Rinunci il coniuge non proprietario: la costruzione che accede al suolo in proprietà esclusiva è “roba mia”

Alberto Mastromatteo, Rinunci il coniuge non proprietario: la costruzione che accede al suolo in proprietà esclusiva è “roba mia”, in Questioni di diritto di famiglia, Maggioli Editore, 6/2010

Cass. Civ., sez. I, 30 settembre 2010, n. 20508, Pres. Luccioli, Rel. Cultrera.

Il principio dell’accessione sancito nell’art. 934, c.c., secondo cui il proprietario del suolo acquista al momento dell’incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata, opera, salvo deroga pattizia o legale, ancorché la costruzione sia stata realizzata in costanza di matrimonio e nella vigenza del regime di comunione legale. L’acquisto della proprietà per accessione, infatti, avviene a titolo originario senza la necessità di apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l’art. 177, comma 1, c.c., hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest’ultimo.

La tutela del coniuge non proprietario del suolo non opera perciò sul piano del diritto reale, ma su quello obbligatorio del diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le spese affrontate per la costruzione medesima.

Rinunci il coniuge non proprietario: la costruzione che accede al suolo in proprietà esclusiva è “roba mia”.

Il fatto.

Due coniugi, in regime di comunione legale, edificano una costruzione sul terreno in proprietà esclusiva del marito. In particolare, costui ottiene dai suoi familiari il contributo economico, sub specie di donazione, e di manodopera necessario per la realizzazione 

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dell’opera. L’unico “apporto” della moglie consiste nella sottoscrizione, congiuntamente al marito, di un mutuo ipotecario.

A seguito di divorzio, la donna chiede al giudice di vedersi attribuita la metà del valore della costruzione. L’ormai ex marito chiede il rigetto della domanda, asserendo che, per quanto concerne il manufatto, opera il meccanismo dell’accessione; per quanto riguarda i materiali, opera l’art. 179, lett. b), c.c., in forza del quale i beni pervenuti ad un coniuge in forza di donazione, restando in proprietà esclusiva del beneficiario, non ricadono nella comunione legale.

La donna, allora, lamenta la nullità delle dette donazioni, contestandone la mancanza di forma, ed evidenzia la circostanza che comunque i materiali erano entrati nella comunione legale ed il loro impiego nella costruzione le dava diritto a ripetere la sua quota in sede di scioglimento della comunione.

La Cassazione, a conferma dell’impostazione seguita dal giudice di merito, rigetta il ricorso.

La comunione legale ed il concetto di acquisto ex art. 177, c.c..

La comunione legale, si sa, è il regime patrimoniale “fisiologico” dei coniugi, cioè che si sceglie implicitamente, senza ulteriori dichiarazioni. Non ci si può in questa sede dilungare sui pur interessanti profili concettuali legati alla natura giuridica ed alla ratio dell’istituto, per cui si rimanda in parte qua alle trattazioni in materia1.

Per contro, è qui opportuno ricordare che una delle difficoltà che l’interprete deve superare concerne il significato del termine “acquisti”, utilizzato nella lett. a) dell’art. 177, c.c.

In dottrina la tendenza è nel senso di considerare atecnico l’uso del termine in questione.

Il significato in senso stretto di acquisto viene riferito al “comprare”, all’ “ottenere in proprietà pagando2. Tuttavia, nel sistema della comunione legale si possono prospettare tre opzioni interpretative: in una prima accezione “acquisto” può essere inteso come “incremento”; ancora, può essere utilizzato per riferirsi ai “beni acquistati”; infine, può riferirsi ai “diritti acquistati”.

In particolare: gli acquisti a titolo originario.

Gli interpreti sono divisi sulla possibilità di riferire alla formula “acquisti compiuti”3 di cui alla lett. a) dell’art. 177, c.c., anche quelli realizzati a titolo originario dal singolo coniuge in costanza di matrimonio.

Se taluna parte della dottrina4 pare aprioristicamente contraria all’inclusione degli acquisti a titolo originario nel patrimonio comune, altra parte di essa5, invece, spende vari argomenti nell’opposta direzione.

Secondo la prima opinione occorre porre l’accento sulle diverse formulazioni che caratterizzano la norma citata e l’art. 217 c.c., nel testo anteriore alla riforma del 1975. Nella seconda disposizione, a differenza della prima, venivano compresi nel patrimonio comune (allora convenzionale) “gli acquisti fatti durante la comunione dall’uno o dall’altro coniuge a qualunque titolo”. La mancata riproposizione di tale specificazione farebbe quindi pensare che il legislatore della riforma abbia avuto l’intenzione di escludere tali acquisti dalla ricaduta in comunione.

Un ulteriore argomento a favore della tesi esposta si incardina sull’art. 179, lett. b), c.c., che verrebbe fatto assurgere ad espressione di principio generale, in forza del quale i beni che non siano acquistati a titolo oneroso avrebbero carattere personale.

