stato attuale, è duplice e concerne, da un lato, l’estensione del concetto di fatto giuridico, dall’altro, la possibilità di classificare in via alternativa le obbligazioni in base alla loro funzione.

Dal primo punto di vista, si è, recentemente, sostenuto14 che un autonomo significato della legge nell’individuazione delle fonti delle obbligazioni può essere tuttora mantenuto se la relativa fattispecie si ravvisa non già in uno specifico atto o fatto, bensì in una qualità giuridicamente rilevante della persona, la quale, in definitiva, può essere ricondotta alla nozione di status.

La querelle nasce, quindi, sul significato e sull’interpretazione del concetto di fatto giuridico, che viene definito dalla dottrina più autorevole come il fatto materiale al quale si accompagna il mutamento di una situazione giuridica.15

Se fra i fatti materiali da cui può discendere un fatto giuridico sono annoverabili anche i rapporti qualificanti o legittimanti, o i meri stati di fatto, che prescindono da un comportamento dei soggetti, conseguentemente si deve negare l’esistenza di obbligazioni legali. Ciò in quanto le ipotesi normalmente ricondotte alla categoria delle obbligazioni ex lege sottendono la presenza di tali situazioni di fatto.

Si è sostenuto, al contrario, che, per quanto possa essere estesa l’accezione del fatto giuridico, essa, per conservare un’utilità tanto teorica che pratica, deve limitarsi ad un accadimento specifico o ad una modificazione della realtà di origine sia umana che naturale.16 Ciò tenendo pure conto che, secondo la tradizione romanistica, il factum obligatorium consisteva sempre in un comportamento umano. E se ne è desunto che, potendosi ricomprendere nella categoria dei fatti giuridici solo situazioni dinamiche, quali i comportamenti del privato, e non situazioni statiche del soggetto, l’ipotesi dell’obbligazione alimentare possa essere considerata una obbligazione ex lege.

La legge, però, in tale fattispecie non fa nascere direttamente l’obbligazione. Dalla legge nascono doveri di assistenza e solidarietà, che sono espressione dello status familiare. Il passaggio dalla situazione di dovere a quella di obbligazione, e con esso il mutamento giuridico, si realizza quando una certa situazione, vale a dire lo stato di bisogno, provoca la concretizzazione o individualizzazione della tutela giuridica nella direzione di un soggetto determinato.

Un mutamento o una modificazione della realtà può poi ricondursi anche all’alterazione dello status del soggetto che diventi genitore. Al momento della nascita del figlio, infatti, il padre diventa titolare di potestà, diritti ed obblighi, e perciò la situazione giuridica finale presenta una maggiore complessità della situazione iniziale. Quindi, un’alterazione degli elementi soggettivi del rapporto, e così un fatto giuridico soggettivo fonte di obbligazione può consistere anche nel mutamento qualitativo della persona, che viene ricompreso nel concetto di cambiamento di stato.17

Nel rilevare l’inutilità di una divisio obligationum così come concepita nell’art. 1173 c.c., data l’atipicità sia della fonte contrattuale, che di quella extracontrattuale, autorevole dottrina ha proposto, poi, una classificazione alternativa, in grado di porre in rilievo la funzione delle obbligazioni, in analogia con il più recente orientamento della dottrina anglo-americana.18

Le funzioni delle obbligazioni legali sono state indicate nell’assistenza (obbligazioni di mantenimento e alimentari), nella copertura di rischi (l’obbligazione dell’assicuratore verso il terzo danneggiato), nella cooperazione (l’obbligo di contrarre del monopolista legale o del datore di lavoro nei confronti degli appartenenti alle categorie protette, gli obblighi di prelazione previsti dalla legge sulla locazione di immobili urbani o le servitù coattive che spettano di diritto al proprietario di un fondo nella ricorrenza delle condizioni stabilite dalla legge). Le funzioni esercitate dalle obbligazioni legali vengono ricollegate a norme di carattere costituzionale, dovendo, però, l’imposizione di tali obblighi rispondere ai limiti esplicitati dalla medesima normativa, quali l’utilità sociale, la funzione sociale, la tutela della personalità, il rispetto della parità di trattamento, nonché la clausola di chiusura della ragionevolezza.

La teoria degli atti o fatti giuridici e quella che classifica le obbligazioni in base alla funzione non sono in necessario contrasto tra loro, in quanto descrivono la medesima fattispecie sotto prospettive diverse.

Quale che sia la classificazione da adottare, va rimarcato che l’obbligazione ex lege è vista spesso dalla nostra giurisprudenza, che ancora ne invoca la figura, come sinonimo di obbligazione non volontaria. Il risultato è che tale categoria, date le sue incertezze definitorie, invece che risultare un elemento di chiusura della classificazione delle fonti, come affermavano i giuristi del primo Novecento, è diventata paradossalmente sinonimo di atipicità.

