Piccoli Stati e fattore religioso

Antonello De Oto, Piccoli Stati e fattore religioso, in Laicidad y Libertades nel n. 13 del 2013, 117-135

Piccoli Stati e fattore religioso

Abstract: L’articolo affronta il tema delle piccole dimensioni statuali e del loro diverso e complesso rapporto con l’elemento religioso. Viene analizzata la situazione in alcuni micro-Stati europei dove oggi, in molti casi, la tradizione fondativa della confessionalità o prevalenza di essa all’interno di un territorio viene coniugata con le istanza di libertà e di laicità che il nuovo assetto multiculturale pone, anche in questi piccoli territori. Si è poi indagata la situazione extraeuropea dove invece, principio di libertà religiosa e piccolo contenitore nazionale, non sembrano andare incontro, nella maggior parte dei casi, alle istanze di laicità e pluralismo.

Il diritto spontaneo nello spazio giuridico globale e le piccole dimensioni territoriali. La perdurante crisi dello Stato-nazione e dei contenitori sovranazionali. 2. Stato municipale e norma confessionale: l’esperienza europea. 3. Piccoli Stati nel mondo e libertà religiosa: cenni sulle attuali criticità. 4. Conclusioni.

1. Il diritto spontaneo nello spazio giuridico globale e le piccole dimensioni territoriali. La perdurante crisi dello Stato-nazione e dei contenitori sovranazionali.

L’ultima angosciante frontiera della crisi dello Stato-nazione è rappresentata dal singolare modello della “città-privata” proposto recentissimamente dall’Honduras, sulla base dell’idea-guida di Paul Romer, economista americano teorico delle charter cities, complessi abitativi autonomi gestiti da un Consiglio di amministrazione di 9 membri e da un Governatore. Si tratterebbe in buona sostanza di una sorta di “…città senza Stato, senza politici, con poche tasse e tutte locali. Con le proprie leggi, giustizia, polizia, economia e rapporti con l’estero […] la legge honduregna continuerà a valere, ma relativamente. Il Codice penale, per esempio. L’emissione di passaporti e le regole migratorie. Gli abitanti continueranno ad avere diritti elettorali nel Paese…”[1]. Il governo honduregno del premier Lobo intende così creare da zero, non città-autonome o indipendenti, ma vere città-private, finanziate con soldi di privati e gestite in proprio in materie centrali come i tributi, l’ordine pubblico ecc. (nel caso di specie il capitale di partenza sarebbe garantito dalla potente società immobiliare statunitense Mkg che ha di recente firmato un accordo in tal senso con l’esecutivo di Tegucigalpa).

Questa nuova deriva progettuale a livello costituzionale, che interessa i territori, e che sembra attraversare per ora i Paesi emergenti (con il definitivo via libera del Congresso e della Corte Suprema honduregni potrebbe divenire a breve operativo) ci riconduce in maniera pressante al tema della profonda crisi che nel mondo, da molto tempo ormai, sta attraversando il contenitore Stato-nazione, con accenti ancor più preoccupanti degli scenari vaticinati nel suo celebre saggio dal professor Ohmae verso la fine degli anni novanta[2] e ci rammenta altresì come, la dimensione del piccolo e del privato, siano considerate (spesso acriticamente e per motivi ideologici) migliori della dimensione pubblica e nazionale o sovranazionale nella gestione della cosa pubblica.

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Così in un mondo percorso da profonde trasformazioni socio-giuridiche e da una crisi economica senza precedenti, si aggiunge alla crisi del contenitore statuale il preoccupante endo-fenomeno dello sfaldamento della dimensione degli Stati polietnici. In generale e per reazione e parallelamente ad un modo di produzione nuovo di parte del diritto pubblico, ovvero per via contrattuale[3], si afferma la presenza sempre più consistente di un diritto “spontaneo”, che ben si lega ad una dimensione territoriale piccola o piccolissima. Tali nuove forme di diritto “spontaneo”, che in definitiva risultano essere degli usi giuridici, si nutrono spesso di una risposta culturale antica che viene riformulata e spesso riadattata per gestire un presente spesso deludente, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista di appartenenza alle comunità. Questa risposta difensiva, che i piccoli territori attuano per sopravvivere in questa fase, non è altro che un’operazione di attualizzazione di esistite tradizioni giuridiche, vere e risalenti, che agiscono come odierno antidoto ad alcuni processi innescati dalla globalizzazione[4]. Sarebbe comunque errato credere si tratti sempre e solo di un modo folkloristico messo in campo per rispondere in maniera colorita allo stallo istituzionale derivante dalla crisi dell’istituzione Stato.

Per esorcizzare la crisi del legislatore ci si affida oggi sempre più, nel contesto europeo e con un buon riscontro dal punto di vista economico, alle tradizioni locali, in definitiva alle c.d. norme sociali.

Nei Paesi emergenti, invece, come accennato, la deriva abbastanza estrema del “piccolo” è data oggi da città-modello o artificiali (chiamate nei documenti governativi honduregni RED – Regiones especiales de desarrolo) che sembrano essere molto più di zone franche senza passato e senza identità, ma vere e proprie realtà create a tavolino, territori particolarissimi e chiusi dove tutto andrà costruito da zero e sarà gestito privatamente con capitali non pubblici[5].

Le piccole realtà territoriali con una storia e una identità spesso molto risalente nel tempo non richiedono invece, per loro natura, l’attivazione di nuove e costose strutture istituzionali[6], dato che utilizzando i luoghi e le istituzioni della tradizione, ritrovano spesso la loro legittimazione nel customary law: nei mores, nel costume sociale[7]. Soprattutto nella recente esperienza europea se ne ricava un vantaggio immediato rispetto al diritto debole fornito dalle istituzioni sopranazionali, in particolare da quelle che, prodottesi negli ultimi anni in un fiume di raccomandazioni e pareri (c.d. para-law)[8] nonchè regolamenti, hanno finito spesso per “uccidere” la precettività della norma sul territorio, con conseguente crisi del diritto internazionale e dei contenitori sovranazionali. Crisi ancor più preoccupante perché non compensata dalla progressiva formazione di un sistema giuridico per via giudiziaria nello spazio globale[9].

