Promessa di matrimonio: giusti motivi di rifiuto e danni risarcibili.

Sveva Ricci, Promessa di matrimonio: giusti motivi di rifiuto e danni risarcibili, in https://www.lexenia.it

 

Cassazione civile, sezione III civile, 15 ottobre 2015, n. 20889

Pres. Salmè G. – Rel. Pellecchia – Amendola A. – Ambrosio – De Stefano

Matrimonio – Promessa di matrimonio – Recesso ingiustificato – Giusti motivi di rifiuto – Obbligo di risarcimento – Configurabilità – Danni risarcibili – Limiti.

(Cod. civ. artt. 79, 81)

 

Il rifiuto ingiustificato di contrarre matrimonio determina a carico del soggetto recedente l’obbligo di risarcire, ex art. 81 c.c., tutte le spese (giustificate e finalizzate) sostenute in vista della celebrazione del matrimonio.

 

IL FATTO.

La vicenda è la seguente.

Dopo una relazione sentimentale durata undici anni, due fidanzati decidono di contrarre matrimonio (pare: con rito concordatario), facendo richiesta all’ufficiale di stato civile delle dovute pubblicazioni. Oltre agli esborsi riconducibili alla celebrazione del matrimonio e, dunque, al giorno dell’evento nuziale, uno dei nubendi (nella specie: la donna), avvalendosi delle proprie competenze di geometra, intraprende lavori di ristrutturazione nell’abitazione dell’altro nubendo (nella specie: l’uomo), scelta quale futura casa coniugale e si fa carico, in parte, dell’acquisto degli arredi necessari.

Tuttavia, una settimana prima delle (programmate) nozze, lui rifiuta di procedere alla celebrazione del matrimonio, rivelando inaspettatamente di avere un’altra relazione sentimentale.

La “mancata sposa” decide, allora, di agire in giudizio per ottenere un risarcimento delle spese sostenute a causa delle nozze sfumate; l’ex fidanzato, per contro, tenta di sottrarsi alla pretesa risarcitoria, giustificando il proprio rifiuto con la scoperta di un presunto tradimento da parte della futura moglie.

Mentre in primo grado il Tribunale respinge le pretese risarcitorie avanzate dalla donna, le stesse trovano totale accoglimento nel successivo grado di appello.

La questione giunge dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, che, confermando le conclusioni raggiunte in sede di gravame, afferma che l’uomo deve risarcire tutte le spese sostenute dalla futura moglie, le quali, collocandosi in epoca prossima alle nozze, mostrano una relazione di causa ad effetto con l’evento-matrimonio.

La vicenda consente, anzitutto, di rilevare che la promessa di matrimonio, quale atto preparatorio alle nozze, continua a mantenere una sua importanza anche ai giorni nostri ed appare tuttora una delle forme comunemente utilizzate prima di intraprendere un progetto di vita comune[1].

Nella sentenza in epigrafe, la Suprema Corte, incentrando la motivazione intorno alle nozioni di “giusto motivo” e di “danni risarcibili”, offre l’occasione per riflettere sul significato e sulla portata di tali presupposti di applicabilità dell’art. 81 c.c.

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PROMESSA DI MATRIMONIO E LIBERTÀ MATRIMONIALE.

La promessa di matrimonio è qualificabile come una dichiarazione bilaterale resa tra due soggetti che si promettono di unirsi in matrimonio[2]. Essa si colloca in un periodo, definito anche di “fidanzamento”[3], durante il quale la coppia ha modo di conoscersi e di sperimentare la propria indole, preparandosi materialmente e spiritualmente alle future nozze[4].

La ratio ispiratrice dell’istituto de quo è il principio di libertà matrimoniale, quale massima di ordine pubblico riconosciuta sia a livello nazionale dagli artt. 29 e 30 Cost. sia a livello sovranazionale dalla CEDU (art. 12), dalla Carta di Nizza (art. 9) e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art. 16), nonché quale diritto inviolabile di ogni individuo (art. 2 Cost.), che garantisce alla personalità umana la sua piena estrinsecazione, anche durante questo momento di espressione esistenziale[5].

Alla necessità di salvaguardare la libertà matrimoniale è ispirato il dettato dell’art. 79 c.c., che, statuendo la non coercibilità alla celebrazione delle nozze[6], comporta l’invalidità di ogni strumento di coartazione diretta o indiretta di tale libertà[7] e consente di qualificare il rifiuto di contrarre matrimonio come esercizio di un diritto e non già come condotta antigiuridica[8].

