La revoca della revoca testamentaria

Antonio Albanese, La revoca della revoca testamentaria, in Famiglia, Persone e Successioni, 2009, n. 10, p. 824.

La revoca della revoca testamentaria

Antonio Albanese

a) Il caso

Amleto, alcuni anni dopo aver redatto un testamento olografo contenente, tra l’altro, l’impegno a non revocare le attribuzioni patrimoniali in esso contenute se non mediante un testamento pubblico, scriveva un nuovo testamento olografo, con il quale si limitava a revocare il testamento precedente, null’altro disponendo. Oggi, però, intende, mediante un nuovo atto testamentario, far rivivere le disposizioni contenute nel primo testamento.

b) Gli effetti della revocazione della revocazione

L’atto di rinunzia alla facoltà di revoca è nullo per contrarietà a norme imperative, sicché la revoca può sempre essere, a sua volta, revocata. A seguito della rimozione della revoca, vale il testamento revocato, con efficacia retroattiva e automaticamente, senza necessità di uno specifico riferimento al suo contenuto. La revoca della revoca non costituisce un testamento per relationem e si distingue dalla conferma del testamento di cui all’art. 590 c.c.

c) Modalità di attuazione della revoca della revoca

In generale, va ammessa, oltre che la revoca espressa della revoca espressa, anche la ritrattazione espressa della revoca tacita, a proposito della quale occorre però distinguere a seconda delle vari ipotesi. È invece da escludere che la revoca, espressa o tacita che sia, possa essere revocata tacitamente o mediante un comportamento concludente, perché l’art. 681 c.c. impone le forme di cui all’art. 680 c.c.

>> SOMMARIO

>> 1. Il caso

>> 2. La “riviviscenza” delle disposizioni revocate

>> 3. Irrinunziabilità della facoltà di revoca

>> 4. La revoca della revoca tacita

>> 5. Soluzione

1. Il caso

Amleto, alcuni anni fa, aveva redatto un testamento olografo con cui disponeva di tutto il proprio patrimonio, istituendo erede la moglie Ofelia e lasciando ai quattro figli un legato ciascuno. Detto testamento conteneva, altresì, una clausola con cui il disponente si impegnava a non revocare le suddette attribuzioni patrimoniali se non mediante un testamento pubblico.

Successivamente, tuttavia, Amleto, ritenendo che l’apertura della successione legittima fosse il miglior modo per distribuire tra i congiunti le proprie sostanze, scriveva un nuovo testamento olografo con il quale si limitava a revocare il testamento precedente, null’altro disponendo.

Oggi, resosi conto di dissapori sopravvenuti tra i suoi quattro figli, e in particolare delle loro divergenze in ordine alla sorte futura degli immobili ereditari, vorrebbe evitare l’instaurarsi, tra loro, di una comunione ereditaria, conseguenza dell’operare della successione ex lege, e far rivivere le disposizioni contenute nel primo testamento. Intenderebbe realizzare tale scopo redigendo un ennesimo testamento.

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2. La “riviviscenza” delle disposizioni revocate

Se, come consente l’art. 681 c.c. (“ Revocazione della revocazione ”), la revocazione totale o parziale del testamento viene a sua volta revocata (sempre con le forme stabilite dall’art. 680 c.c.), “ rivivono le disposizioni revocate ”.

Non ha luogo, dunque, la successione familiare suppletiva, ma, a seguito della rimozione della revoca, vale pienamente il testamento revocato, con efficacia retroattiva. La reviviscenza delle disposizioni precedentemente revocate, opera automaticamente, senza necessità di uno specifico riferimento al loro contenuto.

Nel vigore del vecchio codice, poiché l’art. 919 si limitava a prevedere la reviviscenza delle disposizioni revocate attraverso un nuovo testamento, era molto discusso se fosse indispensabile un vero e proprio testamento, ossia un atto dispositivo di attribuzione patrimoniale (testamento in senso sostanziale), o se fosse invece sufficiente anche un atto avente forma di testamento, seppure non attributivo di beni (testamento in senso formale).

Il codice del 1942, al cit. art. 681, ha espressamente chiarito che occorrono le stesse forme della revoca espressa (art. 680). È quindi possibile far rivivere le disposizioni testamentarie revocate sia mediante un nuovo testamento, sia con un atto ricevuto da notaio in presenza di due testimoni, nei quali il testatore dichiari di revocare, totalmente o parzialmente, la precedente revoca.