2. Stato municipale e norma confessionale: l’esperienza europea.

Lo Stato municipale sostenitore del motto “piccolo è bello” e del mito della omogeneità, si ritrova spesso pervaso dal rigore della norma confessionale che sembra produrre nell’immediato compattezza[10], unità dei costumi sociali e degli usi normativi che paradossalmente, in molti casi, ben si adattano ai tempi del mercato. In realtà spesso si rischia di cedere tout-court ad una interpretazione integralista del fatto religioso inteso solo come mezzo di lotta alla “cultura del progresso” e di contrasto alle politiche di modernizzazione e di creazione attiva di ghetti culturali. Tale atteggiamento finisce anche per non rendersi compiutamente conto di come la dimensione della Città-Stato, se così intesa, commetterebbe l’errore più grave, ovvero marginalizzarsi in una sorta di rifiuto del mondo. Creare micro-realtà anche confessionalmente omogenee e avversarie dello Stato modernizzatore e non dialoganti con le altre realtà multietniche e multiconfessionali che la circondano, risulta essere solo un modo per dare sfogo ad atteggiamenti che trovano, in un primo momento, consensi originati dalla crisi del melting-pot e dalla perdita complessiva di senso nell’era dell’incertezza globale, ma che alla lunga possono produrre isolamento[11]. Queste politiche di aparthaid culturale, ovviamente, non hanno nulla a che vedere con un recupero complessivo della memoria e con il rispetto delle tradizioni da parte di territori definiti. Strada, quest’ultima, scelta con convinzione da piccole realtà statuali come il Principato di Monaco, il co-Principato di Andorra, il Granducato del Lussemburgo e la Repubblica di San Marino. Tali micro-Stati sono infatti lì a testimoniare la sopravvivenza di tessuti socio-politici di origine medioevale che hanno scelto, con maggiore o minore convinzione, percorsi di integrazione sovranazionale e un potenziamento del dialogo interreligioso. Così come nel 2007 ha avuto occasione di fare la Repubblica del Titano ricoprendo la Presidenza del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa[12]. Queste micro-entità territoriali sovrane hanno quindi preferito la logica dell’interdipendenza a quella dell’isolamento, hanno privilegiato la via del potenziamento della tutela dei diritti fondamentali della persona nei loro ordinamenti[13], pur nel rispetto di una gelosa autonomia territoriale e della custodia della propria tramandata “tradizione” confessionale. Valido esempio ne costituisce proprio il co-Principato di Andorra. Nel 1993, tale realtà statuale, pur mantenendo la sua storica architettura politico-istituzionale data da un governo congiunto dei co-principi (il Vescovo di Urgell e il Presidente della Repubblica Francese) e uno speciale rapporto di collaborazione con la Chiesa cattolica che ha recentemente portato alla stipula di un Accordo[14], si è data una Carta Costituzionale[15] fornendo speciale tutela normativa ai diritti umani[16], al diritto di libertà religiosa e di libera manifestazione del pensiero (art.11 Cost. Andorrana)[17]. Nel 1994 ha poi aderito al Consiglio d’Europa, cercando così di coniugare modernità e tradizione. Nello stesso solco sta cercando di muoversi il Principato del Liechtenstein, preziosa perla dell’Europa Centrale a pochi chilometri dal confine sud-ovest della Baviera, incastonata tra Svizzera ed Austria, che si sta dotando anch’esso di un Concordato con la Santa Sede (ad oggi ancora in corso le trattative tra il Nunzio apostolico Mons. Diego Causero e il capo missione, nonché Ambasciatore del Liechtenstein presso la Santa Sede il Principe tedesco S.A.S. Nikolaus terzogenito di Sua Maestà Hans-Adam del Liechtenstein). Il piccolo Regno cerca così di tenere insieme la sua tradizione religiosa (per l’80% gli abitanti sono cattolici apostolici romani) ben esternata nel motto Fὕr Gott, Fὕrst, Vashi und Vaterland (Per Dio, il Principe e la Patria) e da alcune resistenze verso pratiche condannate con forza dalla Chiesa cattolica (ma oramai legalizzate in diverse forme nella quasi totalità degli ordinamenti europei)[18] con le nuove istanze di laicità[19] e perequazione confessionale, anche in accordo con l’attuale forma di governo (monarchia costituzionale) e i desiderata dei nuovi cittadini di religione islamica (600 turchi attualmente residenti nel Paese). Un sicuro passo avanti, nell’opera di integrazione sovranazionale e nel rispetto del travagliato passato recente, è stato poi compiuto dalle autorità del Liechtenstein che hanno da poco ristabilito rapporti diplomatici con la Repubblica Ceca (precisamente il 13 luglio 2009) chiudendo così l’annoso conflitto originatosi con riguardo ai contestati decreti Beneš[20], decreti che comandarono l’espropriazione totale delle proprietà reali e dei possedimenti ereditari della dinastia del Liechtenstein, considerati all’epoca erroneamente beni tedeschi.