Il legislatore ha, tuttavia, operato un bilanciamento tra la summenzionata libertà e il legittimo affidamento ingenerato nel soggetto destinatario della promessa di matrimonio che, se ingiustificatamente frustrato, merita di ricevere un’adeguata tutela: così, l’art. 80 c.c. obbliga alla restituzione dei doni laddove sia rimasta inadempiuta la promessa semplice, intesa come fatto privo di ogni requisito formale e sostanziale; così, l’art. 81 c.c. obbliga al risarcimento dei danni solo nel caso in cui il rifiuto abbia riguardato la promessa solenne (scil. gli sponsali), caratterizzati da tutti gli elementi di forma e di sostanza che lo stesso articolo 81 c.c. richiama espressamente[9].

Proprio sugli articoli 80 ed 81 c.c. si fonda la tesi, oggi avvalorata anche da recenti arresti giurisprudenziali[10], che qualifica la promessa di matrimonio quale fonte di una speciale obbligazione ex lege.

Dal divieto di coercizione e dai (sia pure) limitati effetti giuridici riconosciuti dal nostro ordinamento giuridico si desume che la promessa di matrimonio, sebbene trovi origine nel costume sociale, sia dotata di valore giuridico e sia, dunque, un vero e proprio istituto[11].

 

I GIUSTI MOTIVI DI RICUSAZIONE DELLA PROMESSA.

La fattispecie da cui trae origine la sentenza in epigrafe riguarda proprio i c.d. sponsali, ossia quella promessa di matrimonio dotata della solennità scaturente dal rispetto dei requisiti individuati dall’art. 81 c.c. (promessa fatta vicendevolmente, nella forma di atto pubblico ovvero di scrittura privata, da una persona maggiore di età o dal minore ammesso a contrarre matrimonio ex art. 84 c.c. o, ancora, mediante richiesta di pubblicazioni, come nel caso de quo).

L’ex fidanzato (ricorrente), nel tentativo di sottrarsi all’onere risarcitorio consequenziale alla rottura ingiustificata della promessa solenne, invoca la scoperta di un tradimento dell’altro nubendo (la futura moglie) come motivo alla base del suo rifiuto di convolare a nozze, ma la Suprema Corte non reputa fondata la ragione addotta dall’uomo, limitandosi a riconoscere scevra da vizi logici, formali e giuridici la soluzione cui erano giunti i giudici d’appello.

Al riguardo, è possibile svolgere alcune considerazioni.

Il sintagma “giusto motivo”, richiamato dal primo comma dell’art. 81 c.c., è connesso al concetto di “colpa” di cui al comma successivo, agendo nel primo caso come “scriminante” della condotta posta in essere dall’autore del rifiuto e nel secondo caso come elemento da cui far scaturire la responsabilità del soggetto che, pur non ricusando egli stesso le nozze, induce l’altro promittente a mantenere tale contegno[12]: in altri termini, se la ricusazione del matrimonio è fonte di responsabilità solo nel caso in cui non sia giustificata, è agevole giungere alla conclusione che sia proprio la colpa dell’altro promittente a rendere quel rifiuto incolpevole[13].

La casistica giurisprudenziale mostra come i due concetti di cui si discute abbiano un carattere relativo, la cui esistenza viene accertata mediante una valutazione della fattispecie concreta, coadiuvata da un’analisi tanto di elementi oggettivi, quali le tradizioni ed il contesto socio-familiare dei nubendi, quanto di elementi soggettivi, riconducibili alla sfera personale dei promittenti ed alle loro abitudini di vita[14].

Si è ritenuto in dottrina di poter individuare indici di portata generale a tali fini: in particolare, si riconoscono dotati di rilevanza tutti quei fatti ignorati al momento della promessa, ma che, se conosciuti, avrebbero dissuaso il promittente dalla conclusione dei c.d. sponsali in quanto fatti gravi e seri, tali da giustificare un rifiuto delle nozze[15].

Una maggiore concretizzazione dei “giusti motivi” si avrebbe in quei fatti che determinerebbero una separazione se i nubendi fossero sposati[16] e nell’art. 122, terzo comma, c.c., che, contemplando situazioni idonee a fondare una richiesta di annullamento di un matrimonio già celebrato, individua, a fortiori, anche le ipotesi in cui la serietà e la gravità delle motivazioni addotte a sostegno del rifiuto alle nozze sembrano essere indiscutibili[17].