Alla revoca della revoca va riconosciuta natura di atto mortis causa, perché con essa il testatore dispone della propria successione: mentre con la revoca innesca la successione legittima, con la revoca della revoca innesca la successione testamentaria. Ciò che poteva essere disposto tramite un nuovo testamento di contenuto identico a quello del testamento revocato, viene, nella specie, disposto attraverso una atto che revoca la precedente revocazione.

Il testamento revocato torna ad avere valore con efficacia ex tunc, come se la revoca non fosse mai intervenuta.

Ci si è domandati se il principio consacrato all’art. 681 c.c. sia suscettibile di generale applicazione, nel senso di ammettere che tutte le volte in cui è consentita la revoca di un atto, sia ammessa anche la revocabilità della revoca. Ragioni di certezza giuridica, però, sconsigliano l’applicazione della norma agli atti tra vivi, anche perché non esiste, rispetto ad essi, la preoccupazione della irreparabilità della perdita dell’atto che caratterizza il testamento (1).

La Suprema Corte ha affermato che ove la revoca del testamento sia inserita in un testamento posteriore, contenente anche disposizioni attributive, non è sufficiente la successiva generica revoca di quest’ultimo perché possa ritenersi revocata anche la revoca in esso contenuta. Infatti, rimane dubbio, in tal caso, se l’intenzione del revocante sia stata quella di rimanere intestato oppure quella di far rivivere le primitive disposizioni; costituisce, dunque, una quaestio voluntatis – da risolversi, però, attraverso una rigorosa interpretazione delle espressioni usate nell’atto, senza il sussidio di elementi estrinseci – accertare se la dichiarazione di revoca del testamento investa espressamente, o meno, anche la clausola revocatoria in esso racchiusa. La Corte ha però avvertito che, nel dubbio, deve propendersi per la soluzione negativa e ritenersi inapplicabile il disposto dell’art. 681 c.c. (2).

Un illustre studioso ha ravvisato nella revoca della revoca una conferma del testamento a suo tempo revocato. Si tratterebbe, infatti, di un testamento per relationem, perché chi revoca la revoca non fa altro che disporre attualmente delle proprie sostanze nello stesso modo in cui ne aveva disposto a suo tempo nel testamento revocato (3). Con la revoca della revoca, pertanto, il de cuius predisporrebbe, in sostanza, un ennesimo testamento, col quale attribuisce nuovamente il proprio patrimonio, sebbene richiamando il contenuto del testamento revocato. Quel contenuto tornerebbe quindi ad avere valore non con efficacia ex tunc, ma ex nunc.

Non è questa la sede ove affrontare il problema del testamento per relationem (4), vale a dire quello del quale l’ereditando determina o completa il contenuto rinviando ad una fonte estranea. Basti qui ricordare che si ha relatio formale (o esplicativa) quando la volontà del testatore è determinata nel testamento, ma egli rinvia ad un certo evento come fonte esterna della determinazione dell’oggetto o del soggetto. Detto evento è un fatto o una circostanza che vanno soltanto accertati nel loro accadimento. Si ha, invece, relatio sostanziale quando la determinazione dell’oggetto o del soggetto è rimessa dal testatore ad una volontà esterna, ossia ad un soggetto cui è conferito l’incarico di scegliere l’oggetto del lascito o la persona del successore. In tal caso, è un elemento essenziale, ossia la stessa volontà del testatore, ad essere completato dalla fonte esterna: si tratta, quindi, di un negozio testamentario incompleto.

Mentre la relatio sostanziale viola il principio di personalità, ed è di norma vietata (come conferma il primo comma dell’art. 631 c.c.) (5), la relatio formale è di regola consentita purché sia fatto salvo il principio di certezza. In tal caso, il richiamo alla fonte esterna ha valore di mezzo di interpretazione dell’effettiva volontà testamentaria. Anche i giudici propendono per la validità, purché la relatio formale sia manifestata espressamente in forma testamentaria e si tratti di un “ rinvio ad un dato estrinseco preciso e determinato ” (6).

Sotto questo profilo, pertanto, non vi sarebbero ostacoli a ravvisare nella revoca della revoca una relatio formale.

Determinante in senso contrario, invece, è la ontologica diversità che intercorre tra gli istituti della revoca della revoca e della conferma. La revoca della revoca, infatti, “ limita la sua portata sostanzialmente confirmatoria agli effetti della revoca della disposizione precedente, si limita cioè ad eliminare l’impedimento costituito dalla revoca precedente. La disposizione confirmatoria ha, invece, una portata assai più estesa, è generica e si riferisce a tutte le possibili cause di inefficacia e di impugnabilità della disposizione confermata ” (7)

Sia l’ipotesi della revoca della revoca, sia l’istituto di cui all’art. 590 c.c., riassumono le peculiarità che la volontà del disponente, e la regola tesa alla conservazione di quella volontà, assumono in ambito testamentario: in entrambi i casi, l’ordinamento dà la possibilità di conservare la volontà testamentaria, mantenendo ferma una pregressa disposizione del de cuius.

