Mediazione obbligatoria e opposizione a decreto ingiuntivo

Alberto Tedoldi, Mediazione obbligatoria e opposizione a decreto ingiuntivo, Giur. It., 2012, 12

Mediazione obbligatoria e opposizione a decreto ingiuntivo

La pronuncia in commento merita convinta adesione, nella speranza che faccia breccia anche tra coloro che professano l’opinione opposta, la quale ultima può comportare conseguenze esiziali per l’opponente, convenuto in senso sostanziale, ché l’improcedibilità dell’opposizione per mancato esperimento dell’onere di mediazione obbligatoria determinerebbe il consolidarsi del decreto ingiuntivo opposto.

L’art. 5, comma 4, lett. a), D.Lgs. n. 28/2010 esclude dall’obbligo di mediazione e dalla possibilità di mediazione c.d. delegata, cioè disposta ex officio dal giudice anche al di fuori delle materie soggette a mediazione obbligatoria, i «procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione».

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La ratio dell’esenzione è trasparente: non ritardare l’utilizzo di un rapido ed efficace strumento di recupero dei crediti qual è il procedimento monitorio, imponendo la mediazione soltanto dopo che questo siasi trasformato in processo ordinario di cognizione a seguito di opposizione del debitore, in grazia della quale il decreto ingiuntivo, come si diceva anticamente, resolvitur in vim simplicis citationis, aprendo la via alle garanzie, ma anche alle lungaggini, del giudizio a cognizione piena.

La fase iniziale del giudizio di opposizione è poi normalmente contrassegnata dai provvedimenti disciplinati dagli artt. 648 e 649 c.p.c., provocati, rispettivamente, dall’istanza del creditore opposto, che vuol ottenere la provvisoria esecutorietà d’un decreto ingiuntivo originariamente non munitone quando l’opposizione non sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione, o da quella del debitore opponente, che persegue la sospensione per ”gravi motivi” dell’esecutorietà di un decreto ingiuntivo emesso cum clausola executiva già nella fase senza contraddittorio, nella ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 642 c.p.c. o per qualche altra norma speciale che ne contempli l’esecutività ex lege, a prescindere dall’opposizione (si pensi, ad es., ai decreti ingiuntivi per spese condominiali ex art. 63 disp. att. c.c.).

I provvedimenti emessi sulle istanze ex artt. 648 o 649 c.p.c. sono notoriamente sommari, perché la cognizione è superficiale e allo stato degli atti, e anticipatori, poiché idonei ad anticipare gli effetti della futura pronuncia sul merito, all’esito del giudizio a cognizione piena. Per l’esattezza, l’art. 648 c.p.c. ha la struttura tipica della condanna con riserva, in cui le difese di lunga indagine proposte dall’opponente vengono riservate al seguito della lite e i tempi necessari per la cognizione piena vengono, per così dire, posti a carico della parte che ne ha bisogno, non disponendo di una prova ”liquida”, cioè suscettibile di dimostrare prima facie la fondatezza delle proprie ragioni; l’art. 649 c.p.c., invece, con il generico presupposto dei ”gravi motivi” tipico della cognizione sommaria, dà al giudice dell’opposizione ampi poteri discrezionali di sospendere l’esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto.

Non si tratta, però, di provvedimenti strutturalmente cautelari: se è pur vero che essi perseguono la funzione di mitigare il pregiudizio derivante dalla durata del processo (come qualunque provvedimento anticipatorio a prevalente funzione esecutiva), vero è anche che nel testo e nella struttura normativa non si rinviene alcun elemento che possa integrare il requisito del periculum in mora, quale requisito strutturale tipico dei procedimenti cautelari.

Va pur soggiunto che la non impugnabilità e la conseguente irrevocabilità delle ordinanze di accoglimento delle istanze ex artt. 648 o 649 c.p.c. per l’intera durata del giudizio di opposizione di primo grado costituisce un vulnus notevole al diritto di difesa e alla parità di trattamento rispetto ad altri provvedimenti anticipatori non cautelari (ad es. l’ordinanza di ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c. e l’ordinanza di sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c.): ma la Corte costituzionale, più volte adita, non ha inteso sinora porvi rimedio(1).