Lo Stato pre-unitario e/o lo Stato-municipale oggi, sono divenuti anche, in ultima analisi, una piccola fortezza assediata dal mutare di concetti come tempo e spazio. Il mutato senso del presente, che era porta programmatica per il futuro e custodia del passato e che ormai non è più un tempo certo, oggi si è ridotto ad essere solo un interstizio temporale brevissimo dove la società ha modo di rappresentarsi, per un attimo, le richieste di una nuova modernità. Una modernità secolarizzata che vede il prevalere di modelli culturali omologati e importati, che ritiene la laicità comunque declinata un elemento costitutivo della polis. Elemento che è a volte malvissuto nelle comunità tradizionali che faticano a coniugare questo elemento perequativo con la radice storica dello Stato che è tradizione vivente[21].

Questo tema si sta ponendo con forza anche nella serenissima Repubblica del Titano ed è stato affrontato anche dal Romano Pontefice nella recentissima visita pastorale alla comunità sammarinese. L’intrinseco legame, anche visivo, delle Istituzioni repubblicane con il cattolicesimo fondativo della comunità stessa[22], va coniugato con una laicità possibile, laicità che sia strumento di accesso equo e condiviso ai diritti civili senza pretendere di azzerare una tradizione di provenienza.

Tra i molteplici potenziali pericoli che investono la piccola realtà statuale (considerata piccola secondo parametri territoriali e demografici correlati ed integrati[23]) uno dei più astrattamente insidiosi è considerato il pericolo dell’omologazione culturale che proviene dal vento della globalizzazione[24] e che rischia di spazzare via la “ragione culturale” dello stare insieme, quel senso di identità che fornisce continuità al fare quotidiano di una comunità.

Purtroppo non tutti i piccoli Stati vanno nella stessa direzione, alcune piccole realtà statuali al fine di sopravvivere nei propri gelosi confini geografici, oggi sembrano abilmente varare operazioni di recupero della memoria collettiva locale. A volte però, si tratta solo di una mera regressione folklorica e di rivitalizzazione di un elemento confessionale condiviso o di una sua esclusione compatta e socialmente accettata. Più spesso invece siamo di fronte a micro-realtà attente a non negare (anche per motivi economici è bene dirselo) un’appartenenza in alcuni casi scettica, a grandi contenitori di sovranità regionali come l’Europa. Ma proprio questo elemento fa invece ben sperare. Le potenzialità del sopranazionale, poco espresse, unite alla spinta ad un corretto localismo[25], possono divenire la strada a doppio senso per tutelare e rafforzare i diritti umani nella comunità, senza negare né l’operatività del principio di laicità e né una tradizione confessionale che molto spesso, soprattutto nei piccoli contenitori statuali, risulta essere fondativa.

3. Piccoli Stati nel mondo e libertà religiosa: cenni sulle attuali criticità.

Nel mondo, in questa fase storica, diversamente da quanto analizzato nel pur tormentato percorso europeo, l’equazione piccole patrie-tutela dei diritti umani non sembra essere sempre così vincente. In diversi casi infatti, la dimensione del piccolo, non risulta capace di unire il rispetto per valori fondamentali facenti parte costituente del patrimonio della persona umana con la tradizione confessionale prevalente in loco. Taluni governi di piccoli Stati, spesso insulari, agiscono in piena violazione dei diritti umani sposando posizioni estremiste e volte a restringere o reprimere gravemente il diritto di libertà religiosa. Tali violazioni avvengono in forme diverse che conducono a volte anche a negare tout court l’esercizio di un determinato culto. In molti micro-Stati, soprattutto in Africa e nel contesto asiatico e mediorientale, viene garantito solo l’esercizio in forma singola e non pubblica e collettiva di taluni culti, con accenti drammatici rispetto all’esercizio del diritto di fare proseliti a favore di culti diversi da quello di maggioranza “abbracciato” dalle Istituzioni locali.

La disapplicazione sistematica, in alcuni contesti geo-politici, delle norme internazionali a tutela del diritto di libertà religiosa nelle sue diverse articolazioni, norme come l’art. 55 c) della Carta delle Nazioni Unite (1945), l’art.18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), gli art.2,18, 19 e 27 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici (1966)[26] e l’intero testo della Dichiarazione ONU per l’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o la convinzione (1981)[27], hanno riguardato e riguardano anche diversi micro-Stati. Realtà che sono finite sotto la lente di ingrandimento dell’ONU e di associazioni private e pubbliche che a vario titolo operano nel mondo per la difesa dei perseguitati per motivi religiosi.

Uno di questi piccoli Stati è rappresentato dal complesso di isole africane, ex colonia francese, costituitesi nel 2001 nell’Unione delle Isole Comore (al di fuori dell’isola di Mayotte rimasta territorio d’oltremare francese). Formalmente la Costituzione prevede il diritto di libertà religiosa ma, nel maggio del 2009, è stato indetto un referendum che ha visto come risultato la proclamazione dell’Islam religione ufficiale di Stato[28], determinazione che ha complicato il già difficile quadro. A cascata, anche per effetto di una potente influenza politico-economica-religiosa dell’Iran in atto dal 2006, la libertà di religione ne ha molto risentito nei documenti giuridici e nella prassi di esercizio del culto. E’ stato modificato il Codice Penale del Paese che ora proibisce il diritto a fare proseliti per ogni religione, a parte ovviamente l’Islam, introducendo di conseguenza anche il principio per il quale i convertiti dall’Islam al cristianesimo possono essere processati. Nell’arcipelago poi, gli stranieri accusati di proselitismo sono espulsi[29]. Il Gran Muftì, di diretta nomina del Presidente, fa parte di diritto del Governo e decide su tutto ciò che concerne la religione e l’amministrazione dei culti[30]. Vi è da considerare anche come, nelle Comore, al di fuori della “tenaglia governativa” descritta, vi sia un controllo sociale diffuso (agevolato dalla piccola dimensione territoriale delle tre isole vulcaniche) da parte degli indigeni mussulmani nei confronti soprattutto dei pochi cristiani, una sorta di vigilanza di massa contro il “dissenso” religioso; si pensi che nelle Isole non è permesso alla Chiesa Cattolica, ad esempio, nemmeno suonare le campane per annunciare la funzione religiosa domenicale [31].

