La simulazione matrimoniale

Antonio Albanese, La simulazione matrimoniale, in Famiglia, Persone e Successioni, 2010, p. 121.

La simulazione matrimoniale

Antonio Albanese

>> SOMMARIO

1. Il caso

2. Nozione e natura della simulazione matrimoniale

3. Le due cause di sanatoria

4. Simulazione e domanda di divorzio per inconsumazione

5. L’ipotesi di decesso del coniuge

1. Il caso

Tizio, vedovo e con due figli avuti dal primo matrimonio, si sposa con Tizia, che è sua amica da molto tempo e che versa in difficili condizioni economiche.

In seguito, deterioratosi il rapporto affettivo, Tizio assume di aver contratto le nozze al solo fine di assicurare alla moglie un’adeguata sistemazione economica, ed afferma che i nubendi non solo non avevano dato alcuna concreta attuazione al matrimonio, ma ne avevano, altresì, già prima della celebrazione, preordinato l’inconsumazione.

Pertanto Tizio, ora colpito da grave malattia, vorrebbe impugnare il matrimonio per simulazione, a ciò indotto, anche, dai suoi due figli, i quali in sede di successione ne trarrebbero evidenti benefici patrimoniali.

Occorre capire se Tizio sia legittimato a far valere la simulazione del matrimonio contratto con Tizia.

A tal proposito, si pone anche la questione se, in caso di decesso di Tizio, l’azione possa essere esercitata dai suoi eredi, i quali vorrebbero proseguire il giudizio sia per perseguire l’interesse del de cuius oltre la morte di lui, sia per un interesse proprio, perché con la dichiarazione di invalidità del matrimonio otterrebbero l’esclusione del coniuge superstite dal novero dei legittimari: infatti, i due figli di Tizio eviterebbero, con l’annullamento del matrimonio, che Tizia abbia in eredità per legge un quarto del patrimonio del defunto (art. 542 c.c.), e che le siano attribuiti i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano.

2. Nozione e natura della simulazione matrimoniale

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La novella del 1975 ha ampliato l’ambito delle invalidità matrimoniali evidenziando il momento della scelta, libera e consapevole, di contrarre matrimonio: ha, infatti, disciplinato le ipotesi dell’errore e della simulazione (artt. 122, 123 c.c.).

Prima dell’entrata in vigore dell’attuale testo dell’art. 123 c.c., il principio dell’indissolubilità del matrimonio (quando non era stato ancora introdotto il divorzio) spingeva ad escludere ogni rilevanza alla simulazione matrimoniale: il problema dell’effettività del consenso degli sposi ad onorare il rapporto di matrimonio passava in secondo piano rispetto alla necessità di salvaguardare il matrimonio-atto.

La norma ora in vigore, la quale sostituisce il testo originario dell’art. 123 c.c. che era dedicato all’invalidità del matrimonio per impotenza, descrive la simulazione del matrimonio come l’accordo con il quale «gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti».

Si tratta di una soluzione legislativa che attua un compromesso tra due opposte esigenze: quella di valorizzare il consenso quale elemento imprescindibile dell’instaurarsi del vincolo coniugale; quella di garantire certezza e stabilità ai rapporti di coniugio. Alla soddisfazione della prima esigenza, tende il diritto di impugnare il matrimonio celebrato in assenza di una effettiva volontà di creare una comunione di vita; la seconda esigenza, invece, ha spinto il legislatore a limitare fortemente tale diritto attraverso la enucleazione di due cause di “sanatoria” del matrimonio simulato. Si è osservato, in proposito, che «la tutela del consenso incontra un limite nell’esigenza di garantire certezza degli status e stabilità del rapporto coniugale, e quest’esigenza dà conto dei limiti molto stretti in cui l’impugnazione è proponibile» (1).

L’adozione del termine “sposi”, in luogo del termine “coniugi”, esplicita la necessità che l’accordo simulatorio preceda il matrimonio. Scopo delle parti è di ricavare dal matrimonio uno o più benefici che indirettamente si collegano ad esso, senza però l’intenzione di adempiere i doveri e rivendicare i diritti che caratterizzano una stabile comunione spirituale e materiale di vita. Tali benefici possono essere: la trasmissione di diritti pensionistici, l’ottenimento dell’espatrio, l’acquisto della cittadinanza (sebbene attualmente non vi sia più alcun automatismo tra la celebrazione del matrimonio e l’acquisto dello status civitatis: v. infra), l’acquisizione del cognome del marito (art. 143 bis c.c.), il conseguimento del visto di ingresso in un paese straniero, l’adeguata sistemazione economica del partner, la legittimazione di un figlio, l’acquisto di un’eredità, ecc.