Ma non si può non concordare, avuto riguardo alle risultanze desumibili dall’indagine eseguita sulla giurisprudenza, con chi rilevò che spesso la legge viene utilizzata come un’espressione di comodo, “una frase ellittica per dire che la legge ricollega un’obbligazione ad uno stato o ad un fatto, che non è contratto né atto illecito imputabile a colpa.”19

Accade spesso, infatti, che la legge ed il fatto, che pure in questa vicenda giuridica si presentano come elementi antitetici, diventino componenti di un endiadi che rivela la struttura irregolare di una obbligazione rispetto agli schemi classici del contratto o del delitto.

E’ il caso in cui ipotesi tipiche di fatti illeciti vengono confuse con obbligazioni di natura differente, in quanto derogatorie della disciplina ordinaria per il criterio di imputazione o per il criterio di stima del danno.

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, ad esempio, l’obbligazione riparatoria a carico dello Stato, prevista dalla L. 24.3.2001, n. 89, non nasce ex delicto, ma ex lege, essendo riconducibile al “fatto” dell’eccessiva durata del processo, classificabile tra le obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c..20

Non si tratterebbe, quindi, per questo orientamento, di obbligazione da fatto illecito in senso proprio, dato che non si richiede l’accertamento di un illecito secondo la nozione contemplata dall’art. 2043 c.c.. Ciò per la difformità della norma rispetto allo schema classico, difformità che deriva dall’irrilevanza della prova dell’elemento soggettivo, e dal fatto che l’art. 2, l. n. 89/2001 commina come sanzione un’equa riparazione dei danni, e non già un risarcimento.

Questo percorso era evidente anche nelle motivazioni delle sentenze che riguardavano la responsabilità degli amministratori di s.p.a. per aver violato il divieto di intraprendere nuove operazioni, ai sensi del comma 1 dell’art. 2449 c.c., abrogato.21 Si trattava anche in questo caso, per la giurisprudenza, di una obbligazione ex lege, riconducibile all’alveo della responsabilità extracontrattuale, che non presuppone imprescindibilmente un fatto illecito, con tutte le caratteristiche di cui alla norma generale contenuta nell’art.2043 cc, e neppure richiede in ogni caso che il comportamento dei responsabili si estrinsechi mediante atti dolosi o colposi che siano causa diretta di danno per l’altrui patrimonio.

6. Le relazioni ambigue tra l’obbligazione legale e quella quasi-contrattuale tra diritto tedesco e diritto italiano

Per una corretta configurazione della categoria che si analizza, occorre rilevare che nel nostro ordinamento la distinzione tra quasi-contratto ed obbligazioni ex lege è sempre stata sfumata. Si pensi che molti dei giuristi che con le proprie critiche concernenti l’inutilità del quasi-contratto provocarono la mancata riconferma di tale istituto nel codice del 1942 individuarono il fattore determinante di tale tipo di obbligazioni direttamente nella legge.22

Va, peraltro, messo in rilievo che, laddove gli studiosi del diritto comune hanno riconosciuto le categorie del quasi-contratto e del quasi-delitto, raramente hanno collocato al loro fianco le obbligazioni ex lege. Al contrario, quando si è inclusa la categoria delle obbligazioni ex lege, normalmente non viene menzionato il quasi-contratto.23

Si ricordi, da ultima, la riforma del nostro diritto internazionale privato, che all’art. 61 classifica come obbligazioni nascenti dalla legge tanto figure tipizzate di quasi-contratti, quali l’arricchimento senza causa, la gestione d’affari e il pagamento d’indebito, quanto le obbligazioni legali stricto sensu.

Spesso, del resto, non si è colta la differenza fondamentale secondo cui le obbligazioni quasi-contrattuali differiscono da quelle legali, anzitutto perché queste sorgono immediatamente dall’autorità della legge, mentre le altre hanno per causa prossima l’azione volontaria dell’uomo.

Eppure, tale distinzione può avere ricadute di rilevante importanza, se si considera che le due classi di obbligazioni differiscono fra loro in quanto le obbligazioni legali, restringendo per necessità il libero esercizio dei diritti, non possono avere applicazione estensiva, giusta l’art. 23 della Costituzione, mentre le obbligazioni quasi-contrattuali, in applicazione di un principio generale come il dovere di non arricchirsi a danno altrui, si possono estendere a casi analoghi.

Rimane il fatto che la nostra giurisprudenza spesso classifica come obbligazioni derivanti dalla legge anche quelle che sorgono da un comportamento del privato.