Un altro piccolo Stato insulare che appare nella classifica internazionale dei Paesi dove la libertà religiosa è più in sofferenza è rappresentato dalle Maldive, paradiso naturale nel mezzo dell’Oceano Pacifico che dal II secolo d.C., epoca della conversione all’Islam, ha visto succedersi ben 84 sultanati con un breve interregnum costituito dall’occupazione portoghese del 1558 e durata soli quindici anni. Con il ripristino del Sultanato fino al 1887, quando il Sultano delle Maldive trasformò contrattualmente le 1.900 isole in un protettorato britannico, si aprì una nuova fase coloniale. Solo nel 1965 le Maldive ridivennero uno Stato sovrano, più precisamente una Repubblica presidenziale, membro dell’ONU sin dall’anno di raggiungimento dell’indipendenza e membro del Commonwealth dal 1982. Tale appartenenze a contenitori sovranazionali non ha però scalfito la dura posizione in materia di libertà religiosa dei governi islamici (sunniti) che si sono succeduti, situazione certo anche agevolata dalla mancanza di uffici permanenti a Malè da parte di alcune importanti istituzioni sovranazionali (né la UE e né i suoi Stati membri sono presenti)[32]. Dato che per prescrizione costituzionale ogni maldiviano deve appartenere necessariamente alla religione islamica[33], che l’Islam è religione di Stato e che non è possibile costruire e costituire Chiese pubbliche di diverso segno o essere atei, il tema della libertà religiosa è stato reinterpretato dalle autorità governative come “…la libertà di discutere temi religiosi legati all’Islam…”[34]. Il governo maldiviano di recente insediamento, dopo i gravi disordini del febbraio scorso, non ha mutato corso e il clima non sembra affatto migliorato per lo sviluppo e l’affermazione di un minimo di libertà religiosa, considerata anche l’approvazione della recente norma che dispone la chiusura dei centri benessere per turisti sulle isole ritenuti, in un’ottica integralista, centri di esercizio della prostituzione e valutato altresì il protrarsi della pratica delle fustigazioni pubbliche disposte per violazione della legge coranica (di recente il tribunale maldiviano dell’atollo di Raa ha comminato la pena pubblica di cento frustate, per violazione della legge islamica, ad una ragazzina di sedici anni che aveva consumato un rapporto sessuale con un adulto[35]). Altri esempi di cattiva corrispondenza tra microdimensione statuale e libero esercizio del culto sono dati da piccole realtà come il Sultanato del Brunei, Singapore e la Repubblica di Gibuti nel corno d’Africa.

La piccola e ricchissima talassocrazia del Sultanato del Brunei, sita nel sud-est asiatico, guidata sin dal 1967 dal Sultano Hassanal Bolkiah capo dello Stato con pieni poteri esecutivi, si è dotata nel 1959 di una Carta Costituzionale che riconosce all’Islam salafita lo status di religione ufficiale del Sultanato[36]. Lo Stato così abbraccia formalmente la piena libertà di religione ma la legislazione ordinaria e di dettaglio restringe la pratica del culto per confessioni diverse da quella islamica salafita. E’ permesso a culti registrati diversi da quello statuale di riunirsi previa autorizzazione concessa ogni singola volta per ogni singolo incontro. E’ proibito utilizzare case private per detti incontri ed è altresì vietato fare proselitismo[37] come è impossibile fare entrare nel Sultanato materiale religioso di ogni tipo. Alle Chiese non registrate è semplicemente impedito l’esercizio del culto. Nelle scuole sono obbligatori corsi di religione islamica. Ai Malays, gruppo etnico maggioritario nel Brunei, è impedito di coniugarsi con persone di altra fede a meno che questi non si converta all’Islam.

Anche la Repubblica di Singapore, ex colonia britannica indipendente sin dal 1965[38] e fiorente centro di scambi commerciali e industriali, tanto da essere divenuta una delle più floride economie del sud-est asiatico[39], pur avendo realizzato una sorta di convivenza tra i gruppi etnico-religiosi presenti nel Paese (cinesi buddisti o taoisti, malesi che seguono l’adat, cristiani britannici o australiani ivi residenti) e pur riconoscendo all’art.15 della Costituzione del 1963 (riformata negli anni ’90) la libertà di religione, pone alcune importanti limitazioni all’esercizio del culto oltre a mettere in campo una fattiva discriminazione per due specifiche realtà confessionali: i Testimoni di Geova che sono stati banditi nel 1972 e la Chiesa dell’Unificazione del defunto Reverendo Moon espressamente vietata per legge nel 1982. Tutte le confessioni devono registrarsi in modo che lo Stato abbia contezza del loro numero e attività. Nelle scuole non è ammesso alcun tipo di insegnamento religioso. E’proibita la diffusione del materiale informativo legato ai Testimoni di Geova (Watch Tower bible) e l’attività di enti ecclesiastici a loro riconducibili. Uno dei punti di maggiore frizione con il governo singaporiano è dato dal rifiuto di cittadini geovisti di compiere il servizio militare (la detenzione, dopo il secondo rifiuto può arrivare a due anni di reclusione[40]).

