Livia Villani, Vizi della cosa venduta: codice civile e Direttiva 85/374/CEE a confronto, in Resp. civ., 2009, 8-9, p. 730.
Vizi della cosa venduta: codice civile e Direttiva 85/374/CEE a confronto
Livia Villani
Cass. civ. Sez. II Sent., 18 maggio 2009, n. 11423
FONTE
Resp. civ., 2009, 8-9, 730
Danno da prodotto
Sommario: 1. Il fatto – 2. La valvola difettosa come un difetto di progettazione – 3. Il rapporto tra la garanzia dai vizi della cosa venduta e la Direttiva 85/374/CEE – 4. Per la Corte di Cassazione il semplice vizio della cosa comporta la risoluzione del contratto – 5. Un ulteriore elemento di protezione del consumatore: la distribuzione dell’onere della prova nei casi di danno da prodotto – 6. Conclusioni
1. Il fatto
La controversia in oggetto si era instaurata tra il sig. A.R. che conveniva in giudizio la ditta F.L. per la risoluzione del contratto di acquisto di un depuratore per vizi di quest’ultimo. Il Giudice di Pace rigettava la domanda del sig. A.R. poiché:
– riteneva che la ditta F.L. non fosse inadempiente e che, invece, il sig. A.R. non avesse agito tempestivamente per denunciare i vizi della cosa acquistata entro 8 giorni ex art. 1495 c.c.;
– il sig. A.R. non aveva mai manifestato la volontà di risolvere il contratto;
– che l’inadempimento della ditta era di scarsa importanza tale da non comportare la risoluzione del contratto ex art. 1455 c.c.
Elemento centrale della questione è il vizio(1) del prodotto, infatti, il c.t.u. aveva imputato la disfunzione del depuratore e, segnatamente, della valvola di questo, alla diversa pressione dell’acqua erogata, nel luogo in cui esso era stato installato rispetto a quella propria del Comune in cui aveva sede l’Azienda produttrice; che in altri termini ed in tale ottica, la disfunzione della valvola e quindi dell’apparecchio tutto dipendeva dalla circostanza che la valvola medesima era stata tarata sulla pressione di origine.
Nonostante ciò anche il Tribunale rigettava tale impugnazione, pertanto il sig. A.R. proponeva ricorso in Cassazione.
Con il primo motivo del ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1476, 1490, 1492 e 1494 c.c. poiché il Tribunale non ha ritenuto responsabile la ditta F.L., nonostante fosse evidente il difetto di progettazione della valvola e quindi non ha concesso la risoluzione del contratto. Sarebbe, inoltre, stato necessario esaminare il problema della risarcibilità del danno prodotto dalla valvola difettosa e della colpa del [thrive_lead_lock id=’4487′] venditore in un secondo momento.
La Cassazione accoglieva il ricorso e precisava quanto segue:
1) nel caso di vizio di un prodotto non si deve provare la colpa del venditore, ma solo la presenza del difetto affinché si possa esperire vittoriosamente la risoluzione del contratto;
2) la colpa del venditore e di conseguenza la prova del suo comportamento inadempiente servono solo nel caso in cui si debba esperire azione di risoluzione del contratto per mancanza delle qualità promesse ex art. 1497 c.c. oppure per la conseguente richiesta di risarcimento del danno ex art. 1494 c.c. (cfr. Cass. n. 639/2000, e Cass. n. 14665/2008).
2. La valvola difettosa come un difetto di progettazione
Il c.t.u. aveva imputato la disfunzione del depuratore e, segnatamente, della valvola di questo, alla diversa pressione dell’acqua erogata, nel luogo in cui esso era stato installato rispetto a quella propria del Comune in cui aveva sede l’Azienda produttrice; che in altri termini ed in tale ottica, la disfunzione della valvola e quindi dell’apparecchio tutto dipendeva dalla circostanza che la valvola medesima era stata tarata sulla pressione di origine.
Aggiunge poi la Cassazione civile che il mancato funzionamento si era verificato a causa di un’avaria alla valvola di tipo meccanico montata in origine e sostituita con altra di tipo elettrico, vale a dire una elettrovalvola(2).
Questa definizione è sicuramente idonea a catalogare il difetto in oggetto nella categoria dei difetti di progettazione(3), descritti all’art. 117 Codice del consumo (Il prodotto difettoso).