Il terzo argomento utilizzato dai fautori della tesi di cui si discorre pone in rilievo il tenore letterale dell’art. 177, cit., che, utilizzando la locuzione verbale “compiere”, descriverebbe con precisione l’azione rilevante che consente alla comunione di acquistare il bene. Talché, la norma presupporrebbe l’esercizio da parte del coniuge acquirente di una attività negoziale, con relativo acquisto a titolo derivativo da parte dello stesso e della comunione legale, e non anche «il mero giovarsi di effetti acquisitivi collegati dalla legge al verificarsi di alcuni fatti, ancorché questi siano stati favoriti o promossi dal coniuge che se n’è avvantaggiato»6.

L’opposta tesi muove dalla contestazione delle argomentazioni esposte.

In primo luogo, la mancata precisazione (“a qualunque titolo”) degli acquisti nella norma novellata, di per sé argomento troppo debole per inferirne le conseguenze supposte dalla teorica precedentemente esaminata, ben può far pensare ad una nozione degli stessi volutamente lata, al punto da comprendere anche quelli effettuati a titolo originario.

Ancora, il presunto principio dedotto dall’art. 179, lett. b), pur astrattamente non contestato, non deve però far confondere differenti piani di valutazione. Infatti, il binomio titolo oneroso – titolo gratuito rileva esclusivamente sul piano negoziale, mentre l’altro binomio titolo derivativo – titolo originario attiene al momento genetico (o modificativo) del rapporto giuridico, non potendo inferirsi dall’affermazione di principio scaturente dal primo binomio date conseguenze relative al secondo7.

Infine, per ciò che concerne la locuzione verbale “compiuti” connessa agli acquisti dall’art. 177, cit., non sembra si debba presupporre necessariamente una condotta attiva e negoziale cui correlare gli effetti acquisitivi previsti dalla norma. Si osserva8, infatti, che, mediante un’opera di interpretazione sistematica, è possibile constatare come gli artt. 1159 e ss. c.c., stabilendo che l’usucapione si compia a date condizioni, consentano di concludere che quando il legislatore utilizza tale lemma verbale non necessariamente ipotizza un’attività (sia essa o meno negoziale), ma si riferisce alla concreta verificazione, qualunque sia la causa, di tutti gli elementi costitutivi di una determinata fattispecie acquisitiva, sia pure a titolo originario.

In definitiva, non pare possa escludersi dalla ricaduta in comunione tutta questa serie di acquisti che, in una con quelli a titolo oneroso, vanno a costituire l’asse patrimoniale dei coniugi sul quale si realizza la comunione materiale tra i consorti. Privare aprioristicamente degli acquisti compiuti a titolo originario dal partner il coniuge rispetto al quale non si siano direttamente verificati i presupposti della fattispecie acquisitiva al medesimo titolo contrasterebbe quella linea di tendenza che l’ordinamento sembra mostrare verso la parificazione economica dei coniugi. Tuttavia, non si vuol accogliere sic et simpliciter l’affermazione di un presunto principio di favor communionis, ritenendosi per contro necessario operare una valutazione caso per caso degli acquisti realizzati a titolo originario che possono o meno ricondursi alla comunione legale.

L’accessione: modo di acquisto a titolo originario.

Fra gli altri modi di acquisto della proprietà a titolo originario, l’accessione è fra quelli maggiormente dibattuti tra gli interpreti, discutendosi sulla ricaduta in comunione legale della costruzione realizzata su suolo altrui.

Occorre innanzitutto chiarire che il problema non sta tanto nel dubbio se i beni acquistati mediante tale istituto possano o meno formare oggetto di comunione legale, il che pare pacifico: infatti, se la costruzione viene realizzata su un fondo già in comproprietà legale essa a sua volta sarà oggetto della comunione. Parimenti, nel caso in cui l’edificio venga realizzato, manente communione, sul fondo di proprietà di un terzo, il diritto di indennità stabilito dall’art. 936, c.c., cade in comunione, qualora la costruzione sia stata pagata con denaro comune.

Le difficoltà interpretative si manifestano nell’ipotesi in cui il fabbricato venga costruito sul fondo in titolarità esclusiva di uno dei coniugi, sia con denaro personale di questo, sia del coniuge non titolare, sia comune.

La tesi9 contraria alla ricaduta in comunione della costruzione che accede al terreno personale, e fatta propria dalla Cassazione anche nella sentenza che si commenta, si fonda su svariate argomentazioni.

– Come visto, in generale, l’utilizzo del verbo “compiuti” nell’art. 177, lett. a), c.c., dovrebbe limitare la portata della norma ai soli acquisti a titolo derivativo, restando, pertanto, escluso l’acquisto per accessione in quanto acquisto a titolo originario.

– Si raffronta poi l’art. 934, c.c. con la disciplina della comunione legale e si afferma che il primo avrebbe portata generale e non potrebbe essere derogato dall’art. 177, cit., il quale non manifesta un contenuto precettivo idoneo a contrastare direttamente il principio di accessione: al contrario, secondo la Suprema Corte, la norma dovrebbe espressamente prevedere una deroga al summenzionata norma, avente carattere di principio generale.

– Ancora, l’accessione non avrebbe la capacità di far sorgere un quid novi, un diritto nuovo, autonomo, in capo al proprietario del suolo, ma solo la modificazione dell’originario diritto, che quindi ripete la natura personale del suolo; inoltre, l’art. 922, c.c., che comprende l’accessione fra i modi di acquisto della proprietà, avrebbe un valore soltanto classificatorio.

