Il danno differenziale: oneri allegativi e probatori per le domande relativa ad infortuni o malattie professionali

Domenico Chindemi, Il danno differenziale: oneri allegativi e probatori per le domande relative ad infortuni o malattie professionali, in Responsabilità civile e Previdenza, 2011, 1656

Il danno differenziale: oneri allegativi e probatori per le domande relative ad infortuni o malattie professionali

Vengono affrontati i nodi relativi al risarcimento del danno c.d. “differenziale” che non ha una definizione normativa, ma solo giurisprudenziale e dottrinaria alla luce delle sentenze di San Martino del novembre 2008 sul danno non patrimoniale, con particolare riferimento al principio dell’integrale risarcimento del danno alla persona, prospettando i criteri risarcitori alla luce del concreto contenuto, in termini di pregiudizi risarcibili, del danno biologico, a seconda delle diverse definizioni dottrinali, giurisprudenziali e normative di tale tipologia di danno non patrimoniale.


Il danno differenziale: oneri allegativi e probatori per le domande relativa ad infortuni o malattie professionali


Sommario: 1) Principi delle Sezioni Unite di San Martino applicabili in tema di danno differenziale. 2) Differenti definizioni di danno biologico e incidenza sui criteri risarcitori del danno differenziale.


1) Principi delle Sezioni Unite di San Martino applicabili in tema di danno differenziale

Il c.d. «danno differenziale» non ha una definizione normativa, ma è di origine dottrinale e giurisprudenziale (come, ad esempio, la distinzione tra obbligazioni di mezzo e risultato) ed ha, anche in tali ambiti una variabilità di contenuti.

In senso più restrittivo si intende quale danno quantitativo, rientrante, comunque, nella copertura assicurativa, costituito dalla differenza tra quanto riconosciuto dall’Inail e la maggior somma liquidata in sede civile, mentre in senso qualitativo si fa riferimento a voci non rientranti nella copertura assicurativa (in tal caso dovrebbe parlarsi, più correttamente, di danno complementare), liquidabili all’infortunato in aggiunta all’indennizzo Inail.

Tale ultima distinzione oggi è quasi venuta meno per generale onnivorità del danno biologico che assorbe al suo interno la totalità delle voci di pregiudizi areddituali.

In termini ancor meno tecnici, il danno differenziale può essere richiesto anche nei confronti del responsabile civile del sinistro, diverso dal datore di lavoro.1

La nozione di danno differenziale può essere estrapolata dall’art. 10 del TU INAIL e va configurata nei confronti del datore di lavoro, rimanendo comunque rilevante, quale differenza ulteriore che il lavoratore danneggiato ottenga, oltre l’indennizzo INAIL, un ulteriore risarcimento dal civilmente responsabile del danno subito, come, nel caso non infrequente, di responsabilità del terzo in caso di infortunio in itinere, in quanto tale ulteriore risarcimento va computato nel complessivo ristoro percepito dal lavoratore che non può, comunque, percepire un importo maggiore del pregiudizio effettivamente subito.

Nel previgente sistema il danno indennizzabile era quello patrimoniale e, più precisamente, la capacità lavorativa generica, in relazione alla quale era operante l’esonero, mentre attualmente hanno natura di ristoro patrimoniale le menomazioni di grado pari o superiore al 16%.

Inserito anche il danno biologico all’interno della copertura Inail, tale danno, da complementare è divenuto differenziale.

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Ai fini della concreta individuazione del danno biologico differenziale occorre confrontarsi con le sentenze di San Martino delle Sezioni Unite (Cass. 11 novembre 2008n., 26972-75) che hanno ridisegnato un almeno apparentemente nuovo criterio risarcitorio del danno non patrimoniale, per cui non è conducente un acritico riferimento alle giurisprudenza e dottrina ante novembre 2008, dovendo entrambe essere rivisitate alla luce dei principi indicati dal nuovo corso delle Sezioni Unite sul danno reddituale.

Si è acutamente osservato in dottrina che la prima e fondamentale considerazione è che l’art. 10 del D.P.R. 1124/65 deve necessariamente essere applicato, trattandosi di norma che prevede l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile: se non si applicasse l’art. 10 del D.P.R.. n. 1124/65 il datore di lavoro dovrebbe rispondere per intero del danno nonostante l’inclusione del danno biologico nell’ambito dell’assicurazione INAIL, dal momento che nessun esonero è previsto nell’art. 13 del D.Lgs. 38/00.2

Tale regola si ritiene sia invocabile da parte del datore di lavoro anche nei confronti dei terzi responsabili che esercitano l’azione di rivalsa contro il datore, quale corresponsabile coobbligato solidale.

Tuttavia si è rimarcato che “le recenti analisi sul danno differenziale convergono nella constatazione circa l’avvenuto superamento della regola dell’esonero da responsabilità del datore di lavoro, di cui all’art. 10 del T.U. n. 1124/19653.

Il legislatore, con la normativa ex d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, accogliendo i ripetuti inviti della Corte Costituzionale, ha stabilito la indennizzabilità da parte dell’INAIL a favore dell’assicurato del danno biologico di invalidità permanente. La disciplina, delineata all’art. 13 del citato decreto legislativo, si ispira ai principi fondamentali dell’assicurazione Inail e l’indennizzo assolve ad una funzione sociale, differenziandosi così dal “risarcimento” previsto in ambito civilistico a ristoro del danno biologico.4

La stessa Corte costituzionale ha chiarito che il danno previdenziale è finalizzato a garantire la libertà dal bisogno, mentre il danno civile ha la funzione di sanzionare e prevenire l’illecito.5

Sovente l’indennizzo erogato dall’INAIL è inferiore al risarcimento, per lo stesso danno, liquidabile in forza delle tabelle utilizzate dai tribunali per la quantificazione equitativa del danno biologico da invalidità permanente, ovvero sulla base delle tabelle previste dall’art. 139 c.d.a. in tema di micro permanenti (quella relativa alle macropermanneti non è stata ancora emanata) per la liquidazione del danno biologico riportato in seguito a sinistro stradale, considerando anche la più ampia nozione di danno biologico nel codice delle assicurazioni. Rispetto a quella Inail.

Si pone di conseguenza il problema di valutare se l’indennizzo erogato dall’Inail escluda in tutto o in parte la possibilità per il danneggiato di ottenere l’integrale ristoro del maggior danno subito quantificato secondo i criteri civilistici .

La coesistenza tra l’istituto dell’indennizzo ex art 13 d.lgs. n. 38/2000 e il risarcimento del danno biologico secondo i criteri civilistici impone all’interprete di verificarne le interferenza ai fini di accertare la possibilità di riconoscere a favore del lavoratore il c.d. danno differenziale nei confronti del datore di lavoro o di altri terzi danneggianti.6

Prima di liquidare il danno, in tema di sinistri stradali, l’assicuratore r.c.a. deve chiedere al danneggiato una dichiarazione attestante che lo stesso non ha diritto a prestazioni dall’Inail (va considerato che non è infrequente il caso in cui il danneggiato non sappia di avere effettivamente diritto a tali prestazioni.