Questi ultimi riguardano un’insicurezza implicita nell’ideazione o concezione del prodotto(4), ossia nella sua progettazione, se si tratta di prodotti dell’industria meccanica, o nella sua composizione chimica, se si tratta di prodotti dell’industria farmaceutica(5).
Essi possono riguardare l’introduzione di un vizio occulto da parte del progettista, riguardano altresì non adeguati ed insufficienti dispositivi o misure di sicurezza, non adeguata scelta dei materiali, mancato raggiungimento di standard di sicurezza, errate scelte nel procedimento di fabbricazione(6).
Uno dei primi casi(7) in cui si manifestarono questi difetti riguardava l’improvviso cedimento di un componente del telaio di una mountain bike che causava il completo distacco della ruota anteriore di quest’ultima. La Corte, identificando il difetto di progettazione, ha ritenuto il fabbricante della mountain bike responsabile per i danni sofferti dall’attore sulla base del d.p.r. n. 224/1988.
Un altro caso riguarda la difettosa montatura di un letto a castello(8) ed il suo conseguente crollo; tra i difetti di progettazione si può includere il caso in cui si affermò la responsabilità del costruttore di un tagliacarte automatico(9) per non aver adottato le misure necessarie atte ad impedire che dall’uso del prodotto potessero derivare danni.
Difetti di progettazione si sono palesati anche nell’utilizzo di un orditoio(10), di una scala(11) e di autoveicoli(12) (anomalo funzionamento dell’impianto frenante, cedimento dello sterzo di un motociclo).
Un caso molto recente è del Tribunale di Bologna e chiave di lettura del caso in questione sono le parole del c.t.u che descrive in modo preciso il difetto di progettazione: in un letto era installato un sistema a sollevamento idraulico della rete, privo di regolatori della velocità e di mezzi di bloccaggio; ciò comportava la potenziale pericolosità per la sicurezza dell’operatore di qualsiasi manovra di spostamento dei materassi, in quanto il sollevamento della rete avveniva repentinamente e senza controllo(13).
3. Il rapporto tra la garanzia dai vizi della cosa venduta e la Direttiva 85/374/CEE
L’inquadramento nei difetti di progettazione del difetto della valvola, consistente nell’errore di taratura della pressione da questa sopportata, permette di collegare tale problematica alla Direttiva 85/374/CEE sui danni da prodotto ed il rapporto tra quest’ultima e la regolamentazione civilistica dei vizi della cosa venduta.
Per quanto riguarda la tutela del compratore nel caso di vizi della cosa venduta, egli può esperire (rispettando i termini previsti dall’art. 1495 c.c.) due azioni dette anche azioni edilizie poiché introdotte a Roma dagli Edili Curuli, che sono l’azione redibitoria(14) che prevede la risoluzione del contratto di compravendita (1492, 1° co., c.c.) e il conseguente rimborso del prezzo e l’azione estimatoria o quanti minoris che prevede, invece, la riduzione del prezzo in base al vizio della cosa venduta; alla base dell’esperimento di queste due azioni vi è semplicemente la prova del vizio della cosa venduta(15). Si precisa che «una volta operata un’efficace scelta, non sarebbe più possibile al compratore far marcia indietro proponendo o coltivando una domanda subordinata, o rinunziando agli atti del giudizio e proponendo l’altra azione: né al giudice ripiegare da un’azione sull’altra»(16) (art. 1492, 2° co., c.c.).
Il 3° co. dell’art. 1492 c.c. precisa che se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto di vendita. La connessione tra vizio e perimento giustifica l’eccezione alla regola del principio res perit domino. Tale azione è preclusa nel caso in cui la cosa sia perita per caso fortuito, colpa del compratore, o la cosa sia stata alienata o trasformata. Quindi se la restituzione della cosa è divenuta impossibile ovviamente non si potrà più esperire azione redibitoria, ma solo la estimatoria(17).
Tali azioni non escludono poi il risarcimento del danno, ma al fine di ottenere quest’ultimo è necessario ex art. 1494, 1° co., c.c., che si provi che il venditore abbia ignorato i vizi della cosa con colpa.
La differenza principale tra queste azioni è che le prime riguardano obbligazioni di garanzia e per questo motivo il venditore si assume un rischio e non sarà necessario provare la sua colpa affinché sia ritenuto responsabile di non aver eliminato tale rischio, la seconda è invece un’azione che si basa sul comportamento più o meno diligente tenuto dal venditore(18).