– L’accessione troverebbe la propria ratio nell’esigenza che il diritto di proprietà non venga frazionato: ne deriva che tale principio non può soffrire eccezioni, neanche ai sensi dell’art. 177, cit..

– Si evidenzia poi che, includendo nella comunione legale l’acquisto per accessione su un fondo in titolarità esclusiva del coniuge, ne scaturisce una costituzione ex lege di una proprietà superficiaria, ciò che sarebbe giuridicamente inconcepibile, in quanto, da un lato, il diritto di superficie può essere costituito solo mediante atto scritto (arg. ex artt. 952 e 1350, c.c.), dall’altro, il coniuge titolare esclusivo non può essere contemporaneamente proprietario del suolo e superficiario seppure pro quota.

– Ulteriormente, far originare un diritto reale siffatto su un fondo di esclusiva proprietà di un coniuge condurrebbe ad un’inammissibile lesione del diritto dominicale di costui, che verrebbe in concreto depauperato di una quota della sua piena proprietà, in assenza o contro la sua volontà.

– Infine, l’adesione alla tesi contraria rischia di minare la sicurezza dei traffici. Infatti, se si postula, come da parte di alcuni autori dell’opposta teorica, la mancata necessità di trascrivere l’atto ai fini dell’opponibilità a terzi (né vi sarebbe un atto da trascrivere, fatta eccezione l’eventualità di una sentenza giudiziale di accertamento dell’acquisto del coniuge non proprietario), il terzo acquirente dal proprietario esclusivo avrebbe l’onere di svolgere indagini in Conservatoria, presso l’ufficio di stato civile per conoscere il regime patrimoniale del venditore, nonché, addirittura, nel Comune dove sorge la costruzione, per accertare, sulla base della dichiarazione di fine lavori10, se l’opera sia stata costruita prima o durante il matrimonio.

Sul versante opposto a quello esaminato si collocano coloro11 che ammettono l’idoneità degli acquisti ex art. 934, c.c., a cadere in comunione.

– In primis, per “acquisti compiuti” si devono intendere quelli effettuati a qualunque titolo, in una accezione lata.

– Per quanto si voglia attribuire portata generale all’art. 934, c.c., non gli si può attribuire comunque una latitudine maggiore di quella prevista dal legislatore. Talché, se da questa disposizione si può rilevare che il proprietario del suolo acquista per accessione il fabbricato realizzato su di esso, non può dedursi altresì l’impossibilità che la costruzione consegua la qualità comune, ex art. 177, o quella personale, ex art. 179. Infatti, sono tali norme, e non l’art. 934, a disciplinare tale aspetto. Pertanto, ai sensi dell’art. 177, cit., l’acquisto per accessione, compiuto dal coniuge titolare esclusivo del suolo, ricade normalmente nell’oggetto della comunione legale, estendendosi all’altro consorte12. Ad ulteriore sostegno di questa argomentazione si consideri che lo stesso art. 934, sancisce il principio quicquid inaedificatur solo cedit, facendo salve le ipotesi in cui diversamente risulti dal titolo o, appunto, dalla legge (e cioè dagli artt. 177 e 179, cit.).

– Ancora, la capacità di autonoma individuazione dell’opera che viene realizzata sul suolo consente di ritenere che effettivamente si sia realizzato un quid novi, la cui natura giuridica è ontologicamente autonoma da quella del suolo; in questa prospettiva si realizza come non possa attribuirsi un valore meramente classificatorio all’art. 922, c.c., il quale menziona expressis verbis l’accessione tra i modi di acquisto a titolo originario. Tale osservazione ci induce a ritenere che il diritto possa essere acquistato da parte del coniuge non proprietario solo dal momento della venuta ad esistenza della costruzione o comunque ad uno stadio dei lavori tale da poterla individuare come autonomo oggetto, quid novi appunto, rispetto al suolo. Pertanto, non rientrano in comunione legale i materiali appoggiati sul suolo e nel periodo in cui l’edificio è in fieri13.

– La ratio dell’accessione non viene tradita se si ammette la ricaduta in comunione della costruzione, in quanto, si dice, quando si tratta di coniugi non si determina un effettivo frazionamento della proprietà, restando questa pur sempre nell’ambito dello stesso nucleo familiare, nel quale si perseguono interessi e finalità comuni14.

– Sarebbe priva di fondamento l’argomentazione, asserita dall’opposta teorica, che evidenzia l’assenza di un atto costitutivo del diritto di superficie, a vantaggio del coniuge non proprietario del fondo, redatto in forma scritta, ai sensi dell’art. 1350, comma 2, c.c. Infatti, questa disposizione si riferisce agli acquisti del diritto di superficie ex contractu e non anche a quelli che hanno la propria fonte nella legge.

