Il danno alla persona in soggetto anziano

Domenico Chindemi, Il danno alla persona in soggetto anziano, in Responsabilità civile e Previdenza, 2009, 2, 325


Il danno alla persona in soggetto anziano

Domenico Chindemi
Consigliere della Corte di cassazione


Sommario:
1. Criterio risarcitorio del danno alla persona da lesione macropermanente. 2. Il danno patrimoniale nel soggetto anziano.


1. Criterio risarcitorio del danno alla persona da lesione macropermanente

Viene specificato dalla Suprema Corte il criterio risarcitorio relativo alla liquidazione del danno alla persona in caso di lesioni macropermanenti e in soggetto anziano. La sentenza, ancorché anteriore alle Sezioni Unite del novembre 2008 (1), offre un quadro attuale del danno alla persona da lesione macropermanente in soggetto anziano, non incompatibile con i principi espressi dalle successive SS.UU., se non per l’incerta collocazione del danno morale, all’interno del danno biologico o autonomamente liquidato.

Per le macropermanenti, quale conseguenza di sinistro stradale o di altro fatto illecito, vige il principio generale della discrezionalità del giudice nell’adottare il criterio risarcitorio ritenuto più adeguato alla fattispecie.

Non sono, infatti, ancora state emanate, come previsto dal codice delle assicurazioni, le tabelle risarcitorie per le lesioni macropermanenti che, nell’ambito dei sinistri sussumibili nel codice delle assicurazioni (sinistri stradali e della navigazione), costituiscono criterio vincolante per la liquidazione delle macropermanenti, ricomprendendosi in tale liquidazione, sia il danno biologico, sia il danno esistenziale, in forza della definizione di danno biologico di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass., vincolante per il giudice, trattandosi di una definizione normativa di danno biologico (2).

Il nuovo codice delle assicurazioni, applicabile ai sinistri stradali e della navigazione, pone questioni interpretative, nell’ambito del danno non patrimoniale, sui criteri liquidatori delle lesioni soprattutto per quanto concerne il danno biologico la cui definizione legislativa è differente da quella della Cassazione e della stessa Corte costituzionale, ed ingloba sostanzialmente anche il danno esistenziale, essendo il danno biologico per fatto illecito da circolazione articolato in quattro dimensioni essenziali: a) psichica, b) fisica, entrambe a prova scientifica, c) incidenza negativa sulle attività quotidiane d) perdita degli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato.

La possibilità di pervenire ad un’unitaria definizione di danno biologico nel sistema risarcitorio consentirebbe di evitare disparità di trattamento tra lesioni simile differenziate solamente dalla causa.

Oltre al danno non patrimoniale il codice prevede criteri di liquidazione del danno patrimoniale senza alcuna limitazione risarcitoria, a differenza del danno non patrimoniale.

Mentre per le micropermanenti, nell’ambito del codice delle assicurazioni, il giudice è vincolato dalle tabelle specifiche, con la possibilità di aumentare l’importo risultante dalla valutazione tabellare del 20%, tenendo conto delle condizioni soggettive della vittima, per le medesime lesioni conseguenti ad altre tipologie di sinistri non sussiste alcun obbligo per il giudice di applicare le tabelle del codice delle assicurazioni, ben potendo adoperare altri criteri risarcitori, quale la liquidazione equitativa pura, sia pure con discrezionalità motivata, o tabelle risarcitorie previste dai vari Tribunali.

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Al di fuori, quindi, delle lesioni micropermanenti conseguenti a sinistro stradale o della navigazione, il giudice del merito, pur potendo ispirarsi a criteri predeterminati quali le tabelle degli uffici giudiziari, deve necessariamente adeguare il risarcimento al caso concreto considerando varie circostanze fra le quali: la gravità delle lesioni, gli eventuali postumi permanenti, l’età, le condizioni familiari e sociali del danneggiato. Dal principio costituzionale di effettività della tutela risarcitoria alla cui stregua il risarcimento del danno biologico e di quello morale non può essere irrisoria o simbolica (3).

Viene attribuita al giudice una ampia discrezionalità nella liquidazione risarcitoria del danno alla persona, con la facoltà di ricorrere, oltre che alla liquidazione in via equitativa c.d. “pura”, anche alle tabelle degli uffici giudiziari, con una autonomia di valutazione anche in relazione all’ufficio giudiziario cui fare riferimento, anche se, trattandosi pur sempre di discrezionalità motivata, nel caso di possibilità di ricorso a più tabelle liquidatorie, quali, ad esempio, quella in vigore nell’Ufficio giudiziario ove è incardinato il giudizio e quella di altro Ufficio giudiziario, invocato dalla parte lesa, che ha, comunque, l’onere di allegazione di tale tabella (4).

Infatti le tabelle in uso presso gli uffici giudiziari non costituiscono fatto notorio, ma devono essere prodotte dalla parte, che ne solleciti l’applicazione, oppure possono essere utilizzate direttamente dal giudice che intenda assumerle come metro di liquidazione equitativo. In tal caso, potendo il giudice procedere alla liquidazione equitativa del danno, il controllo dell’applicazione delle tabelle per il tramite del mezzo di impugnazione esperibile suppone che il giudice dell’impugnazione sia messo in grado di conoscere le tabelle applicate dal giudice che ha emesso la sentenza impugnata. In appello sarà onere della parte che svolge il motivo di impugnazione sul punto produrre le tabelle e tale produzione rientrerà nel novero di quelle nuove prove documentali indispensabili, cui alludono gli artt. 345 e 437 c.p.c. (5).

