La verifica in ordine alla fattibilità giuridica ed alla causa concreta del concordato da parte del tribunale

Alessandro Farolfi, La verifica in ordine alla fattibilità giuridica ed alla causa concreta del concordato da parte del tribunale, in Il Fallimentarista, 28.02.2014.

La verifica in ordine alla fattibilità giuridica ed alla causa concreta del concordato da parte del tribunale

di Alessandro Farolfi

TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO – SEZ. II – 29 MAGGIO 2013, decr.
CORTE D’APPELLO DI MILANO – SEZ. IV – 25 OTTOBRE 2013, sent.

Nella verifica in ordine alla fattibilità giuridica ed alla causa concreta da parte del Tribunale, che costituisce – secondo la Suprema Corte – momento pregiudiziale affinché il successivo giudizio dei creditori sia espresso correttamente, rientra la valutazione della correttezza con la quale il debitore ha proceduto alla stima dell’attivo concordatario anche in relazione alla possibilità che l’orizzonte temporale per l’adempimento delle obbligazioni concordatarie possa essere rispettato (nella specie: crediti verso clienti da accertare giudizialmente di importo pari all’86% dell’intero attivo) (massima).

La posizione di indipendenza e terzietà dell’attestatore impedisce che lo stesso possa accogliere acriticamente le valutazioni e le stime proposte dal debitore o da suoi ausiliari, dovendo procedere, anche attraverso il ricorso a propri incaricati, ad un’autonoma verifica dei dati in ordine ai quali deve offrire una compiuta motivazione nell’interesse dei creditori ad una conoscenza effettiva degli elementi costitutivi del piano ed alla sua realizzabilità concreta (massima).

Pur non potendo valutare il merito della proposta e la sua convenienza, in quanto profili demandati al giudizio dei creditori, spetta al Tribunale accertare la fattibilità giuridica del concordato ed in tale accertamento rientra quello in ordine alla adeguatezza della relazione del professionista nominato ai sensi dell’art. 161, comma 3, l.fall. ad informare i creditori in ordine alla veridicità dei dati aziendali ed alla fattibilità concreta del piano predisposto. Tale funzione non è surrogabile dal deposito, in sede di gravame, di una nuova relazione contabile (massima).

IL CASO – Innanzi al Tribunale di Busto Arsizio viene presentata una proposta di concordato preventivo di natura liquidatoria, rivolta a consentire il soddisfacimento integrale dei creditori prededucibili e privilegiati, nonché del ceto chirografario nell’ordine del 39% in tre anni. Il tribunale dispone una prima richiesta di chiarimenti, fissando l’udienza di cui all’art. 162 l.fall., quindi all’esito concede un ulteriore termine per integrazioni. Ritenendone l’insufficienza, il Tribunale emette un decreto di inammissibilità della domanda e pronuncia, contestualmente, il fallimento della società ricorrente con separata sentenza.

La Corte d’appello di Milano, con il decreto 25 ottobre 2013, conferma tale decisione, ritenendo che il giudizio formulato dal Tribunale non abbia riguardato il merito o la convenienza della proposta, bensì la fattibilità giuridica e la causa concreta, nel solco di quanto indicato dalla nota Cass. SS.UU. n. 1521/2013. Ritiene inoltre che le carenze della relazione del professionista attestatore non siano surrogabili mediante il deposito di una nuova relazione contabile in sede di impugnazione.

LE QUESTIONI AFFRONTATE E LA SOLUZIONE – Il caso portato all’attenzione dei giudici lombardi tocca il “cuore” dei problemi lasciati in parte irrisolti dalla decisione delle SS.UU. 23 gennaio 2013, nella parte in cui la stessa ha tracciato la distinzione fra fattibilità giuridica (che rientrerebbe pienamente nell’ambito delle valutazioni non solo consentite al Tribunale, ma necessitate, sia in sede di ammissione alla procedura concordataria che successivamente in sede di omologazione) e fattibilità economica della proposta concordataria.

[thrive_lead_lock id=’4487′]Ed invero, se nel concordato per cessione dei beni le percentuali offerte ai creditori non hanno – secondo la Suprema Corte – natura vincolante, nondimeno il piano tendente alla realizzazione della proposta concordataria deve essere concreto, quindi non generico o nebuloso, e cioè fondato su dati aziendali di partenza veridici, oltre che fattibile, laddove questi elementi debbono altresì essere oggetto di valutazione ed attestazione specifica da parte del professionista nominato ai sensi dell’art. 161, comma 3, l.fall.