Si respinge, altresì, la pretesa inconcepibilità giuridica della contemporanea coesistenza, in capo al coniuge proprietario del fondo, della qualità di dominus soli e superficiario pro quota, potendo ammettersi tale evenienza dalla disciplina della comunione ordinaria15 ed essendo a fortiori condivisibile tale conclusione nella comunione legale, dal momento che si può individuare in capo ai coniugi l’esistenza di una doppia posizione giuridica: quella di comune cittadino, da un lato, e quella di coniuge dall’altro16, ciò che giustifica appunto anche la coesistenza della qualità di dominus e superficiario in capo al coniuge proprietario.

– Ancora, la possibilità per i coniugi di creare un patrimonio comune in cui convogliare tutti gli investimenti fatti insieme o separatamente durante il matrimonio, consente di ritenere che, qualora tale investimento consista nel costruire un edificio sul fondo in proprietà esclusiva dell’altro, non si può certo ravvisare in tale operazione un’inammissibile lesione dell’altrui diritto dominicale, per tutelare il quale si pretende di escludere che il relativo acquisto cada in comunione.

– In conclusione, si avverte la necessità di apprestare tutela a favore dei terzi acquirenti dal titolare esclusivo del fondo. Talché, effettivamente costoro avrebbero pregnanti difficoltà nell’apprendere dal sistema di pubblicità legale quali siano le reali controparti negoziali, con tutto l’apparato di rischi che ne consegue. Nella prospettiva dei fautori della ricaduta in comunione legale della costruzione edificata sul suolo in proprietà esclusiva deve privilegiarsi la realtà sostanziale, talché la natura comune dell’immobile può ritenersi opponibile ai terzi: infatti, stante la particolarità della situazione in cui ci si trova in tale ipotesi, si impone a costoro l’onere di effettuare indagini più approfondite, comportanti il dovere di consultare non solo i registri della Conservatoria, ma, come evidenziato dai critici della tesi de qua, anche quelli di stato civile e, addirittura, la dichiarazione di inizio/conclusione dei lavori.

A parere di chi scrive questa opinione giunge ad estremizzare la forza precettiva dell’art. 177, cit., e la relativa previsione di riconduzione ex lege al patrimonio comune dell’edificio che accede al suolo in titolarità esclusiva. Infatti, non ci si può esimere dal considerare preponderanti le esigenze di snellezza del traffico giuridico e, conseguentemente, la prevalenza dell’acquisto effettuato dal terzo. L’art. 2644 c.c., al comma 2, precisa che, seguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione o iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l’acquisto risalga a data anteriore (e fatte salve le ipotesi di abuso del diritto alla trascrizione). Pertanto, nel caso in cui il coniuge non proprietario del suolo voglia acquisire anche formalmente la comproprietà del bene venuto ad esistenza, idonea soluzione potrebbe essere quella di far dichiarare al partner in atto ad hoc la rinuncia alla proprietà esclusiva della costruzione in favore della comunione legale, così da poter trascrivere tale dichiarazione nei RR.II. ai sensi degli artt. 2645 e 2643, n. 5, c.c.. Naturalmente, nell’ipotesi in cui il coniuge non proprietario non riesca ad ottenere simile formale attribuzione, resterebbe, ove possibile, la soluzione di chiedere la reintegrazione del patrimonio per equivalente e, eventualmente, il risarcimento per il maggior danno.

I diritti obbligatori del coniuge non proprietario.

Il quadro dinanzi delineato, sul rapporto tra l’accessione ed il nostro istituto, è ulteriore motivo di quel fenomeno di fuga dalla comunione legale di cui già si è fatto cenno. Lo stato di “felice ignoranza” del diritto in cui normalmente versano i coniugi crea spesso delle sorprese di cui gli stessi prendono atto solo al momento di scioglimento del regime comunista e, solitamente, nel momento patologico ordinariamente più conflittuale del rapporto di coniugio, ossia durante separazione e divorzio.

Infatti, posto che a conclusione del percorso argomentativo tracciato, si giunge a disconoscere una tutela reale per il coniuge non proprietario, resta da valutare se residui a suo favore una qualche forma di godimento della costruzione o qualche voce di credito ad essa relativa.

Occorre ricordare che, qualora la costruzione venga adibita a casa familiare, essa potrebbe essere oggetto, in sede di separazione, di assegnazione al coniuge affidatario della prole, non essendo preclusiva di tale evenienza la titolarità esclusiva dell’edificio17.

Poi, al coniuge non proprietario, secondo l’impostazione adottata dalle Sezioni Unite della Cassazione18, comporterebbe un indennizzo pari «alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione». In tale ipotesi, a tale coniuge, titolare della metà dei materiali impiegati, considerato dalla Cassazione terzo ai sensi dell’art. 935, c.c., andrà restituita la metà del valore degli stessi e della manodopera19. Purtuttavia, come puntualmente sottolinea la Suprema Corte nella sentenza che si commenta, occorre a tal fine che il coniuge non proprietario fornisca prova della propria contribuzione all’acquisto di materiali e manodopera, non essendo tale prova fornita ipso facto dalla considerazione che, essendo ella casalinga e non possedendo redditi propri, il suo contributo a tal fine debba ravvisarsi nell’ “assistenza e sostegno morale, affettivo e manageriale che assume d’aver fornito alla famiglia”.

È comunque utile esaminare i singoli casi.