Tale principio viene ribadito anche nelle due sentenze citate dalla stessa Corte; nella sentenza n. 639/2000(19), si precisa che «la Corte ha più volte affermato che per l’esercizio dell’azione di risoluzione del contratto di compravendita per i vizi delle cose che di esso formano oggetto, non è richiesta dall’art. 1492 c.c. colpa dell’alienante, la cui sussistenza è, invece, necessaria per promuovere l’azione risolutoria, per difetto delle qualità promesse, in quanto l’art. 1497, che disciplina quest’ultima, richiama, a differenza dell’altra norma, «le disposizioni generali dell’istituto della risoluzione per inadempimento» il quale è fondato sulla colpa.
In base a questo principio, dal quale non vi sono motivi validi per discostarsi, deve ritenersi che la Corte d’Appello, avendo accertato con suo incensurabile apprezzamento di merito sufficientemente motivato, la sussistenza del vizio da cui erano affette le tegole vendute, avrebbe dovuto pronunciare la risoluzione del contratto concluso dalla sig.ra L. con la società rivenditrice I. e, solo successivamente, avrebbe dovuto esaminare la pretesa risarcitoria per l’accoglimento della quale costituisce, invece, presupposto necessario la colpa dell’alienante»(20).
Ma anche la sentenza della Cass. n. 14665/2008(21) precisa che «[…] col secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1490, 1492, 1494 e 1495 c.c. nonché vizi di motivazione su un punto decisivo della controversia, parte ricorrente si duole che la Corte di merito abbia disatteso il motivo di gravame, con cui si era «messa in discussione la risolubilità del contratto per carenza dell’elemento colpa ai fini degli artt. 1492 e 2454 c.c. […]», elemento – questo – che essa parte assume mancante in ragione della impossibilità, manifestata dai consulenti tecnici d’ufficio, di pervenire a conclusioni attendibili sugli asseriti vizi del materiale venduto alla controricorrente […]. Ed invero, la doglianza postula, genericamente, una inconcludenza delle indagini tecniche con riguardo all’esistenza dei vizi del materiale venduto alla controricorrente, inconcludenza affatto smentita da quelle indagini, che la Corte di merito ha per l’appunto richiamato, sottolineandone il positivo esito in ordine alla presenza di vizi redibitori del materiale indagato, e, per ciò stesso, ritenute decisive al fine di accogliere sia la domanda di risoluzione del contratto di compravendita, ai sensi dell’art. 1492 c.c. che non presuppone la colpa dell’alienante […]»(22).
La Direttiva 85/374/CEE si pone, pertanto, in rapporto di continuità con i principi sulla responsabilità del venditore per i vizi della cosa venduta (artt. 1492, 1493, 1494 ss. c.c.), per poi adeguarli al carattere del sistema distributivo, basato sulle vendite a catena dei prodotti industriali, con l’estensione della relativa azione di danni, dal contraente diretto del venditore, ai successivi aventi causa, fino all’acquirente finale del prodotto.
Il problema maggiore per le vendite di beni di consumo consisteva nell’insicurezza o pericolosità del prodotto, considerata vizio della cosa venduta, sottoposto come tale alla disciplina dell’art. 1494, 2° co., c.c., che riguardava rapporti fra produttore-venditore e diretto acquirente; nei confronti dei consumatori sub-acquirenti i giudici avevano, nella generalità dei casi, fondato la responsabilità del produttore sulla clausola generale della responsabilità per fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c. Una simile soluzione implicava una stridente disparità di trattamento: la responsabilità del venditore ex art. 1494, 2° co., c.c. è una responsabilità per i danni derivati dai vizi della cosa dalla quale egli si libera solo se offre la prova richiesta dal 1° co., ossia se prova di averne ignorato senza colpa i vizi; per contro, la responsabilità ex art. 2043 c.c. richiede la prova, da parte del danneggiato, della colpa del danneggiante. Di fatto, questa disparità di trattamento fra primo acquirente e successivi sub-acquirenti non ha operato perché i nostri giudici hanno adattato l’art. 2043 c.c. alle esigenze di protezione del consumatore: di fronte al danno da prodotto industriale, hanno presunto la colpa del produttore.
