La falsità del testamento olografo. II parte: i profili penalistici

Fiorella Albanese, La falsità del testamento olografo. II parte: i profili penalistici, in https://www.lexenia.it

Abstract

Nella prima parte di questo lavoro la trattazione si è focalizzata sulla ricostruzione della disciplina civilistica e degli orientamenti giurisprudenziali stratificatisi sulla falsità del testamento olografo con particolare riguardo alle ipotesi di guida della mano.

Nel prosieguo invece si passerà ad esaminare le ricadute che gli approdi (dottrinali e giurisprudenziali) civilistici summenzionati hanno determinato sul crinale penale.

1 Il falso in scrittura privata: aspetti generali  – 2 La rilevanza penale della guida della mano nella redazione del testamento olografo – 3 Conclusioni

1 Il falso in scrittura privata: aspetti generali.

L’analisi deve necessariamente muovere dall’esame della fattispecie penale del falso in scrittura privata[i], disciplinato all’art. 485 c.p.

Il reato è inserito nel titolo VII dedicato ai delitti contro la fede pubblica. Il bene giuridico tutelato è costituito dalla situazione documentale apparente rilevante ai fini della prova giudiziale ed extragiudiziale; il legislatore ha difatti inteso preservare la genuinità dei mezzi di prova utili al fine di assicurare un ordinato traffico giuridico ed economico[ii].

La fattispecie tipica consta di una duplice condotta: l’attività di falsificazione e l’uso della scrittura privata falsa.

Per falsificazione deve intendersi la formazione di una scrittura falsa ovvero l’alterazione di una scrittura privata vera.

Ritorna pertanto utile la distinzione tracciata nell’analisi dei profili civilistici della falsità in olografo[iii], fra interventi del terzo in sede di confezionamento dell’atto, che vanno ricondotti alla prima ipotesi e interpolazioni all’atto già perfezionato, rappresentative della seconda ipotesi.

Non è sufficiente la contraffazione della scrittura affinché l’agente venga sanzionato poiché il reato si considera perfezionato solo allorquando della scrittura privata falsa venga fatto uso, ossia quando si verifichi l’uscita dell’atto dalla disponibilità dell’autore del fatto e la produzione di effetti giuridici nei riguardi dei terzi, estranei alla falsificazione[iv]. La questione ha risvolti applicativi di considerevole rilievo, incidendo, oltre che sulla determinazione del foro competente, che, come noto, guarda al locus commissi delicti, soprattutto sulla prescrizione, che inizia a decorrere al momento del perfezionamento del delitto.

Non ogni utilizzazione del documento può considerarsi uso, dovendosi per ciò intendere la precipua finalizzazione giuridica dell’atto al conseguimento dello scopo cui esso sarebbe destinato se non fosse falso. È invece irrilevante il modo di uso, potendosi configurare in un atto tanto giudiziale quanto stragiudiziale[v]. Nel caso del testamento olografo costituisce tipica ipotesi di uso la pubblicazione[vi], che in quanto atto di pertinenza del notaio, sfugge alla diretta disponibilità del soggetto attivo, richiedendo la collaborazione di un terzo (il notaio appunto)[vii].

La pubblicazione del testamento tuttavia non costituisce condizione esclusiva per la sua efficacia: gli eredi possono dare spontanea esecuzione al testamento, a prescindere dalla pubblicazione (art. 590 c.c.), è quanto sovente accade allorquando l’erede testamentario si immetta nel possesso dei beni in virtù delle disposizioni testamentarie false.

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Ad ogni modo questo utilizzo, per quanto giuridicamente rilevante, si ritiene non valga, di per sé solo, a integrare la consumazione del reato ex art. 485 c.p.: sarà eventualmente necessario contestare il testamento (da parte degli eredi legittimi), acciocché l’erede si veda costretto a farlo pubblicare.

Si introduce in questa riflessione il tema della configurabilità del tentativo. Sebbene una parte della dottrina e della giurisprudenza[viii] ammetta il tentativo di falso, un ormai datato precedente sembra smentire questo orientamento, considerando consumato il reato anche nelle ipotesi di mancata pubblicazione, quando l’agente abbia posto in essere una condotta prodromica alla pubblicazione, lasciando il documento contraffatto in luogo ove sarebbe inevitabilmente reperito dall’autorità poi costretta a pubblicarlo[ix].

