Il danno parentale: definizione, natura e criteri risarcitori

Domenico Chindemi, Il danno parentale: definizione, natura e criteri risarcitori (Commento a Cass. 9-5-.2011, n. 10107), in Responsabilità civile e Previdenza, 2011, 2232

Il danno parentale: definizione, natura e criteri risarcitori

La Cassazione enuncia e ribadisce la nozione e i criteri risarcitori del danno parentale, operando la distinzione con il danno tanatologico (danno da morte), non risarcibile iure hereditatis trattandosi di diritto personalissimo della vittima (diritto alla vita), insuscettibile di trasmissione per via ereditaria a differenza del danno parentale che produce una alterazione della agenda quotidiana dei parenti sopravvissuti e che si sostanzia in un pregiudizio di valenza esistenziale, risarcibile “iure proprio” agli stretti congiunti della vittima.

Massima

Il danno da perdita del rapporto parentale va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (Cass. 9 maggio 2011, n. 10107).

In senso conforme: Cass., 12 giugno 2006, n. 13546;

Sommario: 1) Il danno parentale: definizione e natura giuridica; 2) Criteri risarcitori del danno parentale e soggetti legittimati; 3) Prova del danno parentale

1) Il danno parentale: definizione e natura giuridica

La sentenza in rassegna enuncia la differenza e pone la distinzione tra danno tanatologico e danno parentale, distinto dal danno morale rappresentato dal dolore per la perdita della persona cara, concretandosi il danno parentale “nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti”.

Il danno parentale consiste nella privazione di un valore non economico ma personale, che “va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono,” costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell’ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell’interesse protetto1.

Viene valutato il “vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti”

Tale pregiudizio si colloca nell’area dell’art. 2059 c.c. e ristora un interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell’art. 2043 c.c., nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad un risarcimento, ai sensi dell’art. 2059 c.c., senza il limite ivi previsto in correlazione all’art. 185 c.p., in ragione della natura del valore inciso, vertendosi in tema di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato.

Il danno parentale ha anche risvolti esistenziali e rileva anche sotto il profilo del pregiudizio morale, affermando la Suprema Corte, nelle citate sentenze di San Martino, che “la menzione del danno esistenziale si rinviene anche nella sentenza n. 4783/2001, che ha definito esistenziale la sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche (e quindi in presenza di reato), alle quali era seguita dopo breve tempo la morte, ed era rimasta lucida durante l’agonia, e riconosciuto il risarcimento del danno agli eredi della vittima”.

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Viene qui in considerazione il tema della risarcibilità della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo. Sofferenza che, non essendo suscettibile di degenerare in danno biologico, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, non può che essere risarcita come danno non patrimoniale da lesione parentale di natura esistenziale allorché la morte del congiunto incida “profondamente” nel complessivo assetto interpersonale con una “rimarchevole” dilatazione dei bisogni, occorrendo, tuttavia, ai fini del predetto riconoscimento, una qualitativamente rilevante intensità dell’alterazione esistenziale tanto da provocare uno “sconvolgimento delle abitudini di vita” che non costituisca un fatto meramente intellettivo e interiore, occorrendo l’“obiettivazione” che deve estrinsecarsi nell’“alterazione del modo di relazionarsi del soggetto sia all’interno del nucleo familiare che all’esterno di esso nell’ambito dei comuni rapporti della vita di relazione2.

Ai fini del riconoscimento del pregiudizio esistenziale da lesione parentale, non è necessario, che si accerti la modificazione peggiorativa in senso permanente della personalità del soggetto, essendo sufficiente la considerevole alterazione delle abitudini di vita, incidendo il primo aspetto sulla entità del risarcimento, con una maggiorazione ove venga accertata una modificazione in senso peggiorativo di natura permanente anche di tale aspetto di valenza interiore; rileva l’alterazione dei ritmi di vita che deve esternarsi nella lesione di valori della persona di rilevanza costituzionale, non potendo essere suscettibili di risarcimento un semplice stato di disagio o di fastidio che sovente accompagnano la nostra esistenza quotidiana, dovendosi limitare l’eccessiva dilatazione del danno esistenziale, con esclusione nel caso di pregiudizi di tipo “bagatellare”, come affermato dalle Sezioni Unite del novembre 2008.

Puntualizza la S.C. che “il danno parentale è ontologicamente diverso da quello che consegue alla lesione della integrità psicofisica (danno lato sensu, biologico), si collega alla violazione di un diritto di rilevanza costituzionale diverso dal diritto alla salute tutelato dall’art. 32 Cost., l’uno e l’altro, peraltro, definitivamente trasmigrati – non come autonome categorie di danno, ma come entità descrittive della conformazione che l’unitaria figura del danno non patrimoniale di volta in volta assume in concreto – nell’area normativa dell’art. 2059 cod. civ. dopo che per anni avevano trovato copertura nell’ambito dell’art. 2043, in combinato disposto con i diritti fondamentali costituzionalmente tutelati”

Trattasi “non già della violazione del rapporto familiare quanto piuttosto delle conseguenze che dall’irreversibile venir meno del godimento del congiunto e dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali discendono3.

Oggi il danno parentale per la morte dei congiunti, comprensivo del pregiudizio morale, deve essere integralmente risarcito mediante l’applicazione di criteri di valutazione equitativa rimessi alla prudente discrezionalità del giudice, in relazione alle perdite irreparabili della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia, naturale o legittima, ma solidale in senso etico.