Innanzitutto, si pensi all’ipotesi in cui i lavori siano pagati con beni o denaro personale del coniuge proprietario, nel qual caso l’altro coniuge non avrà diritto ad alcunché sulle somme impiegate per la manodopera, residuandogli la possibilità di rimborso della metà del valore dei materiali, nei limiti in cui il Supremo Giudice di Legittimità gli ha riconosciuto la contitolarità sui materiali usati nella costruzione20.

Viceversa, nel caso in cui il costo della costruzione venga sopportato in tutto o in parte dal coniuge non proprietario, egli avrà diritto alla restituzione di tutto ciò che abbia prestato, in forza dell’art. 192, comma 3, c.c., che riconosce il diritto di ciascuno dei coniugi alla restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale per spese e investimenti a favore del patrimonio comune e, a fortiori, di quello dell’altro coniuge21.

Ultima ipotesi è quella in cui l’opera venga realizzata con denaro o con materiali della comunione, potendosi nel caso applicare l’art. 192, comma 1, c.c., in forza del quale ciascun coniuge è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per finalità diverse dall’adempimento delle obbligazioni ex art. 186, c.c.22.

Anche la tesi che include nella comunione legale gli acquisti per accessione, pur in maggiore armonia con lo spirito della riforma del 1975, comunque soffre talune limitazioni. Infatti, a seguire tale prospettiva ci si scontra con le difficoltà di fornire tutela al coniuge, che costruisce con denaro proprio sul fondo personale, e di evitare che l’edificio cada in comunione legale, dal momento che anche l’acquisto realizzato con denaro personale cade in comunione ex art. 179, c.c, nel caso in cui non venga resa la dichiarazione di cui alla lett. f) della medesima norma.

Il problema è che manca un atto di acquisto in cui effettuare tale dichiarazione, con conseguente inapplicabilità dell’art. 2647, c.c.. Due sono le soluzioni che si offrono: o si pone in essere una convenzione che sottragga tali beni alla comunione; oppure si effettua la dichiarazione di esclusione di cui all’art. 179, ult. comma, la quale, mancando un atto di acquisto, dovrà essere effettuata mediante apposito atto, redatto in un momento anteriore all’inizio dei lavori e trascrivibile a norma degli artt. 2645 e 2643, n. 5, c.c.23.

La sentenza in rassegna.

Insomma, alla luce di tutte le considerazione spese, non può che condividersi la soluzione adottata dal giudice di legittimità nel caso in esame.

In primo luogo, il supremo giudice accoglie l’impostazione fatta propria dai giudici di merito e relativa all’esclusione della costruzione realizzata su suolo in proprietà esclusiva dell’un coniuge dalla ricaduta in comunione legale. É chiaro: le esigenze di certezza dei traffici giuridici impongono tale conclusione, salve le postille segnalate retro in ordine a possibili atti da trascrivere a tutela dell’altro coniuge.

Bene ha fatto, inoltre, il giudice del merito (nell’opinione della Corte di Cassazione) a qualificare le donazioni parentali a beneficio del coniuge proprietario come donazioni “manuali”, come tali non affette da nullità, seppur prive di forma solenne.

La Corte afferma che “per costante giurisprudenza, il principio dell’accessione sancito nell’art. 934, c.c., secondo cui il proprietario del suolo acquista al momento dell’incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata, opera, salvo deroga pattizia o legale, ancorché la costruzione sia stata realizzata in costanza di matrimonio e nella vigenza del regime di comunione legale. L’acquisto della proprietà per accessione, infatti, avviene a titolo originario senza la necessità di apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l’art. 177, comma 1, c.c., hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest’ultimo – in tal senso, v. già Cass. n. 7060/2004 –. L’esigenza di deroga espressa posta dall’art. 934, c.c., esclude che possa attribuirsi tale natura al disposto dell’art. 177, lett. a), che, nulla prevedendo a riguardo, regolamenta in via generale gli acquisti del singolo coniuge in regime di comunione legale”.

Aggiunge il Giudice, “la tutela del coniuge non proprietario del suolo non opera perciò sul piano del diritto reale, ma su quello obbligatorio del diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le spese affrontate per la costruzione medesima”.

Tuttavia, la partita si gioca sul piano probatorio, avendo il coniuge proprietario dimostrato che l’acquisto di materiali e manodopera è stato realizzato con denaro personale, non avendo per contro l’altro coniuge, non proprietario, dimostrato che quell’acquisto sia stato il frutto di investimento di denaro proprio o, per lo meno, della comunione. Da qui è scaturito il rigetto della domanda e del ricorso.

