Comportamento illecito dei dipendenti degli uffici finanziari e risarcimento del danno a favore del contribuente

Domenico Chindemi, Comportamento illecito dei dipendenti degli uffici finanziari e risarcimento del danno a favore del contribuente, in Responsabilità civile e Previdenza, 2011, 1762

Comportamento illecito dei dipendenti degli uffici finanziari e risarcimento del danno a favore del contribuente

Viene affermato il diritto al risarcimento del danno patrimoniale a favore del contribuente e in danno dell’Agenzia delle Entrate che nonostante le diffide, non ha provveduto a verificare quanto lamentato, e cioè che esso non era tenuto al pagamento delle intere somme richieste con gli avvisi di accertamento notificati, provvedendo con considerevole ritardo all’annullamento delle somma richieste in eccedenza, costringendo il contribuendo a presentare ricorso, con dispendio di tempo e denaro che avrebbe potuto essere evitato ove il dipendente dell’Agenzia avesse effettuato i dovuti controlli richiesti dal contribuente.

Trattasi di una sanzione (risarcimento del danno) che, in relazione all’attuale riparto di giurisdizione, può essere richiesta, allo stato, solamente al giudice civile, restando impregiudicato il diritto del contribuente e del giudice tributario di liquidare il danno, in via equitativa, nel processo tributario, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.p. si auspica, tuttavia, un “revirement”, sul punto da parte della S.C. con l’attribuzione al giudice tributario della possibilità di liquidare il danno consequenziale all’annullamento dell’atto impositivo.

Comportamento illecito dei dipendenti degli uffici finanziari e risarcimento del danno a favore del contribuente

“Anche sulla Pubblica Amministrazione grava l’obbligo di rispettare il principio fondamentale del neminem laedere, previsto dall’art. 2043 c.c.. per cui è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa Pubblica Amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo.

Costituisce fatto illecito il comportamento del dipendente dell’Agenzia delle Entrate che, nonostante le diffide, non ha provveduto a verificare quanto dall’attore lamentato, e cioè che esso non era tenuto al pagamento delle intere somme richieste con gli avvisi di accertamento notificati, provvedendo con considerevole ritardo all’annullamento delle somma richieste in eccedenza.

Il risarcimento comprende, tra l’altro, le spese sostenute dal commercialista per il commercialista e per le varie trasferte verso l’ufficio della Pubblica Amministrazione, nonché le spese accessorie e consequenziali sostenute per conferire con la Pubblica Amministrazione.

Prec. conformi: Cass. 8/03/2010, n. 5561; Cass. 18/06/2005, n. 13164

Prec. difformi: Cass Civ, sez. III, 9 aprile 2009, n. 8703


Sommario: 1) Violazione del principio del neminem laedere da parte dei dipendenti della Amministrazione finanziaria; 2) Danni risarcibili

1) Violazione del principio del neminem laedere da parte dei dipendenti della Amministrazione finanziaria

Viene affermato espressamente dalla Suprema Corte la violazione del principio del neminem laedere, con specifico riferimento al comportamento di un dipendente dell’Agenzia delle Entrate che, a fronte di reiterati inviti a rivedere l’importo portato da una cartella esattoriale, ometta di verificare la correttezza delle affermazioni del contribuente che lamentava un errore contabile, provvedendo a emettere con colpevole ritardo un provvedimento di rimborso delle somme in eccedenza portate dalla cartella, costringendo, quindi, il contribuente a pagare il relativo importo in eccesso, dopo avere proposto ricorso alla Commissione tributaria, quando, un semplice controllo avrebbe consentito di accertare l’errore e porvi tempestivamente rimedio, senza costringere il contribuente a proporre ricorso, con interessamento di un commercialista per la difesa tecnica, e a pagare in via anticipata la maggior somma non dovuta.1

La responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile in tutti i casi in cui l’Amministrazione finanziaria, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buonafede, alla cui puntuale osservanza anch’essa è tenuta, nell’ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall’art. 2043 cod. civ..2