La sentenza in commento ribadisce che “il danno cosiddetto catastrofale – e cioè la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia – è risarcibile e può essere fatto valere iure hereditatis unicamente allorché essa sia stata in condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè avuto l’angosciosa consapevolezza della fine imminente, mentre va esclusa quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente il coma e il danneggiato non sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso4

Stante la particolare intensità del danno e la gravità delle lesioni, non suscettibili di guarigione, non può essere liquidato ricorrendo agli usuali criteri di calcolo propri del danno da invalidità permanente, stante la rilevante ripercussione delle lesioni nella sfera psichica della vittima, sotto forma di angoscia e di disperazione.

Va, anche considerato che, in tali casi, ad una maggior durata della sopravvivenza corrisponde una sofferenza crescente, sia sotto il profilo fisico che sotto quello psicologico.

Un criterio, sia pure equitativo, di liquidazione di tale danno può essere individuato partendo dall’importo riconosciuto dalle tabelle in uso presso i vari tribunali per ciascun giorno di inabilità temporanea e di moltiplicarla per un fattore (o “punteggio”), di volta in volta determinato tenendo conto dei seguenti parametri:

  • periodo di sopravvivenza, considerando che a una più lunga sopravvivenza corrisponde normalmente un punteggio più alto;
  • grado di pervasività fisica del danno tenendo conto che più il danno iniziale è stato importante, incidente cioè sulle principali funzioni vitali, più elevato sarà il risarcimento;
  • livello di percezione del danno da parte della vittima; tanto maggiore è il grado di coscienza della vittima, e quindi la sua possibilità di rendersi conto delle lesioni patite e dell’avvicinarsi della morte, più elevato è il danno psicologico5.

Non può, in tali casi, limitarsi l’ambito del danno, con sterile meccanicità, alla cd. inabilità temporanea, senza considerare, ai fini risarcitori, la drammaticità della situazione vissuta dalla vittima.

Importante ,anche per le diverse conseguenze in ambito risarcitorio, è la distinzione operata dalla Corte tra danno parentale e danno tanatologico, da perdita del diritto alla vita, fatto valere iure successionis dagli eredi del de cuius, ritenuto quest’ultimo, invece, non risarcibile “per l’impossibilità tecnica di configurare l’acquisizione di un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare, e da questo fruibile solo in natura: e invero, posto che finché il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento finirebbe per assumere, in casi siffatti, un’anomala funzione punitiva, particolarmente percepibile laddove il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi dai congiunti o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato”.6

La Suprema Corte, seguendo l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. delineata dalle Sezioni Unite del novembre 2008 ha, ad esempio, confermato la risarcibilità del danno non patrimoniale, anche se inteso quale pregiudizio morale in favore dei genitori di un neonato totalmente paraplegico, ribadendo comunque, il precedente orientamento che riconosceva il danno morale a favore dei prossimi parenti, anche in caso di gravi lesioni, e non solo in caso di morte, della vittima primaria7.

Le sentenze di San Martino hanno affermato, al riguardo, che costituisce “duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”.

In precedenza, le stesse sentenze gemelle del 2003 avevano ritenuto, invece, che il danno morale parentale potesse concorrere col danno morale soggettivo liquidato agli eredi per la morte del proprio congiunto, senza che ciò implicasse una duplicazione di risarcimento, ma il giudice, “essendo funzione e limite del risarcimento del danno alla persona, unitariamente considerata, la riparazione del pregiudizio effettivamente subito, nel caso di attribuzione congiunta del danno morale soggettivo e del danno da perdita del rapporto parentale, deve considerare, nel liquidare il primo, la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente che gli va riconosciuta, poiché, diversamente, sarebbe concreto il rischio di duplicazioni del risarcimento, e deve assicurare che sia raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento”8.

Nel caso di morte di un congiunto l’interesse fatto valere è quello all’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana, nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.

ll danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, in quanto ontologicamente diverso dal danno morale soggettivo contingente, può essere riconosciuto a favore dei congiunti unitamente a quest’ultimo, senza che possa ravvisarsi una duplicazione di risarcimento9.

Il parente che chiede iure proprio il risarcimento del danno subito in conseguenza della morte di un congiunto a seguito di fatto illecito altrui, lamenta la lesione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute (del quale è titolare e la cui tutela ex art. 32 Cost., ove risulti intaccata l’integrità biopsichica, si esprime mediante il risarcimento del danno biologico), sia dall’interesse all’integrità morale, la cui tutela, agevolmente ricollegabile all’art. 2 Cost., ove sia determinata un’ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo.

Non è ancora chiaro se nel nostro ordinamento sussiste il diritto alla vita.

Il risarcimento attiene solamente al danno non patrimoniale in termini generali, comprensivo dei pregiudizi biologico e morale, senza mai riconoscere la Cassazione il diritto alla vita in quanto “Il danno da perdita del diritto alla vita, cd. danno tanatologico, ossia la lesione dell’integrità fisica con esito letale, intervenuto immediatamente o a breve tempo dall’evento lesivo, non costituisce danno biologico, poiché la morte non è la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita: la perdita di questa non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, attesa la funzione non sanzionatoria, ma di reintegrazione e riparazione del risarcimento, e l’impossibilità che, riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere. Per il bene della vita è inconcepibile una forma di risarcimento anche solo per equivalente. Nel caso di apprezzabile lasso di tempo tra lesioni colpose e morte causata dalle stesse è configurabile un danno biologico risarcibile in relazione alla menomazione dell’integrità psicofisica patita dal danneggiato per il tempo indicato; il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento è trasmissibile agli eredi che potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante. Se la morte è stata causata dalle lesioni, dopo un apprezzabile lasso di tempo, il danneggiato acquisisce e trasferisce agli eredi, solo il diritto al risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea e per il tempo di permanenza in vita, in quanto non è in questo caso concepibile un danno biologico da invalidità permanente.