Altri Autori hanno analizzato l’applicazione dell’art. 1494 c.c. alla responsabilità del produttore e ne hanno ricavato il suo improbabile utilizzo nel caso di danni da prodotto; l’applicazione dell’art. 1494 c.c., infatti, comportava ulteriori problematiche(23), ad esempio il fatto che il venditore poteva sottrarsi a responsabilità se provava di avere ignorato i vizi senza sua colpa (ma non alla risoluzione del contratto, come ampiamente spiegato in questo paragrafo) ed in presenza di una circolazione di prodotti sigillati, le possibilità che il venditore riesca a controllare la merce e a individuarne i difetti sono scarse. Altra problematica poteva essere quella per cui il venditore che fosse stato condannato al risarcimento del danno non avesse i mezzi per ripararlo, o ancora egli non si potesse più rivolgere all’impresa che gli aveva venduto il prodotto difettoso poiché i termini di prescrizione dell’azione erano scaduti. Inoltre il ricorso agli strumenti contrattuali presentava lo svantaggio di offrire tutela soltanto ai consumatori che avessero effettivamente acquistato il prodotto, ma non si estendeva a tutti coloro che ne avessero fatto uso. Anche altri Autori(24) ritenevano che le norme sulla compravendita attualmente in vigore nell’ordinamento giuridico italiano non fossero idonee a tutelare gli interessi dei consumatori: le norme in materia di vendita riconoscono alle parti ampia libertà di modificare o di escludere la garanzia per i vizi(25). Il problema è stato poi risolto con l’introduzione anche nel nostro ordinamento della Direttiva 85/374/CEE.
Di conseguenza, le difficoltà che dottrina e giurisprudenza hanno affrontato in passato per introdurre la responsabilità oggettiva del produttore si ripresentano anche ora. Ma, mentre le prime riguardavano il difficile sviluppo del concetto di strict liability in una realtà caratterizzata dalla prevalenza assoluta della colpa (si pensi al principio «nessuna responsabilità senza colpa»)(26), ora i problemi maggiori riguardano l’applicazione pratica della Direttiva (e, quindi, del Codice del consumo) in cui si afferma la responsabilità oggettiva del produttore. Conseguenza di ciò è che i casi successivi all’applicazione della Direttiva 85/374/CEE in Italia non erano molti poiché la giurisprudenza non utilizzava frequentemente quest’ultima e prima dell’affermazione di una Italian products liability law pochi erano i casi risolti. Si possono ricordare i cinque casi più «noti»: quello dei biscotti avariati (divenuto il leading case italiano), della mountain-bike, dello scoppio di una bottiglia di bibita gasata(27), della caduta di un letto a castello, dell’orditoio.
La Direttiva 85/374/CEE, il Codice del consumo(28) ed il loro rapporto con gli articoli del codice civile (riguardanti la garanzia per i vizi della cosa venduta, ma anche gli artt. 2043-2059 c.c.) rappresentano una continuità con il passato, inoltre una loro interpretazione sistematica comporta ulteriori possibilità di applicazione riguardanti anche problematiche molto diverse tra loro: si pensi al risarcimento dei danni morali che possono essere causati da prodotti difettosi, all’utilizzo della direttiva come strumento di tutela del consumatore attraverso class action (termine coniato dal sistema anglosassone per indicare uno strumento di protezione di un’ampia categoria di soggetti: i consumatori), all’applicazione di questa ai farmaci.
4. Per la Corte di Cassazione il semplice vizio della cosa comporta la risoluzione del contratto
La regolamentazione civilistica dei vizi della cosa venduta, che ha le sue fondamenta nel diritto romano, va poi inserita nell’impianto più recente e nuovo che riguarda la tutela del consumatore per danno da prodotto difettoso.
Il punto centrale riguarda, nel caso di vizi della cosa venduta, la presenza del difetto e la conseguente ed automatica risoluzione; nel caso di danno da prodotto, il rapporto tra difetto e conseguente danno che comportano la responsabilità oggettiva del produttore. Si sta affermando nella giurisprudenza un trend interpretativo che favorisce sicuramente la parte più debole (che può essere il consumatore, il paziente, il risparmiatore) attraverso diversi strumenti che vanno dalla responsabilità oggettiva al principio della vicinanza della prova. Una volta provato il rapporto di causalità tra difetto e danno, il contatto sociale tra paziente e struttura sanitaria, il comportamento dell’intermediario ed il conseguente danno del risparmiatore, sarà poi la parte più forte a doversi liberare(29).