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L’accertamento in concreto della colpa dell’Amministrazione Finanziaria è configurabile allorquando l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell’azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali in punto di imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in punto di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell’ordinamento, in punto di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza.3

È un segnale di civiltà, oltre che di applicazione di corretti principi di diritto, ben evidenziati nella sentenza in rassegna, quello inviato della Corte di Cassazione, soprattutto se si considera che risulta espresso nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, cioè dell’Amministrazione finanziaria che è stata considerata un gradino sopra il contribuente (e ancor oggi per diversi aspetti processuali e sostanziali), riaffermando il principio che l’attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell’art. 2043 c.c., per cui è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa Pubblica Amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo del contribuente.4

Avrebbe anche potuto farsi riferimento, pervenendo alle medesime conclusioni,anche all’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente che impone alle parti del rapporto tributario e, quindi, anche alla Agenzia delle Entrate, di comportarsi con correttezza e buona fede.

La P.A. è responsabile per i danni subiti dai contribuenti che siano causalmente riconducibili alla violazione dei doveri di diligenza e correttezza nell’espletamento dei compiti di ufficio, trattandosi di doveri posti da norme di legge o regolamentari che ne regolano l’attività da interpretarsi alla luce dei valori costituzionali a tutela dei principi di imparzialità e buona amministrazione (artt. 41, commi 2 e 3, 47, comma 1, e 97, comma 1, Cost.) e costituenti limiti esterni alla sua attività discrezionale, che integrano la norma primaria del “neminem laedere” di cui all’art. 2043 cod.civ.5

L’imputazione della responsabilità può discendere dall’adozione e dall’esecuzione di un atto illegittimo in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, ma non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa in relazione alla normativa applicabile, ovvero sulla base della valutazione della colpa del funzionario agente riferita ai parametri della negligenza e dell’imperizia.6

In caso di violazioni l’Amministrazione finanziaria è tenuta a subire le conseguenze risarcitorie della propria condotta, la quale assume i connotati dell’illecito e provoca la lesione di diritti patrimoniali quando sia stata, come nella specie, tardiva, avendo costretto il contribuente a presentare un ricorso che avrebbe potuto essere evitato stante la evidenza delle sue ragioni, riconosciute, peraltro, sia pure tardivamente, dall’Ufficio che è stato carente nell’adozione dei provvedimenti e delle iniziative sia pur tardivamente adottate.

La responsabilità della P.A., ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ., per l’esercizio illegittimo della funzione pubblica, è configurabile qualora si verifichi un evento dannoso incidente su un interesse rilevante per l’ordinamento ed eziologicamente connesso ad un comportamento della P.A. caratterizzato da dolo o colpa, non essendo sufficiente la mera illegittimità dell’atto, ad esempio una cartella di pagamento erronea, a determinarne automaticamente l’illiceità.7

Peraltro, la stessa Amministrazione finanziaria si è dimostrata sensibile al rapporto cittadino – fisco con una lettera inviata nel mese di maggio 2011, dal Direttore generale dell’Agenzia del’Entrate, dott. Attilio Befera, a tutti i dipendenti delle Agenzie Fiscali sottolineando come l’attività della Amministrazione finanziaria debba ispirarsi ai due principi basilari della correttezza ed efficienza, invitando i dipendenti ad operare in modo da guadagnare sempre più il rispetto e la fiducia dei cittadini, richiamandoli alle proprie responsabilità ribadendo come l’azione di controllo può rivelarsi realmente efficace solo se è corretta e non quando, invece, esprime arroganza o sopruso o, comunque, comportamenti non ammissibili nell’ottica di una corretta e civile dialettica tra le parti, dando un segnale forte, unitamente a quello della Corte di cassazione, nella sentenza in commento, ribadendo entrambe le diverse conseguenze, sotto il profilo disciplinare e risarcitorio civile, del comportamento negligente o arrogante del dipendente dell’Amministrazione finanziaria (a cui va parificato quello dei dipendenti degli enti locali per le imposte e tasse locali).