Anche il danno morale da lesione, cui sia conseguita la morte, presuppone l’esistenza in vita del soggetto leso per un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte: non è concepibile un danno morale da morte del soggetto, allorché il decesso sia immediatamente o quasi conseguente alla lesione”10.

A seguito della morte di un familiare, il danno alla cerchia degli affetti non costituisce un danno “riflesso” o “di rimbalzo” bensì un danno “diretto” sofferto iure proprioin quanto l’evento morte è plurioffensivo, non solamente causando l’estinzione della vita della vittima primaria, che subisce il massimo sacrificio del relativo diritto personalissimo, ma altresì determinando l’estinzione del rapporto parentale con i congiunti della vittima, a loro volta lesi nell’interesse alla intangibilità della sfera degli affetti reciproci ed alla scambievole solidarietà che connota la vita familiare11.

In caso di morte di uno stretto congiunto a seguito di fatto illecito si altera “profondamente tale complessivo assetto, provocando una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri ed una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività che dal rapporto parentale derivano e viene a determinarsi quello “sconvolgimento delle abitudini di vita”12 che, “pur potendo avere diversa ampiezza e consistenza in termini di intensità e protrazione nel tempo in relazione alle diverse situazioni, deve trovare comunque obiettivazione nell’alterazione del modo di relazionarsi del soggetto sia all’interno del nucleo familiare che all’esterno di esso nell’ambito dei comuni rapporti della vita di relazione”13.


2) Criteri risarcitori del danno parentale e soggetti legittimati

Vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona, in quanto tali privi di contenuto economico, la liquidazione del danno parentale va effettuata con criterio equitativo (artt. 1226 e 2056 c.c.), tenuto conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza, e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti, con un’equa e ponderata liquidazione che tenga conto di tutte le conseguenze connesse alla morte del familiare nella sua cerchia degli affetti.

La liquidazione del danno non patrimoniale, con riferimento anche al danno parentale, “non appartiene all’arbitrio del giudice, ma alla sua prudente discrezionalità che è circostanziata e che considera le condizioni della vittima e la natura permanente del danno, in relazione alle perdite irreparabili della comunione di vita e di affetti e della integralità della famiglia naturale o legittima, ma solidale in senso etico prima che giuridico”14.

La Corte evidenzia che “non a caso il criterio generale dell’art. 1226 usa la parola “preciso ammontare” per indicare la tendenza a rendere totale il ristoro satisfattivo, nella valutazione di prudente discrezionalità”15.

Va risarcita la morte della persona cara, quale perdita degli affetti, ai superstiti aventi diritto che possono coincidere con i familiari o parenti ma anche ricomprendere altre categorie in base alle spinte evolutive ed alle situazioni di rilevanza sociale connesse all’evolversi della società e dei suoi costumi, indipendentemente dalla durata della sopravvivenza della vittima, in quanto oggetto del risarcimento non è la durata della residua vita, ma la perdita della stessa, sia che si verifichi nell’immediatezza dell’evento, sia a distanza di tempo, purché sussista sempre il nesso di causalità tra fatto illecito ed evento.

Non esclude, la valutazione equitativa del danno, il riferimento ad altri elementi predeterminati e standardizzati a cui ancorare il risarcimento soprattutto se evitano eccessiva discrezionalità di valutazione.

Oltre che alle tabelle può farsi riferimento, anche a elementi diversi, quali, le indicazioni espresse dagli Osservatori sulla Giustizia civile, disancorando la liquidazione del danno al rapporto parentale da un ipotetico danno biologico della vittima e commisurarlo al legame affettivo dei familiari con la vittima e della particolare intensità della relazione affettiva.

Si è affermato che la voce di danno non patrimoniale al rapporto parentale si distingue concettualmente dal danno morale, che è pure dovuto, indipendentemente dalla astratta configurazione di ipotesi di reato e la valutazione di tale danno dovrà comunque tenere conto del già avvenuto ristoro della posizione soggettiva lesa e della natura transeunte, che lo caratterizza. 16

Tra i criteri liquidatori del danno parentale va segnalato quello previsto dalle tabelle milanesi, con il riconoscimento di una somma onnicomprensiva, da determinarsi in base ad una forbice, in considerazione degli elementi sopra evidenziati che consente di avere una visione unitaria del pregiudizio ed assicura una uniformità di base risarcitoria, con possibilità di personalizzazione in relazione alle condizioni soggettive della fattispecie, consentendo, la determinazione del danno, senza alcun automatismo che possa dare adito a sperequazioni risarcitorie sia pure partendo da una base predeterminata.

Puntualizzano i giudici di Piazza Cavour che in caso di morte di un congiunto, la stessa nozione di risarcimento per equivalente – e cioè di un intervento a carico del danneggiante che serva a rimettere il patrimonio del soggetto leso nella situazione in cui si sarebbe trovato se non fosse intervenuto l’atto illecito – ha senso solo con riferimento alle conseguenze di carattere patrimoniale del fatto pregiudizievole, predominante essendo invece la funzione consolatoria dell’erogazione pecuniaria (non a caso tradizionalmente definita denaro del pianto), inattuabile, per forza di cose, nei confronti del defunto”

Dopo la pronuncia delle Sezioni Unite di San Martino, la giurisprudenza di merito ha ritenuto, in tema di danno parentale, di non adeguarsi al criterio risarcitorio propugnato dalla Suprema Corte, affermando, la cumulabilità tra il danno da perdita del rapporto parentale e il danno morale, in forza della autonomia concettuale e della diversità ontologica, riguardo alla vittima secondaria, tra i due pregiudizi17.