Nel caso della conferma, tuttavia, questa possibilità non è data allo stesso testatore, ma ai superstiti, i quali possono mantenere ferma la disposizione del de cuius qualora essa, di per sé, fosse priva di effetti perché nulla.

L’art. 681 c.c., invece, non si traduce affatto in quella “ deviazione macroscopica rispetto al principio della personalità del negozio testamentario ” che è stata riconosciuta nell’art. 590 c.c. (8), ma semmai costituisce proprio una conferma di quel principio, essendo la revoca della revoca, così come sono il testamento e la revoca, atto personale per il quale non è consentita né la rappresentanza né l’ambasceria.

L’art. 590 c.c. costituisce una delle due eccezioni (l’altra è data dall’art. 799 c.c. in tema di donazione) al principio generale secondo il quale il negozio nullo non può essere convalidato (art. 1423 c.c.). E costituisce, appunto, una conferma del principio di conservazione del negozio giuridico. Mentre, però, negli atti tra vivi questo principio trova la sua estrinsecazione soltanto nella convalida dei soli atti annullabili e, per i negozi nulli, nella mera possibilità di conversione in un diverso negozio valido, nella materia testamentaria questi limiti cadono, e si consente di sanare persino disposizioni nulle. Ma ciò avviene, innanzitutto, perché l’esigenza di conservare validità alla voluntas testatoris è molto più forte: se un atto tra vivi è dichiarato nullo, i contraenti possono sempre rinnovare la propria volontà in un secondo contratto riformulandola in maniera valida. Non altrettanto vale, ovviamente, per il testamento. Si vuole inoltre consentire ai congiunti dell’ereditando di onorare la sua memoria dando esecuzione ai suoi atti anche quando questi presentano irregolarità dal punto di vista giuridico.

Nessuna di queste esigenze è sottesa alla facoltà di revocare la revoca, seppure è possibile una lato richiamo al principio del favor testamenti (9).

Inoltre, la conferma rende efficace un negozio testamentario invalido (10). Prevale la tesi, infatti, di chi attribuisce alla conferma una sua propria causa consistente nell’eliminazione dei vizi da cui è affetta la disposizione nulla. Ciò può avvenire in quanto il negozio di conferma si integra con una fattispecie negoziale invalida ma comunque esistente, ed è dalla simbiosi di questi due atti che scaturiscono gli effetti.

Chiara è quindi la differenza con l’ipotesi della revoca della revoca. Questa, agisce sulla revoca di un testamento che, per tornare a vivere, deve essere valido. La conferma, al contrario, ha senso solo se ha ad oggetto un testamento nullo o annullabile (11), purché non illecito (12).

Scopo della revoca della revoca non è l’attribuzione dei beni, ma l’eliminazione degli effetti della revoca precedente. Il titolo su cui si fonda la delazione non è quindi un nuovo testamento, ossia l’atto di revoca della revoca sub specie di nuovo testamento con cui si confermano le precedenti disposizioni revocate, ma è proprio l’originario testamento, le cui disposizioni tornano ad esplicare efficacia a seguito dell’eliminazione della revoca.

D’altra parte, se si trattasse di un nuovo testamento per relationem, non sarebbe giustificabile la predisposizione, accanto alla forma testamentaria, della forma dell’atto pubblico ricevuto da notaio.

Sul piano pratico, la soluzione prescelta comporta che, se concorrono più testamenti, la prevalenza dell’uno sull’altro deve stabilirsi con riguardo alla data dell’originario testamento revocato e non alla data dell’atto di revoca della revoca.

Con la conseguenza, che la disposizione revocata rivive così com’era originariamente, con gli stessi vizi da cui fosse eventualmente affetta.

3. Irrinunziabilità della facoltà di revoca

La possibilità del testatore di porre nel nulla o modificare a proprio piacimento, fino all’ultimo momento della sua vita, le disposizioni testamentarie, è ovvia conseguenza dell’inesistenza di un affidamento dei terzi meritevole di protezione giuridica: chi dovesse conoscere il contenuto del testamento, potrebbe al più riporre fiducia nella sua conservazione sino alla morte del testatore, ma ciò non dà mai luogo ad una aspettativa di diritto.