Vien ribadito non dalla dottrina o dalla giurisprudenza, ma dallo stesso “capo” dell’Agenzia delle Entrate, dimostrando una sensibilità istituzionale non comune, che “se un accertamento non ha solido fondamento, non va fatto e e se da una verifica non emergono fatti o elementi concreti da contestare, non è corretto cercare a ogni costo pseudo infrazioni formali da sanzionare solo per evitare che la verifica stessa sembri essersi chiusa negativamente.” Insomma, se il contribuente ha dato prova sostanziale di buona fede e di lealtà nel suo rapporto con il Fisco, ripagarlo con la moneta dell’accanimento formalistico significa venire meno a un obbligo morale di reciprocità, ed essere perciò gravemente scorretti nei suoi confronti.

È un vero e proprio codice di comportamento , rivolto ai dipendenti delle agenzie fiscali, quello del dott. Attilio Befera che aggiunge che non è ammissibile pretendere dal contribuente adempimenti inutili, ripetitivi e defatiganti; e costituisce una grave inadempienza ritardare l’esecuzione di sgravi o rimborsi sulla cui spettanza non vi sono dubbi.

Nella fattispecie in esame, quindi, alla illiceità del comportamento del dipendente deve aggiungersi anche la relativa illegittimità, sanzionabile disciplinarmente, oltre ai riflessi erariali ove l’azione o l’omissione siano improntate a colpa grave.8

Il Dirigente capo sottolinea, nella citata missiva come “sbaglierebbe profondamente chi dovesse magari continuare a ritenerle dentro di sé pure esortazioni e non già obblighi precisi di condotta, la cui inosservanza è rilevante anche sotto il profilo disciplinare, aggiungendo che se i comportamenti negativi sono gravi per le conseguenze cui danno luogo, gravi saranno anche le relative sanzioni, nessuna esclusa: se determinate azioni impediscono o infrangono la relazione di fiducia fra l’Agenzia e i cittadini, non si vede come possa continuare a permanere l’elemento fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro con l’Agenzia”.

Devono prevalere, sono sempre parole del dott. Befara, – nell’attività di controllo così come in quella di servizio disponibilità, cortesia, capacità di ascolto, chiarezza nelle spiegazioni, attenta valutazione senza preconcetti di problematiche complesse, volontà di cogliere la sostanza delle questioni e di trovarne tempestivamente la soluzione, senza trincerarsi dietro esasperanti formalismi o piccole astuzie burocratiche.

I funzionari e dipendenti in genere della Pubblica Amministrazione, e in particolare quelli della Amministrazione finanziaria, devono dare prova di equilibrio, competenza, misura e ragionevolezza, in quanto “ se esigiamo serietà e coerenza dai contribuenti, dobbiamo noi per primi dare prova di serietà e coerenza nel rispetto dei principi cui diciamo di ispirare la nostra azione” in quanto le ragioni dell’etica e quelle della convenienza dimostrano la loro fondatezza solo se alla fine convergono.

Raramente era stato pubblicamente sottolineato, in precedenza, dalla stessa Agenzia delle Entrate, parte nel giudizio tributario, (e tale inversione di tendenza va ascritta a merito del dott. Befera) che “i comportamenti vessatori sono eticamente scorretti e in quanto tali sono anche controproducenti. Come qualunque altra azione immorale, quella di evadere le imposte – continuando però a fruire dei servizi che gli altri concorrono a finanziare pagandole, invece, le imposte – cerca sempre una giustificazione morale, e ama trovarla, se gliene viene offerta l’opportunità, nella scorrettezza di chi avrebbe il compito, con la trasparenza e la linearità della propria condotta, di indurre al rispetto degli obblighi fiscali”

In un sistema basato sull’autotassazione, l’attività dì controllo raggiunge effettivamente il suo scopo – la tax compliance – solo se si basa su comportamenti in grado di ispirare fiducia e lealtà.