Tale dichiarazione è richiesta ai fini della procedibilità della domanda di risarcimento (art. 148, c. 2).

Se il danneggiato dichiara di avere diritto alle prestazioni dell’Inail, l’assicuratore deve accantonare le relative somme e fare la dichiarazione all’Inail e solo dopo 45 giorni da tale comunicazione, se l’Inail non dichiara di volersi surrogare, l’assicuratore provvederà al pagamento a favore del danneggiato.

Il danno, differenziale, previsto dall’art. 10 del T.U. 1124/1965 (testo normativo base della tutela previdenziale contro le malattie e gli infortuni professionali) trova applicazione, quale ulteriore risarcimento, “qualora il giudice riconosca che questo ascende a somma maggiore dell’indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto ed è dovuto solo per la parte che eccede l’indennità”.

Tale principio è aderente ad altro, di carattere generale che giustifica ormai la generale ammissibilità del danno differenziale richiesto dal lavoratore, rispetto a quello erogato dall’assicuratore sociale, ove ne fornisca la prova, consistente nell’“integrale risarcimento del danno alla persona” di carattere non patrimoniale, affermato dalle sentenza delle Sezioni Unite di San Martino che elimina ogni dubbio sulla possibilità, per il lavoratore di richiedere tale ulteriore voce di danno al responsabile dell’infortunio o della malattia professionale.

Ormai prive di valenza pregnante vanno considerati gli orientamenti che escludevano la stessa categoria del danno differenziale biologico fondati sul presupposto che le tabelle giurisprudenziali hanno un valore solo convenzionale, ben differente dalle tabelle normative Inail.

Va, al riguardo, rilevato che anche le tabelle delle micropermanneti del codice delle assicurazioni sono normativamente previste e comunque, anche le tabelle adoperate dai vari tribunali, pur avendo origine pattizia e non normativa, di fatto, costituiscono manifestazione del diritto vivente che non può essere ignorato dall’interprete nella valutazione della possibile esistenza di un danno differenziale a favore del lavoratore che può avere una duplice origine:1) diverso sistema di monetizzazione del punto d’invalidità, 2) differente percentuale di menomazione tra le tabelle Inail rispetto a quelle dei Tribunali.

Quindi in caso di indennizzo erogato dall’INAIL ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 38/00, il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno biologico differenziale in base al disposto dell’art. 10 del D.P.R. 1124/65.7

Si ritiene che tale conclusioni valga sia per il danno c.d. qualitativo (cioè per le voci di danno che non sono ricomprese nel danno biologico INAIL, ma sono ricomprese nel danno biologico civilistico), sia per il danno quantitativo (cioè per l’eventuale maggior importo dovuto al lavoratore in sede civile per il danno biologico rispetto a quello liquidato dall’Inail per una ritenuta maggiore percentuale o differente liquidazione tabellare).

Rafforzano tale orientamento lo scopo della tutela fornita dall’art. 13 d.p.r. 38/2000 che è quello di garantire l’indennizzo sociale del danno biologico, e non il suo pieno ed integrale risarcimento, nell’ottica di un rafforzamento di tutela dei diritti costituzionalmente garantiti, tra l’art. 32 c. e 38 c.8

L’indennizzo erogato dall’Inail, proprio perché definito tale, non può essere ritenuto equivalente al risarcimento civilistico con la possibilità per il danneggiato di richiedere la differenza tra l’indennità liquidata e la maggior somma dovuta a titolo risarcitorio.

Vi sarebbe, inoltre, ove si accedesse alla teoria contraria, una disparità di trattamento, di rilevanza costituzionale sotto il profilo della violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto il danno biologico determinato da infortunio sul lavoro o da malattia professionale non sarebbe interamente risarcibile a differenza degli altri tipi di danno, trovando la medesima lesione un differente trattamento risarcitorio non giustificabile sotto il profilo costituzionale.

Peraltro non può sfuggire che l’indennizzo Inail viene determinato dalla legge in misura forfettaria e predeterminata, uguale per tutti e opera a prescindere dalla colpa in quanto deve garantire un “minimum sociale”, come desumibile dalla finalità solidaristica prevista ex art. 38 Cost., mentre il danno civile va riconosciuto previo accertamento della responsabilità.

In forza di tale principio affermato dalle pronunce delle Sezioni Unite del novembre 2008 vengono fugati i dubbi sulla ammissibilità del riconoscimento del danno differenziale, ma previa allegazione e prova del maggior danno subito, in ossequio ad altro principio, espressamente affermato nelle stesse sentenze, del c.d. “danno conseguenza” essendo necessaria, anche nel caso di violazione di diritti inviolabili, la prova del danno che non può, più, essere affermata automaticamente, a seguito della mera violazione del diritto, come in precedenza riconosciuto in forza del diverso principio del c.d. ” danno evento” in base doveva trovare automatico ristoro ogni violazione di diritti costituzionalmente garantiti altrimenti, si affermava, sarebbe rimasta sfornita di tutela la loro lesione, costituzionalmente qualificata.

Particolare importanza riveste, alla luce delle pronunce di San martino, la distinzione tra l’allegazione, consistente nella prospettazione di fatti, e la prova che si riferisce alla dimostrazione della veridicità delle circostanze allegate.

Alla luce del principio del c.d.”danno conseguenza” e, previa allegazione e prova del danno stesso, il giudice del merito calcola autonomamente il danno biologico civilistico (artt. 1221, 2056 cod. civ.), generalmente in relazione alla percentuale riconosciuta dal consulente tecnico d’ufficio, senza condizionamenti derivanti della valutazione effettuata dall’istituto a mezzo dei suoi sanitari ai fini del danno infortunistico, stabilendo, quindi, se l’importo liquidato dall’Inail è esaustivo del danno biologico subito dal danneggiato, riconoscendo, eventualmente, la differenza rispetto all’importo liquidato dall’Inail.

Il giudice civile non è, quindi, vincolato dalla valutazione dell’Istituto relativa al danno biologico, fondata su criteri diversi e su voci di danno che ancorché simili, come per il danno biologico, divergono per quanto concerne i contenuti, differenti, in particolare dopo le pronunce delle SS.UU. del novembre 2008, soprattutto con riguardo alla nozione di danno biologico ed ai pregiudizi in esso ricompresi.

Non si tratta solamente di valutazioni fondate sulle diverse tabelle utilizzate, rispettivamente dall’Inail o dai vari tribunali, o previste dalla legge (per le sole micropermanneti del codice delle assicurazioni) che conducano ad un differente ristoro del danno biologico, dovendosi anche considerare il diverso contenuto del danno biologico nelle sue diverse definizioni normative e giurisprudenziali, la sua diversa ampiezza in termini di pregiudizi racchiusi nelle diverse definizioni che possono condurre a diversi criteri risarcitori, con voci di danno differenti.9

Soltanto nel 2000 l’art. 13 D.lgs 23.2.2000, n. 38 ha inserito il danno biologico nell’assicurazione Inail prevedendo che “in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento… il danno biologico ….(è) la lesione della integrità psico-fisica suscettibile di valutazione medico legale, della persona…. indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato.