Tuttavia, il fine o il motivo che spinge a simulare il matrimonio non assume alcun rilievo: conta, esclusivamente, l’accertamento della volontà degli sposi di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti dal matrimonio discendenti e, quindi, di escludere  quella comunione di vita che costituisce, invece, elemento indispensabile della fattispecie matrimoniale (2).

La norma ammette solo i coniugi stessi all’impugnazione del matrimonio simulato. Non è legittimato all’azione il pubblico ministero, essendo stata respinta la relativa proposta, avanzata in sede di riforma del diritto di famiglia.

L’impugnazione del matrimonio simulato è possibile nel termine di un anno dalla celebrazione e sempre che i contraenti non abbiano convissuto come coniugi.

Discussa è la natura di tale azione, non definita espressamente dalla legge, la quale si limita a sancire che «il matrimonio può essere impugnato». La rubrica della norma, che fa riferimento alla «simulazione», è ritenuta non decisiva. Si sostiene che non possa parlarsi di vera e propria simulazione, giacché il matrimonio simulato produce tutti i suoi effetti in assenza di convivenza e purché non sia impugnato entro un anno dalla celebrazione; la simulazione assoluta, al contrario, non produce alcun effetto tra le parti. Né potrebbe parlarsi di simulazione relativa: se così fosse, dovrebbero essere sempre garantiti gli effetti leciti del negozio dissimulato (art. 1414 c.c.). Se l’art. 123 c.c. riguardasse realmente la simulazione, il matrimonio sarebbe nullo per mancanza di un requisito essenziale, il consenso, e sarebbe, quindi, insanabile, mentre il matrimonio è, nella specie, sanabile; a meno che non si voglia riconoscere nella norma un’ipotesi di convalida tacita del negozio nullo assimilabile alle eccezionali ipotesi previste agli artt. 590 e 799 c.c.

Peraltro, giova ricordare che le azioni di impugnativa del matrimonio invalido sono disciplinate, seguendo un elenco di ipotesi ritenute non tassative (perché rimane applicabile la disciplina generale dell’invalidità) dagli artt. 117 ss. c.c., che contemplano ipotesi sia di annullabilità sia di nullità. Con la conseguenza che la legittimità della distinzione tra le due categorie di invalidità è discussa, in ragione del principio, introdotto dalla riforma all’art. 128 c.c., secondo cui gli effetti di un matrimonio, sebbene dichiarato nullo, restano fermi nei confronti dei figli (non incestuosi né frutto di bigamia). Inoltre, si osserva che anche per il matrimonio «nullo» si renderebbe indispensabile, comunque, una sentenza giudiziale costitutiva per eliminare l’effetto, prodotto dal matrimonio e documentato dagli atti dello stato civile, dell’attribuzione dello status di coniuge.

Escluso che la norma contempli un’ipotesi di simulazione analoga alla simulazione contrattuale, la dottrina ha elaborato diverse ricostruzioni. Per un orientamento, si tratta di una annullabilità relativa e sanabile (3). Anche nel caso di simulazione, infatti, così come in quelli di vizi del volere (errore, violenza e dolo) e di difetto di capacità (minore età, interdizione), il vizio può essere sanato dalla convalida delle parti, perché posto a tutela della formazione di un consenso libero e consapevole. Altri ravvisano un’ipotesi di matrimonio indiretto (4) o di matrimonio fiduciario (5) o fanno ricorso alla figura dell’abuso del diritto (6).

Continua ad accettare il riferimento alla simulazione, invece, chi accoglie, di questa, una nozione più elastica, idonea appunto a ricomprendere una voluta apparenza negoziale, e quindi anche il matrimonio contratto per fini diversi da quelli tipici. L’indirizzo di pensiero più seguito presso la dottrina recente, così, pur negando l’assimilazione della fattispecie alla vera e propria simulazione del contratto di cui agli artt. 1414 ss. c.c., ammette che trattasi di un caso particolare di simulazione, che condivide con l’istituto generale la presenza del patto di non esecuzione, ma che se ne distingue per la regolamentazione degli effetti, in ragione della specificità della materia matrimoniale (7).