Ciascuno dei familiari prossimi congiunti della persona deceduta per fatto illecito altrui è titolare di un autonomo diritto per il conseguente risarcimento del danno non patrimoniale di valenza morale che deve essere liquidato in rapporto al pregiudizio da ognuno individualmente patito per effetto dell’evento lesivo, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto, rimanendo, per converso, esclusa la possibilità per il giudice di procedere ad una determinazione complessiva ed unitaria del suddetto danno morale ed alla conseguente ripartizione dell’intero importo in modo automaticamente proporzionale tra tutti gli aventi diritto18.

Alla vittima compete sia il danno morale soggettivo, inteso come ristoro delle sofferenze morali patite in conseguenza della perdita traumatica del loro congiunto, sia il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita e nella improvvisa privazione del contributo di esperienza, suggerimenti, consigli e sostegno morale assicurati dal defunto, distinguendo la sofferenza acuta e transeunte che la perdita del congiunto determina nel periodo immediatamente successivo all’evento dalla lesione del diritto alla integrità del contesto familiare fino alla sua conclusione naturale, che invece si protrae nel tempo.

Trattandosi di pregiudizio che si proietta nel futuro occorre aver riguardo al periodo di tempo nel quale si sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che l’illecito ha invece reso impossibile; sarà consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni, sulla base degli elementi obbiettivi, che è onere del danneggiato fornire.

Il danno parentale, quale danno morale interessa due beni della vita:

  • integrità familiare con riguardo alla vita quotidiana della vittima con i suoi familiari (artt. 2, 3, 29, 30, 31 e 36 Cost.);
  • solidarietà familiare con riguardo alla vita matrimoniale o al rapporto di fatto e al rapporto parentale tra genitori e figli19.

Nell’ambito della valutazione equitativa occorre considerare l’entità del danno morale (lieve, grave, gravissimo), la permanenza o meno degli effetti e parametrare in un congruo equivalente economico il danno, utilizzando, eventualmente, anche parametri tabellari, purché adeguatamente motivati, senza alcun automatismo, purché vengano adeguatamente prese in esame le condizioni della vittima e la natura permanente del danno in relazione alle perdite della comunione di vita e di affetti, della integrità della famiglia naturale o legittima ma solidale in senso etico e giuridico.

In caso di morte del paziente i danni che possono essere riconosciuti sono:

  • il danno biologico iure hereditatis (in caso di morte non immediata); tale voce deve essere comprensiva del danno esistenziale iure hereditatis, ove ravvisabile, e del danno morale iure hereditatis, in caso di morte non immediata;
  • il danno biologico iure proprio, in caso di danno biologico in capo all’erede, accertabile con criterio medico-legale, comprensivo sia del danno esistenziale iure proprio, che del pregiudizio morale iure proprio, quale ristoro della sofferenza dell’erede per la morte del parente, subito direttamente dall’erede.

Il pregiudizio morale, sempre all’interno del danno parentale, può essere riconosciuto sia iure hereditatis che iure proprio anche nel caso di grave invalidità della vittima e, in base ai principi generali, va data la relativa prova, anche mediante presunzioni, ma sempre in base alle allegazioni di parte.

Si è, tuttavia rilevato che in tema di danno morale dovuto ai parenti della vittima – nella specie, figlio e nipoti conviventi con la donna deceduta a causa di un investimento stradale -, non è necessaria, ove sia esistito tra di essi un legame affettivo di particolare intensità, la prova specifica della sua sussistenza, potendo a tal fine farsi ricorso anche a presunzione. La prova del danno morale è, infatti, correttamente desunta dalle indubbie sofferenze patite dai parenti, sulla base dello stretto vincolo familiare, di coabitazione e di frequentazione, che essi avevano avuto, quando ancora la vittima era in vita20.

La vittima primaria, con la perdita della vita subisce il massimo sacrificio del relativo diritto personalissimo, ma causa, nel contempo, l’estinzione del rapporto parentale con i congiunti che, a loro volta, subiscono la lesione dell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare.

Si verifica, in tal caso, la propagazione intersoggettiva delle conseguenze di un medesimo fatto illecito, inteso quale danno riflesso o di rimbalzo.

Dovrà essere accertato il nesso di causalità materiale intercorrente tra la condotta del danneggiante e la morte della vittima alla stregua delle regole dettate dagli artt. 41 e 42 c.p., secondo i criteri della cd. causalità di fatto o naturale, impostati sul principio della condicio sine qua non, temperato dal criterio della causalità efficiente.

Va, quindi, verificata l’imputazione dell’evento morte accertando il collegamento tra la condotta dell’agente e la morte della vittima e le sue conseguenze dannose, selezionando quelle risarcibili, rispetto a quelle non risarcibili, in base ai criteri della causalità giuridica, alla stregua di quanto prevede l’art. 1223 c.c. (richiamato dall’art. 2056, co. 1, c.c.), che limita il risarcimento ai soli danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito, estesi anche ai danni mediati ed indiretti, purché costituiscano effetti normali del fatto illecito, secondo il criterio della cd. regolarità causale21.