Tuttavia, tali tabelle possono essere prodotte per la prima volta anche in grado di appello e nel giudizio per Cassazione (6).

Non venendo proposti nuovi elementi di fatto, ove il giudice di merito abbia fatto riferimento alle “tabelle” quale criterio risarcitorio o, comunque, per escluderne l’applicazione, sempre che sia stata ritualmente dedotta la relativa censura e anche durante la discussione orale, possono essere prodotte le tabelle, anche se esprimono soltanto tendenziali indirizzi valutativi, suscettibili di mutevoli variazioni e di concreta disapplicazione a favore di altri criteri liquidatori giudicati più idonei, e non avendo efficacia vincolante di norme giuridiche (7).

Il calcolo così ottenuto non è, tuttavia, vincolante, per il giudice, a meno che egli stesso non si sia autovincolato con il ricorso a tale criterio, con un automatismo valutativo considerato negativamente dai giudici di Piazza Cavour, in quanto costituisce principio di carattere generale costituzionalmente protetto, (Corte cost. n. 184/1986) il risarcimento integrale della lesione della salute da illecito.

La valutazione tabellare, tenendo conto della specificità del caso concreto, può essere, astrattamente, eccessiva o, fattispecie maggiormente ricorrente, riduttiva del danno effettivamente subito e il giudice, in applicazione del principio del risarcimento integrale del danno alla persona, in tale ultima evenienza, deve provvedere ad aumentare il risarcimento al fine di rendere effettivo il risarcimento del danno.

Nel caso, invece, di riduzione dell’importo risarcitorio risultante dalla applicazione tabellare, il giudice, pur nell’ambito della sua discrezionalità valutativa, deve motivare le ragioni di tale riduzione, che se congrue e logiche, si sottraggono al sindacato della Cassazione, con il limite, posto dalla stessa S.C., del risarcimento irrisorio o simbolico che viene, implicitamente, considerato dalla Corte lesivo tout court del principio di effettività del risarcimento.

Occorre, tuttavia, considerare, non solo il risarcimento tabellare, relativo al danno biologico o al danno biologico ed esistenziale nel codice delle assicurazioni, essendo inglobate tali due voci di danno nelle tabelle previste dal codice delle assicurazioni (artt. 138-139 cod. ass.) ma il complessivo risarcimento del danno, nella doppia sfera patrimoniale e non patrimoniale.

Infatti il principio dell’integrale risarcimento del danno alla persona va considerato con riferimento all’integrale risarcimento sia del danno patrimoniale che non patrimoniale e non soltanto, soprattutto con riferimento a tale ultima voce di danno, alle singole poste liquidatorie.

Resta da accertare se il danno morale debba essere inglobato all’interno del danno biologico o se possa essere liquidato autonomamente.

Come auspicato dalle citate sentenze delle SS.UU. del novembre 2008, l’aumento percentuale del 30%, previsto per le macropermanenti, potrebbe servire a ristorare il pregiudizio morale all’interno del danno biologico, ma con un aumento percentuale massimo del 30%, pari al minimo previsto per il danno morale (dal 30% al 50%), ove autonomamente liquidato.

Nella valutazione globale del danno biologico, la indicazione del punteggio finale deriva dalla valutazione di tutte le componenti, fisiche e psichiche, interrelazionali, morali ed esistenziali (come si desume dalla definizione analitica del danno biologico di non lieve entità, contenuta nell’art. 138 cod. ass., che considera i criteri uniformi di risarcimento ai fini dell’illecito civile della circolazione) al fine della realizzazione del principio fondamentale del risarcimento integrale del danno alla persona (8).

Va riconosciuta al giudice la possibilità di aumento del risarcimento liquidato per il danno biologico c.d. statico anche per le macropermanenti, con una personalizzazione delle tabelle, propugnata dalle stesse SS.UU. del novembre 2008, se non vogliono adombrarsi questioni di costituzionalità per violazione dei principi di uguaglianza e della integralità del risarcimento, tenendo conto delle condizioni soggettive del danneggiato, pur considerando che nelle tabelle delle macropermanenti, riferentesi a lesioni di non lieve entità, il danno biologico c.d. statico è comprensivo di un ragguardevole pregiudizio psichico ed esistenziale naturalmente connesso con la gravità delle lesioni.

Va scomposto il valore punto tabellare nella liquidazione del danno biologico c.d. “dinamico” distinguendo il danno relativo alla menomazione fisica da quello inerente alla lesione psichica, per poi accertare la componente del danno biologico psichico statico, al fine di potere operare la maggiorazione percentuale del danno biologico psichico c.d. dinamico in relazione alle ulteriori compromissioni che, in base alla valutazione dell’interprete, non sono ricomprese nel danno biologico psichico c.d. statico, comprensive anche nel pregiudizio morale.

Se le macrolesioni incidono in maniera rilevante sulle attività quotidiane specifiche del danneggiato, diverse da quelle standardizzate quali, ad esempio, le ripercussioni negative connesse alla perdita di chance, non ricomprese nella liquidazione tabellare della percentuale invalidante, la personalizzazione delle tabelle, con un aumento rispetto ai valori tabellari, potrà essere operata dal giudice, pur evidenziandosi che appare difficilmente individuabile nelle nuove tabelle la quota che è prevista quale risarcimento della lesione fisica e quella concernente la lesione psichica, essendo ciascuna voce risarcitoria percentuale onnicomprensiva di entrambe le alterazioni.