Si discute se il patto simulatorio contemplato dalla norma debba necessariamente riguardare tutti i diritti e i doveri discendenti dal matrimonio, o se, perché la disposizione sia applicabile, sia sufficiente che le parti convengano la non esecuzione di singoli obblighi o diritti determinati. Nel primo senso, è l’orientamento preferibile (8), secondo il quale il patto diretto ad escludere specifici aspetti della vita matrimoniale non dà luogo alla simulazione del matrimonio, sicché quest’ultimo rimane valido, mentre il patto di non esecuzione è senza effetti il patto di non esecuzione: valgono, infatti, l’art. 108 c.c., che vieta di apporre termini o condizioni al matrimonio, e l’art. 160 c.c., secondo cui i diritti e i doveri matrimoniali non sono derogabili. Un diverso orientamento, invece, ammette la configurabilità della simulazione parziale (9). Una idea intermedia distingue tra doveri essenziali e non essenziali: solo il patto diretto alla non attuazione dei doveri essenziali comporterebbe l’invalidità del matrimonio per simulazione (10). Evidente è la difficoltà aggiuntiva imposta da tale tesi: occorre capire quali doveri siano essenziali e quali secondari; di solito, si è concordi nel ritenere essenziale il dovere di coabitazione, mentre più dubbi sono i casi del dovere di fedeltà e del dovere di assistenza.

Gli autori che escludono che l’art. 123 c.c. si riferisca ad una vera e propria simulazione, si dividono tra chi trova, in ciò, una conferma della inammissibilità nell’ordinamento di una simulazione assoluta del matrimonio (11), e chi, invece, ritiene che la simulazione assoluta sia ancora ammissibile in base ai principi generali. Seguendo questa seconda scia, si identifica la “vera” simulazione, comportante la nullità del matrimonio, nelle ipotesi in cui le parti contraggono le nozze senza avere la volontà di divenire marito e moglie (12) e, quindi, quando dalla fattispecie emerga la totale mancanza di consenso matrimoniale, imprescindibile per la validità del matrimonio: in tal caso, non sono applicabili le decadenze e le sanatorie di cui alla norma in esame.

Tradizionalmente, alla configurazione della simulazione assoluta del matrimonio si opponeva la qualifica del matrimonio come atto del potere statale, che si forma, oltre che per volontà delle parti, con la volontà espressa dall’ufficiale di stato civile (13). Questa obiezione, che si fonda su di una sopravvalutazione della funzione dell’ufficiale di stato civile, è però superata dalla considerazione che la dichiarazione di quest’ultimo non manifesta una volontà, ma si limita a certificare l’avvenuto completamento del procedimento amministrativo diretto alla formazione del vincolo coniugale (14). E poiché si tratta di una certificazione che riguarda quanto appare ex actis, e giammai l’effettività delle volontà espresse dai nubendi, può essere comunque provato che le parti non volevano il matrimonio, con la conseguenza che, fornita tale prova, il matrimonio deve essere dichiarato nullo per mancanza del requisito essenziale del consenso. Si avrebbe simulazione assoluta, in definitiva, tutte le volte che il consenso matrimoniale sia totalmente assente (15).

3. Le due cause di sanatoria

L’art. 123 c.c. prevede due cause di sanatoria diverse, autonome l’una dall’altra (16).

La prima causa è costituita dalla decorrenza di un anno dalla celebrazione del matrimonio senza che sia stata promossa l’impugnativa.

Il termine annuale è tassativo (17). Questa ipotesi è stata accusata in dottrina di dubbia costituzionalità in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost., perché nelle altre ipotesi di volontà imperfetta o viziata (artt. 119, 120 e 122 c.c.) la decadenza dell’azione di nullità e la conseguente sanatoria non sono collegate al mero decorrere dell’anno, ma alla continuativa coabitazione delle parti nel corso dell’anno; inoltre, il termine annuale di cui alla norma in esame decorre dalla celebrazione, e non, come accade nelle altre ipotesi enunciate, dal venir meno della causa che ha determinato gli sposi a contrarre matrimonio. Si è quindi ritenuto ingiustificato che una volontà matrimoniale limitata, come quella considerata dall’art. 123 c.c., «possa essere integrata e sanata dal solo decorso del tempo e in mancanza di un comportamento attuoso delle parti, che dimostri l’esistenza di un’effettiva volontà matrimoniale, idonea ad escludere l’effetto invalidante del precorso accordo simulatorio, diretto all’inadempimento degli obblighi e al non esercizio dei diritti discendenti dalla celebrazione nuziale» (18). Altra dottrina (19) ha invece ritenuto giustificata la ratio del diverso trattamento «alla luce della scelta di attribuire rilevanza, nella fattispecie dell’art. 123 c.c., all’accordo simulatorio in sé e per sé – in quanto rivolto alla mancata attuazione del rapporto coniugale – a prescindere da una valutazione delle ragioni che hanno indotto gli sposi alla celebrazione; ciò che distingue la previsione in commento rispetto alle altre cause di invalidità, nelle quali, essendo il rimedio accordato in considerazione del motivo che ha determinato gli sposi a contrarre matrimonio, appare soluzione coerente quella di far decorrere il termine per l’impugnazione dall’accertamento del venir meno della causa di invalidità».