In caso di morte del padre anteriore alla nascita il figlio, quest’ultimo ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per la perdita dell’affetto e della comunanza di vita col genitore, a condizione che il figlio nasca.22

Nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante dalla morte di un prossimo congiunto occorre di norma tenere conto dell’età della vittima, giacché tanto maggiore sarà quest’ultima, tanto minore sarà il periodo di tempo per il quale verosimilmente si protrarrà l’anticipata sofferenza dei congiunti.23

Tuttavia tale regola non è inderogabile, in quanto il giudice di merito – con motivato apprezzamento delle circostanze concrete – ben può ritenere che le ridotte speranze di vita della vittima, a causa di patologie patite già prima del fatto illecito, non abbiano influito sull’entità del danno non patrimoniale sofferto dai superstiti, come nel caso in cui quest’ultimo sarebbe andato comunque scemando col tempo, fino a svanire, anche nell’ipotesi in cui la vittima al momento della morte avesse avuto una speranza di vita pari a quella media considerata dalle tabelle in uso presso i vari uffici giudiziari.

Ai fini della liquidazione, in favore dei familiari superstiti, del danno morale conseguente alla morte di un figlio, si può prendere in considerazione, in vista di una valutazione equitativa “personalizzata”, la composizione della famiglia nella sua globalità; per cui – pur dando per pacifico che il valore della vita non è mai compensabile con una somma di denaro – non è illogico affermare che la perdita di un congiunto è meglio tollerata nell’ambito di una famiglia numerosa di quanto non avvenga ove il defunto fosse l’unico familiare o parente esistente.24

Viene negato il risarcimento del danno biologico iure hereditatis in caso di cd. morte immediata, in quanto con la morte si perde la capacità giuridica e il defunto non sarebbe più soggetto di diritti, oltre a non potere provare più sofferenze e dolore, in quanto “la morte impedisce che la lesione si rifletta in una perdita a carico della persona offesa, ormai non più in vita, sicché non sorge nel patrimonio dell’offeso un diritto al risarcimento per la perdita della vita, trasferibile agli eredi25.

Anche la sentenza in rassegna afferma che “costituiscono invero massime ormai consolidate nella giurisprudenza di questa Corte: a) che in caso di lesione dell’integrità fisica con esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, trasmissibile agli eredi, è configurabile solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, si da potersi concretamente configurare un’effettiva compromissione dell’integrità psicofisica del soggetto leso, non già quando la morte sia sopraggiunta immediatamente o comunque a breve distanza dall’evento, giacché essa non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma lesione di un bene giuridico diverso, e cioè del bene della vita26

Tale orientamento, peraltro consolidato, della Suprema Corte, omette di considerare, in base a cognizioni scientifiche, che la morte conseguente a una lesione traumatica non è mai immediata (con le sole eccezioni della decapitazione e dello spappolamento del cervello), sussistendo sempre un lasso temporale tra la lesione e la morte durante il quale il diritto al risarcimento entra nel patrimonio della vittima e diviene suscettibile di essere trasmesso per intero agli eredi.

Si tende ad accorciare sempre più l’“apprezzabile lasso di tempo” tra lesione e morte, riducendolo da qualche anno a qualche ora o anche meno, rendendo sempre più impervia e difficilmente praticabile per l’evidente illogicità risarcitoria, la tesi che nega il risarcimento a chi è morto istantaneamente (indipendentemente dalla configurabilità, nella grande maggioranza dei casi, di una morte istantanea) e lo riconosce a chi è morto a distanza di un quarto d’ora27.

Il danno parentale, riconosciuto iure proprio agli eredi, concorre col danno non patrimoniale biologico e morale iure hereditatis, ove liquidabile.

La liquidazione del danno al rapporto parentale da risarcire con il criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c., è svincolata da un ipotetico danno biologico della vittima e va commisurato tenendo conto del particolare legame affettivo dei familiari con la vittima e della particolare intensità della relazione affettiva28.

Relativamente al danno iure proprio, dovranno trovare tutela risarcitoria tutti i pregiudizi non patrimoniali eventualmente sussistenti (biologico, morale ed esistenziale)29.

Il danno parentale ricomprende anche il pregiudizio esistenziale riconosciuto agli stretti congiunti della vittima, per la privazione, non solo materiale, ma anche del “rapporto personale con la vittima primaria nel suo essenziale aspetto affettivo o di assistenza morale (cura, amore), cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell’altro, come per i coniugi in particolare previsto dall’art. 143 c.c. (dalla relativa violazione potendo conseguire l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza e l’addebitabilità della separazione personale); per il genitore dall’art. 147 c.c. e ancor prima da un principio immanente nell’ordinamento fondato sulla responsabilità genitoriale (v. Corte Cost. 13.5.1998, n. 166; Cass. 1.4.2004, n. 6365; Cass. 9.6.1990, n. 5633), da considerasi in combinazione con l’art. 8 l. adoz. (la violazione dell’obbligo di cura o assistenza morale determina lo stato di abbandono del minore che ne legittima l’adozione); per il figlio dall’art. 315 c.c.”30

Con riguardo ai soggetti legittimati a chiedere il risarcimento del danno parentale non risultano prefissati limiti di parentela alla risarcibilità del danno parentale, essendo “principio informatore di rango costituzionale (anche europeo, cfr: art.II-62 e 63 Cost. ratificata dall’Italia con legge 7 aprile 2005, n. 57) quello del diritto delle vittime al risarcimento totale dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alla lesione di diritti umani fondamentali ”31

La mancanza di vincolo familiare tra la vittima primaria e secondaria, anche alla luce delle sentenze delle Sezioni Unite del novembre 2008, non può costituire, di per sé, un impedimento al riconoscimento della lesione di un diritto inviolabile, ove connotato dalla gravità della lesione ed alla conseguente tutela risarcitoria.