Non può non rilevarsi l’aleatorietà, che può rasentare l’arbitrio, di tale criterio risarcitorio non essendo individuabili all’interno delle percentuali risarcitorie tabellari quelle referentesi al danno biologico fisico o al danno biologico psichico e all’interno di quest’ultimo la componente “statica” da differenziare, ai fini della maggiorazione risarcitoria, da quella “dinamica“, soprattutto ove si voglia inglobare in quest’ultima anche il pregiudizio morale.

La liquidazione del danno non patrimoniale può anche essere unitaria, anche se appare opportuna la distinzione al suo interno, delle varie voci, ed occorre sempre avere riguardo al risultato complessivo, anche se il giudice di merito, in grado di appello, ha sempre la possibilità di intervenire sia sulle singole voci, sia sull’importo complessivo finale liquidato, ove ritenuto non esaustivo dell’effettivo pregiudizio subito dalla vittima.

Va, anche, osservato il principio della c.d. uniformità pecuniaria di base del risarcimento del danno alla persona, costituito dalla comparazione tra quanto liquidato nella fattispecie e quanto, di regola, liquidato dagli altri uffici giudiziari, pur dovendo il giudice, in presenza di situazioni particolari, procedere alla personalizzazione del danno.

Non va, invece, considerata, ai fini risarcitori, la gravità del reato commesso, sotto il profilo della intensità dell’elemento soggettivo del danneggiante, non essendo ammissibili nel nostro ordinamento i danni c.d. punitivi, potendo, tuttavia, sempre tenersi conto della gravità delle conseguenze, sotto il profilo soggettivo, nella vittima, anche in considerazione del comportamento del danneggiante.

Relativamente al danno non patrimoniale subito da persona anziana, ritenendosi per tale un soggetto o di età superiore ai 70 anni, in base all’allungamento della vita media, non può non esprimersi una critica ai valori monetari tabellari, comuni a tutte le tabelle, sia normative che elaborate dalla prassi dei Tribunali, con riferimento alla valutazione attribuita alle lesioni in persone anziane.

In una persona anziana una lesione di modesta entità ha, generalmente, ripercussioni, non solo fisiche, ma anche psichiche, di maggiore entità, spesso accentuate dalla situazione personale dell’anziano che, a volte, vive solo e aggiunge alla difficile quotidianità anche le conseguenze della lesione che, in aggiunta alla già precaria situazione sociale e economica, aggravano ulteriormente le sue condizioni di vita ben oltre la modica percentuale invalidante riconosciuta e liquidata in misura irrisoria rispetto alla medesima lesione in soggetto giovane.

Le tabelle risarcitorie tengono conto, infatti, ai fini risarcitori, delle ridotte speranze di vita futura, in base a meri dati statistici, spesso neanche aggiornati, senza valutare, invece, la compromissione della qualità della vita, molto più accentuata, a parità di lesione, in una persona anziana rispetto ad una giovane.

Stante la riduzione dei valori monetari tabellari per le persone anziane, anche l’aumento massimo tabellare del 20%, previsto dal codice delle assicurazioni per tale tipologia di lesioni, appare, spesso, insufficiente a ristorare l’effettivo danno subito dalla vittima, soprattutto ove dovesse essere ritenuto comprensivo del danno morale, in base alle sentenze delle SS.UU. del novembre 2008.

Il giudice, tuttavia, nell’ambito della sua discrezionalità motivata, può tenere conto non solo della diminuita aspettativa di vita, ma anche dell’effettiva compromissione della qualità della vita.

Anche i medici legali dovrebbero prestare maggiore attenzione alla descrizione delle mutate condizioni di vita, conseguenti alle lesioni, tenendo conto della specificità della situazione esistenziale del soggetto leso, consentendo, così al giudice, in base ad elementi concreti e non solamente presuntivi, una adeguata valutazione delle lesioni subite da un soggetto anziano, con la possibilità sia di attribuire l’aumento percentuale massimo (20%) ove trattasi di micropermanente conseguente a sinistro stradale o della navigazione, in relazione ai quali vanno applicate le tabelle normativamente previste, mentre, per le macropermanenti o fatti illeciti causati da altri fatti, è possibile personalizzare le risultanze della liquidazione tabellare, con valutazione motivata equitativa, evitando iniquità risarcitorie conseguenti alla rigida applicazione delle tabelle, in quanto la dignità e il valore dell’uomo restano integri indipendentemente dall’età e, quindi, dalle speranze di vita futura.


2. Il danno patrimoniale nel soggetto anziano

Mentre negli anni ’90 poteva ragionevolmente presumersi l’esclusione di una attitudine lavorativa presente e futura in un soggetto anziano, con esclusione di ogni voce risarcitoria, nell’era contemporanea, grazie all’allungamento della vita media ed alla migliorata qualità della vita nei soggetti anziani, non opera più tale presunzione, ma è pur sempre onere della parte lesa fornire la prova della mancata percezione di reddito.

Anche in età avanzata molte categorie professionali sono ancora attive sotto il profilo lavorativo, soprattutto se trattasi di professioni intellettuali e solo dagli ottanta anni, in termini generali, può parlarsi di senescenza.