Il giudice è tenuto a verificare se le lesioni accertate, oltre ad incidere sulla salute del soggetto, abbiano anche ridotto la sua capacità lavorativa specifica, con riduzione, per il futuro, della sua capacità di reddito, attribuendo in tal caso due distinte voci di risarcimento, rispettivamente a titolo di danno biologico e di danno patrimoniale per la riduzione della capacità lavorativa specifica.

Il principio guida ai fini del riconoscimento del danno differenziale può individuarsi, di riflesso, nei principi in tema di surrogazione, ove si precisa che “in ogni caso l’ente gestore delle assicurazioni sociali non può esercitare l’azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell’assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti” (art. 142, comma 4, c.d.a.).

Va considerato che l’art. 13 del decreto legislativo n. 38/2000, prevede che per gli infortuni occorsi o comunque denunciati in seguito all’entrata in vigore del decreto ministeriale contenente le tabelle delle menomazioni (25 luglio 2000), l’INAIL indennizza anche il danno biologico e per le lesioni ricomprese dal 6% di i.p. fino al 15%, l’INAIL corrisponde, in forma capitale, solo un indennizzo a titolo di danno biologico, mentre le menomazioni di grado pari o superiore al 16% di i.p. (II fascia) “danno diritto all’erogazione di un’ulteriore quota di rendita per l’indennizzo delle conseguenze delle stesse, commisurata al grado di menomazione, alla retribuzione dell’assicurato e al coefficiente di cui alla apposita “tabella dei coefficienti”, che costituiscono indici di determinazione della percentuale di retribuzione da prendere in riferimento per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali, in relazione alla categoria di attività lavorativa di appartenenza dell’assicurato e alla ricollocabilità dello stesso”.

Il diritto alla rendita per infortunio sul lavoro in favore degli ascendenti superstiti, ex art. 85 d.P.R. n.1124 del 1965, presuppone, ai sensi del successivo art. 106, la cosiddetta “vivenza a carico”, la quale è provata quando ricorrano contestualmente due condizioni: a) il pregresso efficiente concorso del lavoratore deceduto al mantenimento degli ascendenti mediante aiuti economici che, per la loro costanza e regolarità, costituivano un mezzo normale, anche se parziale, di sostentamento; b) la mancanza, per gli ascendenti, di autonomi e sufficienti mezzi di sussistenza, concetto, quest’ultimo, che richiama l’espressione “mezzi necessari per vivere” di cui all’art. 38, comma 1 Cost.10

Viene mantenuta la franchigia, fino al 6% e, di conseguenza, per le menomazioni di entità inferiore l’infortunato non avrà diritto ad alcuna prestazione da parte dell’INAIL, mentre non è previsto alcun indennizzo per il danno (rectius: pregiudizi) biologico temporaneo, per il danno esistenziale e per il danno morale.

Anche se l’art. 13, comma 2°, lettera a) prevede che la «Tabella delle menomazioni» sia “comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali”, non viene valorizzato il profilo dinamico in quanto l’indennizzo è calcolato in base a parametri fissi, automatici, uguale per tutti i danneggiati, senza alcuna personalizzazione del danno.

Poiché, inoltre, le tabelle Inail sono inferiori alla tabelle in uso nei vari Tribunali, l’importo ottenuto dall’Inail è sempre inferiore, a parità di valutazione della percentuale del danno biologico in ambito civilistico e previdenziale, rispetto al risarcimento a cui è obbligato il responsabile del danno o l’impresa assicuratrice per la r.c.a.

Il danno differenziale sarà, quindi, ammissibile per voci di danno, previdenziale e civilistico, non sovrapponibili non solo per definizione ma per contenuti e criteri risarcitori.

Va, quindi, ammesso il c.d. danno differenziale per le seguenti voci di danno:

  • maggior danno biologico riconosciuto in sede civilistica rispetto al previdenziale
  • danno morale;
  • danno biologico temporaneo(diverso da quello di natura patrimoniale temporaneo, coperto dall’indennità giornaliera del sistema di tutela di cui al DPR 1124/1965, e, segnatamente dall’art. 66 comma 1 n.1);
  • danno da perdita di chance non patrimoniale
  • danno tanatologico iure proprio (compreso il danno catastrofico, risarcibile iure hereditatis anche in mancanza di un apprezzabile lasso temporale tra la lesione e la morte

Infatti le compromissioni morali e/o esistenziali, come anche ritenuto dalla Corte, possano anche sussistere in assenza di un danno biologico, come nel caso di danno da morte di soggetto deceduto senza apprezzabile lasso temporale tra le lesioni e la morte, ma che sia rimasto vigile ed abbia atteso lucidamente la morte.

In tale ultimo caso le Sezioni Unite del novembre 2008, riconoscono la possibilità, per il giudice, di liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, ma che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine .

  • danno biologico invocato iure proprio dai superstiti, in caso di eventi mortali,
  • danno esistenziale anche se ricompreso nel biologico, stante la diversa definizione di biologico a fini Inail; va rilevato che il danno biologico, nel c.d.a. comprende anche il danno esistenziale (art. 138 e 139 c.d.a.), escluso, invece, dalla definizione INAIL che fa riferimento al solo danno dinamico e alla vita di relazione (art. 13 d.lgs 23.2.2000, n. 38), peraltro senza prevedere le personalizzazioni possibili normativamente nel codice delle assicurazioni (20% per le micropermanenti e 30% per le macro) oppure mediante la personalizzazione (auspicata dalle stesse sentenze di San Martino) delle tabelle dei vari Tribunali;
  • danno da perdita della capacità lavorativa generica che non rientra nel danno previdenziale da infortunio (peraltro quasi mai liquidata all’interno del danno biologico.
  • danno biologico da lesione cd. micropermanente che non raggiunga la soglia minima del 6%;
  • Danno patrimoniale differenziale (o complementare) ossia, per le menomazioni inferiori al 16% (per le quali non opera l’indennizzo INAIL), liquidazione del pregiudizio, di tipo patrimoniale, alla capacità lavorativa (specifica); “di tale pregiudizio potrà essere preteso (fornendone ovviamente la relativa e tendenzialmente rigorosa prova) il risarcimento secondo le comuni regole civilistiche, a prescindere dall’eventuale indennizzo INAIL pure, in ipotesi, erogato (ma appunto, unicamente a ristoro del danno biologico in quanto tale) e al di fuori dei residui limiti dell’art. 10 del T.U.;
  • danno patrimoniale differenziale per menomazioni pari o superiori al 16% in cui l’INAIL eroga una rendita, ove sussista una differenza tra il pregiudizio patrimoniale effettivamente subito e la capitalizzazione della rendita INAIL, considerato che ai fini del calcolo della rendita la retribuzione percepita dal soggetto non viene presa in considerazione nel suo intero ammontare ma solo per una percentuale rapportata alla gravità delle lesioni.