La mancanza di un rapporto parentale dovrebbe incidere solamente nell’ambito probatorio non operando al riguardo alcuna presunzione, fatto notorio o massima di comune esperienza, come nel caso di stretti rapporti parentali, con conseguente necessità di fornire la prova rigorosa della perdita di utilità areddittuali incidenti sulla personalità della vittima di rimbalzo, legata comunque, da stretti vincoli affettivi con il soggetto direttamente leso.

Motivi di politica economica che inducano ad una sostanziale limitazione dei risarcimenti ai soli parenti stretti non dovrebbero avere rilevanza, ove si tratti di danno alla persona, stante la integrale risarcibilità di tale danno che, per affermazione anche delle citate Sezioni Unite, non può soffrire limitazioni risarcitorie.

Dovrebbe, quindi, riconoscersi il danno da morte anche alle vittime di rimbalzo, non legate da legami parentali con la vittima primaria, ma da intensi legami affettivi con quest’ultima, tali da costituire una lesione della personalità simile, per intensità, a quella tra parenti stretti.

Va, invece, esclusa la tutela risarcitoria nel caso in cui non vi fossero pregressi rapporti personali tra il superstite e la vittima come nel caso di rapporti, di natura unilaterale, fondati sulla notorietà della vittima primaria (cantante, calciatore, persona dello spettacolo, politici) in quanto la mancanza di un legame interpersonale funge da limite anche alla tutela risarcitoria.

Risolvendosi nella perdita totale del familiare o della persona amata e cara, il danno da morte, ha rilievo anche nel rapporto di convivenza more uxorio o nel semplice rapporto di convivenza “amichevole”, purché caratterizzato da intensità del vincolo, e trova tutela, prima ancora che sotto il profilo giuridico, nella coscienza sociale che ha ratificato tale forma di rapporto basato sulla convivenza stabile, sempre più diffuso nella nostra società e funge da filtro al fine di individuare i soggetti aventi diritto al ristoro del danno da morte della persona cara.

Sotto il profilo della parità di trattamento, ai fini del risarcimento del danno parentale iure proprio, la convivenza non può riferirsi solamente a quella more uxorio, ma deve riguardare in termini generali non solo tutti coloro che vivono stabilmente sotto lo stesso tetto, ma anche il partner che, comunque, sia legato alla vittima da intensi vincoli affettivi.

In capo ai nipoti va riconosciuto il danno per la perdita della vita del nonno, stante l’importanza assunta dall’avo nella realtà socio-giuridica che corrisponde ad una figura quasi genitoriale di sostegno per i nipoti che subiscono non solo il danno morale per le sofferenze subite a causa della perdita del nonno ma anche l’ulteriore pregiudizio del diritto alla intangibilità alla sfera degli affetti e alla reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia32.

È, invece, incompatibile con qualunque danno iure hereditatis (e non iure proprio), la tutela risarcitoria di soggetti non legati da vincolo di parentela in senso giuridico, potendosi trasferire per tale via diritti agli eredi legittimi, ma non certo a conviventi e amici stretti della vittima che non godono di alcun diritto successorio.

3) Prova del danno parentale

Anche il danno parentale, in base alla nozione del danno conseguenza, va allegato e provato, pur potendo essere riconosciuto anche in base a presunzione semplice, iuris tantum, a favore dei familiari della vittima, ma sempre previa allegazione dei pregiudizi lamentati, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del danneggiante che deve provare che la perdita del congiunto “possa non determinare conseguenze pregnanti nella sfera soggettiva laddove rimangano garantite quelle economiche […], fornendo la dimostrazione di rapporti deteriorati, convivenza forzata, separati in casa33

Occorre tenere conto di tutti i risvolti del caso specifico, nel caso di danno parentale ai familiari o stabili conviventi della vittima di reato, quali il grado di parentela, il rapporto di coniugio o di filiazione, la convivenza, la durata del matrimonio ed elaborare, così come già avviene, in base al diritto vivente, parametri, necessariamente equitativi, anche tabellari per assicurare uniformità di base liquidatoria che tengano conto delle varie componenti di tale voce di danno e dei pregiudizi di natura morale.

Sono, quindi, ammissibili prove testimoniali, documentali o anche presuntive che dimostrino i “concreti” cambiamenti che l’illecito ha apportato, in senso peggiorativo, nella qualità di vita del danneggiato o nella sua sfera morale34.

L’intensità del vincolo familiare, ai fini della valutazione del danno morale conseguente alla morte di un prossimo congiunto, può già di per sé costituire un utile elemento presuntivo su cui basare la prova dell’esistenza del menzionato danno morale, in assenza di elementi contrari, mentre l’accertata mancanza di convivenza dei soggetti danneggiati con il congiunto deceduto può rappresentare soltanto un idoneo elemento indiziario da cui desumere un più ridotto danno morale35.

Quindi, per i familiari non conviventi della vittima è legittima una liquidazione ridotta del danno morale36.

La prova del danno parentale va posta a carico del danneggiato, attore nel giudizio risarcitorio, in base alla generale enunciazione di cui all’art. 2697 c.c., in materia di onere della prova del danno che, ancorché riconducibile alla lesione di valori costituzionalmente garantiti, quali i diritti fondamentali della persona, va riconosciuto quando risultino, quantomeno, allegate le alterazioni specifiche dell’aspetto interiore della persona lesa quale conseguenza del fatto illecito altrui.