Il legislatore della mediazione obbligatoria, nel D.Lgs. n. 28/2010, ha inteso evitare rallentamenti alla fase sommaria dell’opposizione a decreto ingiuntivo, esentandola dall’obbligo di mediazione e dalla possibilità di mediazione delegata. Scelte queste fors’anche coerenti, come brevemente spiegato, con la funzione e con la struttura dei provvedimenti sulle istanze ex artt. 648 e 649 c.p.c.; meno condivisibili, invece, se osservate sul piano della funzionalità della mediazione come metodo alternativo di risoluzione delle controversie (secondo l’ormai acquisito acronimo di ADR, Alternative Dispute Resolution), parendo evidente che, emessi i provvedimenti anticipatori ad efficacia immediata, vi sarà almeno una parte — il creditore o il debitore che, rispettivamente, abbiano ottenuto l’esecutorietà o la sospensiva, per di più con ordinanza non impugnabile né revocabile per l’intero corso del giudizio di prime cure — poco incline a conciliare la lite, essendosi vista riconoscere, sia pur soltanto in via anticipata e provvisoria, l’utilità e il ”bene della vita” che andava perseguendo nel giudizio di opposizione ed essendo, presumibilmente, meglio disposta e attrezzata ad affrontare i rischi e i tempi, ma anche (a quel punto) i vantaggi, del giudizio di opposizione. Una scelta incongrua, dunque, rispetto al metodo, alla logica e, diremmo, alla psicologia degli ADR di cui la mediazione è il principale, ancorché discusso, strumento, perseguente lo scopo di deflazionare le liti portate in giudizio, ”esternalizzandole”.

Ma tant’è. La norma contenuta nell’art. 5, comma 4, lett. a) è chiara e non si presta ad equivoci: emessi i provvedimenti sulle istanze ex artt. 648 o 649 c.p.c., da assumere in prima udienza o comunque all’inizio del processo prima della fissazione dei termini per le memorie ex art. 183, comma, c.p.c.(2), il giudice dell’opposizione, su eccezione di parte o con rilievo ex officio non oltre la prima udienza (da intendersi non in senso strettamente cronologico, ma come l’udienza disciplinata dall’art. 183 c.p.c.), dovrà fissare una nuova udienza sempre ex art. 183 c.p.c. ad oltre quattro mesi, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione, salvo che questa non sia già stata promossa.

Poiché la mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, si ritiene che l’inosservanza del termine di quindici giorni per promuoverla determini l’improcedibilità della domanda, onde il giudizio si dovrà chiudere in mero rito, con sentenza definitiva che regolerà anche le spese, ponendole a carico della parte onerata.

Orbene, nell’opposizione a decreto ingiuntivo s’assiste a un’inversione del ruolo delle parti rispetto alla domanda monitoriamente proposta: l’opponente è attore solo in senso formale, ma convenuto in senso sostanziale; l’atto di opposizione serve a contrastare la pretesa avanzata con ricorso monitorio dal creditore opposto, il quale è convenuto in senso formale, ma attore in senso sostanziale, con tutti gli inerenti oneri. Secondo insegnamento ormai consolidato, in dottrina come in giurisprudenza, il giudizio di opposizione non consiste in un mero accertamento della validità del decreto ingiuntivo, ma è un ordinario processo di cognizione che ha inizio con il ricorso del creditore che contiene in sé sia l’azione sommaria sia quella ordinaria, la quale emerge e viene in rilievo solo di fronte all’eventuale opposizione. Dunque, non consistendo la fase dell’opposizione in un’actio nullitatis o in un’azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione, ma essendo, invece, un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, il giudice dell’opposizione deve affrontare e decidere il merito, e cioè accertare sia l’an che il quantum della pretesa del creditore(3).

Se dunque, come puntualmente argomenta l’ordinanza in esame, l’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 impone il previo esperimento della mediazione obbligatoria a «chi intende esercitare in giudizio un’azione» fondata su determinate causae petendi, nel procedimento per decreto ingiuntivo chi propone l’azione è il creditore che deposita il ricorso in via monitoria, dalla cui notifica si producono gli effetti della domanda giudiziale, a norma dell’art. 643, ultimo comma, c.p.c. A seguito dell’opposizione, già si diceva, quell’atto complesso costituito da ricorso monitorio e decreto, notificato al debitore qual provocatio ad opponendum, resolvitur in vim simplicis citationis: si apre un giudizio ordinario a cognizione piena, nel quale l’inversione delle parti è solo apparente e formale, laddove gli oneri di allegazione e di prova ricadono e permangono esclusivamente in capo al creditore opposto, attore in senso sostanziale.

È dunque il creditore opposto ad aver l’onere di promuovere la mediazione obbligatoria nel termine di quindici giorni assegnato dal giudice: quando ometta o tardi a farlo, l’opposizione si chiuderà in mero rito con sentenza che, dichiarando l’improcedibilità della domanda monitoriamente azionata, revocherà il decreto ingiuntivo opposto e condannerà l’opposto alle spese.