La revocabilità non è soltanto la principale caratteristica sostanziale del testamento (art. 587 c.c.), ma è anche l’espressione di un principio considerato dal legislatore di ordine pubblico. Ciò, già chiaramente evincibile dalla nullità dei patti successori istitutivi (art. 458 c.c.) e del testamento congiuntivo (art. 635 c.c.), è reso esplicito dalla norma che apre la sezione (la quinta) intitolata alla “ revocazione delle disposizioni testamentarie ”, la quale sancisce che “non si può in alcun modo rinunziare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie ” e che “ ogni clausola o condizione contraria non ha effetto ” (art. 679 c.c.).

Sebbene la norma parli di mera inefficacia, l’atto di rinunzia alla facoltà di revoca, non importa se sia contenuto in un negozio bilaterale o che sia parte di un negozio unilaterale (come ad esempio il testamento), va considerato nullo per contrarietà a norme imperative (art. 1418 cod civ.); fermo che, la nullità che colpisce la rinunzia, non si estende alle altre disposizioni contenute nel testamento. La rinunzia alla facoltà di revoca, pertanto, vitiatur sed non vitiat.

Amleto, in definitiva, aveva diritto a revocare il primo testamento anche mediante una forma testamentaria diversa dalla pubblica, non avendo alcun valore l’impegno da lui preso in senso contrario.

Peraltro Amleto, con il secondo olografo, si è limitato a revocare il precedente, senza predisporre alcuna clausola attributiva di beni. Anche questo comportamento è perfettamente legittimo, sebbene non vada sottaciuto che qualche dubbio è sorto, in passato, perché l’art. 587 c.c., nell’affermare che con il testamento si dispone di tutte o parte delle proprie sostanze, sembrerebbe sancire che, con il negozio testamentario, è possibile solo disporre tramite l’istituzione di erede o di legatario, e quindi soltanto attribuire beni. Ma, invero, non solo lo stesso art. 587 c.c., nel definire il testamento “ un atto revocabile ”, non pretende la contemporanea designazione di altri eredi o legatari, ma, soprattutto, quando la legge parla, all’art. 680 c.c., di “ nuovo testamento ”, non si riferisce ad un atto necessariamente attributivo e di contenuto patrimoniale (c.d. testamento in senso sostanziale), ma solo ad un atto che presenti i requisiti formali del testamento (c.d. testamento in senso formale).

Inoltre, sempre l’art. 587 c.c., al cpv., ammette che il testamento possa contenere solamente disposizioni di carattere non patrimoniale che la legge consente siano contenute in un atto avente la forma del testamento.

Ad ogni modo, non può escludersi che anche la revoca produca un effetto dispositivo, in quanto essa costituisce il presupposto per cui i beni sono attribuiti agli eredi legittimi.

Pertanto: se si considera la revoca un atto con carattere patrimoniale, la disposizione revocatoria rientra nel primo comma dell’art. 587; se si esclude tale carattere patrimoniale, essa rientra tra le disposizioni non patrimoniali consentite dalla legge, cui si riferisce il secondo comma della norma citata.

Va poi considerato che, se non fosse consentito redigere un testamento avente per contenuto la sola revocazione di disposizioni precedenti, il de cuius che volesse revocare il testamento al solo fine di provocare l’apertura della successione legittima, sarebbe costretto o a ricorrere alla forma dell’atto notarile, o ad esprimere mediante un nuovo testamento la propria intenzione di distribuire le proprie sostanze secondo legge. Ma, nel primo caso, si porrebbe un limite al suo ius poenitendi in ragione di un aggravio di formalismo che eccede lo scopo. Nel secondo caso, invece, va considerato che è principio ormai acquisito, in giurisprudenza, che se il testatore dispone di tutte le proprie sostanze indicando direttamente alcuni beneficiari e indicando gli altri attraverso un rinvio alla successione legittima (nella specie, attraverso l’espressione: “ attribuisco il rimanente di quanto posseggo agli aventi diritto ” ), la delazione non cambia natura, da testamentaria in legittima, perché anche per i beni residui il titolo rimane il testamento (13).

4. La revoca della revoca tacita

Le forme di revoca delle disposizioni testamentarie sono contenute tutte in un’unica sezione: la quinta del capo quinto, del secondo libro. L’orientamento prevalente affianca, alla revoca espressa di cui all’art. 680, la revoca tacita (artt. 682, 684, 685 e 686) e la revoca legale (art. 687). Sarebbero ipotesi di revoca tacita, quindi – sebbene, come si vedrà, non tutti concordino sulla validità dell’estensione di tale concetto a ciascuna di queste ipotesi – il testamento posteriore (art. 682), la distruzione del testamento olografo (art. 684), il ritiro del testamento segreto (art. 685) e l’alienazione o la trasformazione della cosa legata (art. 686).