Va considerato, al riguardo che il credito per danno differenziale è considerato, in forza di un orientamento prevalente, di valore, quindi, va quantificato alla data di liquidazione definitiva e sulla somma finale vanno calcolati la rivalutazione monetaria e gli interessi da ritardo, con decorrenza dal momento in cui il danno è stato cagionato.11

Con riferimento al danno tanatologico, nel caso in cui la morte segua le lesioni dopo breve tempo, riguardando il bene giuridico della vita, diverso da quello della salute (in quanto la perdita della vita non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute), non rientra nella nozione di danno biologico recepita dall’art. 13 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, che fa riferimento alla “lesione dell’integrità psicofisica”, suscettibile di valutazione medico-legale e causativa di una menomazione valutabile secondo le tabelle di cui al d.m. 12 luglio 2000 del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, operando entro detti limiti l’assicurazione sociale del danno biologico.

Ne consegue che non è risarcibile la domanda proposta “iure hereditatis” dagli eredi del “de cuius” nei confronti dell’INAIL per il risarcimento del danno da “perdita del diritto alla vita”. 12

Vanno, quindi, scorporate dal danno biologico le componenti esistenziali, morali e dinamica, quest’ultima costituita dall’aumento percentuale del danno biologico per le condizioni soggettive del danneggiato (micro permanenti del c.d.a.) o per la particolare gravità della lesione (macropermanenti c.d.a.), esclusa dall’indennizzo Inail.

Il danno biologico ha una componente statica e una componente dinamica, consistente nella possibilità di aumenti percentuali extra tabellari per micro(20%) e macro- permanenti (30%), in forza del principio di personalizzazione del danno che è, invece, escluso dal sistema indennitario dell’assicuratore sociale.

Anche la componente statica è, tuttavia, comprensiva della incidenza negativa usuale delle lesioni sugli aspetti dinamico-relazionali e vi è, quindi, perfetta sovrapposizione tra danno biologico Inail e danno biologico statico oggetto di surrogazione Inail, mentre vengono escluse nel biologico Inail le eventuali componenti esistenziali e morali, ricomprese nel biologico di natura civilistica, anche alla luce delle sentenze delle SS:UU. del novembre 2008.

Per tali ultime voci sarà possibile richiedere il danno differenziale.

Anche il danno patrimoniale e non patrimoniale da perdita di chance potrà essere oggetto di richiesta di danno differenziale, ove si dimostri che non è stato adeguatamente valutato o non riconosciuto in sede di indennizzo Inail.13

Così, ad esempio, in caso di mancato rinnovo del contratto di lavoro a dipendente infortunato che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” – che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non costituisce una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione – ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta, vagliando il nesso tra l’inabilità temporanea conseguente ad infortunio e il mancato rinnovo alla stessa del contratto di lavoro, rinnovato, invece, a tutti gli altri dipendenti.14

Qualche dubbio sussiste solo per le somme riconosciute a titolo di danno biologico c.d. dinamico, in quanto nel danno biologico Inail manca la personalizzazione del danno, prevista invece nel c.d.a..Tuttavia l’art. 13 D.lgs n. 38/2000 prevede che il danno biologico liquidato in base alla tabelle sia comprensivo degli “aspetti dinamico relazionali”, dovendo ritenersi, tuttavia limitata tale definizione a quelli statici, non essendo prevista alcuna personalizzazione ulteriore, come invece, possibile per il Codice delle Assicurazioni per le liquidazioni in base alle tabelle dei Tribunali, trattandosi di un criterio, quello della “personalizzazione” delle tabelle non normative, auspicato anche dalle Sezioni Unite di San Martino, per adeguare il risarcimento all’effettiva entità del danno

Le maggiori difficoltà in tema di liquidazione del danno differenziale consistono nella unitaria nozione di danno non patrimoniale senza apparente distinzione tra compromissioni esistenziali, morali e biologiche.

In caso di richiesta di danno differenziale dovranno essere esaminate singolarmente le varie componenti del danno, per verificare quelle estranee alla definizione di danno biologico Inail per le quali sarà possibile chiedere un ulteriore danno che dovrà essere riconosciuto anche nel caso in cui il danno biologico, sovrapponibile nei diversi sistemi, sia esaustivo del risarcimento, trattandosi di pregiudizi diversi e ulteriori rispetto a quelli riconosciuti in sede Inail.

Dovrà essere il giudice prima e l’interprete, in tal caso, a operare tali distinzioni all’interno del danno biologico, al fine di individuare le componenti di danno ulteriormente risarcibili.

Appare opportuno, sia in caso di surrogazione legale dell’assicuratore sociale che di danno differenziale, chiedere al giudice la specificazione delle voci di danno non patrimoniale. Tale richiesta non è in contrasto con il principio dell’unitario risarcimento del danno non patrimoniale, non potendo il giudice liquidare, sia pure equitativamente, tale voce di danno senza indicare le specifiche compromissioni che lo compongono, ad eccezione delle sole microlesioni di non rilevante entità (si ritiene fino al 3%) che possono essere valutate unitariamente, stante la generale esiguità del risarcimento.

Ove, invece, anche per le micro permanenti di esigua entità vi siano delle componenti che elevano il risarcimento (esempio di scuola: il dito del pianista) allora occorrerà una specifica motivazione con la indicazione del particolare pregiudizio e del relativo criterio risarcitorio.

Nella stessa definizione di danno biologico nel codice delle assicurazioni (art 138, 139 c.d.a.) è prevista l’incidenza della lesione sulle attività quotidiane, che manca, invece, nella definizione Inail di danno biologico (art. 13 D.lgs 38/2000); andrebbe sempre operata la separazione del pregiudizio esistenziale, ove riconosciuto, all’interno del danno biologico, in quanto, ad esempio, con riferimento alla surrogazione dell’assicurazione sociale, solo nel caso in cui non venga riconosciuto alcun importo a titolo di danno esistenziale o morale, opererà la surrogazione per l’intero importo del danno biologico liquidato.

La valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria.15

A sua volta, la speciale azione di regresso spettante “iure proprio” all’INAIL ai sensi degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, esperibile nei confronti del datore di lavoro, si estende automaticamente anche verso i soggetti responsabili civili dell’infortunio sul lavoro chiamati in causa dal datore di lavoro medesimo, gravando su di essi un comune obbligo di sicurezza a causa della condotta da essi tenuta ed in relazione al loro concreto ruolo, sicchè essi sono direttamente responsabili dell’infortunio e dei conseguenti obblighi patrimoniali nei confronti dell’istituto assicuratore.16 Il diritto di rivalsa dell’i.N.A.I.L. verso i responsabili civili dell’infortunio ha un contenuto obiettivamente parametrato secondo il tipo delle prestazioni infortunistiche erogate e secondo le relative tabelle legali (somme pagate a titolo di indennità per inabilità temporanea e per spese accessorie, nonché ulteriore somma corrispondente al valore capitale della rendita per inabilità permanente, calcolata in base alle tabelle di cui all’art. 39 del d.P.R. n. 1124 del 1965) onde, ai fini della sua quantificazione, nessuna influenza possono spiegare elementi che rilevano, in sede di determinazione del danno risarcibile, nel diverso rapporto, di natura privatistica, fra l’infortunato ed i responsabili suddetti (quali l’eventuale continuazione, nonostante l’infortunio, dell’attività lavorativa, con percezione delle relative retribuzioni), essendo, invece, il convenuto in rivalsa soltanto facultato, per vincere la presunzione di legittimità degli atti amministrativi di erogazione delle prestazioni assicurative e provocarne la disapplicazione da parte del giudice, alla dimostrazione del carattere indebito di tali prestazioni – nascente dalla non conformità delle medesime ai menzionati parametri legali o conseguente alla revisione della rendita per modifica delle condizioni fisiche dell’assicurato (art. 83 decreto cit.) – e della conseguente loro irripetibilità.17 È inammissibile, perché introduce nel giudizio un nuovo tema di indagine e di decisione, la successiva proposizione nel corso del giudizio di una azione di surroga a norma dell’art. 1916 cod. civ. da parte dell’Inail che abbia inizialmente introdotto una azione di regresso ai sensi degli artt. 10 e 11 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 diretta ad ottenere il rimborso delle indennità erogate al lavoratore a seguito di infortunio sul lavoro. Infatti, con l’azione di regresso l’Inail fa valere un diritto proprio nascente direttamente dal rapporto assicurativo nei confronti di un soggetto del rapporto medesimo(il datore di lavoro), nei limiti della responsabilità penale per l’infortunio accertato a carico dello stesso datore di lavoro, o di qualsiasi suo sottoposto, di cui egli debba civilmente rispondere secondo le norme generali. Per contro, l’azione di surroga è diretta a far valere il diritto al risarcimento del danno spettante all’infortunato nei confronti del terzo (estraneo al rapporto assicurativo) civilmente responsabile dell’infortunio, a prescindere dalla rilevanza penale del fatto e da ogni rapporto con l’eventuale responsabilità civile del datore di lavoro.18

I medesimi principi valgono in tema di infortuni, con una precisazione nel caso di inabilità temporanea del lavoratore per infortunio cagionato da un terzo. In tal caso gli esborsi a titolo di retribuzione e di contributi sociali effettuati dal datore di lavoro in assenza della prestazione lavorativa in adempimento di un dovere fissato dalla legge o dal contratto, in favore del dipendente per il periodo di inabilità temporanea conseguente ad infortunio, e, quindi, senza ricevere il corrispettivo costituito dalle prestazioni lavorative, unitamente ai correlati contributi dovuti dallo stesso datore agli enti di assicurazione sociale, integrano un danno che si ricollega con nesso di causalità a detto infortunio, e, come tale, deve essere risarcito dal terzo responsabile del fatto medesimo. Ne consegue che, ove l’anzidetto danno, direttamente subito dal datore per il fatto illecito del terzo, sia stato cagionato a seguito di sinistro stradale, il diritto al relativo risarcimento si prescrive in due anni, ai sensi dell’art. 2947, comma secondo, cod. civ.19 Così, per determinare il lucro cessante,in tema di risarcimento danni da infortunio sul lavoro da invalidità occorre far riferimento al reddito annuo costituito dalle retribuzioni al netto e non al lordo delle ritenute fiscali, risolvendosi il diverso computo della retribuzione lorda in un ingiustificato arricchimento del danneggiato, posto che le relative somme non sono fiscalmente imponibili. 20


2) Differenti definizioni di danno biologico e incidenza sui criteri risarcitori del danno differenziale

Se si cambia il motore ad una autovettura, inserendone uno più potente, occorre anche cambiare i freni al fine di evitare che un deficit di frenata possa condurre a pericolose collisioni. La difficoltà attuale di individuare il c.d. danno differenziale da richiedere al datore di lavoro o ai terzi responsabili va individuata nella liquidazione unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale e del danno biologico in particolare, quale principale “sottovoce” di danno non patrimoniale, comprensiva di tutti i pregiudizi areddituali subiti dal danneggiato, affermata dalle sentenze di San Martino.

La definizione di danno biologico di cui all’art. 13 D.lgs 23.2.2000, n. 38, di carattere provvisorio, per espressa previsione, recita “in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento… il danno biologico ….(è) la lesione della integrità psico-fisica suscettibile di valutazione medico legale, della persona…. indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato.

A tale definizione va aggiunta quella “tradizionale” della Corte di Cassazione che ritiene che trattasi di un danno non patrimoniale “complesso” che comprende l’invalidità fisica + psichica + la vita di relazione + il danno estetico + la capacità lavorativa generica (quest’ultima voce, ove incidente sulla capacità di produzione di reddito, dovrebbe essere esclusa dal danno biologico e qualificata come danno patrimoniale)

Gli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005, Codice delle assicurazioni private, individuano il danno biologico nella “lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito“, ricomprendendo al suo interno anche le compromissioni di natura esistenziali.

Le Sezioni Unite di San Martino, con un revirement, pur rilevando che sempre a fini descrittivi, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), si parla di danno biologico, specifica che ha avuto espresso riconoscimento normativo negli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005, C.d.A. ed è suscettibile di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Quindi sembrerebbe che la definizione analitica, proposta dal legislatore negli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni vada considerata universale, rinnegando la precedente definizione di danno biologico.21

Il danno biologico si compone di quattro componenti (fisica psichica, interrelazionale interna, relazionale sociale) che devono essere provate, le prime due con valutazione medica o medico legale, le seconde due, con prova libera ed anche in via di presunzione.

Nella valutazione analitica del danno biologico tutte e quattro le componenti devono essere considerate al fine della stima del valore statico e dinamico (per il danno permanente e le concrete possibilità di aggravamento) e ciò ai sensi dello art. 2059 c.c. costituzionalmente orientato ed inglobante il danno biologico.22

Neanche una parola viene dedicata dalle Sezioni Unire di San Martino per smentire la definizione di danno biologico indicata dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 11.7.2003, n. 233, nell’ambito della ritenuta tripartizione del danno non patrimoniale:

  • danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, dell’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost., epurato dalle ulteriori voci di danno che in precedenza la giurisprudenza di legittimità vi aveva inglobato;
  • danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima;
  • danno, spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.

Il confronto, quindi, va operato, ove si acceda a tale ultima indicazione delle Sezioni Unite tra la definizione di danno biologico nel codice delle assicurazioni e la diversa definizione di danno biologico di cui all’art. 13 D.lgs n. 38/2000.

Pertanto, nell’ambito del danno biologico, potranno essere oggetto di richiesta di danno differenziale sia il danno c.d. esistenziale, sia la personalizzazione fino al 20% del biologico, oltre a tutte le ulteriori voci di danno non indennizzate dall’Inail quali il danno biologico da temporanea, il danno morale e il danno da perdita di chance non patrimoniale.