A non brillare per tutela della libertà religiosa anche la piccola Repubblica di Gibuti, ex colonia francese indipendente dal 1977 incastonata nel corno d’Africa ed entità statuale strategica in un’area geo-politica ancora molto calda[41]. Dopo la caduta di Siad Barre (1981) che ha precipitato la Somalia in una sorta di guerra civile permanente e la guerra Etiopia-Eritrea del 1998 con i suoi strascichi, la collocazione geografica della piccola Repubblica “…al vertice meridionale dello Stretto di Bab el Mandeb, sulle vie di navigazione tra l’oceano indiano e il Mar Mediterraneo…”[42] è divenuta fondamentale, per non parlare della sua importanza politica lievitata in seguito agli accadimenti dell’11 settembre 2001 (qui il contingente americano e quello francese, hanno pagato al governo di Gibuti milioni di dollari per poter presidiare l’area insediando basi militari e controllare così l’attività dei pirati e delle “Corti islamiche” presenti in Somalia). All’art.10 della Costituzione gibutiana del 1992 si parla di sacralità della persona e all’11 viene enunciata la libertà di religione, una libertà il cui esercizio viene però subordinato a quanto disposto da leggi e regolamenti emanati dal governo (ad esempio l’art. 23 del Codice di famiglia gibutiano proibisce alle donne musulmane di sposare un non islamico). L’Islam è religione di Stato, il proselitismo è scoraggiato ma non formalmente proibito e le organizzazioni religiose hanno l’obbligo di registrarsi con cadenza biennale e dichiarare lo scopo della loro attività. Dal punto di vista pratico è quindi difficile per le minoranze muoversi nel Paese, ancor più complicato dopo che l’Arabia Saudita ha finanziato l’apertura di un Centro Islamico e che, sempre grazie ad aiuti esterni, le moschee sono passate da trentacinque a cento[43]. Il clero stabile cattolico è ridotto al lumicino e sopravvive grazie ad aiuti umanitari[44].

La situazione al di fuori del contesto europeo per la tutela della libertà religiosa nei micro-Stati non è quindi in generale rosea[45], soprattutto nelle Nazioni che si fondano su una rigida applicazione della legge coranica, non va però dimenticato che anche in contesti stutturalmente difficili come nel continente africano, vi sono piccole democrazie che hanno saputo percorrere una strada diversa sin dall’inizio, un “camminamento costituzionale” che parla di integrazione e civile convivenza e di rispetto dei diritti umani[46]. Piccoli Stati come Capo Verde, realtà dove una seria separazione tra Stato e Chiese non ha cancellato la tradizione cattolica maggioritaria nel Paese e dove le minoranze sono libere. Un modello, quello dell’ex colonia portoghese, che ha saputo persino prevedere nel codice penale, a tutela del diritto di esercizio del culto, anche la repressione del reato di violazione della libertà religiosa (con una sanzione edittale della pena che oscilla dai 3 mesi ai 3 anni di reclusione) o il Lesotho, monarchia parlamentare membro del Commonwealth e dell’ONU, nel quale il pluralismo confessionale è tutelato dalla Costituzione promulgata nel 1993 all’art. 13 e i gruppi religiosi possono operare in sicurezza anche senza essere registrati[47].

In uno scenario mondiale complesso come quello accennato, sia dal punto di vista socio-politico che giuridico, si verifica che la tanto temuta globalizzazione, capace di creare fratture apparentemente incolmabili e contrarre la dimensione cronologica riducendo i tempi e gli spazi, trova la forza di riassorbire tutto in sé rimettendo in gioco vecchie e nuove prassi, ma soprattutto costringe, in molti casi, la dimensione del “piccolo” a confrontarsi con grandi principi.

Per dirla con autorevole dottrina, al netto del tasso di penetrazione dell’Islam radicale in alcune realtà, sembrano avanzare nei contesti democratici le politiche della “glocalizzazione” secondo le quali “…l’autogoverno delle comunità territoriali ha da coniugarsi con l’universalismo dei diritti […] soltanto in questo modo il “piccolo” territorio, così carico di storia e di simboli, non resta prigioniero del suo passato e della sua taglia, che di tale passato è il prodotto...”[48]. Così come appunto, per ora, non si sta facendo in diversi piccoli Stati fuori dal contesto europeo, creando invece complessità e negazione del diritto di libertà religiosa (ma il vento della globalizzazione e il “virale potere” pluralista del web non vanno sottovalutati). Un diritto, quello di libertà confessionale, che è componente viva e pulsante della più ampia categoria dei diritti umani che finiscono invece, in Europa, paradossalmente, per vivere concretamente nel locale e non solo nella importantissima ma a volte impalpabile ed oscura dimensione dell’universale.

Emergono così, nel rinnovato contenitore europeo politicamente in crisi, inaspettate praterie culturali da percorrere per la tutela dei diritti umani finalmente percepiti sul territorio, capaci di implementare positive radici di identità che qualificano e non escludono. In questo modo, insieme a politiche sostenibili di sicurezza, si agevola una tendenza alla solidarietà nel locale, anch’essa garanzia di mantenimento della qualità della vita nel piccolo, con positivi riverberi sulla generalità della comunità nazionale. Così, un binomio che sia volto ”… a configurare un “diritto al territorio” nel contesto dei diritti fondamentali…”[49] pare la soluzione più vicina ai tempi e più giusta in chiave europea per coniugare identità e solidarietà, libertà e sicurezza, locale e sovranazionale, pacifica convivenza tra gruppi etnici differenti.