Inoltre, non è pacifico l’inquadramento di tutte queste figure fra i negozi giuridici. In particolare, si nega che la volontà di revocare sia necessaria nell’ipotesi del ritiro del testamento segreto, nella quale gli effetti revocatori sono collegati dalla legge alla mera volontà di ritirare il testamento (14). Nelle altre ipotesi di revoca tacita, invece, la legge presume l’esistenza di una volontà, e quindi del negozio, ma ammette la prova contraria: si tratta, quindi, di negozi presunti.

Quanto alla revoca per sopravvenienza di figli di cui all’art. 687 c.c. (15), sebbene la sua descrizione in termini di revoca legale sia entrata nel linguaggio dei giuristi, essa non costituisce una vera e propria revoca tecnicamente intesa: con la revoca, questa ipotesi ha in comune gli effetti eliminativi del negozio, ma non la fonte, giacché non v’è atto di autonomia testamentaria, ma effetto connesso ex lege ad una determinata situazione di fatto, come tale operante di diritto: la revoca legale opera automaticamente, salvo che “ il testatore abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi ” (3° comma), e salvo che i figli o discendenti non vengano alla successione e non operi la rappresentazione (4° comma) (16). Meglio sarebbe parlare, allora, piuttosto che di revoca, di “ caducità ” del testamento. Non manca, peraltro, chi descrive la fattispecie in termini di “ revoca presunta ”, ritenendo la caducità fondata sulla presunta volontà del testatore, a dispetto di altri per i quali la ratio dell’eliminazione della disposizione testamentaria va ricondotta, esclusivamente, all’esigenza di tutela della filiazione. Chi rimarca la tutela dei figli come fondamento oggettivo principale della revoca, fa conseguire la revocazione del testamento anche alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale (17); sebbene la norma, infatti, parli solo del « riconoscimento di un figlio naturale », anche nel caso in parola si ha una analoga modificazione della situazione familiare rispetto a quella prevista dal testatore al tempo delle disposizioni: non v’è bisogno, dunque, di ricorrere ad una interpretazione analogica della norma (che invero appare eccezionale), ma è sufficiente rifarsi, appunto, al fondamento della c.d. revoca legale, quando esso sia ravvisato non nella presunta volontà del disponente, ma, oggettivamente, nel senso ora descritto (18).

Alla “revocazione della revocazione” è dedicato, come detto, l’art. 681 c.c., il quale impone, per tale atto, le forme stabilite dall’articolo precedente, e, quindi, la forma espressa (vuoi per mezzo di nuovo testamento, vuoi con l’atto notarile in presenza dei testimoni).

In omaggio al principio dello ius poenitendi, la giurisprudenza è arrivata ad ammettere anche la possibilità di revocare la revoca tacita, purché, in tal caso, si accerti caso per caso la volontà effettiva di far rivivere il testamento precedente (19).

Di contrario avviso è, però, chi fa osservare come il legislatore stesso abbia implicitamente ammesso l’impossibilità di ritrattare la revoca tacita, collocando la norma sulla revoca della revoca subito dopo della revoca espressa e prima di elencare le ipotesi di revoca tacita (20).

Soluzione migliore, e dominante, è quella di ammettere la ritrattazione della revoca tacita mediante una revocazione espressa della revoca, escludendo, invece, che la revoca, espressa o tacita che sia, possa essere revocata tacitamente o mediante un comportamento concludente. Appunto perché l’art. 680 c.c., cui l’art. 681 c.c. rinvia, contempla la sola forma espressa.

Pertanto, la cancellazione o la distruzione, ad opera del de cuius, dell’atto di revoca del testamento, non comporta la riviviscenza delle disposizioni revocate.

A ben vedere, anche la revoca espressa della revoca è tuttavia soggetta a limiti. Mentre è senz’altro ammessa la revoca espressa della revoca espressa, occorre distinguere a proposito della revoca espressa di revoca tacita: essa è consentita quando la revoca tacita era stata attuata mediante un nuovo testamento incompatibile col precedente, perché in tal caso è sufficiente revocare il secondo testamento per far rivivere le disposizioni contenute nel primo.

Se, invece, il testatore ha ritirato il testamento segreto (art. 685 c.c.), non si ha alcuna revoca tacita qualora sussistano i requisiti perché esso valga come testamento olografo.