Sebbene rimosso da molti dei codici civili vigenti (eccezion fatta per Francia, Spagna ed ora Germania), e oggetto di profonde critiche, il quasi-contratto continua del resto a “governarci dalla tomba”, per parafrasare le parole proferite dal Maitland, nel rilevare che le corti inglesi, accanto ai torts ed al contract, hanno riconosciuto, appunto, obbligazioni da quasi-contract.24

E’ da porre in evidenza, a riguardo, l’influenza sul nostro ordinamento del diritto tedesco, che ha originariamente rinunciato ad uno schema delle fonti dell’obbligazione e che, nel descrivere le obbligazioni legali, lo fa in maniera spesso generica, facendo in realtà riferimento ad obbligazioni non volontarie, ove cioè non è individuabile un accordo contrattuale. Questo è l’ampio significato che in tale ordinamento, notoriamente pervaso dal principio del dogma della volontà e caratterizzato da un profilo individualistico, si dà all’espressione “obbligazioni ex lege”.

Col termine obbligazione ex lege si connoterebbe, per Canaris, in modo soddisfacente il secondo grande settore appartenente allo Schuldrecht, caratterizzato dal fatto che è il diritto oggettivo, e non le parti contrattuali, a trovare la ragione per il verificarsi di uno spostamento patrimoniale tra più soggetti. 25

Di notevole interesse nell’ambito del sistema riformato nel 2002 è, in particolare, il terzo comma dello stesso § 311 BGB, che prevede la tipizzazione della responsabilità precontrattuale, degli obblighi di protezione, e stabilisce esplicitamente che un rapporto obbligatorio di fonte legale possa nascere anche nei confronti di persone non destinate a diventare parti contrattuali. Va rilevato che tale disposizione è, in un certo senso, una norma sulle fonti delle obbligazioni, dato che essa non indica solo il contratto, ma aggiunge ulteriori fatti da cui possono scaturire obblighi di protezione. Questi ultimi, in particolare, nascono quando il terzo suscita un rilevante affidamento in ordine ad un proprio comportamento ed in tal modo influenza in maniera decisiva le trattative o la stipulazione del contratto.

In questo senso, si è rilevato, però, che la denominazione di obbligazione ex lege è certo esatta, ma insufficiente, perché non individua il fatto cui la legge ricollega la nascita del rapporto obbligatorio precontrattuale.26La responsabilità per culpa in contraendo, pur classificata in maniera atecnica come fattispecie di responsabilità legale, perché sorge indipendentemente da una volontà delle parti, ha, in realtà, natura quasi-contrattuale.

Ciò considerato, si può affermare che nella riforma dello Schuldrecht la figura del quasi-contratto (Rechtsgeschäftsähnliche Schuldverhältnisse) sembra differenziarsi rispetto al quasi-contrat del code civil per la previsione di un requisito ulteriore per la sua nascita, l’affidamento, che deve influenzare in maniera decisiva le trattative o la stipulazione del contratto.

7. L’inadempimento di obblighi legali informativi da parte di soggetti qualificati e natura della conseguente responsabilità

Le soluzioni proposte da tale innovazione legislativa tedesca, che riprende, in realtà, una tradizione giurisprudenziale consolidata, sono state da tempo recepite in Italia da chi, con successo, ha individuato obbligazioni senza prestazione, risolvendo in senso favorevole al soggetto danneggiato la responsabilità del medico dipendente nei confronti del paziente, dell’insegnante nei confronti dell’allievo, della pubblica amministrazione nei confronti del cittadino.27

La presenza di rapporti obbligatori di tale tipo è stata, quindi, accertata dalla nostra Suprema Corte, nel caso in cui soggetti professionali, in relazione al loro particolare status o alla loro specializzazione nella materia, abbiano assunto una posizione di garanzia nei confronti dei destinatari della prestazione da essi fornita.28

La medesima ratio si può rilevare in determinate ipotesi nelle quali la Cassazione non ha applicato la teoria del contatto sociale, ma meno elegantemente ed impropriamente ha individuato obbligazioni ex lege, pur in presenza di una lesione di un affidamento legittimo disatteso.

Si tratta, in realtà, di ipotesi nelle quali la dottrina o la giurisprudenza hanno accertato responsabilità per inadempimento di obbligazioni preesistenti non volontariamente contratte, e come tali definite ex lege. Si constaterà come i termini della questione si rivelino delicati, in quanto l’alternativa rispetto ad una responsabilità da inadempimento dell’obbligazione, vale a dire la natura aquiliana della responsabilità, porta con sé le note rilevanti differenze di disciplina.