Afferma, al riguardo, la Suprema Corte che “il danno parentale presenta vari aspetti, anche di ordine patrimoniale, morale, e di modifica delle qualità della vita, ma spetta alle vittime e alla intelligenza dei loro difensori, apprestare una difesa adeguata e domande sostenute, oltre che da validissimi riferimenti costituzionali, da una serie dettagliata di circostanze che illustrano la vita della figlia in famiglia ed il dolore e le perdite, anche esistenziali, conseguenti a tale morte […] il parente che intende indicare la dimensione esistenziale e non patrimoniale di tale danno (i.e. quello parentale), unitamente alle perdite di ordine morale soggettivo, e alle perdite psicofisiche della propria salute, deve allegare e provare le diverse situazioni di danno, in modo da evitare qualsiasi possibile duplicazione”37.

La lesione di un diritto costituzionale non attribuisce al titolare il diritto al risarcimento del danno, anche senza necessità di prova specifica, poiché la prova dell’esistenza della lesione non significa che tale prova sia sufficiente ai fini del risarcimento, in quanto deve ritenersi necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno.

A seguito dell’evento lesivo possono verificarsi mutamenti peggiorativi del fare quotidiano che si ripercuotono all’esterno del nucleo familiare, incidendo sulla vita di relazione, con una diminuzione delle attività ricreative, di svago che possono sostanziarsi ad esempio e a titolo esemplificativo nell’uscire meno, nel non fare più viaggi (che prima si facevano), nel non andare più al cinema, a teatro, allo stadio, ecc., comportamenti che devono assumere la valenza di mutamenti peggiorativi delle abitudini di vita quotidiana.

Trattandosi di danno conseguente a perdita di stretti congiunti, si ritiene che la prova presuntiva possa anche non essere supportata da puntuali allegazioni dei pregiudizi subiti, che, tuttavia, non siano adeguatamente contrastate da altre prove contrarie, evitandosi situazioni abnormi in cui non viene risarcito il danno non patrimoniale alla madre per la morte del figlio per la mancata allegazione delle conseguenze pregiudizievoli nella sfera personale ed affettiva della madre38.

Occorre allegare le modificazioni peggiorative nella qualità della vita nell’ambito familiare dimostrando la perdita, a seguito della morte del congiunto, del rapporto “affettivo o di assistenza morale (cura, amore), cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell’altro” e dimostrare “una modificazione (peggiorativa) della personalità dell’individuo, che si obiettivizza socialmente nella negativa incidenza nel suo modo di rapportarsi con gli altri, sia all’interno del nucleo familiare, sia all’esterno del medesimo, nell’ambito dei comuni rapporti della vita di relazione”.

Le medesime considerazioni possono essere svolte in tema di danno da lutto semplice, che si risolve, in media, nell’arco temporale che va da tre a sei mesi, di cui sono note le implicazioni relazionali e psicologiche, potendo essere riconosciuto, in mancanza di contrarie indicazioni, trattandosi di danno di natura temporanea, nei limiti delle normali ripercussioni che generalmente subisce il familiare superstite.

Quanto ai contenuti del danno esistenziale si era già puntualizzato, da parte dei giudici di legittimità, che non può essere identificato nei dolori, nelle sofferenze, nel patema d’animo, ma nella perdita o limitazione di attività, non aventi contenuto patrimoniale, in cui si esplica la persona umana. Ne consegue che l’indennizzo di tale voce di danno esige che venga specificata la concreta attività, non avente contenuto patrimoniale, realizzatrice della persona umana, sulla quale abbia inciso l’azione che si assume dannosa39.

È possibile, infatti, ricomprendere nella nozione di danno non patrimoniale di valenza esistenziale, liquidabile anche ricorrendo alle presunzioni, il “danno da lutto” quale “modificazione (peggiorativa) della personalità dell’individuo, che si obiettivizza socialmente nella negativa incidenza sul suo modo di rapportarsi con gli altri, sia all’interno del nucleo familiare, sia all’esterno del medesimo, nell’ambito dei comuni rapporti della vita di relazione”40.

Tuttavia, in termini generali, è onere dei soggetti danneggiati allegare tali conseguenze, al fine di consentire l’instaurazione del contraddittorio col danneggiante, che sarà così messo in grado di difendersi e di replicare, eventualmente, alle richieste risarcitorie della controparte.

1 Cass., 19 agosto 2003, n. 12124.

2 Cass., 12 giugno 2006, n. 13546.

3 Cass., 12 giugno 2006, n. 13546. Sulle prerogative del paziente oncologico tra dignità della persona e autodeterminazione, Cendon – Rossi, I diritti dei pazienti oncologici, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 612.

4 Confr. Cass. civ. 28 novembre 2008, n. 28423; Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754.

5 Trib. Torino, 9 febbraio 2008, nella fattispecie per ciascun giorno di “invalidità terminale” è stata quindi liquidata una somma compresa fra €. 129,03 (pari a 43,01 x 3) e €. 1.032,24 (pari a 43,01 x 24).

6 Cfr. anche Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754; Cass. civ. 16 maggio 2003, n. 7632.

7 Cass. Civ., 13 gennaio 2009, n. 469.

8 Cass. Civ., 31 maggio 2003, n. 8828.

9 Cass. Civ., 19/08/2003, n. 12124, in Questa Rivista, 2003, 1329, con nota di ZIVIZ, Brevi riflessioni sull’ingiustizia del danno non patrimoniale.