Da ultimo è opportuno segnalare un dato. Il coniuge non proprietario solo nel ricorso per Cassazione ha argomentato il suo diritto a ripetere la metà del valore dei materiali e della manodopera utilizzati per la costruzione dell’edificio in forza del suo personale apporto: sub specie di “assistenza e sostegno morale, affettivo e manageriale alla famiglia”. Pertanto, in quanto nuovo argomento, la Corte non ha ritenuto di prenderlo neanche in considerazione. Suggeriamo, quindi, qualora lo si voglia utilizzare come argomento di prova a beneficio del coniuge “casalingo” non proprietario, di introdurlo, innanzitutto, nel ventaglio di argomentazioni di parte dal primo grado di giudizio; inoltre, di concretarlo con maggiore concretezza, ché, altrimenti, si rischia di sentirsi ripetere dal giudice di turno quello che ha affermato la Suprema Corte nel caso in commento: e cioè, che “l’altro coniuge, odierna ricorrente, onerata della prova d’aver prestato il suo personale sostegno economico alla costruzione, non solo non ha contestato la circostanza di fatto addotta dal convenuto, ma non ha né allegato né dimostrato una sua prestazione, diversa dall’assistenza e dal sostegno morale, affettivo e manageriale che assume d’aver fornito alla famiglia con allegazione del tutto ininfluente e peraltro inammissibile perché dedotta solo in questa sede, il suo diritto alla tutela obbligatoria, consistente nel riconoscimento del diritto di credito pari alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione”.

Alberto Mastromatteo

ABSTRACTS

  • Una delle difficoltà che l’interprete deve superare concerne il significato del termine “acquisti”, utilizzato nella lett. a) dell’art. 177, c.c (p. 1);

  • Gli interpreti sono divisi sulla possibilità di riferire alla formula “acquisti compiuti”24 di cui alla lett. a) dell’art. 177, c.c., anche quelli realizzati a titolo originario dal singolo coniuge in costanza di matrimonio (p. 2);

  • Le difficoltà interpretative si manifestano nell’ipotesi in cui il fabbricato venga costruito sul fondo in titolarità esclusiva di uno dei coniugi, sia con denaro personale di questo, sia del coniuge non titolare, sia comune (p. 3);

  • Il problema è che manca un atto di acquisto in cui effettuare tale dichiarazione, con conseguente inapplicabilità dell’art. 2647, c.c. (p. 7);

  • la partita si gioca sul piano probatorio, avendo il coniuge proprietario dimostrato che l’acquisto di materiali e manodopera è stato realizzato con denaro personale, non avendo per contro l’altro coniuge, non proprietario, dimostrato che quell’acquisto sia stato il frutto di investimento di denaro proprio o, per lo meno, della comunione (p. 8)

1Cfr., ex multis, il nostro Il regime patrimoniale della famiglia, a cura di A. Arceri, M. Bernardini, Maggioli, Sant’Arcangelo di Romagna, 2009, pp. 457 e ss.

2 Così per T. De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Paratia Bruno Mondadori Editori, Torino, 2000, sub) “acquistare”.

3 Relativamente a tale locuzione la Suprema Corte ha preso posizione con tre successive sentenze, ravvicinate nel tempo. Con la prima, Cass., 11 giugno 1991, n. 6622, in Giust. civ., 1991, I, p. 2949, i Giudici hanno ritenuto non necessario soffermarsi sul significato della locuzione “compiuti”, al fine di stabilire se la lett. a) dell’art. 177, sia compatibile con l’automatismo dell’acquisto della proprietà per accessione. Con la seconda, Cass., 14 marzo 1992, n. 3141, in Giust. civ., 1992, I, p. 1731, la Suprema Corte ha mutato opinione, rilevando che il lemma verbale utilizzato nella norma presuppone il previo esercizio di un’attività negoziale da parte del coniuge, cioè un acquisto a titolo derivativo. Infine, con la terza sentenza, Cass., 16 febbraio 1993, n. 1921, in Riv. Not., 1993, p. 1226, il Giudice di legittimità ha ribadito che il principio di accessione prevale sulla comunione legale, con argomentazioni analoghe a quelle della prima decisione. Idem, nella sentenza che si commenta.

4 Cfr., fra gli altri, E. Russo, Ancora sull’oggetto della comunione legale: favor communionis o favor personae coniugis?, in Dir. Fam. e Pers., 1998, fasc. 1, pt. 2, p. 165; E. Spitali, Regime patrimoniale della famiglia, a cura di F. Anelli e M. Sesta, in Tratt. dir. fam., diretto da P. Zatti, Milano, 2002, p. 97.

5 Cfr., inter alios, T. Auletta, La comunione legale, in Trattato dir. priv., diretto da Bessone, IV, Il diritto di famiglia, 2, Torino, 1999, p. 86; C.M. Bianca, Diritto Civile, Milano, Giuffré, 2; G. Oberto, Del regime patrimoniale della famiglia, in Codice Della Famiglia, a cura di M. Sesta, I, Giuffrè, Milano, 2007, p. 774; M. Capecchi, L’oggetto della comunione legale, in Il nuovo diritto di famiglia, diretto da G. Ferrando, Zanichelli, Bologna, 2008, p. 349.

6 Così, Cass., 14 marzo 1992, n. 3141, cit., p. 848; analogamente, Cass., 14 aprile 2004, n. 7060, in Rep. Foro it., 2004, sub famiglia (regime patrimoniale), n. 56.

7 G. Oberto, op. cit., p. 774, sagacemente conclude osservando che «in molti casi di acquisto a titolo originario l’effetto acquisitivo si produrrebbe comunque (e per il concorrente effetto) di un titolo oneroso, ancorché inefficace (cfr. artt. 1153, 1159, c.c.)».