Nella specie la società ricorrente ha affermato di poter distribuire entro tre anni ai creditori un attivo di circa 3.200.000 Euro, di cui ben 2.863.988 costituito da crediti “verso clienti” da ottenere attraverso plurime iniziative giudiziarie appena intraprese od ancora da attivare. L’attestatore si è limitato ad assumere tale dato come valido, sulla scorta di informazioni fornite dallo stesso legale rappresentante della società ricorrente o compiendo un richiamo per relationem ad alcune perizie redatte dai professionisti della debitrice.

Al problema il tribunale di Busto fornisce una soluzione che appare ineccepibile, e che la Corte d’Appello conferma. Duplice la linea di valutazione: a) da un lato la giuridica incongruità dei mezzi ai fini e, cioè, l’incompatibilità fra orizzonte temporale fissato dalla stessa ricorrente per l’adempimento della proposta concordataria ed il tempo necessario ad ottenere l’accertamento giudiziale dei crediti asseritamente vantati verso clienti che, in gran parte, si sarebbero fondati non su semplici azioni recuperatorie, bensì su domande giudiziarie di nullità od annullamento per vizi del consenso di contratti, sì da poter formulare una prognosi pressoché certa di impossibilità di liquidazione dei suddetti importi entro i tre anni richiesti; b) l’inidoneità della relazione del professionista attestatore ad offrire una compiuta informazione ai creditori, dovendosi ritenere che la posizione di indipendenza e terzietà voluta dal legislatore imponga allo stesso professionista di non poter accogliere in modo acritico le valutazioni offerte dalla debitrice o da soggetti da questa incaricati, dovendo svolgere un autonomo procedimento accertativo, di cui dare conto nella propria relazione.

I giudici del gravame hanno ritenuto che tali aspetti non diano luogo a valutazioni di merito riservate ai creditori, rimarcando come i giudizi dell’attestatore non siano vincolanti per il Tribunale e come il professionista sia chiamato a svolgere un duplice ruolo, informativo verso i creditori e di ausiliare verso il Tribunale (in sede di ammissione alla procedura concorsuale minore), sì che quest’ultimo può motivatamente discostarsi dalle argomentazioni dell’attestatore, rilevandone in particolare la natura acritica od apodittica e, quindi, in definitiva, la stessa inidoneità della relazione ad attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano su cui la proposta si fonda.

OSSERVAZIONI – Le decisioni in commento si muovono su una prospettiva che, già in nuce contenuta nella decisione Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, si è delineata con maggior pregnanza con la nota Cass. SS.UU. 23 gennaio 2013, n. 1521. Se non altro l’ampiezza argomentativa di quest’ultimo arresto spiega, peraltro, come parti di quest’ultima decisione siano state volta a volta invocate sia dai giudicanti che dalla stessa appellante per raggiungere conclusioni diametralmente opposte.

In realtà, le argomentazioni del S.C. sembrano indicare che l’indipendenza e terzietà del professionista sono un tratto non soltanto soggettivo del professionista attestatore (nel senso di non aver tenuto la contabilità in passato o ricevuto altri incarichi o lavorato per conto dell’imprenditore che propone un piano concordatario), ma soprattutto oggettivo, nel senso che detta autonomia deve tradursi sia a livello di metodologia di analisi (non potendosi accogliere acriticamente le valutazioni del debitore o dei suoi professionisti) che di esposizione argomentativa, che di fronte ad eventuali criticità del piano dovrà autonomamente sorreggere un giudizio di loro superabilità (e quindi di fattibilità del piano) basata su elementi prognostici concreti e reali.

La relazione dell’attestatore, soprattutto dopo la riforma dei requisiti professionali di cui all’art. 67 l.fall. operata dal D.L. 83/2012 convertito con mod. dalla L. 134/2012, non rappresenta un coacervo di auspici, né una parafrasi di quanto già enunciato dai professionisti del ricorrente. Essa è invece un fondamentale documento contabile informativo, di verifica sia per i creditori, chiamati ad esprimere le proprie valutazioni in ordine alla convenienza della proposta, ma anche per il giudice, dovendosi ritenere che l’attestatore, nella fase iniziale di ammissione (soprattutto in mancanza di nomina di un commissario giudiziale, che potrebbe invece essersi già verificata nella fase preconcordataria, come consentito dall’art. 161, co. 6, l.f. novellato dal D.L. 69/2013 convertito dalla L. 98/2013) abbia un ruolo ausiliare anche rispetto al tribunale. L’attestatore, nel pensiero espresso dalle S.U. cit., non è mai un semplice consulente di parte, ma pur essendo nominato dallo stesso ricorrente è da questi indipendente e svolge un ruolo lato sensu pubblicistico, di verifica, attestazione ed informazione.
Pertanto, senza travalicare in un’analisi di merito o economica del piano, il Tribunale ben può (così come potrebbe discostarsi dalle valutazioni espresse dal CTU dal medesimo nominato) contestare la metodologia seguita dall’attestatore e, in conseguenza, la congruenza e idoneità delle attestazioni rese.