Il legislatore ha così indicato quali vicende personali siano idonee a comportare oggettivamente un’intollerabilità della convivenza: si dovrebbe allora riconoscere importanza a caratteri (fisici o etici) quali la salute (anche mentale), la moralità, l’incensuratezza dei soggetti, nonché il rispetto della fides sponsalicia[18], mentre sarebbe opportuno abbandonare quelle ipotesi (quali la posizione sociale o l’adeguatezza del patrimonio) che oggi non appaiono degne di assurgere a validi motivi di rifiuto alle nozze.

Con riferimento alla vicenda posta all’attenzione dei giudici di legittimità, la scoperta del tradimento della futura moglie può ben essere astrattamente considerata giusto motivo di ricusazione delle nozze, poiché rientra in quel livello di serietà e gravità delineato dall’art. 122, terzo comma, c.c. ed è ragione tale da rendere intollerabile la prosecuzione del rapporto sentimentale (tra due coniugi).

Bisogna, allora, chiedersi perché le scelte operate dai giudici nel caso de quo non risultino aderenti a tali conclusioni.

La soluzione in senso opposto dimostra che, anche quando il motivo alla base del rifiuto rientra oggettivamente nel novero di quei fatti che, se precedentemente noti, non avrebbero portato a concludere la promessa, riveste un’indubbia importanza (ai fini della soluzione del caso concreto) soprattutto la valutazione soggettiva che l’organo giudicante effettua della ragione posta a fondamento della ricusazione: valutazione che, invero, è basata, più che su elementi di natura giuridica, sulla morale e sul sentire comune[19]. Nel caso di specie, la relatività del giusto motivo si è manifestata attenuando la valutazione strettamente giuridica attraverso un esame soggettivo delle abitudini di vita dei promittenti e giudicando non così “intollerabile” la presunta infedeltà della futura moglie, a fronte dell’analogo comportamento mantenuto dall’uomo.

A ciò va aggiunto che, se il soggetto ricusante vuole giustificare il suo rifiuto e sottrarsi così all’obbligo risarcitorio predisposto dall’art. 81 primo comma c.c., deve fornire una rigorosa prova che il proprio contengo abbia trovato origine nella colpa dell’altro promittente[20]; altrimenti ne deriva, come logica conseguenza, l’applicazione della regola generale della soccombenza per il fatto non provato. Così, se la scoperta dell’infedeltà dell’altro integra astrattamente gli estremi del giusto motivo per rifiutare il matrimonio, ciò non basta, essendo necessario che sia proprio tale scoperta ad aver inciso causalmente sulla ricusazione.

Da non trascurare, in tale caso, è anche il dato temporale. Infatti, il rifiuto alle nozze è stato reso solo una settimana prima del matrimonio e questo elemento, unitamente ad altri, quale la relazione che l’uomo intratteneva con un’altra donna, è spesso elevato a significativo indizio dell’assenza di una ragionevole giustificazione[21].

La soluzione cui è giunta la Suprema Corte rispetto a tale vicenda consente, dunque, di osservare che la serietà e gravità del giusto motivo resta sempre soggetta ad una valutazione selettiva e discrezionale da parte del giudice, non riuscendo a cristallizzarsi in indici che predeterminino oggettivamente quando la motivazione concretamente fatta valere in giudizio sia giusta ed escluda l’effetto risarcitorio previsto dall’art. 81 primo comma c.c.; ciò, tuttavia, porta con sé il rischio di incidere, sebbene solo indirettamente, sul principio di libertà e spontaneità al consenso matrimoniale[22].

 

IL LIMITE DEI DANNI RISARCIBILI.

Dopo aver qualificato come ingiustificato il rifiuto alla celebrazione del matrimonio (del ricorrente), la Suprema Corte ha affrontato la questione (della determinazione) del danno risarcibile.

Nel caso di specie, l’ex fidanzato lamentava che i giudici d’appello avessero eccessivamente ampliato la quantificazione delle spese e delle obbligazioni risarcibili, prevedendo che le stesse coinvolgessero non solo quelle contratte per la celebrazione del matrimonio, ma ogni tipo di obbligazione relativa alla futura vita coniugale.