Più discussa è, infine, l’ipotesi in cui la revoca tacita, che si vuole con forma espressa revocare, sia consistita nella distruzione del testamento olografo. Si è infatti osservato (21) che la revoca espressa di tale revoca sarebbe inammissibile se il documento è venuto del tutto a mancare nella sua materialità. In tal modo, si confonde, però, il documento con la documentazione: la distruzione riguarda il documento contenente il testamento, ma non il fatto storico dell’esistenza del documento medesimo. Sicché il testamento, quale negozio, può sempre essere ricostruito (artt. 2725, cpv., c.c. e art. 2724, n. 3, c.c.). È quindi corretto concludere che se il testatore “ ha revocato il proprio testamento distruggendolo e, successivamente, con le forme prescritte dall’art. 680, dichiara che non si deve tener conto del suo atto in quanto ha mutato volontà, rivivrà il testamento revocato, ancorché distrutto, perché potrà essere ricostruito ” (22).

5. Soluzione

Dall’ampia formula dell’art. 679 c.c. (“ in alcun modo ”), si ricava che sono nulle non solo le clausole derogatorie assolute, con le quali il testatore rinunzia a revocare in futuro il testamento o alcune disposizioni ivi contenute, ma anche le clausole derogatorie relative, nelle quali egli limita la propria facoltà di revocare dal punto di vista formale, predeterminando, cioè, una specifica forma per il caso che intendesse un giorno revocare il testamento.

Amleto, pertanto, aveva validamente revocato il primo testamento, nonostante avesse contravvenuto all’impegno di adoperare, all’uopo, la forma dell’atto pubblico. La revoca del testamento olografo, da lui attuata mediante testamento, costituisce un’ipotesi di revoca espressa del testamento ex art. 680 c.c.

Tale revoca espressa dovrà essere revocata, a sua volta, attraverso una revoca espressa: vale, in proposito, quanto sancito dal combinato disposto degli artt. 680 e 681 c.c., ossia che la revocazione della revocazione può farsi soltanto in due modi: 1) con un nuovo testamento (23); 2) con un atto ricevuto da notaio in presenza di due testimoni.

La forma testamentaria potrà essere, quindi, sufficiente.

Ferri, voce Revoca (dir. priv.), in Enc. dir., vol. XL, Milano, 1989, 204.

Cass., 3.5.1997, n. 3875, in Riv. not., 1998, 338.

La massima è criticata da Bianca, Diritto civile. 2. La famiglia. Le successioni, Milano, 2005, IV ed., 725, nota 4, “in quanto la circostanza che il testamento recante la clausola di revoca contenga disposizioni attributive, non toglie che la sua revoca travolga il testamento nella sua interezza”. L’autore contesta sia l’esistenza della presunzione di una volontà del testatore diretta a revocare le sole disposizioni attributive, sia la pretesa che la revoca debba investire espressamente anche la clausola revocatoria.

3 Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954, 81 s. Il collegamento della revoca della revoca con il testamento per relationem è anche in Giordano Mondello, Il testamento per relazione, Milano, 1966, 160.

4 V. ampiamente Giordano Mondello, Il testamento per relazione, cit.; Baralis, Il testamento per relationem, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, Padova, 967.

5 Salve le eccezioni di legge, quali: il legato determinato per arbitrio altrui, il legato remuneratorio, il legato generico, il legato alternativo, il legato con beneficiario rimesso all’arbitrio del terzo, la divisione rimessa alla volontà del terzo ex 2° comma art. 733. Al di fuori di questi limiti, la sanzione è la nullità.

6 Trib. Voghera, 28.1.1998, in Vita not., 1998, 1462, con nota di Ferro, La clausola di relatio e il negozio solenne, ovvero: teoria di una incompatibilità, nell’ultima giurisprudenza, solo supposta.

7 Rossi Carleo, voce Revoca degli atti. II, in Enc. giur. Treccani, vol. XXVII, Roma, 1991, 7.

8 Allara, L’elemento volitivo nel negozio testamentario. (Appunti a cura dell’assistente Carlo Sarasso), Torino, 1964, 71.