Tali principi, ispirati all’obbligo di correttezza e buona fede, oltre ad essere vincolanti per i dipendenti delle Agenzie fiscali, costituiscono un metro di paragone per individuare l’eventuale illiceità dell’azione dell’Amministrazione finanziaria, che non può trincerarsi dietro il “burocratese” o difficoltà organizzative, quali la mancanza di personale e dotazioni strumentali per evitare la declaratoria di responsabilità.

Alla luce di tali principi non trova giustificazione il comportamento della Agenzia delle Entrate che ricorre per cassazione adducendo che “manca nella specie il carattere dell’ingiustizia del danno, in relazione al fatto che l’annullamento in autotutela non si configura quale obbligo bensì come mera facoltà dell’amministrazione, con le conseguenze che il privato non è titolare di alcuna posizione soggettiva in ordine al ritiro dell’atto in positivo”.

Ecco uno dei casi in cui il contribuente viene ripagato, per usare le parole del dott. Befera, con la moneta dell’accanimento formalistico venendo meno l’Ufficio a un obbligo morale di reciprocità, agendo in maniera gravemente scorretta nei suoi confronti, una volta riconosciuta la fondatezza della richiesta del contribuente.

È auspicabile che le medesime “autorevoli” raccomandazioni vengano rivolte agli Uffici del contenzioso, evitando di sovraccaricare soprattutto con ricorsi inutili e soventi infondati, (forse per giustificare una “statistica”) la Corte di cassazione, gravata per un terzo del suo carico di lavoro proprio dai ricorsi in materia tributaria.

Si potrebbe così concentrare l’attenzione della Cassazione (manca circa il 50% dei giudici in organico presso la sezione tributaria della Suprema Corte) sulle questioni di effettiva rilevanza e evitare il pericolo di indennizzi a carico dello Stato ove (in tale senso è concentrata parte autorevole della dottrina) anche alle cause tributarie dovesse applicarsi la c.d. “legge Pinto”, sulla ragionevole durata del processo, oggi ancora prudenzialmente esclusa dalla Suprema Corte alle cause tributarie, ad eccezione delle questioni meramente civilistiche (giudizio di ottemperanza, istanza di rimborso non contestata, etc)

Ci si augura che il nuovo corso dell’Agenzia delle Entrate non rimanga solamente sulla carta pur autorevole del suo massimo esponente, ma si traduca nei comportamenti consequenziali, tra cui anche l’evitare di perseguitare il contribuente fino in Cassazione, in casi come quello in esame, (il contribuente non si è neanche costituito) contribuendo ad aumentare ingiustificatamente il numero delle cause tributarie pendenti davanti alla Suprema Corte.

La regola generale da seguire per i dipendenti dell’Amministrazione finanziaria non la specifica la Suprema Corte,anche perché non è una regola giuridica, ma una regola morale fondata anche sul buon senso, oltre sui principi vincolanti della correttezza e buona fede e la enuncia il dott. Befera con una regola di rispetto: “comportiamoci tutti, come funzionari del Fisco, così come vorremmo essere tutti trattati come contribuenti


2) Danni risarcibili

Una volta affermata la responsabilità della Pubblica Amministrazione per la violazione del principio del neminem laedere e, quindi, dell’art. 2043 c.c., nessuna limitazione sussiste per la liquidazione del danno patrimoniale, purchè provato e connesso, in termini causali con l’illecito.9

Così la Suprema Corte ha confermato il risarcimento per le spese sostenute dal contribuente per il commercialista, per le varie trasferte verso l’ufficio della Pubblica Amministrazione, nonché le spese accessorie e consequenziali sostenute per conferire con la Pubblica Amministrazione.

Diverso è, invece, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità con riguardo al risarcimento del danno non patrimoniale che, generalmente, viene negato ritenendo trattarsi di danno bagatellare, conseguente al “disagio”, fastidio”, di doversi recare più presso gli Uffici finanziari, perdere tempo che si sarebbe potuto risparmiare ove il dipendente avesse fatto il proprio dovere, trovarsi in situazioni poco piacevoli davanti a un pubblico funzionario che tratta il contribuente “a prescindere” come un evasore e quindi come un “poco di buono”.