A questo riguardo è interessante vedere come la S.C., anche in materia di contratti tra risparmiatori e intermediari abbia disposto che affinché questi ultimi siano considerati responsabili per inadempimento contrattuale basterà che il singolo risparmiatore provi che l’intermediario sia venuto meno all’obbligo e dovere di corretta informazione che si deve tenere durante le trattative contrattuali ex art. 1337 c.c. La Corte di Cassazione dà spazio alla responsabilità precontrattuale; quest’ultima si sostanzia principalmente nel rendersi edotte vicendevolmente le parti sul contenuto contrattuale attraverso lo scambio di tutte le informazioni e le notizie riguardanti quest’ultimo e conseguenza della mancanza di ciò è l’inadempimento contrattuale(30).
Tale comportamento costituito dalla mancanza di scambio di informazioni tra intermediario e risparmiatore richiama poi la mancanza di scambio di informazioni tra medico e paziente e la responsabilità del medico per aver tenuto un comportamento inadempiente e senza consenso informato del paziente.
In questo caso però il mancato consenso informato ed il conseguente inadempimento si collocano nella responsabilità contrattuale da contatto sociale(31): il singolo individuo stipula un contratto nel momento in cui viene a contatto con una struttura ospedaliera(32).
Si cerca, quindi, di limitare la prima valutazione ai soli fatti, epurati dagli elementi soggettivistici (quali negligenza, imperizia e imprudenza) dei comportamenti tenuti dalle parti(33). Uno strumento ed uno spunto molto utile è quello della responsabilità oggettiva ed uno dei suoi campi di applicazione è proprio quello del danno da prodotto(34).
La direttiva (trasposta in Italia nel d.p.r. n. 224/1988) ha profondamente innovato nella materia e ciò si coglie fin dall’art. 1 Codice del consumo (nel quale a sua volta è stato trasposto il d.p.r. n. 224/1988), il quale prevede che il produttore sia responsabile per i danni causati da difetti del suo prodotto attraverso il criterio della responsabilità oggettiva(35). Per responsabilità oggettiva si intende responsabilità che prescinde dalla colpa e che richiede il solo rapporto di causalità fra il fatto proprio e l’altrui evento dannoso: «rapporto che si basa sulla regolarità statistica che rende prevedibile un dato effetto come conseguenza del verificarsi di una causa»(36).
In conclusione risulta utile l’analisi del rapporto di causalità tra difetto (o comportamento) e danno epurato dagli elementi soggettivistici; nel caso della vendita di un prodotto il rapporto riguarderà la presenza di vizi e risoluzione del contratto, solo in un secondo momento si potrà poi disquisire sulla presenza di colpa del venditore che rileva ai soli fini di risarcimento del danno.
5. Un ulteriore elemento di protezione del consumatore: la distribuzione dell’onere della prova nei casi di danno da prodotto
Nuovi spunti della regolamentazione dell’onere della prova si trovano nella sentenza della Cass., 8.10.2007, n. 20985(37), proprio sul danno da prodotto(38). Il caso riguardava un danno causato dallo svuotamento di una protesi siliconica con conseguente diffusione del liquido nei tessuti dopo pochi anni dall’operazione di inserimento. La Corte d’Appello negava la responsabilità della multinazionale produttrice di tali dispositivi medici, in quanto, addossava l’onere della prova del difetto, del danno e del nesso causale tra questi ultimi sul consumatore danneggiato e riteneva che dopo due anni e quattro mesi dall’installazione della protesi lo svuotamento di questa non concretasse ipotesi di difetto, ma possibile esistenza di un difetto.
La Cassazione con una sentenza “illuminata”(39) dispone, invece, che «l’art. 8, d.p.r. n. 224/1988, va interpretato nel senso che detto danneggiato deve provare che l’uso del prodotto ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative e tali da evidenziare la sussistenza di un difetto ai sensi di cui all’art. 5, d.p.r. n. 224/1988; invece il produttore deve provare (ex artt. 6 e 8, d.p.r. n. 224/1988), che è probabile che il difetto non esistesse ancora al momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione».