La brevità del termine di decadenza, che ha fatto lamentare una eccessiva privatizzazione della fattispecie matrimoniale, rischia di depotenziare l’efficacia deterrente dell’azione rispetto alla celebrazione di matrimoni fittizi, in una fase storica, peraltro, in cui a causa della crescente immigrazione, aumenta l’esigenza di ordine pubblico di arginare il fenomeno. Tuttavia, va ricordato che oggi l’art. 5 della l. 5.2.1992, n. 91 ammette il coniuge di un cittadino a richiedere la cittadinanza italiana soltanto se abbia risieduto per un periodo di almeno sei mesi in Italia nella qualità di coniuge; oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi sia stato, nel frattempo, scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se i coniugi non si siano separati legalmente, senza riconciliarsi (20).

La seconda modalità di sanatoria attribuisce effetti alla convivenza, che non deve essere necessariamente protratta nel tempo (come accade per i casi previsti dagli artt. 119, 120 e 122 c.c.): è sufficiente che i due soggetti «abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione».

La legge, qui, non richiede la semplice coabitazione; l’effetto sanante è prodotto solo dalla convivenza come coniugi, ossia dall’esercizio dei diritti e dall’adempimento degli obblighi derivanti dal matrimonio, anche per un solo giorno.

Si richiamano, in proposito, gli obblighi e i diritti che derivano dal matrimonio ai sensi dell’art. 143 c.c., norma che, come noto, attua il principio costituzionale (art. 29 Cost.) in base al quale «il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi». La norma codicistica, in particolare, dopo aver disposto al primo comma che: «con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri», chiarisce, al 2° comma, quali siano i reciproci obblighi a carico dei coniugi: fedeltà, assistenza, collaborazione e coabitazione. Se tali obblighi sono stati osservati, allora i contraenti avranno “convissuto come coniugi”, e ciò, sul piano sostanziale, varrà a sanare l’eventuale negozio invalido derivante dall’accordo simulatorio; sul piano processuale, poi, la convivenza vale a pregiudicare la prova di tale accordo, e può anzi far presumere la sua inesistenza, «essendo difficile pensare che vi sia un accordo simulatorio sugli effetti del matrimonio, quando le parti abbiano cominciato ad esercitare i diritti e ad adempiere agli obblighi da esso derivati » (21).

In caso di contestazione, l’onere di provare che non sono stati rispettati i comportamenti summenzionati, e che quindi non si trattava di convivenza ma di mera coabitazione, graverà su Tizio, quale attore.

4. Simulazione e domanda di divorzio per inconsumazione

In ossequio al principio di conservazione, Tizio avrà la piena libertà di prova della simulazione del matrimonio, non trovando applicazione la severa disciplina prevista per i negozi giuridici dall’art. 1417 c.c.: la simulazione, nel caso in esame, può desumersi da fatti concludenti e non v’è necessità di una prova documentale dell’accordo simulatorio. Può quindi darsene la prova con ogni mezzo, con esclusione, però, della confessione e del giuramento decisorio, in quanto si tratta di diritti indisponibili (22).

Qualora, però, il giudice pervenga alla conclusione che Tizio e Tizia non hanno “convissuto come coniugi”, il matrimonio potrà essere impugnato per simulazione soltanto se l’azione giudiziale sia stata proposta prima della scadenza del termine annuale.

Se, tuttavia, Tizio riesce a provare l’inconsumazione del matrimonio, egli, anche qualora non possa più impugnare il matrimonio per simulazione, potrà ancora, però, chiedere il divorzio ai sensi dell’art. 3, n. 2, lett. f, l. 1.12.1970, n. 898.

Deve ammettersi, infatti, che i coniugi possano scegliere, quando non è maturato il termine di decadenza, se richiedere l’invalidità per simulazione o lo scioglimento per inconsumazione, anche in considerazione dei diversi oneri probatori. E che se, come nel caso di specie, sono scaduti i termini di cui all’art. 123 c.c., allora rimanga la possibilità di domandare la pronuncia di divorzio (23).