La piccola dimensione che Stati come San Marino, Andorra, Lussemburgo, Liechtenstein, Malta e il Principato di Monaco interpretano in una Europa globalizzata (pur essendo diversi tra loro per identità e forme) non è altro che il segnale di una convivenza possibile ovvero di micro-contenitori fedeli alla loro storia spesso utilizzata come bussola per reinterpretare la modernità. Nazioni in definitiva che non avendo i problemi di dimensioni dei grandi Stati, evitato il rischio sempre in agguato del colpo alle radici costitutive della tradizione, sembrano assorbire meglio e più agilmente il portato della globalizzazione. Piccole polis capaci di coglierne il meglio dal punto di vista economico (rigettando politiche protezioniste che li danneggiano[50]) e di reinvestirlo in servizi alla persona.; sapendo tenere insieme concetti come laicità e tradizione, bilanciando, direi dosando in una pregevole alchimia il diritto al territorio con i diritti fondamentali. Senza far sì che la tradizione finisca per lasciare la realtà fuori dalla porta e lo Stato fuori dai consessi internazionali, ma facendo in modo che la modernità e i contestuali processi di secolarizzazione non elidano il patrimonio identitario, storico cuore costitutivo della Nazione. Micro-realtà sentinelle del fatto che non venga meno la scaturigine della diversità culturale di un piccolo territorio all’interno di un contenitore più grande. Piccole patrie che sanno di non dover lasciar perire la giustificazione storico-politica della loro nascita e della loro perpetuazione. E’ ben evidente infatti, che, come sottolineava lo scrittore colombiano Nicolás Gόmez Dávila: “Quando diciamo che un valore è morto indichiamo semplicemente che sono perite le strutture storiche che lo hanno reso visibile”.

[1] COTRONEO R., Città “privatizzate” in Honduras in appalto alle multinazionali Usa, in Corriere della Sera, 8 settembre 2012, 17.

[2] OHMAE K., La fine dello Stato-nazione, Milano, 1996, passim.

[3] CASSESE S., La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002.

[4] FERRARESE M.R., Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, 2002, 71.

[5] Non manca tuttavia l’opposizione al progetto della componente indigena dei Garifuna e di alcuni gruppi civici di Puerto Castilla, zona dove l’esperimento della prima città-privata honduregna dovrebbe partire. V. Honduras, nascono le città-private gestite da multinazionali Usa, in www.liberoquotidiano.it/news/1072670/Honduras… Ult. visita: 8 settembre 2012.

[6] FERRARESE M.R., op. cit., 71.

[7] Un orientamento opposto al pensiero normativistico di Kelsen. Così IRTI N., Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari, 2001, 44.

[8] ALICINO F., Costituzionalismo e diritto europeo delle religioni, Padova, 2011, 142.

[9] Cfr. TRUJILLO I., Giustizia globale. Le nuove frontiere dell’eguaglianza., Bologna, 2007.

[10]     Vedi ROMANO S., Identità nazionali e contaminazioni culturali nell’Europa contemporanea, in PROIETTI P. (a cura di), L’Europa nel terzo millennio. Identità nazionali e contaminazioni culturali, Palermo, 2004, 48.

[11]     Cfr. ALMOND A.-APPLEBY SCOTT R.-SIVAN E., Religioni forti. L’avanzata dei fondamentalismi sulla scena mondiale, 2006, 199.

[12]     Cfr. Allocuzione del Nunzio Apostolico Mons. Bertello,

in www.sanmarinotv.sm/politica/.., 1.10.2008, 1, infatti in occasione del rinnovo dei Capitani Reggenti che avviene con cadenza semestrale, Mons. Bertello l’allora Nunzio Apostolico accreditato, sottolineava proprio “…la sollecitudine delle Autorità sammarinesi a favore della promozione della dimensione religiosa all’interno del dialogo interculturale…”.

[13] Sulla struttura dell’ordinamento giuridico sammarinese v. FELICI G., Profili di diritto costituzionale sammarinese. L’organizzazione dei pubblici poteri, Repubblica di San Marino, 1999.

[14] Il 17 marzo 2008 il Segretario di Stato Card. Bertone per la Santa Sede e il Capo di Governo Andorrano Sr. A. Pintat hanno firmato un Accordo per la regolamentazione delle varie materie e dei reciproci rapporti. Molto interessante in chiave di tutela della libertà religiosa e di lotta alla discriminazione religiosa in ogni campo l’art. XI dell’Accordo che regola l’Insegnamento della religione cattolica nel Co-Principato e che al paragrafo b1) di detto articolo,volto a regolamentare i centri di insegnamento della Chiesa cosi statuisce: “ Nei centri di insegnamento della Chiesa, l’insegnamento della religione cattolica si impartirà in condizioni equiparabili alle altre discipline fondamentali, fatto sempre salvo il principio della libertà religiosa. I responsabili di detti centri adotteranno le opportune disposizioni affinchè il fatto di ricevere o non ricevere l’insegnamento religioso non comporti alcuna discriminazione nella attività scolastica”.

[15]     Cfr. GROPPI T., Una Costituzione moderna per uno Stato feudale: il caso del Principato di Andorra, in GUIDI G. (a cura di), Piccolo Stato, Costituzioni e connessioni internazionali, Torino, 2003.

[16]     Cfr. CARDIA C., Ordinamenti religiosi e ordinamenti dello Stato. Profili giurisdizionali, Bologna, 2003, 58 che riferisce come nella Costituzione Andorrana del 1993: “Per l’art. 5, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha valore di legge in Andorra”.

[17]     VALLS À., La nova constituciò d’Andorra, Andorra La Vella, 1993.

[18] Si vuole qui fare riferimento al referendum tenutosi il 18 settembre del 2011, consultazione indetta al fine di abrogare l’attuale legge vigente nel Paese che punisce con la reclusione fino ad un anno le madri e i medici che praticano l’aborto al di fuori dell’unica condizione consentita dalla normativa del Principato: l’interruzione di gravidanza si attua solo se vi è pericolo di vita per la madre. I cittadini del Liechtenstein, con una stretta maggioranza, hanno votato contro la depenalizzazione dell’aborto, lasciando in vigore l’attuale normativa restrittiva. Cfr. SAITTO F., Liechtenstein. Il corpo elettorale respinge un referendum approvativo volto a legalizzare l’aborto, in Palomar. Osservatorio di diritto costituzionale, n.47 – ottobre 2011, www.unisi.it/dipec/palomar/… Ult. visita: 10.09.2012.