8 G. Oberto, op. cit., p. 775.

9 Questa è la prospettiva adottata dalla Cassazione: cfr., fra le altre, Cass., 11 giugno 1991, n. 6622, in Giur. it., 1992, I, p. 108 e in Foro it., 1992, I, c. 1854; Cass., 16 febbraio 1993, n. 1921, in Giur. it., 1993, I, 1, p. 1902; Cass., 25 novembre 1993, n. 11663, in Rep. Foro it., 1993, sub) famiglia (regime patrimoniale della), n. 34; Cass., 22 aprile 1998, n. 4076, in Giur. civ., 1998, I, p. 2831; Cass. 11 agosto 1999, n. 8585, in Fam. e Dir., 1999, p. 580; Cass. 12 maggio 1999, n. 4716, in Fam. e Dir., 2000, p. 19; Cass. 14 aprile 2004, n. 7060, cit.; Cass., 27 maggio 2005, n. 11287, in Giust. civ. mass., 2005, p. 5. In dottrina, cfr. fra gli altri, G. Gabrielli, Regime patrimoniale della famiglia, in Dig. IV, sez. civ., XVI, Torino, 1997, n. 19; P. Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario Cian – Oppo – Trabucchi, III, Padova, 1992, p. 99; A. Giusti, Costruzione di un edificio in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale su terreno di proprietà esclusiva dei coniugi, in Giur. Mer., 1985, p. 234; M. Ieva, Ancora in tema di conflitto tra il principio di accessione e gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv. Not., 1984, p. 1193.

10 Così, E. Spitali, op. cit., p. 93; M. Giorgianni, Costruzioni e miglioramenti effettuati su bene personale in regime di comunione legale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, p. 886; T. Auletta, Gli acquisti a titolo originario, in La comunione legale, a cura di C. M. Bianca, Giuffrè, Milano, 1989, p. 97. Peraltro, nell’opinione di quest’ultimo Autore, è necessario appurare la data di inizio e non di ultimazione dei lavori, altrimenti potrebbero sorgere dubbi in ordine allo status giuridico della costruzione nel caso di opera iniziata prima del matrimonio e completata post nuptias, oppure, all’opposto, iniziata manente communione e terminata dopo il suo scioglimento.

11 In dottrina, fra gli altri, si segnalano: P. Di Martino, Gli acquisti a titolo originario in regime di comunione legale fra i coniugi, in Dir. Fam e Pers., 1980, p. 929; A. Luminoso, Accessione ed altre vicende delle cose nella comunione legale, in Riv. Not., 1985, p. 761; M. Nuzzo, L’oggetto della comunione legale, Giuffrè, Milano, 1984, p. 116; C.M. Bianca, La comunione legale, cit., p. 72 e ss.

12 P. Di Martino, La comunione legale tra coniugi: l’oggetto, in G. Bonilini, G. Cattaneo, Il diritto di famiglia. II. Il regime patrimoniale della famiglia, Utet, Torino, 2007, p. 99, aggiunge che tale conclusione «corrisponde anche all’equità, perché non avrebbe senso includere in comunione l’appartamento acquistato da un coniuge in un condominio e non la villetta costruita sul suo terreno personale».

13 Contra, Cass., Sez. Un., 27 gennaio 1996, n. 651, in Giust. civ., 1996, I, 342, la quale ha affermato che «all’altro coniuge – non proprietario – compete un diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati all’atto della costruzione». Secondo tale pronuncia i materiali acquistati per l’erigendo edificio appartengono ipso facto alla comunione legale, trovando applicazione l’art. 935, c.c., secondo cui al terzo, proprietario dei materiali utilizzati dal costruttore, spetta un’indennità pari al valore di mercato dei materiali.

14 Così, P. Di Martino, op. cit., p. 102.

15 P. Di Martino, op cit., pp. 102 e 103, osserva, infatti, che «non vi è ragione di negare che il proprietario esclusivo di un fondo possa essere ad un tempo anche titolare pro quota del diritto di superficie sopra di esso, ove si osservi che nell’ambito della comunione ordinaria il diritto di superficie può essere attribuito anche ad uno solo dei comproprietari del suolo, pur rimanendo il suolo comune, oppure può essere attribuito pro quota ad un terzo estraneo alla proprietà, rimanendo il proprietario del terreno titolare del diritto di superficie solo sulla rimanente porzione di terreno».

16 P. Di Martino, op. cit., p. 103, afferma che nella comunione legale «un coniuge può essere preso in considerazione ad un tempo uti coniunx, e cioè nella qualità di partecipante alla comunione, e uti civis, vale a dire nella sua qualità di singolo individuo: il coniuge uti civis sarebbe, dunque, proprietario esclusivo del suolo, e uti coniunx sarebbe superficiario assieme all’altro coniuge. E la soluzione sembra tanto più attendibile, ove solo si osservi che il medesimo sdoppiamento di situazione in capo a ciascun coniuge si verifica anche in fattispecie diverse da quella qui considerata, se si ammette, come pare sostenibile, che un coniuge possa, ad esempio, donare all’altro un bene oggetto di comunione oppure dargli in locazione uno stabile comune».