L’automatismo risarcitorio in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, introdotto dalle sentenze di San Martino delle Sezioni Unite del novembre 2008, subordinato, in mancanza di reato, alla violazione di diritti fondamentali della persona caratterizzati da serietà della lesione e gravità del pregiudizio, probabilmente va contemperato con la coscienza sociale che in questo caso ritiene che comportamenti, ancora non infrequenti, comunque caratterizzati da grave negligenza, neghittosità, spocchiosità dei dipendenti dell’Amministrazione finanziaria o degli enti locali debbano rimanere sforniti di tutela risarcitoria sotto il versante non patrimoniale.

Di contrario avviso le Commissioni tributarie che, in una caso di illegittima iscrizione di ipoteca hanno riconosciuto il danno non patrimoniale, quale danno morale subito dal contribuente, liquidandolo sub art. 96 c.p.c. 10

Suscita perplessità l’orientamento della Suprema Corte che in forza del citato automatismo risarcitorio, da rifuggire in tema di risarcimento del danno areddituale, ha negato che sia suscettibile di ristoro la perdita del tempo libero, ingiustificatamente compresso dal comportamento illecito altrui, non trattandosi di “diritto fondamentale dell’uomo e, nella sola prospettiva costituzionale, come diritto costituzionalmente protetto e ciò per la semplice ragione che il suo esercizio è rimesso alla esclusiva autodeterminazione della persona, che è libera di scegliere tra l’impegno instancabile nel lavoro e il dedicarsi, invece, a realizzare il suo tempo libero da lavoro e da ogni occupazione11.

Il tempo libero oggi ha una sua dimensione sociale oltre che economica e costituisce in molti casi la maggiore risorsa dell’uomo, in qualche caso anche in alternativa alla ricchezza vera e propria.

Il tempo libero rappresenta un valore dell’uomo, costituzionalmente garantito ex art. 2 della Costituzione che nessuno può rapinare o estorcere così come è pacifico per il denaro e costituisce una porzione della nostra vita che non può essere sprecata a causa di comportamenti illeciti altrui che non rispettano (oltre una ragionevole misura) il nostro tempo che nessuno potrà più restituirci.

Per giustificare l’orientamento negativo al risarcimento del danno da tempo libero la Cassazione fa riferimento al traffico stradale e autostradale nel caso in cui gli utenti sono costretti a trascorrere ore a stare in coda.

Ora non è chi non veda che un conto è trascorrere ore in coda per libera scelta o situazioni del traffico imprevedibili, quindi al di fuori di un fatto illecito, altro è trascorre ore in coda, in auto o agli sportelli dell’Agenzia delle Entrate per comportamento comunque imputabili al gestore del servizio o alla Amministrazione Finanziaria, anche sotto il profilo della carente organizzazione del servizio, non potendo il cittadino o il contribuente essere sottoposti a comportamenti comunque vessatori, prevaricatori o semplicemente dovuti a negligenza, allorchè la loro lesione raggiunga una soglia apprezzabile, senza essere obbligatoriamente connotata da gravità, senza poter vantare una qualche tutela risarcitoria, affermandosi, implicitamente da parte della Superma Corte (è questo il corollario delle sentenze di San Martino) che il danno, ove non sia grave, debba restare a carico del danneggiato e non, invece, posto, come logica anche non giuridica imporrebbe, a carico del danneggiante.

Oggi il tempo della “vita” è un “valore”, anche se non “non è denaro”,ma la sua perdita può essere monetizzata ove si provi la perdita di una parte del valore dell’uomo dovuto alla forzosa perdita di tempo della vita ragguardevole, cagionata da fatto illecito altrui.