5. L’ipotesi di decesso del coniuge

L’art. 123 c.c. ammette soltanto i coniugi all’impugnativa del matrimonio. Per chi ravvisa la sanzione nell’annullamento del matrimonio, si tratta di una conferma: come in tutti i casi di annullabilità, la legittimazione spetta solo ai soggetti a favore dei quali l’azione è predisposta. Manca invece, nella specie, un interesse dei terzi o di ordine generale all’accertamento della realtà sottostante a una celebrazione formalmente valida; con la conseguenza che la legge ha escluso la legittimazione attiva e dei terzi e del pubblico ministero: «L’accordo, volto a escludere diritti e obblighi nascenti dal matrimonio è un affare privatissimo delle due parti» (24).

Cosa accade, allora, se Tizio decede ed i suoi congiunti vogliono ottenere l’annullamento del suo matrimonio per simulazione al fine di esserne avvantaggiati in sede di riparto ereditario?

Decisivo, ai fini della soluzione, è se Tizio sia deceduto senza aver ancora proposto l’impugnativa del matrimonio, o se, al contrario, sia morto nel corso del giudizio da lui precedentemente avviato.

L’art. 127 c.c., infatti, sancisce il principio della intrasmissibilità dell’azione: «L’azione per impugnare il matrimonio non si trasmette agli eredi se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell’attore».

La norma, quindi, consente agli eredi di subentrare nella titolarità dell’azione di impugnazione del matrimonio a patto che il giudizio fosse già pendente alla morte dell’attore; essa consacra, così, un’eccezione al principio del rapporto successorio, in base al quale l’erede subentra in tutti i rapporti patrimoniali ma non in quelli personali.

Se il de cuius aveva già impugnato il matrimonio, il diritto di azione da lui esercitato entra a far parte del compendio ereditario, con conseguente facoltà dell’erede di proseguire il giudizio (25). Si evita, così, che vengano intrapresi giudizi che a causa della morte di uno dei coniugi sono divenuti inutili, e nel contempo si concretizza il favor per la conservazione degli status personali. La regola, peraltro, è coerente col principio di cui all’art. 110 c.p.c.: l’erede che abbia, espressamente o tacitamente, accettato l’eredità non può legittimamente qualificarsi terzo rispetto al de cuius, non potendosi considerare tale colui che subentri al defunto in tutti i pregressi rapporti giuridici, poiché l’oggetto della delazione ereditaria si sostanzia proprio nel complesso dei rapporti giuridici trasmissibili, dei quali viene mantenuta la continuità con il mezzo tecnico del subingresso del chiamato nella posizione del precedente titolare, senza alcun mutamento (a parte la modificazione soggettiva) né dell’oggetto, né del titolo del singolo rapporto. Ne consegue che, verificatasi la successione nel processo, espressamente prevista dall’art. 100 c.p.c., sotto il profilo sostanziale si determina, in capo all’erede, la trasmissione della medesima situazione attiva o passiva già propria del de cuius, che deve essere accertata nei confronti del medesimo erede, senza che possa assumere rilievo alcuno la vicenda della morte del precedente titolare. Pertanto, seppure agisce in giudizio a tutela di diritti già facenti capo al de cuius, «l’erede esercita diritti ormai propri, il cui carattere ereditario attiene solo al titolo dell’acquisto e resta irrilevante rispetto alla legittimazione ad agire».

In definitiva, l’art. 127 c.c. presuppone che il matrimonio sia stato impugnato da uno dei coniugi, al quale spettava la relativa legittimazione, e che detto coniuge sia morto nel corso del giudizio. Il limite di cui alla norma, quindi, vale solo quando legittimato all’impugnazione era il de cuius (v. artt. 120, 122, 123 c.c.), e gli eredi subentrano nella sua posizione. La disposizione non riguarda, invece, i casi in cui gli eredi sono personalmente e direttamente legittimati all’esercizio delle azioni di impugnazione (artt. 117 e 119 c.c.), vale a dire quando la legge stabilisce la legittimazione di tutti coloro che abbiano un interesse legittimo ed attuale all’impugnativa. Sotto questo profilo, la norma è stata criticata, perché non consentirebbe, ad esempio, di reagire al matrimonio contratto da una persona molto anziana, potenzialmente incapace o, comunque, maggiormente soggetto ad inganni e violenza, con una persona più giovane che miri ad accaparrarsi l’eredità in danno dei familiari dell’anziano. La disciplina in parola, pertanto, andrebbe modificata, in modo da concedere il promovimento dell’impugnativa in tutti i casi nei quali il coniuge deceduto fosse ancora nei termini per agire in giudizio.