Per le indicate ragioni, intrinseche alla funzione e alla struttura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e all’inversione puramente formale della posizione delle parti cui ivi si assiste, non può invece condividersi la tesi, che pur si rinviene talora(4), di un’improcedibilità del giudizio di opposizione, che trarrebbe ovviamente seco il consolidarsi del decreto ingiuntivo opposto. Non è l’opponente a decreto ingiuntivo a «esercitare in giudizio un’azione», come recita l’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 per le materie ivi contemplate: egli non fa che reagire alla pretesa monitoriamente azionata dal creditore, proponendo un’opposizione che è, per forma, un’atto di citazione (o un ricorso nel rito laburistico e locatizio) ma, per contenuto, una comparsa di risposta (o una memoria difensiva nei riti speciali). Basti sol ricordare che la stessa suprema Corte, pur a nostro sommesso avviso errando sul punto (tuttavia per motivi diversi, ché per le modalità di esercizio dei poteri processuali, qual è la chiamata in causa di un terzo, occorre far riferimento alla posizione formale della parte, non a quella sostanziale), ormai da diverso tempo esige che l’opponente, convenuto in senso sostanziale, dichiari nella citazione in opposizione a decreto ingiuntivo di voler chiamare in causa un terzo, contestualmente chiedendo di differire l’udienza di prima comparizione e trattazione, applicando rigidamente il modus procedendi imposto al convenuto, appunto, dagli artt. 167 e 269 c.p.c.(5)

L’opponente, insomma, è e rimane reus che, nell’onere di proporre la mediazione obbligatoria, così come nel riparto degli oneri di allegazione e di prova dei fatti costitutivi, non fit actor.

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(1) Su tutti questi temi v., da ultimo e in luogo di molti, Conte, Procedimento d’ingiunzione (633-656), in Il nuovo commentario del codice di procedura civile diretto da Chiarloni, Bologna, 2012, sub artt. 648 e 649, ove ulteriori richiami giurisprudenziali e dottrinali. Nel testo ci riferiamo a Corte cost., 8 marzo 1996, n. 65, in Foro It., 1996, I, 2338, con nota solo parzialmente critica di Scarselli, In difesa dell’art. 648, 1° comma, c.p.c., e in Riv. dir. proc., 1997, 288, con nota critica di Conte, Considerazioni sulla revoca della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo ex art. 648 e 649 c.p.c.; nonché a Corte cost., 20 luglio 2007, n. 306, in Corriere Giur., 2007, 1400, con nota critica di Conte, Irreclamabilità (ed irrevocabilità) dell’ordinanza ex art. 648 c.p.c.: un’altra occasione mancata dalla corte costituzionale.

(2) Non che, sulla carta, il giudice non possa provvedere anche a valle di queste memorie, magari a fronte di istanze inizialmente rigettate e reiterate dalla parte, ché la non impugnabilità e la conseguente irrevocabilità colpiscono soltanto le ordinanze di accoglimento delle istanze ex artt. 648 o 649 c.p.c., non quelle di rigetto (v., per tutti, Conte, Procedimento d’ingiunzione, cit.). Epperò un’interpretazione di tal fatta, pur possibile stando alla lettera della legge, pare incompatibile con il carattere sommario e anticipatorio di codeste tutele, da richiedere e somministrare prima che il giudizio a cognizione piena abbia a spiegarsi ”in tutto il suo splendore” (si fa per dire, ovviamente), entrando nel vivo del contraddittorio e delle garanzie con le memorie prescritte dal rito ordinario, a mente dell’art. 183, comma 6, c.p.c. D’altronde, è lo stesso art. 5 D.Lgs. 28/2010 a imporre che, nei casi di mediazione obbligatoria, il rilievo anche d’ufficio del mancato esperimento di questa avvenga in prima udienza e, per i giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, subito dopo i provvedimenti ex artt. 648 o 649 c.p.c., da emettere, evidentemente, agli esordi del processo a cognizione piena e nel corso dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. Dalla disciplina sulla mediazione obbligatoria nell’opposizione a decreto ingiuntivo si trae, insomma, indiretto argomento sulla necessità di provvedere sulle istanze ex artt. 648 e 649 c.p.c. in prima udienza o comunque anteriormente alla fissazione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., non già dopo di questi, stante altresì il testuale riferimento dell’art. 648 c.p.c. all’opposizione non fondata «su prova scritta o di pronta soluzione», che evidentemente prescinde da deduzioni istruttorie e produzioni documentali effettuate nel seguito del processo, con le memorie istruttorie.