La giurisprudenza amministrativa riconosce, invece, il c.d. danno da ritardo, dimostrando sensibilità sociale e riconoscendo valore al tempo trascorso inutilmente.12

In forza del c.d. “danno conseguenza” tutti i pregiudizi areddituali vanno allegati e provati ed è onere del danneggiato fornire una prova effettiva della privazione di un valore dell’uomo quale il tempo libero con conseguente limitazione della attività realizzatrici della persona umana, perché anche le diverse e più disparate attività che si possono svolgere nel tempo libero e pure l’ozio (per un lavoratore instancabile) costituiscono valori dell’uomo che non possono essere impunemente limitati.13

A fungere da barriera e giustificare l’affermazione romanistica che il giudice “de minimis non curatur” non è l’entità del danno, ma l’antieconomicità dell’azione risarcitoria, come avviene nei paesi di common-law, dovendosi escludere barriere rigide risarcitorie del danno areddituale.

Inconferente appare che trattasi di diritto fondamentale o meno, soprattutto nel caso in cui la stessa coscienza sociale qualifica negativamente (e nel caso di specie la valutazione negativa viene proprio dal Direttore generale dell’Agenzia delle Entrate) il comportamento del pubblico funzionario gravemente inadempiente ai suoi doveri, altrimenti appare chiaro il messaggio contrario e negativo della Corte di cassazione, rispetto a quello positivo e autorevole del Dirigente generale dell’Agenzia delle Entrate.

È il comportamento del dipendente pubblico a fungere da metro di paragone per il risarcimento del danno non patrimoniale, non l’entità del danno che in tali casi raramente assurgerà al rango di gravità, soprattutto sotto l’ aspetto quantitativo, ma non per questo non sarà suscettibile di ristoro, come, invece, sembra propendere la Cassazione forse preoccupata dal possibile ampliamento delle cause risarcitorie,a cui, tuttavia, potrebbe porsi un freno prevedendo la limitazione a due soli gradi di giudizio di merito per le cause che non superino un certo valore risarcitorio, ma non elidendo alla radice il risarcimento del danno.

Nel nostro ordinamento giuridico, dissentendo da quanto affermato al riguardo nelle sentenze di San martino, non sussistono né il diritto alla tolleranza, né il diritto alla solidarietà, ma semmai il diritto di libertà, ovviamente condizionato dall’antieconomicità di un eventuale giudizio, che si traduce nella libera scelta del danneggiato di adire l’autorità giudiziaria per il ristoro del danno patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo se leso oltre una apprezzabile soglia, in mancanza di fatto reato.

In virtù dei principi del giusto processo e della ragionevole durata del processo sono anche maturi i tempi per l’attribuzione al giudice tributario della materia risarcitoria, ove connessa all’annullamento dell’atto impositivo o, comunque, alla pretesa fiscale, con notevole risparmio di tempo e denaro da parte del contribuente che non sarà costretto a intentare due cause, una davanti alle Commissioni tributarie per l’annullamento dell’atto e l’atra davanti al giudice civile per le questioni risarcitorie connesse con l’annullamento dell’atto.14

Allo stato, tuttavia, è possibile chiedere al giudice tributario il risarcimento del danno, anche in via equitativa, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c, ove si alleghi che l’Amministrazione finanziaria o l’Ente locale ha agito o resistito in giudizio per colpa grava, sussistendo, peraltro, anche da parte della stessa Commissione tributaria il potere di riconoscere d’ufficio tale risarcimento, sganciato dall’onere della prova del danno, trattandosi sostanzialmente di un danno punitivo a carico della parte che con la propria iniziativa infondata ha fatto perdere tempo alla giustizia, gravata di un carico di lavoro oneroso.