Va aggiunto, che se Tizio in vita non ha avviato il giudizio, neanche potrà essere d’ausilio, agli eredi, il potere conferito dalla legge al pubblico ministero, il quale, come noto, in base all’art. 70 c.p.c. è parte necessaria in tutte le cause matrimoniali, pena, in sua assenza, la nullità, rilevabile d’ufficio, del procedimento. È pur vero che, oltre che partecipare al giudizio, il p.m. può proporre alcune azioni di impugnazione per ottenere la dichiarazione di nullità o l’annullamento del matrimonio. Tuttavia, per il caso che muoia uno dei coniugi, l’art. 125 c.c. preclude al pubblico ministero la possibilità di promuovere l’azione di nullità (o di annullamento) (26).

Per finire, va chiarito che soluzione diversa, al Caso in oggetto, andrebbe data nell’ipotesi di morte, anziché di Tizio, di Tizia, giacché nell’ipotesi di morte del coniuge convenuto nel giudizio di nullità, si seguono le normali regole processuali: pertanto, Tizio potrebbe riassumere il giudizio nei confronti degli eredi di Tizia.

1 Ferrando, Il matrimonio, in Tr. C.M., V, 1, Milano, 2002, 634.

2 I giudici non hanno dubbi sull’irrilevanza dei motivi che spingono le parti alla simulazione: cfr. Trib. Pavia 15.10.1982, in Dir. fam. pers., 123, con note di Liotta e di Colucci. La casistica giurisprudenziale (v. Querci, in Ferrando e Querci, L’invalidità del matrimonio e il problema dei suoi effetti, Milano, 2007, 152) presenta ipotesi molto varie di creazione dell’apparenza del vincolo matrimoniale, voluta dalle parti ai seguenti fini: assecondare la volontà di un genitore in fin di vita (Trib. Pavia, 15.10.1982, in Dir. fam. pers., 1984, 123, con note di Liotta e di Colucci); esaudire il desiderio dei genitori di regolarizzare una situazione pregressa attraverso il c.d. matrimonio riparatore (Trib. Messina, 28.8.1979, in Dir. fam. pers., 1980, 142, con nota di Arena, Simulazione e matrimonio nel nuovo diritto di famiglia); rendersi autonomi rispetto alla famiglia di origine (Trib. Genova, 11.01.1983, in Giur. merito, 1984, I, 314, con nota di E. Greco, Note in tema di simulazione del matrimonio civile); ottenere punteggi per l’assegnazione di un alloggio o per poter partecipare a concorsi pubblici (Trib. Napoli, 10.10.1986, in Giust. civ., 1986, I, 3194); agire in giudizio per la liberazione di un appartamento dato in locazione (Trib. Padova, 14.12.1987, in Nuova giur. civ. comm., 1988, I, 471, con nota di Perrazzelli); dare adeguata sistemazione economica alla moglie (Trib. Palermo, 10.11.1990, in Dir. fam. pers., 1991, 1007); ottenere l’espatrio (Trib. Genova, 18.7.1981, in Giur. it., 1982, I, 2, 615) o il visto d’ingresso (Trib. Milano, 6.7.1978, in Dir. fam. pers., 1979, 113) o la cittadinanza del coniuge (A. Firenze, 22.8.1988, in Dir. fam. pers., 1990, 629).

3 F. Finocchiaro, Del matrimonio, tomo II, sub art. 84-158, in Comm. Scialoja-Branca, 1993, 167 s.; Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, III ed., Torino, 2005, 157; Irti, Simulazione o annullabilità del matrimonio civile? Note sulla tecnica delle definizioni legislative, in Dir. giust., 1976, 482; Perego, La simulazione nel matrimonio civile, Milano, 1980, 60 ss.