La normativa di riferimento, ai fini del riconoscimento del danno differenziale è l’art. 10 del D.P.R. 1124/65, interpretato alla luce delle Sezioni Unite di San Martino:

Tale norma recita :“L’assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro.

Nonostante l’assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato.

(……)

Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell’indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto.

Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti”.

Tale normativa non si riferisce solamente al danno differenziale “patrimoniale”, ma anche a quello non patrimoniale in quanto il D.Lgs. 38/00 ha influito sull’ambito di applicazione della norma, consentendo di includere nel danno differenziale risarcibile anche quello biologico.

Poiché, è bene ribadirlo. l’art. 13 del D.Lgs. 38/00, dispone che il nuovo indennizzo debba essere erogato “in luogo della prestazione di cui all’articolo 66, primo comma, numero 2) del testo unico” e l’art. 66, 1° c. n. 2) del T.U. 1124/65 prevede l’erogazione di “una rendita per l’inabilità permanente, deve ritenersi che l’indennizzo previsto dal D.Lgs. 38/00 sostituisce la rendita per inabilità permanente prevista dall’art. 66 del D.P.R.. 1124/65: ma allora, l’art. 10 del D.P.R. 1124/65, nella parte in cui prevede il risarcimento del danno differenziale “per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti” fa riferimento anche a un’indennità (la rendita per inabilità permanente di cui all’art. 66, 1° c., n. 2) del T.U.) che ora è sostituita dall’indennizzo di cui all’art. 13 del D.Lgs. 38/00. 23

Occorre anche considerare quale incidenza abbia la previsione normativa (art. 10 del D.P.R. n. 1124/1965) che stabilisce “Nonostante l’assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato”.

Occorre far riferimento, ai fini della applicazione di tale comma, alla interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059, così come costruita dalle sentenze di San Marino, dovendosi equiparare a tale indicazione anche le diverse ipotesi in cui l’azione penale non sia stata esercitata o il reato si sia comunque prescritto24, trattandosi sempre della violazione di un diritto inviolabile (lavoro e salute), purché connotato dalla gravità della lesione e dalla serietà del pregiudizio.

Spetterà al danneggiato optare tra la richiesta risarcitoria, deducendo la responsabilità penale del datore di lavoro, oppure la violazione dell’art. 2087 c.c., fattispecie che richiedono solamente la prova del danno, oltre che del nesso causale tra la condotta costituente reato o, comunque, illecita del datore di lavoro, senza alcuna limitazione risarcitoria relativa all’entità del danno, oppure richiedere il risarcimento sulla base della interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., che richiede l’ulteriore prova della lesione del diritto inviolabile, della gravità della lesione e della serietà del pregiudizio, condizioni che, tutte insieme, devono ricorrere al fine del risarcimento del danno non patrimoniale.

Ancorché sussistano notevoli difficoltà nell’individuare le sottovoci risarcitorie nell’ambito del danno biologico (ma a tale difficoltà può ovviarsi chiedendo specificamente al giudice, nel caso di danno differenziale o di surrogazione dell’assicuratore sociale di individuare le varie sottocategorie di danno) si ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale che ritiene che il danno biologico differenziale liquidabile è quello eventualmente sussistente una volta posti a raffronto (non le percentuali di danno, ma) il danno come accertato in ambito di responsabilità civile e quello liquidato dall’INAIL.25

Peraltro anche le stesse tabelle milanesi semplificano il compito dell’interprete, scorporando dal danno biologico la componente relativa al danno morale, dovendosi ritenere le eventuali ulteriori somme liquidate, quale personalizzazione del danno, non ricomprese nei parametri tabellari Inail e, quindi, possibile oggetto di richiesta di danno differenziale.

Sia l’Inail che il datore di lavoro sono debitori della sola prestazione posta dalle legge a proprio carico, senza alcuna solidarietà e con esclusione della possibilità per il lavoratore di richiedere l’integrale risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro, anche nel caso in cui non fosse stato ancora corrisposto l’indennizzo Inail.

Va, comunque, segnalata una differente valutazione ove si richieda, in una prima fase, l’indennizzo Inail in quanto la liquidazione del danno è vincolata ai parametri della tabella ministeriale e nel caso di ritenuta ammissibilità dell’azione risarcitoria nei confronti del responsabile del danno ex art. 2043 c.c., si avrebbe invece una liquidazione con i più favorevoli valori tabellari in uso presso i vari Tribunali, con evidenti e irragionevoli disparità di trattamento a seconda del soggetto che venga evocato in giudizio.

La situazione diventa poi ancora più complessa nel caso in cui il danneggiato agisca cumulativamente contro l’Inail e contestualmente contro il responsabile del danno a sensi dell’artt. 2043, con il risultato che al primo potrebbe chiedere il risarcimento del danno da micro permanente ma con il limite della tabella di legge ed al secondo potrebbe chiedere il risarcimento con le altre tabelle per ottenere il totale risarcimento e quest’ultimo potrebbe venir così condannato ad importo superiore a quello invece posto a carico dell’assicuratore per cui per non essere poi esposto in proprio dovrebbe porre una domanda di manleva nei confronti dell’Inail, se trattasi di un sinistro stradale ( ad esempio in caso di infortunio in itinere), anche nei confronti del proprio assicuratore per la r.c.a.

Va, anche, esclusa la possibilità di richiedere, quale danno differenziale, la capacità lavorativa generica che, alla luce della definizione di danno biologico propugnata dalle Sezioni Unite, non deve più essere considerata una componente di tale danno, di chiara valenza non patrimoniale, mentre la perdita della capacità lavorativa generica, comunque la si voglia definire, ha una chiara componente patrimoniale, ormai incompatibile con il transito del danno biologico dalla sfera patrimoniale a quella non patrimoniale.

Spetterà alla Cassazione fare chiarezza al riguardo, anche con l’ausilio dei giudici di merito.

Si è affermato che la parte del danno biologico relativa alla perdita della capacità lavorativa generica – cioè alla menomazione potenzialmente reddituale inclusa nel danno alla salute insieme ad altre voci di pregiudizio interrelazionale – è ontologicamente una cosa diversa dalla capacità di lavoro generica di rilevanza previdenziale, intesa come attitudine al lavoro, la cui diminuzione è causa di perdita patrimoniale da mancato guadagno e dà diritto alle prestazioni Inail (…). Né, rispetto a questi enunciati, deve apparire contraddittorio il fatto che il risarcimento del danno biologico abbia per così dire assorbito anche la menomazione della generica attitudine al lavoro, poiché non già di un “assorbimento” si tratta, ma di rilevanza di uno stesso fatto sotto due diversi profili, uno di danno patrimoniale (danno – conseguenza) in senso ampio (risarcito dall’Inail) ed uno di danno alla persona come tale (danno – evento), costituente componente del danno biologico (…).