La voce più ricorrente di danno alla persona di natura patrimoniale, conseguente a lesioni fisiche, ma, in qualche caso, anche a lesioni di natura psichica, è costituita dal danno alla capacità lavorativa specifica che si sostanzia nella diminuita capacità di lavoro, di carriera o anche di accesso al lavoro, e, quindi, anche di guadagno, quale conseguenza diretta, in rapporto causale con la lesione subita, della diminuita integrità fisica.

Il danno da riduzione della capacità lavorativa generica, da intendersi quale lesione di un generico modo di essere del soggetto che non attiene al piano della concreta produzione di reddito (9) è ancora ricompreso nel danno biologico, quale danno “non reddituale”, rientrando all’interno di tale figura tutte le conseguenze pregiudizievoli che dalla lesione della salute derivano alla complessiva qualità della vita del soggetto offeso.

Tale danno va differenziato dal pregiudizio da “cinestesi lavorativa“, intesa quale “maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, non incidente, neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito, della persona offesa (c.d. perdita di chance), risolvendosi in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo” (10).

Non trattasi, in tale ultima fattispecie, di danno patrimoniale in senso stretto, in quanto nessuna diminuzione di reddito futuro, quale lucro cessante è conseguenza della cinestesi, che viene solitamente liquidata quale danno non patrimoniale o in via equitativa pura o con un aumento percentuale del danno biologico (11).

Non è, invece, consentito, stante l’assoluta improprietà del parametro di riferimento, assumere a base del calcolo di tale voce di danno il reddito del soggetto leso (12).

Non verificandosi una diminuzione patrimoniale ma una compromissione dell’essenza personale dell’individuo, rientrano, pertanto, nel danno biologico, la maggiore usura, fatica o difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa che non incidano sul reddito dalla persona, senza, quindi, provocare la perdita di una favorevole possibilità di incremento patrimoniale, ma comportino soltanto un maggiore sforzo per compiere le stesse attività svolte prima del sinistro.

Il risarcimento, in tal caso, ha la funzione di ristorare una limitazione di movimenti o una la maggiore difficoltà di spostamenti che, tuttavia, non produce alcuna diminuzione di reddito futuro.

La prossimità del danneggiato al pensionamento per vecchiaia e la sua probabile adibizione solo ad impieghi marginali sotto il profilo economico e contrattuale non valgono ad assicurare, secondo un orientamento della S.C., alla invalidità permanente specifica, come accertata, una incidenza certa sulla capacità lavorativa specifica e sulla riduzione del reddito, dovendo dunque la liquidazione del danno, come perdita della capacità di guadagno, essere ricompresa nella determinazione in via equitativa del danno biologico (13).

In una persona anziana, che ancora svolga attività lavorativa, tale voce di danno ha notevoli possibilità di applicazione, stante la minore tonicità del fisico, soprattutto nel caso in cui le lesioni incidano anche sugli arti inferiori o superiori, con rallentamenti dei movimenti o difficoltà di deambulazione o di apprensione.

Relativamente, invece, alla individuazione del danno alla capacità lavorativa specifica il principio guida è che gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute della vittima sulla sua attività lavorativa in tanto danno luogo ad un danno patrimoniale in quanto ne eliminino o riducano la capacità di produrre reddito.

Nel caso in cui l’anziano abbia subito una lesione dell’integrità fisica eserciti ancora un’attività lavorativa, è configurabile un danno da lucro cessante conseguente alla riduzione della capacità di lavoro solamente se sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno non patrimoniale alla salute, ovvero di pregiudizio morale (14).

Al fine di accertare un danno risarcibile, occorre effettuare una duplice valutazione, accertando, anzitutto se i postumi subiti abbiano o meno influenza sulla attività lavorativa, con ricorso anche alle presunzioni.

Nel caso di danni alla salute di modesta entità (micropermanente, convenzionalmente qualificata tale in caso di invalidità pari o inferiore al 10%), mentre normalmente, in una persona giovane, i postumi derivanti dalle lesioni non hanno di regola conseguenza alcuna sull’attività di lavoro e sulla conseguente capacità di produrre reddito, nel caso di persona anziana tale presunzione non opera, ma incombe sempre sul danneggiato, la prova che la lesione, pur lieve, abbia avuto una concreta incidenza sulla possibilità di guadagno futuro (15).

Non sussiste, quindi, in un soggetto anziano, nei rari, ancora, casi che eserciti attività lavorativa, per lo più autonoma, la presunzione che i postumi permanenti conseguenti ad una lesione micropermanente non si traducano, in via generale, in una riduzione della capacità futura di guadagno, occorrendo, pur sempre la prova, anche fondata su presunzioni, da parte dell’anziano danneggiato che il danno, anche se di lieve entità, abbia una concreta incidenza su guadagni futuri.

Le micropermanenti in un soggetto anziano non cessano di avere conseguenze sull’efficienza fisica come, invece, avviene in un soggetto giovane, dopo lo stesso arco temporale.

Se l’anziano non svolge più attività lavorativa, o fornisce la prova della concreta possibilità di intraprendere in futuro una attività retribuita o deve negarsi la incidenza delle lesioni sulla capacità lavorativa specifica del danneggiato, dovendo presumersi, soprattutto se in età avanzata che non esplicherà più attività lavorativa, fatta sempre salva la prova contraria.

In una fase economica caratterizzata da disoccupazione intellettuale e dalla profonda ristrutturazione delle forme di lavoro, con accentuazione di quello interinale, sussistono evidenti difficoltà di prova di incidenza della lesione sulla futura attività lavorativa, soprattutto in un soggetto anziano che, peraltro, nella maggior parte dei casi, si gode, se le condizioni fisiche glielo permettono, la pensione, senza svolgere altre attività lavorative.