4 Pietrobon, sub art. 123, in Comm. Carraro, Oppo, Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, 172 ss.

5 Grassetti, Il matrimonio fiduciario, in Temi, 1951, 328, nonché in Studi in onore di Cicu, Milano, 1951, 574 ss., il quale sottolinea che «le parti vogliono la celebrazione del matrimonio, ma non mirano ad acquistare l’oggetto che per legge è proprio del matrimonio e cioè che il matrimonio produca effetti fra loro»: come nella fiducia, esse vogliono il matrimonio allo scopo di acquistare una capacità o una condizione giuridica, ma senza «l’intento pratico diretto all’oggetto del consenso matrimoniale»

6 Costanza, Sulla simulazione matrimoniale, in Riv. dir. civ., 1976, II, 686 ss.

7 Sacco, voce Simulazione (diritto civile), in Enc. Giur., XXVIII, Roma, 1929, 9 ss.; Mantovani, La simulazione del matrimonio, in Il diritto di famiglia, in Tratt. Bonilini, Cattaneo, I, Torino, 1997, 424; Liotta, Sulla simulazione del matrimonio civile, in Dir. fam. pers., 1978, 1282 ss.; Puccini, Matrimonio “di fatto” e matrimonio “nullo” per simulazione: un connubio difficile, in Dir. fam. pers., 1982, 621 ss.; Scozzafava, Il matrimonio simulato nell’ordinamento civile, in Riv. dir. civ., 1990, 659.

In giurisprudenza, prima della riforma del diritto di famiglia, si escludeva la configurabilità di una simulazione matrimoniale. Con l’introduzione codicistica dell’istituto, il matrimonio simulato è stato considerato nullo da Trib. Pavia, 14.12.1987, in Nuova giur. civ. comm., 1988, I, 471, con nota di Perrazzelli; Trib. Modena, 23.1.87; Trib. Pavia, 15.10.1982; Trib. Napoli, 10.10.86; Trib. Messina, 28.8.1979; è stato ritenuto annullabile da Trib. Napoli, 7.6.84, in Giust. civ., 1984, I, 3436; Trib. Genova, 11.1.83, in Giur. merito, 1984, 314, con nota di E. Greco, Note in tema di simulazione del matrimonio civile.

8 Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, cit., 158; Liotta, Sulla simulazione del matrimonio civile, cit., 1300; Pietrobon, sub art. 123, cit., 172 ss.; Querci, in Ferrando e Querci, L’invalidità del matrimonio e il problema dei suoi effetti, cit., 156; Irti, Simulazione o annullabilità del matrimonio civile? Note sulla tecnica delle definizioni legislative, cit., 481; Conte, La simulazione del matrimonio nella teoria del negozio giuridico, Padova, 1999, 73; Ferrando, Il matrimonio, cit., 630 s.

9 Tamburrino, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia italiano, Torino, 1978, 174; Visalli, Profili giuridici della simulazione nel matrimonio (art. 123 c.c.), in Dir. fam. pers., 1982, 1027; Del Pasqua, La simulazione matrimoniale, in Giust. civ., 1978, IV, 99.

10 Nicolò, La simulazione nel matrimonio nel quadro della nuova legge sul diritto di famiglia, in Quaderni romani diritto canonico, diretti da Fedele, I, Roma, 1977, 161; Perego, La simulazione nel matrimonio civile, cit., 60 ss.

11 Pietrobon, sub art. 123, cit., 176; Costanza, Sulla simulazione matrimoniale, cit., 686.

12 Perego, La simulazione nel matrimonio civile, cit., 99 ss.; F. Finocchiaro, Del matrimonio, cit., 172.

13 v. ad es. Bigiavi, Sulla nullità del matrimonio per simulazione, in Giur. it., 1949, I, 2, 359; Consoli, La simulazione assoluta nell’ordinamento matrimoniale italiano, in RDMF, 1958, 23.

14 F. Finocchiaro, Del matrimonio, cit., 173.

15 Integra, però, una ipotesi di nullità assoluta ed insanabile per mancanza di consenso matrimoniale, e non una ipotesi di simulazione, il matrimonio contratto per gioco: Trib. Milano, 24.10.1974; Trib. Modena, 23.1.1987, in Foro it., 1988, I, 966 (nella specie, si trattava di matrimonio contratto all’estero, con la reciproca consapevolezza, da parte dei nubendi, di esser vincolati da precedenti matrimoni).

16 Come chiarito da Cass., 5.2.1988, n. 1262, in Rep. Foro it., 1988, Matrimonio, n. 138.

17 La tassatività del termine annuale di decadenza è stata affermata da Trib. Bari, 22.1.1981; Trib. Genova, 18.7.1981.

18 F. Finocchiaro, Del matrimonio, cit., 170; nello stesso senso F. Finocchiaro, Appunti sulla simulazione del matrimonio civile, in Giur. it., 1980, 44.