Sotto il profilo pratico una soluzione che consenta di evitare soverchie problematiche, potrebbe individuarsi, nel caso in cui sia già stato riconosciuto l’indennizzo Inail, nel determinare il danno civilistico e detrarre l’importo già corrisposto dall’Inail al danneggiato, considerandolo quale acconto di un eventuale maggiore risarcimento.

Trattasi dell’ipotesi più frequente in quanto l’indennizzo dovrebbe essere corrisposto in tempi celeri, fissando al riguardo l’art. 100 del T.U. un termine di 20 giorni, ed essendo collegato non alla prova del danno, ma alla mera occasione di lavoro.

Solitamente, infatti, le voci di biologico Inail non sono maggiori, anzi generalmente inferiori, rispetto a quelle equivalenti riconoscibili in sede civilistica e, operando tale sottrazione, risulta facilmente individuabile il c.d. danno differenziale attribuibile al lavoratore.

Tuttavia, non sempre è possibile operare tale detrazione in quanto, anche se trattasi di ipotesi piuttosto rara, è anche possibile che il lavoratore chieda il danno direttamente al datore di lavoro, oppure è possibile che l’indennizzo non venga erogato ad esempio per assenza di domanda amministrativa all’INAIL o per il rigetto della domanda per intervenuta prescrizione.

Si pone il problema, in tale evenienza, ove fosse ritenuta non praticabile, in via analogica. la soluzione prospettata dalla stessa Consulta con riguardo ai sinistri stradali, di citare in giudizio direttamente il responsabile del danno ex art. 2043 c.c., se sia ammissibile tale azione nei confronti del responsabile, in quali limiti, o sia subordinata alla preventiva liquidazione dell’indennizzo da parte dell’Inail.

Si è acutamente osservato,al riguardo, che se il danno differenziale è la differenza tra quanto liquidato dall’INAIL e quanto si domanda al datore, la mancata allegazione delle somme che si sarebbero ottenute o si sarebbero dovute ottenere dall’INAIL non consentirebbe il calcolo del danno differenziale. In tale rigorosa prospettiva, pertanto, si perviene alla reiezione della domanda non corredata dall’allegazione della previa liquidazione INAIL.26

Anche se sotto il profilo logico sussiste un rapporto di priorità logico temporale e quindi di condizionamento della proponibilità dell’iniziativa verso il datore alla preventiva liquidazione Inail27, tuttavia si propende per l’ammissibilità di una tale domanda, ma con il conseguente obbligo da parte del giudice, ove il lavoratore abbia diritto all’indennizzo Inail, di individuare, astrattamente, l’importo riconoscibile dall’Inail, detraendolo dall’ammontare del risarcimento.

In tale evenienza il giudice dovrebbe provvedere al calcolo dell’indennizzo Inail in via incidentale, in base a criteri legislativamente previsti, detraendolo dall’ammontare complessivo del danno.

Si opta, in tale evenienza, per l’ ammissibilità della domanda risarcitoria nei confronti del datore di lavoro, ma nei limiti del danno differenziale, anche per l’ipotesi in cui l’interessato non abbia coltivato la domanda all’Istituto, quale diretta conseguenza del meccanismo dell’esonero stesso28

Va, quindi, escluso, in tale prospettiva che, nel caso di omessa liquidazione dell’indennizzo, per qualunque causa, che il lavoratore possa ottenere l’intero risarcimento nei confronti del datore di lavoro che dovrà, invece, corrispondere solamente il differenziale, calcolato dal giudice, detraendo l’ipotetico indennizzo ottenibile dall’Inail.

Tale soluzione si impone alla luce dell’art. 10, che sdoppia la tutela del danneggiato in due obbligazioni divisibili e non solidali, con l’esonero parziale del datore di lavoro che anche in caso di esclusiva responsabilità non può essere condannato a pagare l’intero danno ma solo il differenziale costituito dalle somme eccedenti le indennità erogate dall’INAIL.

Ovviamente se, invece, il lavoratore dovesse ricevere dall’Inail un importo maggiore (ma trattasi di un’ipotesi di scuola) dovrà restituire l’eccedenza al danneggiante o al suo assicuratore, al fine di evitare ingiustificate locupletazioni.29

Tuttavia, anche in caso di mancata denunzia all’INAIL, il datore di lavoro non potrebbe giammai risponde dell’intero danno, operando, al riguardo, l’art. 1227 c.c. restando a carico del lavoratore l’indennizzo erogabile dall’Inail nel caso in cui colposamente, non abbia richiesto tale indennizzo pur avendone diritto.

Inoltre si è osservato che l’art. 10 non pone alcuna condizione di proponibilità di tipo amministrativo, né altri limiti di natura pregiudiziale.30

Ulteriore questione è se sia configurabile un litisconsorzio necessario tra datore di lavoro e Inail poiché, in caso affermativo, non sarebbe mai possibile liquidare il danno differenziale senza la partecipazione dell’Istituto al giudizio.

Si ritiene, invece, che vada esclusa tale evenienza, apparendo, comunque, utile il simultaneus processus, altrimenti il giudice detrarrà dall’importo del risarcimento civile effettivo un indennizzo previdenziale soltanto ipotetico che il lavoratore potrebbe anche concretamente non realizzare mai oppure potrebbe realizzare in misura diversa,sia a proprio favore che in danno. in quanto nel giudizio tra lavoratore infortunato e INAIL la valutazione della menomazione potrebbe risultare anche di grado diverso.

Va segnalata anche la possibilità di una “terza via”,anche se, allo stato non risultano al riguardo né pronunce giurisdizionali, anche di segno contrario, né orientamenti dottrinali.

In forza di una interpretazione che è stata avallata dalla stessa Corte Costituzionale nell’ambito dei giudizi per il risarcimento di danni alla persona da circolazione stradale, (Corte Costituzionale sentenza n. 19/6/2009 n. 180), potrebbe anche affermarsi, adottando il medesimo ragionamento della Consulta, che la procedura di indennizzo di cui all’art. 13 del D.Lgs. 38/00, si affianca, senza sostituirla obbligatoriamente, a quella ordinaria, nel senso che al danneggiato è consentito agire sia per ottenere l’indennizzo Inail e l’eventuale danno differenziale nei confronti del datore di lavoro, sia direttamente contro il responsabile del danno, per l’intero importo, ai sensi dell’art. 2043 c.c., con risultati economici diversi, sotto il profilo del datore di lavoro responsabile visto che,in tale ultimo caso dovrebbe risarcire l’intero danno e non solo il “differenziale”, con una maggiore snellezza dell’azione risarcitoria da parte del danneggiante che potrebbe richiedere l’intero risarcimento direttamente al responsabile, senza passare attraverso la richiesta di indennizzo Inail.

Sarebbe, in tale caso, onere del datore di lavoro chiedere la rivalsa nei confronti dell’Inail per l’indennizzo dovuto al lavoratore, a meno che, nell’ambito dello stesso giudizio risarcitorio intentato dal lavoratore, ove sia stata formulata e non sia inammissibile o prescritto il diritto all’indennizzo Inail; in tale ultimo caso potrebbe utilmente invocare l’applicazione dell’art. 1227 c.c., chiedendo sottrarsi dall’ammontare del risarcimento, l’indennizzo che il lavoratore, usando dell’ordinaria diligenza, avrebbe potuto richiedere all’Inail.