Restando sul piano dell’elemento materiale del reato, ha destato perplessità l’applicazione della sanzione penale al documento invalido. Una parte della dottrina[x] ha infatti evidenziato come l’eventuale invalidità del documento contraffatto farebbe venire meno la sua efficacia probatoria, così rendendo inoffensiva la condotta dell’agente. La tesi in questione muove dalla valorizzazione della funzione probatoria del documento, la veridicità del quale costituisce il bene giuridico protetto dal reato: l’eventuale invalidità dell’atto avrebbe inevitabili ripercussione sull’inefficacia probatoria del documento che ne è espressione, elidendo a monte la possibilità di lesione, verrebbe pertanto meno l’offensività della condotta[xi].

A questa tesi si controbatte rilevando come il documento, espressione di un atto invalido, ben possa produrre effetti giuridicamente rilevanti (per quanto transeunti), specie allorquando trattasi di testamento olografo, giacché in ambito successorio sono emendabili non soltanto le annullabilità ma altresì le nullità (art. 590 c.c.)[xii]. Si è quindi proposta una soluzione correttiva della tesi testé citata, che ammette come limite all’applicazione della fattispecie ex art. 485c.p. solo la falsificazione di un documento espressione di un testamento inesistente. Deve ritenersi inesistente l’atto che manca degli elementi essenziali necessari alla sua identificazione come testamento olografo.

La giurisprudenza sembra avere accolto quest’ultima soluzione, escludendo che possa costituire ostacolo all’applicazione della sanzione il fatto di avere falsificato un testamento poi rivelatosi meramente invalido, attribuendo rilievo esclusivamente all’ipotesi di radicale inesistenza[xiii].

Quanto all’elemento soggettivo della fattispecie occorre, accanto al dolo generico (che abbraccia tutti gli elementi costitutivi della fattispecie), il dolo specifico di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri un danno.

La giurisprudenza ha precisato come non costituisca una condizione di punibilità l’ingiustizia del vantaggio, dovendosi ritenere indifferente, sul piano della sanzionabilità penale, che l’agente abbia posto in essere la condotta per conseguire un vantaggio lecito, che gli spettasse di diritto (vedi anche infra, par. 2).

Il legislatore penale ha equiparato il testamento olografo, agli effetti della pena, agli atti pubblici, prevedendo all’art. 491 c.p. un rinvio alla sanzione disposta all’art. 476 c.p. diminuita ai sensi del 482 c.p. La falsità in olografo è poi procedibile d’ufficio, diversamente per le altre scritture private, ove occorre la querela di parte.

2 La rilevanza penale della guida della mano nella redazione del testamento olografo

Delineati i tratti del reato di falso in olografo, occorre focalizzare l’analisi sulle condotte di sostegno al de cuis poste in essere dal terzo note come “guida della mano”[xiv], al fine di verificarne la sussumibilità o meno nel reato summenzionato.

Anzitutto quanto all’elemento materiale del reato di falso, con una pronuncia (relativamente) recente la Cassazione è intervenuta, ritenendo integrato l’elemento oggettivo del reato nelle ipotesi di scrittura a mano guidata[xv].

Critica nei confronti di questo orientamento una parte della dottrina[xvi] che osserva come in questi casi la condotta debba considerarsi sostanzialmente inoffensiva e dunque manchi, in toto, l’elemento oggettivo (rectius: il fatto tipico).

Sul profilo dell’antigiuridicità, altra dottrina ha ravvisato nelle ipotesi di scrittura a mano guidata gli estremi per l’applicazione della scriminante del consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.) – che in materia di falso documentale ha condotto all’elaborazione della teorica del falso autorizzato o consentito-; il fatto che l’autore dell’atto abbia dato il proprio consenso all’intervento (falsificatore) del terzo fa sì che non venga alterata la genuinità del documento, restando la condotta irrilevante per l’ordinamento penale[xvii].

La teorica affonda le proprie radici nella dottrina tedesca del mandato ad scribendum incline a “spiritualizzare” la provenienza del documento, che valorizza la paternità intellettuale dell’atto: «Autore non è chi materialmente forma il documento, bensì chi assume la veste di garante della dichiarazione giuridica rilevante. In quest’ottica il terzo autorizzato a firmare agisce da semplice strumento esecutivo del padre effettivo del documento»[xviii].