In una persona anziana tale valutazione dovrà tenere conto dello svolgimento di attività lavorativa in età senile, prima del sinistro, delle condizioni di salute del soggetto, del tipo di attività in concreto esercitabile, con esclusione dei lavori usuranti o faticosi, valutando la possibilità di svolgere attività in proprio (ad es.: professionista, imprenditore).

Anche un lavoratore dipendente, dopo la pensione, essendo ammesso il cumulo dei redditi da pensione con quelli da altre attività lavorative, potrebbe trovarsi in tale condizione, ma la prova deve essere fondata su allegazioni di valenza pregnante.

Trattasi di fattispecie non frequenti, ma pur sempre possibili con la necessità di individuare adeguati parametri risarcitori che tengano conto del tempo ridotto di esercizio di attività lavorativa che potrebbe individuarsi nella soglia degli 80 anni.

Occorre effettuare una valutazione, con criterio probabilistico e con giudizio ex ante, del mancato guadagno, quale conseguenza della lesione in un soggetto anziano, fondato sulla c.d. prova contro fattuale, sulle diverse conseguenze tra la situazione dannosa e quella “normale” se il danno non si fosse verificato (16).

Vi è, al riguardo, una naturale difficoltà di stabilire un nesso tra una causa umana imputabile che ha provocato la lesione invalidante e una concausa, di natura sociale, non imputabile al danneggiante, ma valutabile a fini risarcitori, individuando una presunzione in base alla quale dal fatto noto (es. lesione al ginocchio) si giunge a quello ignoto (diminuzione della capacità futura di guadagno).

Acquistano rilievo i criteri fondati sulla conoscenza empirica dei fenomeni sociali, oltre che sulla condizione soggettiva dell’anziano, tenendo conto che la diminuzione del reddito, in ragione della futura attività lavorativa del danneggiato, dipende anche dal suo vissuto ed è, certamente, più agevole tale valutazione ove l’anziano abbia svolto attività di lavoro fino al momento del sinistro.

La presunzione di incidenza dell’invalidità in modo apprezzabile sulla capacità lavorativa specifica, ove sussistente, di un anziano opera sicuramente nel caso di invalidità superiore al 10%.

Tuttavia l’accertamento, anche presuntivo, dell’incidenza dei postumi permanenti sulla capacità lavorativa specifica, anche se l’anziano esercita ancora attività lavorativa, non comporta più l’automatico obbligo del danneggiante di risarcire il danno patrimoniale, conseguente alla riduzione della capacità di guadagno, derivante dalla ridotta capacità lavorativa specifica, dovendo essere tale danno accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse o avrebbe svolto una attività produttiva di reddito (17).

Il grado di invalidità di una persona, estendendosi tale valutazione anche all’anziano, determinato dai postumi permanenti di una lesione alla sua integrità psico-fisica, non si riflette, quindi, automaticamente nella stessa misura sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza, la quale è da escludersi quando non risulti che la persona danneggiata, a causa delle infermità riscontrate, abbia subito contrazioni del suo reddito o abbia una riduzione di reddito futuro, commisurata alle potenzialità di lavoro future, ovviamente ridotte in un soggetto in età avanzata (18).

Tale danno non può essere liquidato, quindi, in mancanza di un concreto ed effettivo pregiudizio derivante dalla decurtazione o cessazione del reddito goduto prima del sinistro o fornendo la prova della diretta dipendenza tra le lesioni e il lavoro futuro (19).

Oltre a accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità lavorativa specifica e questa, a sua volta, sulla capacità di guadagno, occorre anche verificare se e in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l’infortunio patito, una capacità ad attendere al proprio o ad altri lavori, confacenti alle proprie attitudini e condizioni personali e ambientali, idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte (20).

Occorre, quindi, anche valutare la concreta possibilità del danneggiato, soprattutto se anziano, di attendere a diverse occupazioni, rispetto a quella svolta al momento del sinistro, ovviamente valutando l’età e la loro concreta possibilità di svolgimento, non dovendosi pronosticare attività meramente potenziali, astratte, di non praticabile svolgimento, valutando in quale misura persista o residui, dopo e nonostante l’infortunio subìto (21).

Solo nell’ipotesi in cui, in forza di detti complessivi elementi di giudizio, risulti una riduzione della capacità di guadagno e, in forza di questa, del reddito effettivamente percepito, tale ultima diminuzione è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante. La relativa prova incombe al danneggiato e può essere anche presuntiva, purché sia certa la riduzione della capacità di guadagno (22).

La liquidazione del relativo danno patrimoniale, anche se conseguente a sinistro stradale, non può essere eseguita meccanicamente in base alle indicazioni dell’art. 137, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, che non impone alcun automatismo di calcolo, ma si limita ad indicare taluni criteri di quantificazione del danno sul presupposto della prova relativa, la quale, in ogni caso, incombe sul danneggiato.

Trattasi di una inversione di tendenza significativa della giurisprudenza di legittimità finalizzata a risarcire solamente l’effettivo pregiudizio subito dal danneggiato.

Occorre anche accertare se la lesione sia destinata a permanere nel tempo oppure comporti un danno rimediabile, con un nuovo intervento sanitario.