Così, recentemente, in tema di responsabilità per aver reso informazioni inesatte, la Cassazione ha individuato da parte dell’Inps l’inadempimento di una obbligazione legale nei confronti del suo assicurato. Tale obbligazione viene fatta derivare dall’inosservanza del generale obbligo dell’ente previdenziale, ex articolo 54 legge 88/1989, di informare l’interessato sulla sua posizione assicurativa e pensionistica.29

Nella fattispecie in esame, che pur consiste sostanzialmente nell’ipotesi in cui un ente pubblico, erogando false informazioni ad un privato, arreca pregiudizi alla di lui posizione, si è giunti da tempo a soluzione condivisibile, ma diversa rispetto a quella riscontrata in casi analoghi. Il rilievo per lo studio de quo è dato dal fatto che fonte dell’obbligazione che sorge tra l’ente previdenziale e l’assicurato viene considerata “la legge” o “l’atto normativo pubblico”.

Il complesso rapporto giuridico previdenziale fra l’ente pubblico e l’assicurato nasce, in realtà, nel momento stesso in cui vengono in essere i presupposti di fatto presi in considerazione dalla legge, come, ad es., l’inizio di una attività lavorativa, subordinata o autonoma, l’iscrizione in particolari albi o la costituzione di un rapporto di parentela o di coniugio con un soggetto gia` assicurato. La responsabilità per la violazione di una di queste obbligazioni non e` considerata aquiliana, ma contrattuale, con i noti esiti in materia di prescrizione e di riparto dell’onere probatorio.

Si tratta, nel caso di specie, in realtà, del riconoscimento da parte di una disposizione normativa della rilevanza dell’affidamento posto dall’assicurato nella posizione di un soggetto pubblico deputato a fornire informazioni veritiere. Il riferimento alla legge come fonte di una obbligazione non va, quindi, preso alla lettera, visto che nelle medesime decisioni citate si fa riferimento a presupposti di fatto ai quali la legge ricollega la nascita di una obbligazione. Più propriamente si può ricondurre tale fattispecie alla categoria dei quasi-contratti o meglio ancora tra gli altri atti o fatti di cui all’art. 1173 c.c..

In maniera analoga, è stato considerato l’inadempimento di una obbligazione legale da parte della banca girataria per l’incasso di assegni circolari non trasferibili.

Secondo una innovativa decisione della Suprema Corte, infatti, l’obbligo previsto dall’art. 43 L. ass., di natura non contrattuale, non potrebbe essere considerato, per ciò solo, di origine aquiliana, ma troverebbe proprio nella legge la sua unica fonte.30

Si parla di obbligazione legale, ma poi esplicitamente viene richiamata la figura del quasi-contratto, che riappare nel linguaggio dei nostri Giudici, dopo oltre sessant’anni di purgatorio, con un requisito nuovo che lo caratterizza: l’affidamento qualificato disatteso. Ma gli interrogativi sulla correttezza di questa qualificazione sono doverosi, considerando che la definizione classica di quasi-contratto nella nostra tradizione giuridica contempla il requisito della liceità del fatto da cui origina l’obbligazione.31 Come si può sostenere che la Banca nel pagare a chi non è intestatario dell’assegno non trasferibile ponga in essere un fatto lecito?32 Nel caso di specie, facendo riferimento proprio alla motivazione della sentenza, sembra più corretta l’impostazione che individua la nascita di tale obbligazione dallo status del debitore, che ha l’obbligo, nello svolgere la propria prestazione, di impiegare la diligenza propria della sua qualifica professionale. La valorizzazione della posizione speciale dell’Istituto di credito, che, in quanto facente parte di un sistema ispirato a regole di trasparenza ed alla corretta gestione del credito, crea un affidamento nei confronti del risparmiatore, consumatore o investitore non professionale, era già stata affermata in diverse occasioni, ma raramente si era associata ad essa una responsabilità lato sensu contrattuale.

Facendo leva sulla professionalità dell’agente e individuando contestualmente una responsabilità da inadempimento di una obbligazione quasi-contrattuale, indiscutibilmente la Corte sembra riferirsi, senza citarlo espressamente, al noto orientamento che intravede contatti sociali rilevanti, nel caso si verifichi la lesione di un affidamento legittimo. Anche qui la rilevanza del contatto sociale sarebbe già stata prevista da una norma. La qualificazione della responsabilità della banca come contrattuale risultava, nel caso, decisiva per quel che concerne la durata (decennale) della prescrizione del diritto al risarcimento.

Un ragionamento analogo viene proposto da parte della dottrina in ordine alla natura delle obbligazioni delle società di revisione nei confronti dei terzi destinatari dei loro accertamenti e per quelle degli intermediari finanziari nei confronti degli investitori non professionali.