(3) V. in motivazione già Cass., Sez. un., 7 luglio 1993, n. 7448, in Corriere Giur., 1993, 1330, con nota di De Luca e in Giust. Civ., 1993, I, 2041; nonché, da ultimo e sempre in motivazione, Id., Sez. un., 9 settembre 2010, n. 19246, in Foro It., 2010, I, 3014, con nota critica di Barone, Caponi, Costantino, Dalfino, Proto Pisani Scarselli, De Santis, in Corriere Giur., 2010, 1447, con nota critica di Tedoldi, in Corriere merito, 2010, 1190 (m), con nota di Travaglino, in Foro It., 2011, I, 117 (m), con nota critica di Proto Pisani, in Nuova Giur. Comm., 2011, I, 253, con nota di Comoglio, in Riv. Dir. Proc., 2011, 210, con nota di Ruggeri, in Giusto processo civ., 2010, 1151 (m), con note di Trisorio Liuzzi e Briguglio, in Giust. Civ., 2011, I, 118, in Giur. It., 2011, 1599, con nota di Dalmotto, in Resp. Civ. e Prev., 2010, 2487, con nota di Negri, in Giust. Civ., 2011, I, 399 (m), con nota di D’Angelo, in Giust. Civ., 2011, I, 2101 (m), con nota di Cordopatri.

(4) Cfr. il Vademecum per la mediazione, predisposto a cura dell’Avv. Ravenna per l’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano – Gruppo Mediazione, cui «è parsa preferibile la soluzione dell’improcedibilità del procedimento di opposizione rispetto a quella della caducazione del decreto ingiuntivo».

(5) V. già Cass. 27 giugno 2000, n. 8718: «In tema di procedimento per ingiunzione, per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore, l’opponente quella di convenuto, ciò che esplica i suoi effetti non solo nell’ambito dell’onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni di ordine processuale rispettivamente previsti per ciascuna delle due parti; ne consegue che il disposto dell’art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con il procedimento instaurato tramite l’opposizione al decreto, dovendo in ogni caso l’opponente citare unicamente il soggetto che ha ottenuto detto provvedimento, non potendo le parti originariamente essere altri che il soggetto istante per l’ingiunzione di pagamento ed il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta, così che l’opponente (cui è altresì preclusa, nella qualità di convenuto sostanziale, la facoltà di chiedere lo spostamento dell’udienza, nonché quella di notificare l’opposizione a soggetto diverso dal creditore procedente in ingiunzione) deve necessariamente chiedere al giudice, con lo stesso atto di opposizione, l’autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritiene comune la causa sulla base dell’esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto ingiuntivo»; analogamente Cass. 16 luglio 2004, n. 13272, in Foro It., 2005, I, 1468, con breve nota critica di Caponi; Id., 27 gennaio 2003, n. 1185, in Foro It., 2003, I, 2116; Trib. Varese, 5 febbraio 2010, in Giur. It., 2011, 1137, con nota di Debernardi, Brevi cenni sulla chiamata in causa del terzo nel giudizio di opposizione decreto ingiuntivo. Contra Trib., Milano, 28 novembre 2002, in Foro It., 2003, I, 2116 (ed ivi, nella nota redazionale, ulteriori richiami), secondo cui «l’opponente a decreto ingiuntivo ha diritto di chiamare in causa un terzo senza previa autorizzazione del giudice, essendo invece necessario che lo citi, a pena di decadenza, direttamente per la prima udienza, che deve fissare nel rispetto dei termini per comparire».

Autore: Prof. avv. Alberto Maria Tedoldi

Professore associato di Diritto processuale civile presso l’Università degli Studi di Verona, presso cui tiene i corsi di Diritto processuale civile, Diritto dell’esecuzione civile, Diritto fallimentare. Nelle medesime materie, è autore di numerosi scritti. È stato Responsabile d’area Diritto processuale civile della Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università di Verona, consorziata con l’Università di Trento, e componente della Commissione per le riforme del processo civile, istituita presso il Ministero della Giustizia e presieduta dal Prof. Romano Vaccarella. Ha conseguito nel 1996, presso l’Università “La Sapienza” di Roma, il titolo di dottore di ricerca in Diritto processuale civile. Nel 2002 ha superato il concorso di ricercatore di ruolo presso l’Università degli Studi di Milano. Ha partecipato ai convegni dell’Associazione italiana fra gli studiosi di diritto processuale civile, alla quale è iscritto, e a numerosi convegni di diritto processuale civile e di diritto fallimentare. Dal 1998 è docente di Diritto processuale civile presso la Scuola forense dell’Ordine degli avvocati di Milano. Relatore a convegni e master organizzati dal CSM e dalla Scuola superiore di Magistratura, in sede distrettuale, interdistrettuale e nazionale, dagli ordini professionali e da enti privati su argomenti di diritto processuale civile e di diritto fallimentare.

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