Indipendentemente dal risarcimento dovuto per tale ultimo intervento, a cui dovrebbe far seguito una diminuzione del conseguente danno alla salute, ove ridotto a seguito del predetto intervento, nel caso in cui il soggetto, nell’ambito della propria autodeterminazione, non intenda sottoporsi a un tale intervento, ai sensi dell’art. 32, comma 2, Cost., che espressamente prevede che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge“, il danneggiato, in forza dell’art. 1227 c.c. che impone al creditore di non aggravare la situazione del debitore, non può, pretendere anche i danni alla futura capacità di produzione di reddito conseguenti a tale sua autonoma scelta, ove eliminabile con un intervento di non difficile esecuzione, di “routine“, con rischi bassi alla salute del paziente, salva diversa e motivata conclusione fondata su argomenti di valenza pregnante (es.: allergia a determinati farmaci, problemi cardiaci, ecc.) che rendano sconsigliabile un ulteriore intervento chirurgico.

Nel rispetto del principio di assoluta autonomia del danneggiato per le scelte relative alla sua salute, ai fini risarcitori va segnalata la differenza tra danni irrimediabilmente permanenti o meno, nel caso in cui le conseguenze invalidanti possano essere eliminate o alleviate mediante interventi riparatori di non difficile o rischiosa esecuzione, pur considerando che ogni intervento chirurgico, anche il più semplice, può comportare rischi per la salute in caso di eventuali “complicanze”.

Ove, ad esempio, un intervento comune di artroscopia, eseguibile anche ambulatorialmente, senza anestesia generale, fosse stato in grado di eliminare o ridurre notevolmente il deficit di deambulazione, il danneggiato avrà sempre diritto al danno biologico da micropermanente, ma non all’eventuale danno alla capacità lavorativa ed alle eventuali altre alterazioni esistenziali collegate a tale lesione, ove le conseguenze invalidanti della lesione fossero state facilmente rimovibili, in base alle attuali conoscenze scientifiche.

Nel caso in cui, quindi, il danneggiato decida di non sottoporsi a tale intervento riparatorio, ove non sussistano fondati motivi di carattere medico per tale decisione che rimane, peraltro, incoercibile, tuttavia non gli va riconosciuto il danno patrimoniale che tale intervento avrebbe eliminato o alleviato.

In un soggetto anziano tale valutazione deve essere condotta tenendo conto della situazione generale di salute dello stesso, con ponderazione di tutte le circostanze del caso.

Non si incide, in tal modo, sul diritto alla autodeterminazione in tema di diritto alla salute, ma solo sulla entità del pregiudizio ascrivibile al danneggiante, in base al comportamento del danneggiato, valutabile ai sensi dell’art. 1227 c.c., ai fini di una valutazione comparativa del comportamento delle parti, sia pure di valenza diversa, nella determinazione dei danni risarcibili.

Quanto ai criteri risarcitori la liquidazione del danno patrimoniale può avvenire in via equitativa e dev’essere a carattere satisfattivo, tenendo conto della permanenza del danno patrimoniale; fornita la prova, diretta e scientifica della perdita della capacità lavorativa specifica il danno non concerne soltanto la situazione presente, ma anche e soprattutto quella futura, con il progredire dell’età e la riduzione delle capacità lavorative (23).

Il danno da inabilità per la diminuzione reddituale non va più liquidato automaticamente senza bisogno di prove, ricorrendo al criterio dell’art. 4, comma 1, della l. n. 39/1977, cioè in riferimento al reddito netto risultante più elevato nell’ultimo triennio, per come dichiarato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.

Il coefficiente di capitalizzazione per la costituzione delle rendite vitalizie immediate di cui alla tabella allegata al r.d. 9 ottobre 1922, n. 1403, in conseguenza dell’aumento della vita media, della variazione dei tassi di interesse e della minore redditività del denaro, va, quindi, considerato inadeguato.

Il giudice deve adeguare il risarcimento “tabellare” ai mutati valori reali della durata della vita e del saggio d’interesse posti a base delle stesse tabelle, cioè, eliminando gli elementi distorsivi da obsolescenza presenti nelle citate tabelle, attuando la “personalizzazione” del danno, tenendo conto delle circostanze del caso concreto, modificando il dato statistico della sopravvivenza che va considerato in concreto, in relazione alla qualità biologica della vittima, se ancora in vita al tempo della decisione.

Tale coefficiente è generalmente reperibile dai dati statistici sulle speranze di vita nazionali.

Tuttavia qualora la vita effettiva del danneggiato abbia superato il limite risultante dai parametri di cui al suddetto r.d. n. 403/1922, il criterio di liquidazione del danno attraverso la capitalizzazione di una rendita deve essere opportunamente corretto: una prima volta sulla base dell’elemento concreto costituito dal protrarsi della vita del danneggiato fino all’epoca della decisione (si tratta infatti di danno attuale e non futuro, esattamente accertabile); una seconda volta sulla base della presumibile vita futura del danneggiato dalla decisione in poi.

Va, quindi, attualizzato il criterio di liquidazione, risultante dai parametri di cui al r.d. n. 403/1922, personalizzando il risultato astrattamente ottenibile in forza del criterio automatico, adeguandolo al caso concreto in funzione di due parametri costituiti a) dalla durata presumibile della vita; b) dalla redditività del denaro.

Nel caso della sentenza in rassegna la vittima aveva superato l’età media prevista dalle citate tabelle e la valutazione del giudice non poteva prescindere da tale elemento concreto, dovendo adeguare i parametri tabellari tenendo conto del maggiore periodo di vita del danneggiato protrattosi fino all’epoca della decisione trattandosi di danno attuale e non futuro, esattamente accertabile; quindi sulla base della presumibile vita futura del danneggiato, a partire dal dì della decisione in poi.