Le società di revisione hanno, infatti, il compito di verificare, rilasciandone attestazione, la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili, oltre alla conformità dei bilanci alle risultanze delle scritture e alle norme civilistiche che li disciplinano.33 Dall’espressione delle suddette valutazioni può nascere una responsabilità della società di revisione, sia per quanto concerne il suo rapporto con la società revisionata, sia per quel che riguarda il rapporto in cui essa necessariamente si pone con i terzi destinatari dell’informazione di bilancio. Sebbene la prestazione della società di revisione si svolga a causa ed in seno ad un rapporto contrattuale e sia, quindi, destinata a soddisfare un bisogno della società che le ha conferito l’incarico, tuttavia l’oggetto della prestazione è, per sua natura intrinseca, destinato a comunicare ad una massa indeterminata di soggetti un giudizio particolarmente qualificato, in quanto proveniente da una fonte specializzata, sull’attendibilità del bilancio della società. L’inadempimento, oltre a colpire la sfera del titolare del rapporto obbligatorio, è idoneo quindi a produrre conseguenze negative anche in sfere giuridiche estranee al rapporto contrattuale.

La nuova disposizione dell’art. 2409 sexies c.c., secondo la quale, “i soggetti incaricati del controllo contabile sono sottoposti alle disposizioni dell’articolo 2407 e sono responsabili nei confronti della società, dei soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri” ha indotto, per una chiara suggestione letterale, a classificare tale fattispecie in termini di responsabilità di fonte legale, quindi di tipo lato sensu contrattuale, anche rispetto ai singoli soci e ai terzi che abbiano subito un danno a seguito della predisposizione e diffusione di un giudizio non corretto, ovvero a causa dell’omissione o negligente esecuzione di controlli in ipotesi dovuti.34 La responsabilità del revisore deriverebbe non dalla violazione del generico precetto del neminem laedere, ma dalla violazione di obblighi di comportamento imposti dalla legge specificamente a carico del revisore o della società di revisione. Il legislatore ha fissato i presupposti di obbligatorietà della revisione, ha definito in dettaglio i diversi doveri del revisore (all’art. 2409-ter c.c.) e le modalità di svolgimento dei medesimi e, infine, ne ha sanzionato l’inadempimento individuando altresì i soggetti legittimati ad esperire l’azione di danni. Per questo motivo, secondo tale orientamento, dovendo dare contenuto e senso alla responsabilità esterna dei revisori, bisognerebbe muovere non dalla lex aquilia, né dal contratto, ma dalla legge.

Tale impostazione è stata, del resto, sostenuta in prospettiva analoga con riferimento alla responsabilità esterna dei sindaci,35 e se ne trovano tracce nella recente inclinazione a qualificare la responsabilità dell’esperto ex art. 2343 c.c. ovvero ex art. 2501 sexies c.c. come contrattuale sia nei confronti della società, sia rispetto ai soci (ed eventualmente ai terzi) in quanto derivante sempre e comunque dalla violazione di specifici obblighi di comportamento.36

Viene in rilievo, in modo similare, l’ipotesi degli intermediari finanziari che hanno la funzione di mettere in contatto i risparmiatori, desiderosi di investire al meglio, con gli emittenti dei titoli di investimento, capaci di produrre utili o rendite più o meno elevate. Nell’ambito del D.Lgs. 58/98, ci sono, infatti, disposizioni (in particolare l’art. 21) dettate espressamente a favore dell’investitore non professionale al quale l’intermediario dovrà fornire, come condizione preliminare ad ogni attività di investimento e di gestione, informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza è necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento. L’intermediario, quindi, è tenuto non solo a chiarire al cliente i fatti in sé, ma ad aiutarlo anche ad interpretarli nel loro esatto significato economico, per trarre da essi conseguenze corrette. Ad esso è fatto carico, quindi, anche di consigliare e orientare il cliente, mediante coerenti giudizi valutativi, verso le scelte di investimento reputate più opportune.

Ma, sulla natura della responsabilità, l’orientamento non è certo univoco, dato che essa non si può desumere solo dall’inadempimento di tali obblighi informativi.37

E’ necessario verificare l’origine del rapporto stesso tra professionista e soggetto informato e quale vincolo si istituisca tra i due soggetti: se esso nasca all’interno di un rapporto accessivo ad altri rapporti negoziali preesistenti tra le parti o se esso tragga origine da un rapporto non negoziale.