Del resto, con riferimento ai fatti specificamente decisi dai provvedimenti che si annotano, esistono precise direttive attinenti alla rilevazione e valutazione contabile dei crediti (cfr. ad es. principio n. 15 elaborato dall’OIC) il cui rispetto appare sicuramente esigibile da parte del professionista attestatore, che dovrà pertanto compiere autonome rilevazioni e valutazioni (es. circolarizzazione dei crediti, verifiche a campione, analisi condotte con un proprio ausiliare giuridico) compiendo quelle svalutazioni rispetto al dato nominale che la diligente e prudente applicazione delle regole di contabilità impongono. E questo non è certo merito o convenienza economica sottratta alla valutazione del Tribunale.

QUESTIONI APERTE E CONCLUSIONI – Le considerazioni espresse possono essere svolte, mutatis mutandis, anche rispetto al concordato con continuità aziendale, la cui disciplina è fondamentalmente contenuta nel “nuovo” art. 186-bis l.fall.

Da un lato, infatti, l’attestazione in questo caso riguarda anche la idoneità del piano industriale che deve corredare la proposta, non essendovi dubbio che anche a questo riguardo la relazione del professionista non potrà contenere generiche “adesioni” alle stime del ricorrente o previsioni semplicemente ottimistiche, dovendo in particolare censire la sostenibilità finanziaria della gestione caratteristica (e cioè l’effettiva ipotizzabilità di flussi finanziari positivi, il c.d. cash flow, nell’arco temporale del piano), applicando anche in questo caso principi contabili e professionali il cui mancato riscontro ben potrà essere oggetto di censura da parte del Tribunale (cfr. Linee guida alla redazione del business plan, elaborate dal CNDCEC).

Dall’altro, dovrà attestare che la continuazione dell’attività è funzionale al “miglior soddisfacimento dei creditori”: trattasi di elemento particolarmente problematico, posto che una interpretazione in termini assolutamente rigidi potrebbe impedire la stessa proponibilità di concordati in continuità, la cui valenza positiva è tuttavia programmaticamente assunta dal legislatore della riforma del 2012 ed è implicitamente accolta dalle stesse SS.UU. del 2013, ove si afferma che la causa concreta concordataria deve tendere, sia pure in dipendenza della singola proposta formulata, ad un duplice obiettivo: superamento della situazione di crisi dell’imprenditore e assicurazione di un soddisfacimento parziale, ma non irrisorio dei creditori. Ed allora può forse sostenersi che in un concordato liquidatorio (ove manca ogni aspetto di riequilibrio finanziario e la causa si fonda sul solo soddisfacimento offerto ai creditori) la verifica della fattibilità giuridica e della causa concreta finiscono per essere due facce della stessa medaglia, nella quale rientra come parametro valutativo di riferimento la stessa alternativa liquidatoria fallimentare; mentre nel concordato in continuità, una volta superata positivamente la fase di ammissione e salvo il ricorso all’art. 173 l. fall. in caso di gestione dannosa per i creditori, l’elemento causale potrà sostenersi anche o prevalentemente sulla stessa positività del mantenimento in attività di una realtà produttiva, con tutti i benefici indiretti in termini occupazionali o di indotto economico che ne derivano e che il legislatore mostra di aver favorito.

Tornando alle decisioni in commento, in definitiva, le stesse mostrano una matura applicazione dei principi espressi dalle SS.U.U. con riferimento al concordato di natura liquidatoria, distinguendo con chiarezza merito e convenienza economica dal giudizio di fattibilità giuridica e portando un contributo importante al chiarimento della natura e dei compiti connessi alla figura del professionista attestatore di cui all’art. 161, co. 3, l.fall.

MINIMI RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI, BIBLIOGRAFICI E NORMATIVI – Sulle questioni affrontate dalle decisioni in commento, cfr. Cass. 23 gennaio 2013, n. 1521: in IlFallimentarista, con commento critico di Lamanna, L’indeterminismo creativo delle SS.UU. in tema di fattibilità nel concordato preventivo: «così è se vi pare», e in Corr. Giur., 2013, 383, con nota di BALESTRA, Brevi riflessioni sulla fattibilità del piano concordatario, ove anche ulteriori riferimenti bibliografici relativi al concetto di “causa concreta”. Sul ruolo dell’attestatore, indubbiamente potenziato dalle nuove relazioni richieste in tema di modifica “sostanziale” della proposta, finanziamenti interinali, pagamenti di crediti anteriori e contratti pendenti, si richiama il recente contributo di LO CASCIO, in Fall., 2013, 1325, ed i riferimenti ivi contenuti.[/thrive_lead_lock]

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