In tal caso occorre attualizzare il criterio di liquidazione sia in funzione del fattore costituito dalla durata della vita, sia in funzione del fattore costituito dalla redditività del denaro, personalizzando, adeguandolo al caso concreto.

Ove vengano disattesi gli argomenti di prova, anche presuntiva, allegati o prodotti dal soggetto leso con una riduzione del danno patrimoniale futuro in relazione alla natura permanente di tale danno, alla probabile crescita delle spese future ed alla decadenza biologica determinata dalle lesioni, occorre una attenta motivazione a supporto di tale riduzione, in quanto contrastante col principio dell’integrale risarcimento del danno alla persona, che deve essere valutato in concreto e non in forza di parametri, sia pure normativi, superati, ricorrendo alla personalizzazione del danno che non può essere mai ritenuta “contra legem” in forza del citato principio della integralità del risarcimento, di valore costituzionale e comunitario, ove adeguatamente e logicamente motivato.

NOTE

(1) Sez. Un. civ., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974, 26975, in questa Rivista, 2008, 38.

(2) Ai sensi degli artt. 138 e 139 cod. ass. “agli effetti della tabella per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica una incidenza negativa sulle quotidiane attività e sugli aspetti dinamico relazionali del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.

(3) In tema di danno biologico e morale la liquidazione per punto d’invalidità effettuata sulla scorta delle cosiddette tabelle, elaborate nei diversi uffici giudiziari, si fonda sul potere del giudice di fare ricorso al criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c.c. Peraltro, poiché dette tabelle non costituiscono norme di diritto, né rientrano nella nozione di fatto di comune esperienza, di cui all’art. 115 c.p.c., la parte che in sede di legittimità lamenti il vizio di motivazione della sentenza consistente nell’incongrua applicazione delle tabelle non può limitarsi ad una generica denuncia del vizio relativamente al valore del punto preso in considerazione, ma deve dare conto delle tabelle invocate, indicando in quale atto sono state prodotte e in quale senso sono state disapplicate o incongruamente applicate dal giudice di merito, Cass. civ. n. 27723/2005.

(4) In tema di danno biologico, laddove il giudice di primo grado abbia provveduto alla liquidazione equitativa utilizzando una delle tabelle elaborate presso i vari uffici giudiziari che non assurgono al livello del fatto notorio ma abbia fatto riferimento erroneamente ad una tabella previgente, riconoscendo per tale ragione una somma inferiore, l’appellante ha l’onere nel rispetto del principio della specificità dei motivi di impugnazione posto dall’art. 342, comma 1, c.p.c. di rappresentarlo puntualmente al giudice dell’appello, producendo, se del caso, la documentazione necessaria a dimostrare l’erroneità della liquidazione, non potendo altrimenti fondatamente dolersi col ricorso per cassazione ex art. 360, n. 5, c.p.c., dell’errore in cui sia incorso anche il giudice di appello, giacché il vizio in questione attiene alla motivazione sul fatto e non può che essere apprezzato in relazione ai fatti specificamente dedotti, Cass. civ. n. 21369/2004.

(5) Cass. civ., 11 giugno 2007, n. 13676.

(6) Nel procedimento per cassazione, che non consente alcuna forma d’istruzione probatoria, è preclusa la produzione di documenti ovvero di altre cose materiali che servano come mezzi di prova di fatti posti a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti miranti ad introdurre nuove circostanze che non siano quelle riguardanti la nullità della sentenza o l’inammissibilità del ricorso o, del controricorso. Tale divieto, peraltro, non sussiste per la produzione di raccolte di norme giuridiche e di documenti, già prodotti dalle parti o acquisiti d’ufficio nei gradi precedenti, sui quali il ricorso per cassazione si fondi e dei quali, peraltro, la norma dell’art. 369, comma 2, c.p.c., impone il deposito. Cass. civ., 8 maggio 2001, n. 6396; nell’enunciare il principio sopracitato la S.C. ha ritenuto che non fosse stato violato il disposto dell’art. 372 cod. cit. dalla parte che aveva prodotto nel giudizio di legittimità le tabelle dei cosiddetti punti d’invalidità esistenti presso l’ufficio giudiziario del merito, anche se le stesse non hanno l’efficacia vincolante di norme giuridiche in senso lato, né costituiscono fatto notorio o norme di comune esperienza.

(7) La interpretazione degli artt. 369, n. 4, e 372, c.p.c. “consente di formulare censure fondate su errori in iudicando o in procedendo“, in riferimento ad elementi di fatto già acquisiti al giudizio. L’art. 366 c.p.c. indica il contenuto del ricorso, in relazione al quale l’art. 369 determina i documenti che ad esso debbono essere allegati, al fine di offrire alla Corte un quadro immediato, completo e autosufficiente delle censure sulle quali deve pronunciarsi. Ne deriva che, in tale quadro, debbono essere prodotti, a norma dell’art. 369 c.p.c., a pena di improcedibilità del ricorso, ove la mancata produzione renda impossibile l’esame del ricorso stesso, i documenti, già prodotti dalle parti o acquisiti di ufficio al giudizio nei gradi precedenti, sui quali si fonda il ricorso; l’art. 372 va interpretato nel senso che non è vietata l’allegazione al ricorso di documenti già acquisiti al giudizio nei gradi precedenti, ma solo di regola di quelli nuovi, trovando l’art. 372 la sua ratio nel divieto di introdurre nel giudizio di cassazione nuovi elementi di fatto, salvo che nelle particolari ipotesi da esso previste. Cass. civ., 22 gennaio 1998, n. 570, in Giust. civ., 1999, 255, con nota di Santagada, Sull’efficacia della sentenza penale nel giudizio civile diverso da quello per le restituzioni ed il risarcimento del danno.