La ricostruzione è criticata da quanti ravvisano in questa ermeneusi una confusione fra atto e documento, osservando come solo l’atto, in quanto espressione di una dichiarazione di volontà compiuta per conto o in nome altrui, può essere oggetto di mandato; diversamente per il documento che, in quanto mezzo di esternazione, deve essere sempre riferibile a colui che lo confeziona e sottoscrive[xix]. Soluzione questa fermamente osteggiata anche dalla giurisprudenza che nega l’efficacia scriminante del falso autorizzato o consentito[xx], ponendo a fondamento di questa esclusione la indisponibilità, da parte dell’autore apparente dell’atto falso, del bene giuridico tutelato dal delitto di falso in scrittura privata, ossia la fede pubblica.

Qualcun altro ha tentato di valutare il problema dalla prospettiva dell’elemento soggettivo, ritenendo insussistente il dolo generico in tutte le ipotesi di falso consentito (per usare impropriamente una terminologia mutuata dalla teorica che vi ravvisa una scriminante) e dunque di scrittura a mano guidata. Difatti la certezza dell’agente di intervenire in aderenza e conformità alla volontà del de cuius sarebbe incompatibile con il dolo, in quanto la rappresentazione e l’intenzione di falsificare il documento sarebbero esclusi (il dolo generico, come noto, deve ricadere su tutti gli elementi della fattispecie tipica).

Non concorda con questa ricostruzione la giurisprudenza che ha sottolineato come non abbia rilievo alcuno la convinzione dell’agente della liceità del falso, risolvendosi la medesima nell’ignoranza della legge penale che, ai sensi dell’art. 5 c.p. non può invocarsi come scusa[xxi].

Altra soluzione viene proposta dalla dottrina che esclude la sussistenza del dolo specifico, ossia del fine di procurare a sé o altri un vantaggio o di recare ad altri un danno[xxii]. In particolare si è dato implicito rilievo alla ingiustizia (mai menzionata dalla norma) del vantaggio; si è all’uopo osservato come solo allorquando il vantaggio anelato fosse ingiusto può muoversi un rimprovero al falsificatore. Questa soluzione, come si è già avuto modo di osservare, non ha tuttavia trovato avallo da parte della giurisprudenza che ha con fermezza escluso questa interpretazione della norma penale[xxiii].

Osservazioni conclusive anche alla luce dei profili civilistici

A parere di chi scrive la condotta di guida della mano non configura la fattispecie del falso in scrittura privata in quanto manca a monte la condotta tipica: falsificare, contraffare.

Una volta constatata la conformità del documento alla volontà del suo autore[xxiv], diventa infatti inopportuno e inconferente il rinvio alla disciplina sostanziale dell’olografia. E ciò in quanto non può darsi contenuto al concetto di contraffazione e falsificazione del documento mediante il richiamo della disciplina civilistica che predispone rigidi e specifici requisiti (scrittura autografa integrale) per la validità del testamento olografo (dunque della validità dell’atto, non del documento). In altre parole non sembra corretto assurgere, a parametro ermeneutico della falsificazione di un documento, i requisiti civilistici richiesti per la validità formale (sostanziale) del corrispondente atto.

Vieppiù che quei (rigidi e specifici) requisiti trovano in realtà mitigazione proprio nel contesto civilistico nel quale originano, giacché la sanzione dell’indegnità, che trova applicazione al falsificatore (o all’utilizzatore del testamento falso) non si estende all’erede che abbia guidato la mano del testatore in ossequio alla sua ultima volontà[xxv] e persino la sanzione dell’inefficacia può essere risparmiata all’atto su cui sia intervenuta la mano aliena del terzo[xxvi].

In conclusione, si attende e auspica un ripensamento dell’interprete che da una parte calmieri il requisito dell’esclusività dell’olografia, aprendosi in modo più deciso e coerente alle evoluzioni della scienza grafologica e che dall’altra restituisca al concetto di falsificazione penale una sua autonomia semantica, evitando di confondere la disciplina del negozio con quella del documento.