19 Mantovani, La simulazione del matrimonio, cit., 465 s.

20 V. ampiamente Morozzo Della Rocca, Simulazione, matrimonio di comodo e cittadinanza, in Fam. dir., 2007, 955 ss.

21 Finocchiaro, Del matrimonio, cit., 171.

22 Le Corti concordano sull’ammissibilità di ogni mezzo di prova. Trib. Genova, 11.1.83 cit.: «È annullabile il matrimonio per simulazione che può essere provata per testi, senza i limiti dettati per la materia contrattuale». T. Padova, 14.12.1987, cit.: «l’accordo simulatorio può essere provato con ogni mezzo non essendo necessario fornire la prova scritta». Analogamente, Trib. Napoli, 7.6.1984, cit., secondo cui la consensuale preordinazione della esclusione della società coniugale fra i nubendi «ove sussista la concorde dichiarazione dei coniugi, può essere provato con ogni mezzo».

23 Cfr. Bonilini, Lo scioglimento, per inconsumazione, del matrimonio consumato, in Fam. Pers. Succ., 2008, 6 ss.

App. Firenze, 22.8.1988, in Dir. fam. pers., 1989, 629: «Nel caso in cui l’inconsumazione del matrimonio civile sia stata dai nubendi preordinata prima delle nozze, come avviene qualora il matrimonio sia simulato perché, ad es., celebrato al solo fine di far acquistare alla moglie la cittadinanza italiana, è possibile ricorrere a due diversi, e tra loro distinti, rimedi per far venire meno il vincolo formale: il primo consiste nel dedurre l’invalidità del matrimonio per simulazione, da esperire nel termine di decadenza di cui all’art. 123 c.c.; il secondo consiste nel divorzio per inconsumazione ex art. 3, n. 2, lett. f), l. n. 898/1970, rimedio che ben può essere fatto valere anche quando sia già maturato il termine di decadenza previsto, come sopra, per l’azione di simulazione». V. anche Trib. Milano, 6.7.1978, in Dir. fam. pers., 1979, 113.

Parte della giurisprudenza, però, nega che in caso di matrimonio simulato possa essere domandato il divorzio per inconsumazione. Trib. Prato, 17.6.1987, in Dir. fam. pers., 1988, 342: «Allorché il matrimonio sia stato contratto con l’impegno reciproco dei nubendi di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti che da esso derivano, si è in presenza di una simulazione, che può legittimare, entro un anno dalla celebrazione, l’esercizio dell’azione di annullamento ex art. 123 c.c., ma non il proponimento di domanda di divorzio per inconsumazione, la quale presuppone che l’inconsumazione non sia preordinata da coniugi» (nella fattispecie, si trattava di matrimonio celebrato da un italiano con una donna polacca permanente in Italia, al fine di consentire a quest’ultima d’ottenere la cittadinanza italiana). Parimenti, Trib. Palermo, 10.11.1990, in Dir. fam. pers., 1991, 1007, ha affermato che non è ammissibile la domanda di divorzio, proposta per di più congiuntamente dai coniugi, con la quale, deducendosi l’accordo simulatorio intervenuto tra gli stessi al momento delle nozze, celebrate al solo fine di assicurare alla moglie un’adeguata sistemazione economica ed alle quali non sia mai stata data alcuna concreta attuazione, si chieda lo scioglimento del vincolo civile per inconsumazione; in siffatta ipotesi, in vero, l’unica domanda ammissibile, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni di cui all’art. 123 c.c., è quella di annullamento del matrimonio per simulazione.

24 Finocchiaro, Del matrimonio, cit., p. 173. Contra Perego, La simulazione nel matrimonio civile, cit., 107, il quale estende la legittimazione attiva al p.m. ed a qualsiasi interessato.

25 App. Roma, 19.4.2002, in Arch. civ., 2002, 1323, con nota di Santarsiere: «Intrapreso il giudizio per la dichiarazione di nullità del matrimonio, se la parte attrice legittimata venisse a morte, l’azione stessa si trasmetterebbe ai suoi eredi».

26 Rimane dubbio, peraltro, se, verificatasi la morte di un coniuge, l‘azione di nullità, pur non potendo essere “promossa” dal pubblico ministero, possa tuttavia essere proseguita se era stata già promossa prima della morte: iniziato il giudizio, l’intercorso decesso di una delle parti non impedirebbe al p.m. di portarlo avanti sino alla formazione del giudicato, anche proponendo, se del caso, appello o ricorso per cassazione. In senso contrario, Cass., 28.9.1955, n. 2671, in Giust. civ., 1955, I, 1937.