Occorre comunque tenere conto, per ridimensionare l’importanza della scelta tra l’opzione contrattuale e quella aquiliana, che l’art. 23, comma 6, del D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 del T.u.i.f., stabilisce che “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”.38Tale disposizione fa riferimento ai giudizi di risarcimento del danno senza ricostruire a monte il rapporto tra intermediario e cliente. Tale norma, quindi, mantiene uniformi i meccanismi probatori sia che la responsabilità operi a garanzia della diligente prestazione di un servizio nei termini più ampi e atipici, sia che la responsabilità generale si specifichi in funzione del collegamento con la lesione di un credito e dunque con l’inadempimento di un vero rapporto obbligatorio.

Anche con riferimento alla responsabilità degli amministratori di società di capitali nei confronti dei terzi o dei creditori sociali, autorevole dottrina39 ha individuato la presenza di obblighi di protezione.

La responsabilità di natura contrattuale deriverebbe dall’inadempimento di una preesistente obbligazione di fonte legale, riguardante la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, obbligazione assunta dagli amministratori con l’accettazione della carica. A questo orientamento si deve eccepire che, nel nostro ordinamento, i doveri di protezione in favore di terzi sono stati riconosciuti dalla giurisprudenza solo laddove l’affidamento fosse ingenerato da uno status del debitore di diversa pregnanza rispetto a quello che qualifica l’amministratore di s.p.a.. Il debitore, infatti, deve ricoprire una posizione istituzionalmente deputata a creare fiducia nei terzi. Pertanto, non sembra conclusiva per affermare la natura “contrattuale” della responsabilità la preesistenza di uno specifico obbligo di conservare il patrimonio sociale derivante dalla legge, trattandosi in realtà di una violazione tipizzata dal legislatore, e riconducibile alla clausola generale dell’art. 2043, i cui caratteri di specialità dipendono dal fatto che deve sussistere uno stretto rapporto tra la lesione cagionata al terzo e l’atto di gestione compiuto dall’amministratore.

In conclusione, dall’esame delle ipotesi ricondotte alla categoria delle obbligazioni ex lege, non può sfuggire come quelle classicamente inserite in tale categoria, come le obbligazioni alimentari o le obbligazioni reali non necessitino di particolare attenzione in quanto tali, avendo le stesse una loro disciplina peculiare, che non può essere estesa a casi analoghi.

Le obbligazioni legali in senso ampio, più propriamente definibili come quasi-contrattuali, invece, possono suscitare notevole interesse, laddove sorgano dal “fatto” del contatto sociale tra un soggetto professionale ed un terzo, al di fuori di un rapporto contrattuale. In questo caso, infatti, alla diversa qualificazione si ricollega una differente disciplina più favorevole al soggetto danneggiato, in ordine al riparto probatorio ed al termine prescrizionale.

Che tali obbligazioni debbano sorgere da un atto o da un fatto giuridico assomiglia ad una equazione o ad una formula matematica dal risultato non discutibile in quanto tale. Ma per capire il motivo per il quale la giurisprudenza e autorevole dottrina persistono con ostinazione nell’indicare la legge tra le fonti di queste obbligazioni, dimenticandosi che dietro di esse si può scorgere sempre la presenza di un fatto, bisogna tentare un approccio meno razionalistico.

In questo caso, la qualifica di obbligazione legale ricorda che a fianco dell’interesse individuale, di cui strumento è il contratto, esistono altri aspetti da considerare nell’ambito di una classificazione delle fonti, quali la volontà generale, l’interesse comune, la buona fede, l’affidamento legittimo. E sottolinea come il diritto positivo attuale sia, talvolta, in contrasto con il concetto dell’individualismo liberale propugnato dai pandettisti e dai civilisti del secolo XIX.

26

1

 Ex multis, vedi F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1971, p. 111

2

 Cfr., per la Germania, Medicus, Gesetzliche Schuldverhaltnisse: Delikts- und Schadensrecht, Bereicherung, Gesch¨aftsf¨uhrung ohne Auftrag, Munchen, 2003, passim; per la Francia, Planiol, Classification des sources des obligations, in Rev. Critique de lègislation et de jurisprudence, Paris, 1904, p. 230, per l’Italia, De Ruggiero-Maroi, Istituzioni di diritto privato, Milano-Messina, 1954, p. 57

3

 Vedi, fra tutti, Albertario, Studi di diritto romano, Milano, 1936, III, 27 e 174; Wieacker, Societas.Hausgemeinschaft und Erwerbsgesellschaft, Weimar, 1936, 85; A. D’Ors, Re et verbis: resumen de la comunicacion presentada al Congreso internacional de derecho romano, en Verona, septiembre, Madrid, 1948,III 301; Schulz, Classical roman law, 1951, 507; Kaser, SZ 70, 1953, 156, lo considera “chiaramente un elaborato postclassico”; Voci, La dottrina romana del contratto, Milano, 1946, 293

4

Planiol,Classification des sources des obligations, in Rev. critique de lègislation et de jurisprudence, Paris, 1904, p. 230

5

cfr. F. Garron, L’article 1370 du Code civil, Extrait du dossierBicentenaire du Code civil : les petits articles sont également de la fête, in Revue Lamy droit civil, 2004, n° 7, p. 49, sous la direction de Jacques Mestre; M.Douchy, La notion de quasi-contrat en droit positif français, 1997, p. 211 ss.