[i] «Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, forma, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa o altera una scrittura privata vera, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata».

[ii]                de amicis, Dei delitti contro la fede pubblica, in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Vol. X,  a cura di Lattanzi, Lupo, Milano, 2010, 514.

[iii]          albanese, La falsità del testamento olografo, I Parte: profili civilistici, in Lexenia.it.

[iv]               Sic Cass. 2.1.1979, in Giur. Pen. 1980, 348. In senso conforme anche Cass. pen., 15.5.1981, n. 4639, in Giur. Pen., 1982, 44, ove si afferma che: «Si ha uso significativo, ai fini del delitto de quo, quando il documento è uscito dalla sfera individuale del colpevole in modo giuridicamente rilevante proiettando all’esterno i suoi effetti giuridici verso i terzi, così che il documento medesimo esca dalla disponibilità dell’autore del falso e passi nella disponibilità di chi ha il diritto di servirsene».

[v]                mastrogiulio, Documenti equiparati agli atti pubblici agli effetti della pena, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, Vol. V, Delitti contro la fede pubblica e l’economia, a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Torino, 2010, 488.

[vi]               T. Alessandria, 18.12.2002, in Dir. Pen. e Processo, 2003, 1002, con nota di tiby Delitto di falso in testamento olografo: spunti problematici. Più recente, T. Santa Maria Capua Vetere, 17.5.2015, in Leggiditalia.it, nonché Cass. pen., 9.7.2010, n. 37238, in CED 248647: «In  tema di falsità documentali, l’uso dell’atto falso che rende la falsità punibile ex art. 485 c.p. consiste in una qualsiasi utilizzazione che abbia giuridica rilevanza; pertanto, in caso di contraffazione di testamento olografo, il reato di falsità materiale si realizza con la pubblicazione del testamento eseguita dal notaio depositario, ex art. 620 c.c.».

[vii]              tiby, cit., 1002.

[viii]             Per una disamina delle posizioni dottrinali e giurisprudenziali si veda tiby, cit. passim.

[ix]               Cass. pen., 17.3.1971, in Giust. pen., 1972, 492.

[x]                Per una panoramica delle diverse posizioni dottrinali e giurisprudenziali si veda de amicis, Dei delitti contro la fede pubblica, cit., 541. Si avverte che l’autore configura le perplessità in questione come cause di non punibilità.

[xi]               de amicis, cit., parla, in generale, di cause di non punibilità. A nostro avviso la questione va più propriamente inquadrata nell’ambito del principio di offensività, dovendosi considerare la condotta inidonea a produrre lesioni al bene giuridico (art. 49 comma 2 c.p.).

[xii]              Si è già osservato come il testamento falso non sia confermabile, qui tuttavia non si discute della confermabilità o meno di un testamento che si sia appurato essere falso, ma del testamento che (oltre ad essere contraffatto) appaia nullo, ma per altri vizi.

[xiii]             Ex multis Cass. pen., 7.11.1979, n. 9294, in CED 143355; Cass. pen., 8 ottobre 1979, n. 82203, in CED 143029. Più recentemente Cass. 18.6.2004, n. 27520, in Cass. pen. 2005, 2248.

[xiv]              Cfr. albanese, La falsità del testamento olografo, I Parte: profili civilistici, cit.

[xv]               Cass. pen., 28.6.2005, in Giur. It., 2007, con nota di Gattiboni, Sulla falsità del testamento olografo scritto con l’aiuto di altra persona. In essa si afferma che: «Integra il delitto di falso materiale in testamento olografo (artt. 476 e 491 c.p.) la redazione di un documento- apparentemente scritto di proprio pugno dal testatore- con l’aiuto materiale di altro soggetto (che gli guidi la mano) in quanto, in tal caso, il documento non è formato come prescritto dalla legge, esclusivamente dal de cuius e, quindi, non è olografo».

[xvi]              In particolare mastrogiulio, Documenti equiparati agli atti pubblici agli effetti della pena, cit., 483. In questo senso anche fiandaca, musco, Diritto penale, Parte Speciale, Vol. I, Bologna-Roma, 2007, 584.

[xvii]             Fiore, Il falso autorizzato non punibile, in Arch. Pen, 1960, 276, Fiandaca, Musco, cit., 581.