10 Cass., 16 maggio 2003, n.7632; Cfr. anche Cass., n. 2134/2000, in Arc. giur. circolaz., 2000, 756; Cass., n. 1633/2000, in Riv. giur. circolaz. trasp., 2000, 927; Cass., n. 13336/99, in Foro it. Rep. 1999, voce Danni civili, numero 156; Cass., n. 12756/99, in Foro it. Rep. 1999, voce Danni civili, numero 206; Cass., n. 1131/99, in Foro it. Rep. 1999, voce Danni civili, numero 205; Cass., n. 491/99, in Foro it. Rep. 1999, voce Danni civili, numero 204; Cass., n. 12083/98, in Foro it. Rep., 1998, voce Danni civili, 166; Cass., n. 10085/98, in Resp. civ., 1999, 752; Cass., n. 8970/98, in Riv. Giur. circolaz. trasp., 1998, 951; Cass., n. 6404/98, in Foro it. Rep., 1998, voce Danni civili, numero 168; Cass., n. 5136/98, in Foro it. Rep., 1998, voce Danni civili, numero 170; Cass., n. 3561/98, in Arch. circolaz., 1998, 777.

11 Cass., 12 luglio 2006, n. 15760; Cass., 15 luglio 2005, n. 15019; Cass., 31 maggio 2003, n. 8827; Cass., 21 maggio 2003, n. 8828.

12 Cass., 20.10.2005 n. 20324; Cass.,31 maggio 2003 n. 8827.

13 Cass., 12 giugno 2006, n. 13546.

14 Cass., 12 luglio 2006, n. 15760.

15 Cass., 12 luglio 2006, n. 15760.

16 Trib. Monza, 23 aprile 2007.

17 Trib. Lecce, sez. Maglie, 29 novembre 2008 n. 368. Nel giudizio intentato dai figli di un settantaduenne deceduto in conseguenza di un sinistro stradale, ai fini del riconoscimento e della liquidazione del danno non patrimoniale.

18 Cass., 19 gennaio 2007, n 1203.

19 Cass., 12 luglio 2006, n. 15760.

20 Cass. 11 maggio 2007, n. 10823.

21 Cfr. Cass. SS.UU., 1 luglio 2002, n. 9556, in tema di danno morale soggettivo sofferto dai congiunti della vittima di lesioni non mortali.

22 Cass. 3/5/2011 n. 9700.

23 Cass. 11/02/2009, n. 3357.

24 Cass 16/02/2010, n. 3581.

25 Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704; Cass. 24 aprile 1997, n. 3592.

26 Cass., civ. 17 gennaio 2008, n. 870; Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18163; Corte cost. n. 372 del 1994.

27 Sul danno morale catastrofico, subito da chi attende lucidamente la morte che sopraggiunge in un intervallo temporale breve rispetto alla lesione, Chindemi, Danno morale catastrofico, in Resp. civ. prev.. 2007, p. 1850.

28 Trib. Monza, 23 aprile 2007; cfr anche Cass., 12 giugno 2006, n. 13546.

29 Trib. Monza, 23 aprile 2007.

30 Cass., 12 giugno 2006, n. 13546.

31 Cass., 12 luglio 2006, n. 15760; Corte Cost. 6 maggio 1985 n. 132 e Corte Cost, 14 luglio 1986, n. 184.

32 Cass., 15 luglio 2005, n. 15019; Trib. Messina, 29 aprile 2004, in Foro it., 2004, I, 2256; Trib. Napoli, 19 dicembre 2001, in Riv. giur. circ. trasp., 2002, 108; Trib. Agrigento, 4 giugno 2001, in Danno resp., 202, 58; Trib. Mantova, 30 agosto 2004, www.personaedanno.it.

33 Cass., 12 giugno 2006, n. 13546; Cass. SS.UU., 24 marzo 2006, n. 6572.

34 Cfr. in tema di danno esistenziale, Cass. SS.UU., 24 marzo 2006, n. 6572.

35 Cass., 22 luglio 2008, n. 20188.

36 Cass., 19 gennaio 2007, n 1203.

37 Cass., 8 ottobre 2007, n. 20987, nella specie il padre lamentava il mancato risarcimento del danno esistenziale patito a seguito della perdita della figlia di sette anni deceduta a causa di cure mediche errate e la corte esclude che il danno possa essere individuato in re ipsa; cfr. anche Cass. SS.UU., 2 marzo 2006, n. 6572. Un diverso orientamento ritiene che tale danno sia in re ipsa in quanto “provato il fatto-base della sussistenza di un rapporto di coniugio o di filiazione e della convivenza con il congiunto defunto, è allora da ritenersi che la privazione di tale rapporto presuntivamente determina ripercussioni (anche se non necessariamente per tutta la vita) sia sull’assetto degli stabiliti ed armonici rapporti del nucleo familiare, sia sul modo di relazionarsi degli stretti congiunti del defunto (anche) all’esterno di esso rispetto ai terzi, nei comuni rapporti della vita di relazione; Cass., 12 giugno 2006, n. 13546, commentata ex plurimis da Franzoni, Il danno esistenziale è il nuovo danno non patrimoniale, in Corr. Giur., 2006, 1382; Ziviz, La fine dei dubbi in materia di danno esistenziale, in Resp. civ. prev., 2006, 1439; Ponzanelli, Il danno esistenziale e la Corte di Cassazione, in Danno e resp., 2006, 843; Chindemi, Danno esistenziale da lesione parentale, in Nuova giur. comm., 2007, 133.

38 Cass., 30 ottobre 2007, n. 22884.

39 Cass., 23 agosto 2005, n. 17110.

40 Cass., 12 giugno 2006, n. 13546.

Consigliere della Corte di Cassazione. Docente incaricato di Diritto Privato, Università Bocconi di Milano. Presidente della Commissione tributaria regionale della Lombardia. Componente del Comitato Scientifico della Rivista “Diritto ed economia dell’assicurazione”. Componente di redazione della rivista “Responsabilità civile e previdenza.” Autore di numerose pubblicazioni in materia.

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