6

 Cfr., ad esempio, Bolaffio, in Bolaffio-Vivante, Il codice di commercio commentato, vol.I, Torino, 1922, sub art. 4, e in La legislazione commerciale italiana, Torino, 1934, p. 279 ss

7

 Cfr. Perozzi, Le obbligazioni romane: prolusione letta il 14 aprile 1902 : con note – Bologna, 1903, p. 45 ss..

8

 Cfr Relazione sul progetto di codice delle obbligazioni e dei contratti approvato a Parigi nell’ottobre del 1927, Roma, Provveditorato generale dello Stato, libreria, 1928-VI, par. 5.

9

 Cfr. Vanoni, Elementi di diritto tributario, in Opere giuridiche, vol. II, Milano, 1962, p. 112 ss

10

 Di ciò è importante dar conto, contestualmente ricordando che la progressiva espansione del diritto privato extrastatuale, volto a perseguire un trattamento giuridico uniforme, ha ridotto l’ambito esplicativo del diritto internazionale privato.

11

 Cfr., in tal senso, Memmo, Le categorie ordinanti del sistema delle obbligazioni e dei contratti nel nuovo diritto internazionale privato italiano, in Contratto e impresa, 1997, p. 51 ss.

12

 Cfr. App. Milano 18 giugno 1999, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2000, 732 e segg., e Cass 14 febbraio 2002 n. 2111, in Giur. It., 2002, 12, con note di Serra, Il regime di responsabilità nelle società di capitali unipersonali, tra il disposto abrogato dell’art. 2505 c. c. e la legge di riforma del 31 maggio 1995, n. 218 e Pernazza-Sabbadini, Diritto applicabile alle societa’ costituite all’estero e responsabilita’ dell’unico azionista, in Società, 2002, p. 971

13

 Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 07-02-2007, n. 2692, inedita

14

 Cfr. Sirena, La gestione di affari altrui come fonte quasi-contrattuale dell’obbligazione in Riv. dir. civ., 1997, 249 ss., id., La gestione di affari altrui. Ingerenze altruistiche, ingerenze egoistiche e restituzione del profitto, Torino, 1999, 413 ss.

15

 Cfr. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, p. 200

16

 Si veda sempre Sirena, La gestione di affari altrui. Ingerenze altruistiche, ingerenze egoistiche e restituzione del profitto, Torino, 1999, p. 415

17

 In tal senso, Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, p. 212.

18

 A. Di Majo, Delle obbligazioni in generale, art. 1173 c.c., in Comm. Cod. civ., diretto da Scialoja-Branca, Bologna-Roma, a cura di F. Galgano, IV, 1988, pag. 167-168.

19

 Cfr. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, III, Fonti e vicende dell’obbligazione, Milano, 1954, p. 47, n. 72

20

 Cfr., in tal senso, tra le tante, Cass. civ. 19 gennaio 2005, n. 1094, in Giust.civ.Mass., 2005, 4; Cass. 26 marzo 2004, n. 6071, in Dir. e giust. 2004, 34, 116, Cass. 3 aprile 2003, n. 5110, in Giust. civ., 2003, 893; Cass. 22 ottobre 2002, n. 14885, in Foro it., 2003, 846; Cass. 8 agosto 2002, n. 11987, in Foro it., 2003, 849; Cass. 2 agosto 2002, n. 11600, in Foro it., 2003, 852; Cass. 26 luglio 2002, n. 11046, in Giust. civ., 2003, 696, con nota di Morozzo Della Rocca, L’equa riparazione per irragionevole durata del processo nelle prime decisioni della Cassazione e in Danno e resp., 2002, 1114, con nota di Ponzanelli.

21

 Cfr. Cass. 22 novembre 1971, n. 3371; Cass. 27 novembre 1982, n. 6431, in Società 1983, 751; Cass. 19 settembre 1995 n. 9887, in Foro it., 1996, I, 2873, con nota di Vidiri, Responsabilità degli amministratori per nuove operazioni e fallimento della società

22

 Cfr. Giorgi, Teoria delle obbligazioni, Firenze, 1900, vol. V, par. 7; De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, terza edizione, vol II, p. 433; Barassi, Istituzioni di diritto civile, Milano, 1946, p. 348.