 

Domenico Chindemi

Consigliere della Corte di Cassazione


1 Per una panoramica generale, BRANCA, Il risarcimento del danno nei confronti della pubblica amministrazione nella giurisprudenza del giudice ordinario, del giudice amministrativo e della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in www.giustizia-amministrativa.it. Cortese, Il danno da provvedimento illegittimo e il «dover essere» del procedimento (n.d.r. commento a Consiglio di Stato, sez. IV, 21 aprile 2009, n. 2435), in Giornale di diritto amministrativo, 2009, fasc. 10, pagg. 1060-1067. Manganaro., Riflessioni su talune recenti tendenze in tema di riparto di giurisdizione e responsabilità civile dell’amministrazione, in Giustamm.it, pubblicato il 20/04/2009. Forlenza, Sempre ammessa l’azione risarcitoria per l’atto eliminato in via di autotutela. Distinzione tra annullamento e revoca necessaria per accogliere l’istanza (n.d.r. commento a Consiglio di Stato, sez. III, 18 dicembre 2007-18 marzo 2008, n. 1137), in Guida al diritto, 2008, fasc. 20, pagg. 76-82.

2 Per una riflessione al riguardo, Castellani ., La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione tra regole di validità e regole di condotta (n.d.r. commento a Tar Calabria, Catanzaro, 9 giugno 2009, n. 627), in Rivista trimestrale degli appalti, 2010, fasc. 1, pagg. 253-279.Cass,. 10/06/2005, n. 12313, in La Nuova Giurisprudenza Civile, 349 ; Sulla distinzione tra discrezionalità tecnica, discrezionalità ‘pura’ e responsabilità amministrativa, Ilacqua, La responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione evoluzioni giurisprudenziali, in Giustamm.it, pubblicato il 27/03/2009, Caputo, Rito del silenzio e risarcimento danni (n.d.r. commento a Cons. di Stato, sez. IV, 28 aprile 2008, n. 1873 silenzio su istanza di pianificazione in caso di decadenza di vincolo preordinato all’esproprio), in Urbanistica e appalti, 2008, fasc. 11, pagg. 1297-1300.

3 Cass. 21/10/2005 n. 20358, in Danno Resp., 2007, 153, con nota di GIAZZI, Tra le pieghe della P.A.: risvolti dell’agire colposo e ingiustizia del danno. Vacca ., Ontologia della situazione giuridica soggettiva sottesa all’azione di risarcimento del danno conseguente all’inadempimento da parte della pubblica amministrazione dell’obbligo di esercitare il potere amministrativo (alla luce della legge 18 giugno 2009 n. 69), in Lexitalia.it, luglio-agosto 2009.

4 Cavallaro M.C., Clausola di buona amministrazione e risarcimento del danno, in Giustamm.it, pubblicato l’8/09/2009. Falcon G., La responsabilità dell’amministrazione e il potere amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, 2009, fasc. 2, pagg. 241-284; Viola, Giurisdizione condizionata e azione risarcitoria nei confronti della p.a.: le incertezze della Corte Costituzionale, in Giustamm.it, pubblicato il 1°/10/2008.

5 La natura della responsabilità della pubblica amministrazione verso i terzi e la teoria della responsabilità da contatto sociale qualificato sono analizzate da Pirruccio P., Sulla responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione per i danni causati a terzi da illegittimo svolgimento dell’attività amministrativa in caso di colpa lieve (nota a Cons. r.g. sic., 23 luglio 2007, n. 699), in Il foro amministrativo C.d.S., 2008, fasc. 1, pagg. 181-193.

6 Cass. 8/03/2010, n. 5561

7 Cass. 4/07/2006 n. 15259. L’illegittimità e l’illiceità sono davvero due linee parallele che non si incontrano mai? Per una riflessione sulla responsabilità dell’apparato, Valaguzza, Percorsi verso una «responsabilità oggettiva» della pubblica amministrazione, in Diritto processuale amministrativo, 2009, fasc. 1, pagg. 50-100.

8 D’Auria, Responsabilità dell’amministrazione e responsabilità del funzionario, in Il foro amministrativo C.d.S., 2008, fasc. 12, pagg. 3479-3509.

9 Sul regime della responsabilità nella fattispecie di diritto pubblico. Tiberii , La duplice natura dei diritti patrimoniali consequenziali tra adempimento, risarcimento ed esecuzione in forma specifica: un’ipotesi ricostruttiva diversa, in Giustamm.it, pubblicato il 20/10/2008.