[xviii]            fiandaca, musco, cit., 584.

[xix]              de amicis, Dei delitti contro la fede pubblica, cit., 545

[xx]               Cass. pen., 19.5.1956, in Riv. It. Dir. Pen., 1957, 73; Cass. pen. 1.4.1968, in Cass. pen. Mass. Ann. 1969, 801; Cass. pen., 5.9.1975, in Riv. Pen., 1976, 731; Cass. pen., 4.10.1978, in Giust. Pen., 1979, II, 375; Cass. pen., 4.6.1980, Griggio, in Giust. Pen. 1980, II, 31; Cass. 18.2.1981, in Giust. Pen. 1982, II, 221. Da ultimo Cass. 17.4.2009, n. 16328, in CED 243342, secondo la quale: «Ai fini della sussistenza de reato di falso in scrittura privata il consenso o l’acquiescienza della persona di cui sia falsificata la firma non svolge alcun rilievo in quanto la tutela penale ha per oggetto non solo l’interesse della persona offesa, apparente firmataria del documento, ma anche la fede pubblica la quale è compromessa nel momento in cui l’agente faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a sé o altri un vantaggio o per arrecare ad altri un danno: pertanto anche l’erroneo convincimento sull’effetto scriminante del consenso costituisce una inescusabile ignoranza della legge penale».

[xxi]              Sul punto la giurisprudenza è copiosa: Cass. pen., 20.4.1960, in Giur. Pen. 1960, 649; Cass. pen. 29.9.1964, in Giust. Pen. 1965, 598; Cass. pen., 4.12.1975, in Giust. Pen. 1976, 272; Cass. pen., 23.6.1978, in Giust. Pen. 1979,  279

[xxii]             In questo senso mengoni, Intervento dell’erede nella scritturazione del testamento olografo, in Temi, 1950,  225 (nota a Cass. 16.3.1949), che critica la sentenza commentata per avere affrontato la questione sul piano della tipicità. Il caso riguardava l’aiuto prestato dalla moglie al marito atassico nella redazione del testamento olografo. La questione riguarda la sanzione civile dell’indegnità, non è in discussione, invece, la responsabilità penale dell’aiutante. L’autore, discostandosi dalla posizione della Corte, ritiene che: «il consenso del de cuius a mettere la sua mano inerte in quella della moglie onde costei redigesse il falso olografo in questione è rilevante piuttosto in quanto esclude nella moglie il dolo specifico necessario per l’incriminazione penale del falso in scrittura privata».

[xxiii]            «Non occorre, per la sussistenza del falso in scrittura privata, che il vantaggio abbia il carattere dell’ingiustizia, poiché l’art. 485 c.p. non richiede una siffatta connotazione dell’utilità prefissasi dall’agente, diversamente da quanto si richiede per il delitto di truffa». Sic Cass. pen., 16.12.1978, in Cass. pen. 1979, II, 358; Cass. pen., 20.2.1980, in Giust. Pen., 1980, II, 653. E ancora: «Il delitto di falso in scrittura privata si configura anche se il vantaggio preso di mira dall’agente sia legittimo»,  Cass. pen. 6.11.1975, in Giust. Pen. 1976, 509.

[xxiv]        In ipotesi di difformità non si discuterebbe della condotta di guida della mano, ma delle ipotesi di mano abbandonata e mano forzata, le quali eventualmente, concreterebbero, insieme alla falsificazione anche altre fattispecie di reato (violenza etc.).

[xxv]         La considerazione va letta anche alla luce del principio dell’extrema ratio.

[xxvi]         Si pensi alle aperture (per quanto timide) giurisprudenziali alla validità del testamento su cui sia intervenuto il terzo e alle considerazioni in tema di convalida, albanese, La falsità del testamento olografo, cit. 

Avvocato, iscritta all’Albo dell’Ordine di Bologna dal 2014. Attualmente esercita la professione di avvocato, occupandosi di diritto civile e commerciale. E’ cultore della materia, in diritto privato, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna. Specializzata in professioni legali, presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali “E. Redenti. Ha conseguito la laurea Magistrale in Giurisprudenza, presso l’Università di Bologna, con punteggio di 110/110 e lode.

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