9 Non va peraltro sottaciuto che la riconduzione della stessa conferma ex art. 590 c.c. al principio del favor testamenti è stata sottoposta a serrata critica da chi (Perego, Favor legis e testamento, Milano, 1970, 142 ss.) si è dedicato all’approfondita analisi delle norme ricollegate al favor testamenti, nel caso di specie concludendo che l’art. 590 c.c. (e l’art. 799 c.c. per la donazione) “ hanno la loro ragione politica nel carattere di atto liberale che il testamento e la donazione presentano; carattere che diviene però rilevante non al momento del comportamento, ma solo dopo la morte del disponente quando i suoi beni vengono necessariamente acquistati a titolo gratuito; sarebbe quindi da escludere ogni discorso di favore; è certo comunque che è fuor di luogo parlare di favore per il testamento o per le ultime volontà ” ( Perego, Favor legis e testamento, cit., 148).

Per altro verso, si è aggiunto (Filanti, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, Napoli, 1983, 259) che se il fondamento dell’istituto risiedesse nel rispetto della volontà effettiva del defunto contenuta nella disposizione invalida, occorrerebbero, perché la conferma produca effetti, indagini su elementi esterni al testamento, idonei a comprendere la reale volontà testamentaria, che non sembrano consentite dall’ampio ambito operativo dell’art. 590, che ne risulterebbe altrimenti impropriamente ridimensionato.

10 Invero, alcuni descrivono il fenomeno in termini di denegazione dell’azione di nullità: l’effetto non sarebbe una vera e propria sanatoria, inconcepibile per il negozio nullo, ma semplicemente l’impossibilità per chi ha sanato di ottenere in seguito l’invalidità del testamento a discapito del beneficiario.

Altri hanno fatto ricorso all’obbligazione naturale, ravvisando nel fenomeno un doppio passaggio: il primo, costituente una vera e propria successione mortis causa, dal testatore all’erede o legatario; il secondo, in adempimento di un dovere morale o sociale, dal testatore o legatario al beneficiario. Sennonché, tra atto di conferma e obbligazione naturale intercorrono numerose differenze, evidenziate dalla dottrina successiva, che impediscono una assimilazione: basti pensare, ad esempio, che presupposto dell’obbligazione naturale è la spontaneità della prestazione, mentre per la conferma tacita è richiesta la volontarietà.

11 Non pare possano esservi dubbi sulla confermabilità del testamento annullabile: sia perché la convalida del negozio annullabile risponde ad una regola generale del nostro ordinamento, sia perché la nullità sanziona vizi più gravi, e non avrebbe senso ammettere la loro sanabilità negandola invece nei casi in cui è prevista una sanzione minore. Si tratta, semmai, di capire se la convalida sia applicabile ex art. 1444 o ex art. 590: sembra preferibile interpretare estensivamente la seconda norma, piuttosto che applicare la prima, la quale è dettata per una materia diversa come quella dei contratti.

12 Invero, non v’è uniformità di vedute neanche in ordine alla sanabilità delle disposizioni illecite: alcuni la escludono tout court (Allara, L’elemento volitivo nel negozio testamentario, cit., p. 70, la esclude per le ipotesi di “ illiceità od impossibilità dell’oggetto del negozio ”); altri distinguono tra contrarietà ad ordine pubblico o a buon costume da un lato e contrarietà a norme imperative (illegalità) dall’altro, ammettendo la conferma solo nel secondo caso. Pregevole è la soluzione (G. Gabrielli, L’oggetto della conferma ex art. 590 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, 1394 ss.), che ritiene decisivo se il risultato cui mira la disposizione, illecito in quanto perseguito con testamento, rimanga o meno illecito anche quando è perseguito mediante l’atto inter vivos di conferma: si finirebbe, altrimenti, con il realizzare mediante conferma quanto l’ereditando non poteva realizzare mediante testamento. L’esempio più evidente è dato dall’usufrutto successivo (cfr. Cass., 14.5.1962, n. 1024, in Giust. civ., 1962, I, 1893): esso è illecito se costituito per testamento o per donazione, ma non lo è se costituito attraverso atti tra vivi diversi dalla donazione, tra i quali rientra anche l’atto di conferma. Parimenti, e per la stessa ragione, sono confermabili il mandato post mortem (giacché il mandato è proibito solo se contenuto in un testamento), le disposizioni in favore di persone incapaci di ricevere, le disposizioni rimesse all’arbitrio del terzo, il testamento congiuntivo. Il risultato rimane illecito, invece, quale che sia il mezzo tecnico adoperato per raggiungerlo: (a) nel caso di sostituzione fedecommissaria o di disposizioni in favore dell’indegno; (b) nel caso di conferma di patti successori istitutivi; (c) in tutti i casi in cui scopo della disposizione sia il raggiungimento di obiettivi illeciti.

13 Cass., 10.5.2002, n. 6697, in Riv. not., 2003, II, 223.

14 Cicu, Il testamento, Milano, 1951, 155; Palazzo, Le successioni, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2000, II ed., 820.