Anche rispetto a questa censura, la Suprema Corte aderisce all’orientamento interpretativo seguito dalla Corte d’Appello, cogliendo, altresì, l’occasione per precisare che “non possono non essere considerate risarcibili tutte quelle spese (giustificate e finalizzate) che si sostengono in vista del matrimonio”.

La motivazione resa dai giudici di legittimità sul punto dimostra l’importanza di addivenire ad una corretta interpretazione dell’art. 81, primo comma, c.c.

L’obbligo di risarcire il danno sorge soltanto a seguito dell’assunzione di un impegno serio, responsabile e, come tale, vincolante: tali caratteristiche derivano dalla presenza di rigorosi presupposti, ossia (i) la vicendevolezza; (ii) la forma solenne; (iii) la maggiore età del promittente, ovvero la sua emancipazione se minorenne, ai quali si aggiunge, ai fini risarcitori, l’assenza di un giusto motivo per rifiutare la celebrazione del matrimonio[23].

Non sussistendo alcun obbligo di adempiere in capo ai promittenti, la ricusazione delle nozze non si identifica come una forma di inadempimento, ma è espressione del principio di libertà matrimoniale. Allo stesso modo, il danno che eventualmente ne consegue, non si qualifica come ingiusto (il rifiuto, infatti, non è una condotta antigiuridica), ma, al contrario, è un contegno autorizzato dallo stesso legislatore[24].

La ratio dell’obbligo di reintegrazione patrimoniale previsto dall’art. 81, primo comma, c.c. è la tutela del legittimo affidamento del promissario che, deluso da un rifiuto ingiustificato, subisce il danno derivante dall’aver sostenuto spese per il prospettato matrimonio: danno non ingiusto, ma pur tuttavia lesivo di aspettative che sorgono tra i “promessi sposi” durante il periodo di fidanzamento[25]. Pertanto, l’esercizio del diritto di ricusare le nozze si qualifica come atto lecito dannoso[26], cui consegue una tutela non già risarcitoria, bensì indennitaria[27], concessa al soggetto che risenta un pregiudizio dall’esercizio di tale diritto[28].

Attraverso la previsione dell’art. 81, primo comma, c.c., il legislatore opera secondo criteri di opportunità una redistribuzione delle conseguenze patrimoniali derivanti dalla rottura della promessa di matrimonio e persegue il fine di reintegrare il promittente incolpevole e deluso[29].

L’an e il quantum dei pregiudizi indennizzabili vengono circoscritti dal legislatore alle sole “spese fatte ed obbligazioni contratte a causa della promessa di matrimonio”. L’elemento della “causalità” conduce a svolgere in concreto una verifica delle giustificazioni poste a fondamento di ogni spesa ed obbligazione per cui si richiede indennizzo, affinché la reintegrazione disposta dal giudice si limiti al solo pregiudizio costituito da quegli oneri direttamente inerenti al progetto matrimoniale e legati ad esso da un rapporto di interdipendenza, restando, invece, irrilevanti le perdite di altra natura[30].

Sulla base di tali premesse, vengono pacificamente considerate indennizzabili le spese che il promissario ha inutilmente sostenuto e che a seguito dell’abbandono sono rimaste a suo carico, quali quelle per le pubblicazioni[31], per la preparazione della cerimonia nuziale[32], per il viaggio di nozze[33], per l’acquisto degli oggetti destinati specificamente al matrimonio[34], per le spese relative alla ristrutturazione ed all’arredo della futura casa coniugale[35]: si tratta di esborsi che anche la Suprema Corte nel caso di specie riconosce suscettibili di reintegrazione.

Merita, però, di essere vagliata ed approfondita l’obiezione, mossa nel caso di specie dal ricorrente, circa il fatto che le spese oggetto di pretesa risarcitoria siano tutte avvenute prima della promessa di matrimonio.

La Suprema Corte individua il nesso eziologico necessario ai fini della riconoscibilità di un indennizzo nella circostanza che tali spese siano state tutte sostenute in prossimità delle nozze.

Or bene, stando alla lettera dell’art. 81 c.c., le spese indennizzabili non sono quelle che semplicemente si pongono “in un’epoca prossima” alle nozze, come affermano i giudici di legittimità nella decisione in epigrafe, ma sono solo le spese e le obbligazioni causalmente ricollegabili alla promessa di matrimonio. Tale requisito (della “causa”, così chiamato dall’art. 81 c.c.) pone un preciso limite alle pretese patrimoniali derivanti da una promessa di matrimonio non mantenuta e consente di ritenere oggetto di tali pretese soltanto gli esborsi successivi ai c.d. sponsali, non già quelli che sono stati effettuati anteriormente agli stessi[36].