23

 Così Mayer Maly, Das Gesetz als Entstehungsgrund von Obligationen, in Rev.int.dr.ant., 1965, p. 449

24

 Cfr. Maitland, The forms of actions at Common law, Cambridge, 1936, p.2

25

 Canaris, Il significato di una regolamentazione generale dell’obbligazione e i titoli I e II del secondo libro del BGB, in I cento anni del codice civile tedesco in Germania e nella cultura giuridica italiana, Padova, 2002, p. 278

26

 Cfr. K. Ballerstedt, Zur Haftung für culpa in contrahendo, bei Geschäftsabschluss durch Stellvertreter, in Arch. civ. prax., 151 (1951), pp. 505-506. Analogamente si espresso in Italia, con riferimento all’art. 1337, Mengoni, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir.comm., 1956, II, 370.

27

 Cfr. C. Castronovo, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in La nuova responsabilità civile, Milano, 1997, p. 177-178, già pubblicato in Scritti in onore di L. Mengoni, Milano, 1995, p. 147 ss

28

 In argomento, ci si consenta il rinvio a Faillace, La responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004, passim.

29

 Si tratta di un orientamento consolidato a partire da Cass. 11 giugno 1992 n. 7197, in Giur.it., 1995, I, 1, 359, con nota di Pagliantini

30

 Cfr. Cass. 5 ottobre 2005 n. 19512, in Foro it., 2006, I, 1091

31

 Si consideri che la definizione data dall’art. 1140 del codice civile del 1865 al quasi-contratto era la seguente “Il quasi-contratto è un fatto volontario e lecito, dal quale risulta un’obbligazione verso un terzo o un’obbligazione reciproca tra le parti”.

32

 Si potrebbe parlare di fatto lecito solo aderendo alla tesi che sostiene la natura restitutoria del rimedio di cui all’art. 43 L. ass.. Secondo questo orientamento (Venturelli, Responsabilità della banca girataria per l’incasso di assegni circolari non trasferibili, in Nuova giur.civ. comm., 2006, I, p. 859), la banca girataria per l‘incasso dovrebbe rispondere del pagamento erroneo per avere ottenuto dalla banca emittente, attraverso il meccanismo della stanza di compensazione, la prestazione erroneamente anticipata senza aver acquistato il relativo diritto cartolare.

33

 Per una ricostruzione della disciplina della revisione contabile, vedi M. Bussoletti, Società di revisione, in Enc. dir. XLII, 1990, p. 1080 ss.; F. Redaelli, Società di revisione, in Digesto disc. priv. , sez. comm., XVI, 1997, p. 222 ss.; G. Fauceglia, Società con azioni quotate in Borsa, in Dig. disc. priv. sez. comm. aggiorn., 2000, p. 665 ss.; F. Galgano, La revisione contabile, in Diritto civile e commerciale, Padova, 1999, III, 2, p. 429 ss..

34

 Cfr. G. M. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., Torino, 2006, 176,

35

 Vedi, a riguardo, Fortunato, Le responsabilità professionali e legali nelle funzioni di revisore con particolare riguardo ai doveri del collegio sindacale, in Riv. dott. comm., 1990, 959; Tedeschi, Il collegio sindacale, in Il codice civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 1992, 330 ss.

36

 Cfr. Miola, I conferimenti in natura, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, vol. 1, Torino, 2004, 515 ss.

37

 Cfr., da ultima, in argomento, Gobbo, La disciplina dell’informazione nei contratti di investimento: tra responsabilità (pre)contrattuale e vizi del consenso, in Giur.comm.,2007, p. 102 ss.

38

 Cfr., in argomento, Topini, L’onere della prova nei giudizi di responsabilità per danni cagionati nello svolgimento dei servizi di investimento, in Giur.comm., 1999, I, 698; Gilotta, La ripartizione dell’onere probatorio nei giudizi di risarcimento dei danni derivanti dallo svolgimento di servizi di investimento, in Giur. comm., 2005, 616

39

 Cfr. Bonelli, Gli amministratori di S.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, 225. Conformemente Frè, Società per azioni, artt. 2325-2461, in Commentario del codice civile Scialoja Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1997, 866; Ferrara-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1992, 523; Tiscini, I presupposti delle azioni di responsabilità contro gli amministratori di società di capitali, in Dir. fall., 1998, I, 9; Adiutori, Funzione amministrativa e azione individuale di responsabilità, Milano, 2000, 57 ss