15 Sulla quale, v. Zuddas, Sopravvenienza di figli e revocazione di disposizioni testamentarie, in Riv. giur. Sarda, 1995, I, 17.

16 Quanto alla prima eccezione, prevale l’idea che l’espressione “ provvedere ” debba essere intesa nel senso di “ prevedere ”, senza che occorra una specifica attribuzione di beni ad eventuali figli ignorati. È peraltro discusso se possa considerarsi “ prevista ” dal testatore una successiva adozione (in tema: Trabucchi, Revocazione del testamento per sopravvenienza di figli ed adozione, in Giur. it., 1955, I, 2, 205).

Quanto alla seconda causa di esclusione della revoca, è indubbio che quando la norma parla di figli o discendenti che “ non vengono alla successione ”, essa non si riferisca alla sola premorienza, bensì a tutti i casi in cui non si può o non si vuole addivenire alla successione.

17 Cassisa, Appunti sulla revocazione delle disposizioni testamentarie per sopravvenienza dei figli, in Giust. civ., 1961, I, 767; Guarneri, La revoca del testamento e della donazione per dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, in Riv. dir civ., 1984, II, 485.

18 “L’art. 687, primo comma, c.c. ha il fondamento oggettivo individuabile nella modificazione della situazione familiare in relazione alla quale il testatore aveva disposto dei suoi beni. Siccome tale modificazione sussiste sia quando il testatore abbia riconosciuto un figlio naturale, sia quando nei suoi confronti sia stata esperita vittoriosamente l’azione di accertamento di filiazione naturale, dal combinato disposto del primo comma dell’art. 277 c.c. e del primo comma dell’art. 687 c.c. deriva che la revoca del testamento è ricollegabile anche al secondo di tali eventi ” (Cass., 9.3.1996, n. 1935, in Foro it., 1996, I, 1229).

Trib. Belluno, 4.5.2005, in Foro it., 2005, I, 2580, ha affermato che qualora sopravvenga l’accertamento giudiziale di un rapporto di filiazione naturale, va revocato di diritto il testamento redatto dal genitore, ancorché quest’ultimo in vita avesse avuto contezza dell’esistenza del figlio naturale. Trib. Catania, 12.2.2001, in Dir. fam. pers., 2001, 1096, dopo aver ravvisato la ratio della revocabilità ex art. 687 c.c. nell’esigenza di tutelare i figli del disponente, ha concluso che va revocato il testamento redatto da chi sapeva dell’esistenza fisica di propri figli naturali (non riconosciuti), ai quali solo dopo la morte del testatore è stato attribuito, a seguito di azione giudiziaria, ex art. 269 seg. c.c., da essi vittoriosamente esperita, il relativo status formale. App. Cagliari, 28.6.1993, in Riv. giur. sarda, 1995, 11, con nota di Zuddas, Sopravvenienza di figli e revocazione di disposizioni testamentarie, ha sancito che la disposizione che prevede la revoca delle disposizioni testamentarie in caso di sopravvenienza di figli si riferisce sia all’ipotesi in cui vi sia stato un vero e proprio atto di riconoscimento del figlio naturale, sia all’ipotesi in cui la filiazione sia stata accertata attraverso una sentenza. Trib. Cosenza, 3.2.2006, in Fam. pers. e succ., 2007, 312, ha stabilito che la revocazione del testamento per sopravvenienza di figli si verifica solo se il testatore al tempo del testamento non aveva o ignorava di avere figli o discendenti, ma non anche nel caso di preesistenza di altri figli, fattispecie cui l’art. 687 c.c., per la sua natura eccezionale, non può ritenersi applicabile.

19 Cass., 7.2.1987, n. 1260, in Riv. not., 1987, p. 387, con nota di Ieva, Brevi note in tema di revocazione di testamento.

20 Triola, Sull’ammissibilità della revoca espressa di revoca tacita del testamento, in Giust civ.,1987, I, 801.

21 Talamanca, Successioni testamentarie, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1964, 70.

22 Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2008, III ed., 557.

23 Un serio problema può sorgere quando il testamento contenente la revoca non sia posteriore a quello revocato (come richiede l’art. 680 c.c.), ma abbia pari data. La Cassazione, in una risalente pronuncia, ha stabilito la reciproca elisione dei due testamenti (ovviamente se ed in quanto reciprocamente incompatibili) (Cass., 2.8.1942, n. 2562, in Foro it., 1942, I, 296); con la conseguente apertura, anche in tal caso, della successione per legge.