La soluzione accolta dalla Suprema Corte si giustifica, tuttavia, considerando che, quando la solennità della promessa deriva dalla richiesta di pubblicazioni matrimoniali (come nel caso sottoposto ai giudici di legittimità), la disposizione de qua reclama una lettura correttiva.

Infatti, la richiesta di pubblicazioni è un atto temporalmente prossimo alle nozze, ma che può discostarsi molto dal momento in cui è stato originariamente espresso l’intento di contrarre matrimonio[37]. Non accogliere la suddetta interpretazione correttiva porterebbe con sé il rischio di eludere la ratio dell’art. 81 c.c., in quanto verrebbero indennizzate solo le spese e le obbligazioni successive alle pubblicazioni, ma che non rispecchiano affatto quanto inutilmente speso in concreto dal soggetto deluso e che, pertanto, deve essere oggetto di reintegra secondo la volontà del legislatore[38].

Dunque, benché sia condivisibile la scelta dei giudici di legittimità di riconoscere indennizzabili anche quelle spese antecedenti una promessa la cui vincolatività deriva dalla richiesta di pubblicazioni, non appare condivisibile l’argomentazione posta a sostegno di tale soluzione, che sembra confondere la vicinanza temporale tra le spese e le nozze con il nesso funzionale che deve invece intercorrere tra matrimonio ed esborsi affinché questi ultimi possano essere oggetto di indennizzo.

Affermare, come nella sentenza in epigrafe, che “la prossimità al matrimonio del totale degli esborsi evidenzia il nesso eziologico con il matrimonio stesso” e che  “non possono non essere considerate risarcibili tutte quelle spese che si sostengono in vista del matrimonio” rischia, allora, di estendere eccessivamente la portata dell’art. 81 c.c., facendo ricadere nell’an della pretesa avanzato dal nubendo deluso anche spese fatte in previsione di un futuro matrimonio, ma non a causa della promessa intercorsa tra i nubendi[39].

[1] Cfr., nella letteratura recente, A. Maniaci, La promessa di matrimonio. Art. 79-81, ne Il Codice Civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F. D. Busnelli, Milano, 2015, 15.

[2] Cfr. ad es. C. Caricato, La promessa di matrimonio, in Famiglia e matrimonio, I,  in Tratt. di dir. priv., Il diritto di famiglia, IV, diretto da M. Bessone, a cura di T. Auletta, Giappichelli, Torino, 2010, 167.

[3] R. Gelli, La responsabilità per rottura della promessa di matrimonio, in AA.VV., La responsabilità nelle relazioni familiari, a cura di M. Sesta, Torino, 2008, 9.

[4] Cfr. ad es. G. Tatarano, La promessa di matrimonio, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, Torino, 1982, 525 ss.; M. Sesta, Diritto di famiglia, Cedam, Padova, 2005, 41.

[5] G. Ferrando, Il matrimonio, in Tratt. di dir. civ. e comm. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, Milano, 2015, 189.

[6] F. Santosuosso, Il matrimonio. Libertà e responsabilità nelle relazioni familiari, Milano, 2011, 49, il quale ricorda come l’art. 79 c.c. sia fedele all’antico principio “inhonestum visum est vinculo poenae matrimonia obstringi”.

[7] Si ritengono, pertanto, nulle clausole penali, caparre confirmatorie ed apposizioni di garanzie personali: cfr. App. Napoli, 13 febbraio 1974, in Giur. it., 1976, I, 2, 168, con nota di F. Finocchiaro, Nullità della caparra come negozio accessorio alla promessa di matrimonio; Cass. 8 febbraio 1994, n. 1260, in Giur. it., 1995, I, 684 ss.; B. De Filippis, Trattato breve di diritto di famiglia, Padova, 2002, 52; G. Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, Padova, 1996, 96 ss. L’assoluta incoercibilità della scelta di contrarre matrimonio è ribadita anche dall’art. 636 c.c., che prevede l’illiceità della condizione apposta ad una disposizione testamentaria con cui si impediscono le prime nozze o quelle ulteriori.