[19] Sempre a mezzo dello strumento referendario, i cittadini del Principato, sono stati chiamati a pronunciarsi in merito alla legge approvata all’unanimità dal Landtag il 16 marzo 2011, normativa che ha dato alle persone dello stesso sesso la possibilità di contrarre un’unione civile. In questa occasione, il popolo del Liechtenstein, ha invece confermato a grande maggioranza la legge appena approvata. Cfr. SAITTO F., Liechtenstein. Un referendum conferma la legge sulle unioni civili per persone dello stesso sesso, in Palomar. Osservatorio di diritto costituzionale, n.46 – luglio 2011, www.unisi.it/dipec/palomar/… Ult. visita: 10.09.2012.

[20] Sia consentito rimandare a DE OTO A., Diritto e religione nell’Europa di mezzo: la Repubblica Ceca, Bologna, BUP, 2012, 202.

[21] Emblematico in questo senso il motto ufficiale del Granducato del Lussemburgo: Mir wëlle bleiwe wat mir sinn (Vogliamo rimanere ciò che siamo). Anche se, vi è da dire che, nonostante gli sforzi internazionali per la tutela dell’identità cattolica compiuti in un recente passato dal Granduca Henri del Lussemburgo che gli hanno visto nel 2009 attribuire il premio Van Thuan, riconoscimento conferito dalla Fondazione San Matteo al Granduca con la motivazione: “…per il suo impegno nella difesa dei diritti umani, specialmente del diritto alla vita e alla libertà religiosa…”; egli non ha di fatto potuto impedire l’approvazione nel Paese di una legge che consente a determinate condizioni il suicidio assistito. Cfr. Il Granduca del Lussemburgo riceve il premio Van Thuan, in www.italiani.lu.., 16.09.2009, Ult. visita: 7 settembre 2012. Vedi anche in merito alla complessa vicenda dell’approvazione di una legislazione sul suicidio assistito in Lussemburgo, il riassetto costituzionale dei poteri che ne è derivato e che ha visto ridotte le prerogative costituzionali del Granduca proprio a causa del suo schierarsi contro tale normativa. Cfr. SCOTTI V.R., Lussemburgo. Una riforma costituzionale riduce i poteri del Granduca e consente l’approvazione della legge sull’eutanasia, in Palomar. Osservatorio di diritto costituzionale, n.37 – aprile 2009, www.unisi.it/dipec/palomar/… Ult. visita: 10.09.2012.

[22] In questo senso anche recenti dichiarazioni della dott.ssa Antonella Mularoni, Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Repubblica di San Marino: “Gli eventi istituzionali della nostra piccola Repubblica hanno sempre un momento nella pieve, nella quale i capitani reggenti — i nostri capi di Stato — prendono posto in uno scranno speciale a latere dell’altare, fatto appositamente per loro. Rispettare tutti i componenti della società e cercare di farli sentire tutti a casa loro nella nostra comunità, a prescindere dall’appartenenza religiosa, non significa assolutamente dimenticare che questa Repubblica è nata ed esiste perché solidamente radicata nei valori cristiani. Quando si è tentati di cancellare la propria storia non si è destinati ad avere un gran futuro”. Cfr. PONZI M., Laicità e radici cristiane ricchezza del popolo sammarinese, in L’Osservatore Romano, 22 giugno 2011 e anche rinvenibile nella sezione Interviste della rivista on-line: http://www.osservatoreromano.va, ult. visita: 8 settembre 2012.

[23] Si vedano sul punto e per tutti le riflessioni di GALASSO G., Piccolo Stato e piccole potenze nella grande politica europea dell’età moderna, in Filosofia politica, XV, 2001, 377 e di ZAMAGNI S., Il Piccolo Stato nell’età della globalizzazione, in AA.VV., Il Piccolo Stato. Politica, storia, diplomazia. Atti del Convegno di studi San Marino, Antico Monastero Santa Chiara, 11-13 ottobre 2001, in particolare 301 ss.

[24] Cfr. ZAMAGNI S., ult. op. cit., 292.

[25]    Bisogna cioè ripartire dal locale inteso come valorizzazione di ciò che il locale presenta come risorse, “…credendo che ogni territorio ha in sé tutti gli elementi necessari al suo rafforzamento, ma ha bisogno di stimolo e supporto per “attivarsi”…”. Cfr. AA.VV., L’Europa di mezzo. Documento introduttivo, in www.balcanicooperazione.it, 4, ult. visita: 05.06.2008.

[26] Interessanti le riflessioni di parte della dottrina sulla qualificazione, la categorializzazione dei c.d.“diritti culturali” contenuti e così classificati e ripresi dall’art.27 del Patto del 1966: CONSORTI P., Pluralismo religioso: reazione giuridica multiculturalista e proposta interculturale, in FUCCILLO A. (a cura di), Multireligiosità e reazione giuridica, Torino, 2008, 206-207.

[27] Per un più esaustivo elenco dei documenti internazionali e dei principi in essi contenuti che disegnano il sistema di tutela internazionale della libertà religiosa v. BARBERINI G., Lezioni di Diritto Ecclesiastico, Torino, 2007, 66-68.

[28] Nel Preambolo della Costituzione del 1992 già si proclamava “…solennemente la volontà di trarre dall’islam l’ispirazione permanente dei principi e delle norme che reggono lo Stato e le sue Istituzioni”. V. FERRARI S., Dio, religione e Costituzione, in www.olir.it, aprile 2004, 3.

[29] Vedi per maggiori approfondimenti la scheda elaborata dall’Associazione cristiana internazionale Porte Aperte: www.porteaperteitalia.org/persecuzione/country_profile/comore/… Ult. visita: 06/09/2012.