10 CFR il mio lavoro, 75), Commissioni tributarie:risarcimento del danno non patrimoniale e responsabilità aggravata, in Resp. civ. prev. 2010, 2586

11 Cass. 27.4. 2011, n. 9422.

12 Cons. Stato, 28 febbraio 2011, n. 1271. La tematica ara già stata affrontata e risolta favorevolmente dalla giurisdizione amministrativa, FARES , Meri comportamenti e riparto di giurisdizione: il contributo delle Sezioni Unite sul danno da ritardo (n.d.r. commento a Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7160) in Foro amm C.d.S., 2010, fasc. 5, pagg. 983-992. Sul danno da ritardo cfr anche Fimiani, Il danno da ritardo della pubblica amministrazione: risarcibilità e giurisdizione (n.d.r. commento a Corte di Cassazione, Sez. I, 16 maggio 2008, n. 12455), in Giustizia civile, 2009, fasc. 2, pagg. 421-432. Soricelli, La codificazione della disciplina speciale della responsabilità della P.A. per danno da ritardo?, in Giustamm.it, pubblicato il 3/08/2009, Quinto ., Il Codice del processo amministrativo ed il danno da ritardo: la certezza del tempo e l’incertezza del legislatore, in Giustamm.it, pubblicato il 18/09/2009, D’Oro F., Il danno da ritardo alla luce delle nuove tendenze legislative e giurisprudenziali, in Rivista amministrativa della Repubblica italiana, 2009, fasc. 6, pagg; Capalbo., L. 69/09: il danno da ritardo e la responsabilità dirigenziale, in Lexitalia.it novembre 2009. Sui rapporti tra inerzia amministrativa e le aspettative dei privati Pellizzari, Inerzia amministrativa e danno da ritardo: il giudice amministrativo tra concetti tradizionali e tendenze innovative (n.d.r. commento a Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 2 aprile 2008, n. 436), in Il foro amministrativo T.A.R., 2008, fasc. 3, pagg. 865-881. Sulla responsabilità per violazione di norme procedimentali come fattispecie ulteriore e aggiuntiva rispetto a quella per lesione dell’interesse pretensivo sostanziale e principio della domanda, Maddalena., Danno da ritardo tra bene della vita e interesse al rispetto dei tempi del procedimento (n.d.r. commento a Consiglio di Stato, sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248), in Urbanistica e appalti, 2008, fasc. 7, pagg. 860-868..

13 Analizza le influenze della giurisprudenza comunitaria nella costruzione del concetto di colpa d’apparato e di errore scusabile e la conformità allo standard di responsabilità comunitario della nozione di colpa elaborata dalla giurisprudenza nazionale. Formica A., L’onere della prova in materia di colpa della pubblica amministrazione: le ricadute sulla giurisprudenza nazionale degli orientamenti della corte di giustizia delle comunità europee, in Giustamm.it, pubblicato il 20/10/2008. Sulla perdita di chance come conseguenza del provvedimento illegittimo della P.A.Pelligra Contino M., Perdita di chance e condotta illegittima della P.A., in Il foro amministrativo T.A.R., 2008, fasc. 1, pagg. 341-361.

14 Si rimanda, in tema, anche per la bibliografia, al mio lavoro, Risarcimento dei danni consequenziali a violazioni tributarie:perché non assegnarle al giudice tributario? (commento a Cass. Sez. un., 19.4.2008,n. 10826), in Resp. civ. prev., 2008, 1743).

 

Consigliere della Corte di Cassazione. Docente incaricato di Diritto Privato, Università Bocconi di Milano. Presidente della Commissione tributaria regionale della Lombardia. Componente del Comitato Scientifico della Rivista “Diritto ed economia dell’assicurazione”. Componente di redazione della rivista “Responsabilità civile e previdenza.” Autore di numerose pubblicazioni in materia.

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