[8] Cfr. A. Maniaci, La promessa di matrimonio, cit., 20, ed ivi ulteriori riferimenti; in giurisprudenza, per tutte, cfr. Cass. 15 aprile 2010, n. 9052, in Fam., pers. e succ., 2010, 743 ss.

[9] C. Caricato, Ancora sulla promessa di matrimonio, in Famiglia, persone e successioni, 2012, 433, che richiama quali presupposti indefettibili della promessa solenne (i) la vicendevolezza; (ii) la forma solenne; (iii) la maggiore età del promittente ovvero la sua emancipazione se si tratta di minore; F. Uccella, Il matrimonio, Cedam, Padova, 1996, 19, il quale precisa che l’art. 81 c.c., dettato ad integrazione dell’art. 79 c.c., riveste lo stesso carattere di norma di ordine pubblico.

[10] Cass. 15 aprile 2010, n. 9052, cit.; Cass. 2 gennaio 2012, n. 9, in La Nuova Giur. civ. comm., 2012, I, 482; Trib. Reggio Calabria, 12 agosto 2003, in Dir. famiglia, 2004, 484; Trib. Monza, 31 marzo 2011, in Banca dati DeJure; Trib. Messina, 10 marzo 2011, in Fam., pers. e succ., 2011, 392. Ma la tesi è risalente: Trib. Roma, 14 gennaio 1948, in Foro it., 1948, I, 141; App. Milano, 25 giugno 1954, in Riv. dir. matr., 1954, 274; Trib. Salerno, 3 settembre 1959, in Temi Nap., 1960, 312; Cass. 10 agosto 1991, n. 8733, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, 397 ss., che esclude che la fattispecie delineata dall’art. 81 c.c. rientri nell’alveo della responsabilità extracontrattuale. In dottrina, cfr. per tutti G. Bonilini, La famiglia, II, Fonti, soggetti, famiglia, I, Milano, 2009, 93.

[11] Sul punto, cfr. amplius A. Maniaci, La promessa di matrimonio, cit., 32; M. Messina-S. Sica, La promessa di matrimonio, in Il matrimonio. Le unioni di fatto. I rapporti personali, in Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza, diretto da G. Autorino Stanzione, Giappichelli, Torino, 2011, 36; F. Santosuosso, Il matrimonio, cit., 50. Contra, tuttavia, M. Ferrara Santamaria, La promessa di matrimonio, Jovene, Napoli, 1940, 47, per cui sarebbe il solo inadempimento scaturente da un comportamento colpevole o ingiustificato ad assumere rilievo giuridico; B. De Filippis, Trattato breve di diritto di famiglia, cit., 56 secondo cui il fatto che l’art. 79 c.c. escluda la realizzazione della promessa di matrimonio mediante strumenti giuridici equivale a negare la sua stessa esistenza come figura iuris.

[12] G. Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., 225.

[13] M. Messina-S. Sica, La promessa di matrimonio, cit., 61.

[14] Cfr. G. Ferrando, Il matrimonio, cit., 278; A. Maniaci, La promessa di matrimonio, cit., 140; D. Feola, La promessa di matrimonio, in Il diritto di famiglia, I, Famiglia e matrimonio, I, nel Tratt. dir. fam., diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, Utet, Torino, 2007, 104 ss.

[15] G. Tatarano, La promessa di matrimonio, cit., 530.

[16] G. Facci, La rottura della promessa di matrimonio: il motivo (in)giusto ed i danni risarcibili, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 584 ss.

[17] G. Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., 227; ID., La promessa di matrimonio, in AA.VV., Famiglia e matrimonio, a cura di G. Ferrando-M. Fortino-F. Ruscello, I, nel Tratt. dir. famiglia, diretto da P. Zatti, Milano, 2011, 351.

[18] G. Oberto, Il matrimonio è morto: evviva la promessa di matrimonio!, in Fam. e dir., 2012, 330 ss.

[19] Cfr. G. Oberto, La promessa di matrimonio, cit., 352; ID. Il matrimonio è morto: evviva la promessa di matrimonio!, cit., 337.

[20] M. Messina-S. Sica, La promessa di matrimonio, cit., 63; in giurisprudenza, a sostegno di tale ripartizione dell’onere probatorio, cfr., ad es. Trib. Milano, 12 maggio 1961, in Giur. it., 1961, I, 2, 529; Cass. 15 aprile 2010, n. 9052, cit.