[30] Vedi QUINTO D., Le Isole Comore fra povertà e Islam, in www.labussolaquotidiana.it (articolo del 27.08.2011). Ult. visita: 10/09/2012 che riferisce di una piccola comunità cristiana nelle Isole (6.000 persone circa) che attenendosi alle regole pubbliche dell’Islam e astenendosi dal fare proselitismo è tollerata; i rapporti con le autorità islamiche sembrano essere migliorati anche per via del positivo effetto della determinazione assunta da Papa Benedetto XVI nel maggio del 2010 che ha deciso di: “…elevare la missione cattolica nelle Isole allo status di vicariato apostolico con un suo Vescovo”.

[31] Cfr. AFRICA/COMORES – “Siamo una Chiesa silenziosa ma operosa” dice a Fides il primo Vicario Apostolico di Comores in www.fides.org/aree/news….02/06/2010. Ult. visita: 10/09/2012.

[32] Questo non ha impedito ad alcuni parlamentari italiani di presentare interrogazioni alla III Commissione Affari Esteri e comunitari della Camera a dicembre del 2011, sul tema della violazione della libertà religiosa nell’arcipelago maldiviano anche in ragione del rischio potenziale che correrebbe il forte flusso di turisti proveniente dal nostro Paese, dato che il governo locale sembra non voler distinguere tra cristiani locali e stranieri. V. 5/05749: Camera – iter atto in banchedati.camera.it… Ult. visita: 08/09/2012.

[33] Con riguardo al ruolo e alla portata della Sharia nelle Carte costituzionali v. CASOLINO U.T., La Sharia come fonte del diritto costituzionale, in BUCCI O. (a cura di), L’Islam tra dimensione giuridica e realtà sociale. Il libro, la bilancia, il ferro., Napoli, 2006, 43 ss.

[34] Vedi per maggiori approfondimenti la scheda elaborata dall’Associazione cristiana internazionale Porte Aperte: www.porteaperteitalia.org/persecuzione/country_profile/maldive/… Ult. visita: 06/09/2012

[35] RICCI SARGENTINI M., Maldive, cento frustate a una sedicenne per aver fatto l’amore, in lepersoneeladignita.corriere.it/2012/09/07/maldive-cento-frustate… Ult.visita: 08/09/2012.

[36] Vedi: www.acs-italia.org/osservatorio/asia/brunei… Ult. visita: 08/09/2012.

[37] Vedi per maggiori approfondimenti la scheda elaborata dall’Associazione cristiana internazionale Porte Aperte: www.porteaperteitalia.org/persecuzione/country_profile/brunei/… Ult. visita: 06/09/2012.

[38] Per una storia del Paese fino al 1988 v. TURNBULL C.M., A history of Singapore: 1819-1988, Singapore, 1989.

[39] Sullo sviluppo economico-sociale di Singapore v. BONAZZI G., Lettera da Singapore, ovvero il terzo capitalismo, Bologna, 1996.

[40] Vedi: www.acs-italia.org/osservatorio/asia/singapore… Ult. visita: 08/09/2012.

[41] Sulla storia del Paese v. GAOUD F., La République de Djibouti: neissance d’un Etat: cronologie, Tunisi, 1982.

[42] GALVI A., Gibuti, in www.equilibri.net/nuovo/articolo/gibuti…, (7 luglio 2010), Ult. visita: 12.09.2012

[43] Cfr. Dossier del Servizio Studi Affari Internazionali del Senato della Repubblica (Ce. Si) – XV legislatura – n.47/2006, La penetrazione islamista in Africa, in http://www.senato.it/documenti/repository/lavori/affariinternazionali/approfondimenti/47.pdf, 8.

[44] V. QUINTO D., Nessuna libertà per i cristiani in Gibuti, in http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-nessuna-libertper-i-cristiani-in-gibuti-3736.htm, (26 novembre 2011), Ult. visita: 11.09.2011.

[45] Non si può fare a meno di citare, tra le molte criticità affrontate, anche un Paese come il Bahrain dove l’attuazione del diritto fondamentale di libertà religiosa ha vissuto e vive stagioni complicate. Dopo i gravi disordini originati dal vento della c.d. primavera araba, movimento di popolo represso con difficoltà e con l’aiuto dei vicini sauditi, recentemente si sono verificate polemiche tra il clero sunnita e il sovrano del regno mediorientale sull’opportunità di costruire un edificio di culto cattolico, accadimento che pone ad ulteriore rischio la già poca libertà religiosa per i non islamici. V. TOSATTI M., Battaglia per una chiesa in Bahrain, in http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/bahrain-crisitani-christians-cristianos-17927, (7 settembre 2012), Ult. visita: 12.09.2012.

[46] La vigente Carta fondamentale della Repubblica di CapoVerde è stata approvata con legge costituzionale del 23 novembre del 1/V/1999. Per il testo v. www.federalismi.it/document/20052009132330.pdf

[47] Vedi http://acs-italia.org/osservatorio/africa/lesotho/… Ult. visita: 13.09.2012

[48] FLICK G.M., Minoranze ed eguaglianza: il diritto alla diversità e al territorio come espressione dell’identità nel tempo della globalizzazione, in Politica del diritto, n.1/2004, 4.

[49]   FLICK G.M., op. cit., 6.

[50] ZAMAGNI S., Il Piccolo Stato nell’età della globalizzazione, in AA.VV., Il Piccolo Stato. Politica, storia, diplomazia. Atti del Convegno di studi San Marino, Antico Monastero Santa Chiara, 11-13 ottobre 2001, 302.

Ricercatore confermato di Diritto canonico e Diritto ecclesiastico Università degli Studi di Bologna

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