(8) Cfr. Corte cost., 14 giugno 1986, n. 184; Cass. civ., 2 febbraio 2007, n. 2311; Cass. civ., 22 giugno 2001, n. 8899; Cass. civ., 1 dicembre 2004, n. 22599.

(9) Cfr. da ultimo Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12247.

(10) Cass. civ., 24 marzo 2004, n. 5840, in Arch. giur. circ. sin., 2004, 860. Viene esplicitato dalla S.C. che la categoria concettuale dalla incapacità lavorativa generica, elaborata prima dell’individuazione di quella dal danno alla salute, al fine di evitare che il danneggiato privo di redditi da lavoro non conseguisse alcun risarcimento (diverso da quello connesso al danno morale), non può essere utilizzata per riconoscere in modo sostanzialmente automatico un danno patrimoniale da lucro cessante come conseguenza delle lesioni, che possono non essere suscettibili di incidere sulla concreta attitudine del soggetto leso a produrre un reddito sia nel caso che egli già svolga un determinato lavoro, sia nel caso che ancora non eserciti un’attività lavorativa e che non sia dunque possibile un apprezzamento della potenziale incidenza dei postumi permanenti a provocare una contrazione delle sue entrate future in riferimento ad un lavoro specifico.

(11) Cass. civ., 27 giugno 2007, n. 14840.

(12) Cfr. Cass. civ., 9 maggio 2002, n. 6643.

(13) Cfr. Cass. civ., 8 agosto 2007, n. 17397.

(14) Cfr. Cass. civ., 24 marzo 2004, n. 5840, cit.; Cass. civ., 9 gennaio 2001, n. 239.

(15) Cass. civ., 11 marzo 2005, n. 5415, in questa Rivista, 2005, 1051, con nota di Chindemi, Micropermanenti e capacità lavorativa: onerosità dell’inversione dell’onere della prova a carico del danneggiato. La Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello che, in relazione ad una lesione al ginocchio con postumi permanenti interessanti la deambulazione (quantificati nel 10%), subiti da un minore, studente all’epoca del sinistro, non svolgente ancora alcuna attività lavorativa, ha negato la sussistenza del danno patrimoniale, poiché “dagli atti” emergeva la sua predisposizione per un’attività intellettuale, ritenendo “pressoché nulla” l’incidenza del “modesto” deficit accertato sulla futura capacità di produzione di reddito, escludendo la possibilità che il soggetto, in futuro, possa dedicarsi “ad attività lavorativa manuale ed, in particolare, ad attività manuale per cui sia richiesta specificamente una condizione ottimale dell’organismo e della deambulazione in particolare”. Cfr. anche Cass. civ., 10 agosto 2004, n. 15418, ined.; Cass. civ., 26 febbraio 2004, n. 3868, in Arch. giur. circ. sin., 2004, 742; Cass. civ., 26 settembre 2000, n. 12757, in Arch. civ., 2001, 51.

(16) Sulla prova controfattuale del danno cfr. Cass. civ., 19 maggio 1999, n. 4852.

(17) Cass. civ., 8 novembre 2007, n. 23293; Cass. civ., 20 gennaio 2006, n. 1120; Cass. civ., 25 maggio 2004, n. 10026.

(18) Cass. civ., 14 giugno 2007, n. 13953.

(19) Costituisce principio ormai affermato dalla S.C. che il grado di invalidità personale determinato dai postumi permanenti di una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette automaticamente sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza; sicché, nel caso in cui la persona che abbia subito una lesione dell’integrità fisica già eserciti un’attività lavorativa e il grado d’invalidità permanente sia tuttavia di scarsa entità (cosiddette “micropermanenti”), un danno da lucro cessante derivante dalla riduzione della capacità lavorativa in tanto è configurabile in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno non patrimoniale. Cass. civ., 18 settembre 2007, n. 19357; la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in base ad adeguata motivazione, aveva escluso che le lesioni subite dal danneggiato in sinistro stradale determinanti un’incapacità lavorativa specifica dell’1% fossero idonee a ripercuotersi negativamente nell’esplicazione dell’attività di avvocato dal medesimo svolta e a determinare la lamentata diminuzione dei suoi redditi.

(20) Cfr. Cass. civ., 25 agosto 2006, n. 18489.

(21) Cass. civ., 23 gennaio 2006, n. 1230; Cass. civ., 20 gennaio 2006, n. 1120, in Arch. giur. circ. sin., 2006, 831.

(22) Cass. civ., 18 settembre 2007, n. 19357.

(23) Cass. civ., 11 maggio 2007, n. 10831.

Consigliere della Corte di Cassazione. Docente incaricato di Diritto Privato, Università Bocconi di Milano. Presidente della Commissione tributaria regionale della Lombardia. Componente del Comitato Scientifico della Rivista “Diritto ed economia dell’assicurazione”. Componente di redazione della rivista “Responsabilità civile e previdenza.” Autore di numerose pubblicazioni in materia.

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