17 Sul punto, ci si consenta il richiamo alla nostra nota, La giurisprudenza e la casa coniugale: un rapporto in crisi, in Questioni di diritto di famiglia, 2008, n. 2, pp. 42 e ss.

18 Cass. Sez. Un., 27 gennaio 1996, n. 651, cit. sub) n. 100.

19 E. Spitali, op. cit., p. 103, manifesta perplessità sulla rifusione del prezzo della manodopera, non considerata dall’art. 935: «la manodopera, a differenza dei materiali, non può certo essere oggetto “d’acquisto” e cadere quindi in comunione. In tanto l’altro coniuge potrà vantare un credito restitutorio a tal proposito, solo in quanto la manodopera sia stata pagata con denaro comune o addirittura sua proprio, ma in questo caso il credito non sarà comunque fondato sull’art. 935 c.c., sibbene sull’art. 192 c.c., che, appunto, disciplina gli obblighi restitutorî tra coniugi in comunione».

20 Al proposito E. Spitali, op. cit., p. 104, afferma trattarsi di «un’eventualità residuale perché, normalmente, l’edificazione avviene tramite stipulazione di un contratto di appalto e fornitura dei materiali da parte dell’appaltatore, onde non si verifica quella fase antecedente di acquisto di essi che ne consenta la caduta in comunione: di qui l’inesistenza di obblighi di restituzione del coniuge proprietario che abbia finanziato l’opera con denaro proprio».

21 Al riguardo, ancora E. Spitali, op. cit., p. 104, precisa che quanto ora asserito non vale nell’improbabile ipotesi in cui «il coniuge non proprietario abbia eseguito i lavori di sua iniziativa e non solo con beni propri, ma anche all’insaputa dell’altro. in tal caso potrebbe trovare applicazione l’art. 936 c.c. con limitazione dell’indennità alla minor somma tra il costo dei materiali e della manodopera, da una parte, e l’incremento di valore del fondo, dall’altra».

22 In tal senso, Cass. 14 marzo 1992, n. 3141, cit., secondo la quale «il rifiuto della tesi dell’acquisizione della costruzione al patrimonio comune dei coniugi comporta non già il totale disconoscimento di una tutela dell’altro coniuge in ordine al recupero delle somme sborsate per la costruzione, ma implica solo l’individuazione di una tutela diversa, ossia, a seconda dei casi, quella di cui all’art. 192, comma 1, oppure all’art. 2033 c.c.». Pertanto, se il denaro comune viene utilizzato per costruire sul fondo in proprietà esclusiva di uno dei coniugi, si applica l’art. 192, comma 1; per contro, «qualora nella costruzione sia stato impiegato danaro appartenente in via esclusiva all’altro coniuge, a quest’ultimo spetterà il diritto di ripetere la relativa somma, ai sensi dell’art. 2033 c.c.» e non anche, quindi, dell’art. 192, comma 3, evidentemente non ritenuto da questo Giudice interpretabile estensivamente in tale ipotesi. G. Oberto, op. cit., p. 780, correttamente osserva che «entrambi i rimedi invocati da questa pronunzia della Cassazione tendono alla reintegrazione di un coniuge nei diritti di cui quest’ultimo era titolare (rispettivamente pro quota o per intero) al momento dell’appropriazione compiuta dall’altro. Essi non hanno dunque nulla a che vedere con la regola “solidaristica” che impone la caduta in comunione dei diritti acquistati, ma si limitano ad impedire che un soggetto s’arricchisca ingiustificatamente in danno dell’altro. Sotto questo profilo può quindi dirsi che il coniuge viene trattato esattamente come un qualsiasi terzo».

23 Così, P. Di Martino, op. cit., p. 107, la quale precisa che l’ultima soluzione è percorribile «ove si ammetta che tale dichiarazione, che contiene l’indicazione dei mezzi usati per l’acquisto, produca gli effetti della rinuncia da parte dell’altro coniuge alla contitolarità del diritto di proprietà sul bene».

24 Relativamente a tale locuzione la Suprema Corte ha preso posizione con tre successive sentenze, ravvicinate nel tempo. Con la prima, Cass., 11 giugno 1991, n. 6622, in Giust. civ., 1991, I, p. 2949, i Giudici hanno ritenuto non necessario soffermarsi sul significato della locuzione “compiuti”, al fine di stabilire se la lett. a) dell’art. 177, sia compatibile con l’automatismo dell’acquisto della proprietà per accessione. Con la seconda, Cass., 14 marzo 1992, n. 3141, in Giust. civ., 1992, I, p. 1731, la Suprema Corte ha mutato opinione, rilevando che il lemma verbale utilizzato nella norma presuppone il previo esercizio di un’attività negoziale da parte del coniuge, cioè un acquisto a titolo derivativo. Infine, con la terza sentenza, Cass., 16 febbraio 1993, n. 1921, in Riv. Not., 1993, p. 1226, il Giudice di legittimità ha ribadito che il principio di accessione prevale sulla comunione legale, con argomentazioni analoghe a quelle della prima decisione. Idem, nella sentenza che si commenta.