[21] Un precedente in questo senso è dato da Trib. Bari, 28 settembre 2006, in Corr. merito, 2007, 295.

[22] Cfr. A. Trabucchi, Della promessa di matrimonio, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da G. Cian-G. Oppo-A. Trabucchi, II, Padova, 1992, 27.

[23] C. Caricato, Ancora sulla promessa di matrimonio, in Fam., pers. e succ., 2012, 433.

[24] G. Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., 204 ss.; ID., La promessa di matrimonio, cit., 347.

[25] F. Finocchiaro, Del matrimonio. Artt. 79-83, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1971, 137 ss.; G. Oberto, La promessa di matrimonio, cit., 347; G. Di Rosa, Della promessa di matrimonio, in Comm. cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Della famiglia. Artt. 74-176, a cura di L. Balestra, Torino, 2010, 35; in giurisprudenza, cfr. Trib. Genova, 17 gennaio 2004, in Guida dir., 2004, n. 13, 60; App. Roma, 18 ottobre 2006, in Resp. civ. e prev., 2007, 281.

[26] In merito a tale figura cfr., ex multis, M.A. Mazzola, Responsabilità civile da atti leciti dannosi, Milano, 2007, 146 ss.; C. Buonauro, Responsabilità da atto lecito dannoso, Milano, 2012, 277 ss.; G. Tucci, La responsabilità del danno da atto lecito nel diritto civile, in Riv. dir. civ., 1967, I, 229 ss., spec. 235 ss.

[27] In tal senso, cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia, Milano, 2014, 51-52; A. Maniaci, La promessa di matrimonio, cit., 133.

[28] A. Maniaci, La promessa di matrimonio, cit., 133; G. Bonilini, La famiglia. Fonti, soggetti, famiglia, cit., 93; R. Gelli, La responsabilità per rottura della promessa di matrimonio, cit., 23.

[29] F. Finocchiaro, Del matrimonio. Artt. 79-83, cit., 139-140.

[30] Sul punto, cfr. A. Maniaci, La promessa di matrimonio, cit., 137; E. Corradi, In tema di seduzione con promessa di matrimonio e responsabilità civile, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, 404; A. Finocchiaro, Della promessa di matrimonio, in C. Ruperto, La giurisprudenza sul Codice civile coordinata con la dottrina, I, Delle persone e della famiglia, 2 (artt. 79-149), a cura di A. Finocchiaro, Milano, 2005, 685. In giurisprudenza, cfr. Pret. Acquaviva delle Fonti, 18 ottobre 1967, in Monit. Trib., 1969, 1362; Trib. Milano, 29 marzo 1963, in Riv. dir. matr., 1963, 527; Cass. 21 febbraio 1966, n. 539, in Giust. civ., 1966, 1561; Trib. Roma 14 gennaio 1948, cit.; Cass. 31 luglio 1951, n. 2271, in Giur. it., 1952, I, 15, secondo cui la limitazione de qua è giustificata dall’esigenza di evitare che si possa influire sull’esecuzione della promessa mediante il ricorso a mezzi di indiretta coartazione.

[31] Cass. 31 luglio 1951, n. 2271, cit.

[32] App. Torino, 31 marzo 1942, cit.

[33] App. Bologna, 2 giugno 1930, in Temi Emiliani, 1931, 2.

[34] App. Bologna, 28 marzo 1940, in Rep. Foro it., 1940, voce Matrimonio, n. 36

[35] G. Ferrando, Il matrimonio, cit., 280; M.V. De Giorgi, La promessa di matrimonio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1969, 759 ss.; G. Oberto, La promessa di matrimonio, cit., 353 ss.

[36] Cfr. sul punto A. Maniaci, La promessa di matrimonio, cit., 147.

[37] F. Finocchiaro, Del matrimonio. Artt. 79-83, cit., 172.

[38] Cfr. Trib. Torino, 29 gennaio 2009, in banca dati Leggi d’Italia, in cui è stata riconosciuto come danno risarcibile solo la tassa pagata per l’occupazione del suolo pubblico nella giornata in cui erano stati consegnati i mobili destinati ad arredare la futura casa coniugale, poiché questa era l’unica spesa concretamente sostenuta nel lasso di tempo intercorso tra la richiesta di pubblicazioni e la rottura della promessa matrimoniale.

[39] Cfr. sul punto A. Maniaci, La promessa di matrimonio, cit., 148.  

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