Tuttavia, ove si riconosca al danneggiato tale opzione, non sarebbe individuabile nei confronti del lavoratore danneggiato alcuna colpa, ben potendo optare per l’una o altra scelta, con l’unico limite di non far prescrivere il diritto al fine di consentire l’eventuale surrogazione da parte del responsabile del sinistro, onerato dell’integrato pagamento del danno.

Come si vede la materia è ancora in evoluzione e suscettibile di diverse soluzioni che solo la Suprema Corte potrà avallare o negare.

Domenico Chindemi

Consigliere della Corte di Cassazione


1_ Per una attenta disamina degli orientamenti della giurisprudenza e della dottrina, prima delle sentenze delle Sezioni Unite di San Martino, CIRIELLO, Il danno differenziale nella giurisprudenza, in Riv. Crit. i dir. Lav., 2, 2008, 449;

2_ D’AVOSSA, Danno differenziale ed esonero da responsabilità civile del datore di lavoro per infortunio o malattia professionale: le questioni irrisolte, nota a Trib. Torino, sez.lav., 14 aprile 2006, in Riv.it.dir.lav., 2007, 11, 77;

3_ CASOLA, Esonero da responsabilità del datore di lavoro e conseguenze processuali in tema di danno differenziale, in Riv. it. dir. Lav. 2009, 99. Sulla natura, oggettiva o per colpa, della responsabilità contrattuale, C.M. BIANCA, La responsabilità, Diritto civile, vol. V, Giuffrè, 1994, 11.

4_ Sui criteri distintivi tra indennizzo e risarcimento in epoca antecedente alle Sezioni Unite di San Martino, LUCIANI, Il risarcimento del danno non patrimoniale nel rapporto di lavoro” in Riv. inf.mal. prof., 2005, 15;

5_ Corte Cost. n. 87/1991.

6_ POLETTI, Danni alla persona e infortuni sul lavoro (con osservazioni sul funzionamento della riforma INAIL), in Resp. civ. e prev. 2004, 935

7_ PUCCINELLI, La responsabilità del datore di lavoro per infortuni al lavoratore: l’art. 2087 c.c. tra onere della prova e concorso di colpa dell’infortunato, in Resp. civ. prev. 2007, 1639

8_ In tal senso Ciriello, Il danno differenziale nella giurisprudenza, cit.

9_ Per un raffronto tra le tabelle utilizzate dai tribunali n tema di responsabilità civile e quelle INAIL, ROSSI, Le tabelle delle menomazioni e dei coefficienti, in Il danno biologico dopo il d.lgs. n. 38/2000, Bari, 2002, 115

10 Cass. Sez. L, 4/02/2008, n. 2630, nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva negato il riconoscimento del diritto alla madre superstite – titolare di reddito da pensione – per l’assenza del presupposto della insufficienza dei mezzi propri di sussistenza, potendosi assegnare rilievo esclusivamente ai debiti della casa di abitazione e non anche a quelli ereditati dal marito nella gestione dell’attività commerciale dato il loro carattere eccezionale

11_ Cfr Cass. 24 febbraio 2006, n. 4184; si è rilevato che l’obbligazione risarcitoria è di valore e non di valuta (diventando tale solo con la liquidazione giudiziale),, ancorché di derivazione contrattuale, e la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, esulando dalla categoria degli interessi moratori, costituiscono componenti del danno stesso.

12 Cass., Sez. L, 27/05/2009 n. 12326

13_ Sul danno da perdita di chance, nelle sue diverse componenti patrimoniale, non patrimoniale, contrattuale ed extracontrattuale, rimando al mio volume Il danno da perdita di chance, II edizione, Milano, 2010.

14 Cass.,Sez. L, 12/08/2008 n. 21544

15_ Cass. Sez. 3, del 26/01/2010 n. 1529 Nella specie, la sentenza impugnata, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale patito dai genitori di un lavoratore deceduto a seguito di un infortunio sul lavoro, aveva determinato il contributo di quest’ultimo ai bisogni della famiglia in base alle buste paga del mese precedente al decesso, senza detrarre gli emolumenti percepiti per lavoro festivo ed arretrati: in applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha rigettato il ricorso per cassazione, affermando che il metodo equitativo utilizzato per la liquidazione giustificava l’eventuale eccesso del “quantum” rispetto al risultato cui si sarebbe pervenuti in base a criteri di calcolo meramente matematici).

16 Cass.,Sez. L, 28/03/2008, n. 8136

17_ Cass.,Sez. L, 16/03/1990, n. 2154

18_ Cass., Sez. L, 19/05/1983, n. 3490

19 Cass., Sez. 3, 9/02/2010, n. 2844

20_ Cass.,Sez. L, 25/09/2008, n. 24051

21_ Cass., 20.1.2009, n. 1243

22_ Cass., 20.1.2009, n. 1243

23_ Cass n. 1639/04; Cass. n.2326/2003

24_ Cass., 21.1.2004 n. 968; Cass., 2.9.1995 n. 9285

25_ Cass n. 1639/04; Cass. n. 2326/2003

26_ Ciriello, Il danno differenziale nella giurisprudenza,cit

27_ In tal senso Trib. Napoli 26.9.2007. est. Chiodi

28 Ciriello, Il danno differenziale nella giurisprudenza, cit ove si evidenzia che “per tale via non si considera certo il giudizio verso l’INAIL una condizione di proponibilità, ma si imputano le conseguenze negative di un non integrale ristoro dei postumi al comportamento negligente dell’infortunato che non abbia coltivato verso l’INAIL le proprio ragioni; comportamento che, per un corretto funzionamento del meccanismo dell’esonero, non può essere posto a carico del datore di lavoro”; per tale orientamento Trib. Genova 18.7.2007.

29_ Per una tale interpretazione cfr. Tribunale di Bassano del Grappa, con la sent. 32/2007, est. Attanasio, ined. Si specifica, al riguardo che “nella quantificazione del danno biologico permanente va peraltro detratto, non solo quanto già riconosciuto dall’Inail a titolo di indennizzo una tantum, ma anche quanto è o sarebbe stato riconoscibile al medesimo titolo” procedendosi, nel caso concreto, alla quantificazione e detrazione di tale somma.

30 Così CASOLA, Esonero da responsabilità del datore di lavoro e conseguenze processuali in tema di danno differenziale,cit.

Consigliere della Corte di Cassazione. Docente incaricato di Diritto Privato, Università Bocconi di Milano. Presidente della Commissione tributaria regionale della Lombardia. Componente del Comitato Scientifico della Rivista “Diritto ed economia dell’assicurazione”. Componente di redazione della rivista “Responsabilità civile e previdenza.” Autore di numerose pubblicazioni in materia.

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