Quindi, l’onere della prova si è spostato: se in principio era sul consumatore ora, dopo che quest’ultimo ha provato il legame tra il fatto ed il danno, è il produttore che dovrà dimostrare di non essere responsabile (art. 118, par. 1), secondo il principio della vicinanza della prova(40).
Grazie alla responsabilità oggettiva il consumatore dovrà provare solo che ha subito un danno e che questo danno è stato causato da un difetto del prodotto(41).
Tale risultato, però, non è stato immediato, infatti, ripercorrendo l’evoluzione del rapporto tra onere della prova e di responsabilità oggettiva si può affermare che in un primo momento si consideravano l’art. 1669 c.c. (Rovina e difetti di cose immobili), che veniva applicato anche alla vendita, e l’art. 2043 c.c. (Risarcimento per fatto illecito) che prevedeva che il consumatore dovesse dare la prova della colpa del produttore (anche se poi veniva presunta).
Il consumatore danneggiato non poteva comunque limitarsi a dimostrare il difetto del prodotto e la sua efficienza dannosa, ma doveva anche dimostrare (sia pure invocando l’agevole strumento della presunzione semplice) che il difetto risalisse al produttore e derivasse da fattori (umani e non) sottoposti al suo controllo o alla sua custodia o comunque generanti una sua responsabilità(42). Successivamente con l’introduzione del principio della responsabilità oggettiva si prescinde dalla colpa e si considera il legame causale tra fatto e danno facilitando l’onere della prova per il consumatore (art. 114, par. 1, Codice del consumo).
In conclusione, provare la responsabilità del produttore era per il consumatore, parte più debole, difficoltoso; dottrina e giurisprudenza accortesi di ciò hanno accolto il principio, in primo luogo della colpa-negligenza, che attraverso presunzioni addossava la colpa sul produttore(43) oppure si presumeva l’esistenza del difetto o del nesso di causalità tra difetto e danno ed infine quello della responsabilità oggettiva che tutela maggiormente il consumatore (art. 117 Codice del consumo).
Da un punto di vista pratico può essere molto complesso per il consumatore individuare il difetto e la causalità tra difetto e danno, soprattutto nel caso di prodotti tecnici.
Per quanto riguarda il concetto di difetto si deve precisare che esso può essere identificato come carenza di funzionamento, che può derivare o dal palesarsi di un vizio o dalla perdita di funzionalità anche parziale del bene senza che questa sia dovuta necessariamente alla sussistenza di un vizio. Il vizio è, invece, un quid negativo intrinseco alla cosa (inidoneità congenita al materiale o mancanza di compatibilità del materiale alla struttura) che durante il funzionamento può manifestarsi attraverso un difetto.
Inoltre la direttiva prevede che un prodotto sia definito difettoso se non fornisce la sicurezza che una persona ha diritto di attendersi. Data la natura soggettiva delle aspettative, questo principio non può essere definito con precisione.
È possibile, quindi, che il consumatore perda di vista gli elementi fondamentali che riguardano la responsabilità del produttore: danno, difetto e rapporto di causalità; pertanto, si può concludere che il danneggiato deve provare quei fatti materiali, storicamente accertabili, che autorizzino il giudizio di difettosità e, quindi, indicare semplicemente il prodotto che ha causato solo il pregiudizio, così come circolante sul mercato alla specifica prova di una sua alterazione(44).
A questo riguardo vi sono diverse sentenze delle Corti europee che proprio sui concetti di onere della prova e di conseguenza difetto, danno e rapporto di causalità apportano diverse soluzioni.
In una causa decisa dal Tribunale della Contea di Aix en Provence in Francia(45), il ricorrente era stato danneggiato da una lastra di vetro in un caminetto che era esplosa in circostanze sconosciute. Il tribunale ha precisato che l’intervento del prodotto al momento del danno era sufficiente e che il ricorrente non doveva dimostrare la causa precisa dell’incidente per dimostrare che il prodotto fosse difettoso.
In una causa simile in Belgio, relativa ad una bottiglia di bibita analcolica che è esplosa, il ricorrente non ha dovuto, ai sensi della direttiva, dimostrare l’esatta natura del difetto, in tutti i suoi aspetti tecnici(46), ma semplicemente in base al normale uso che ne faceva; sempre in Belgio la Corte distrettuale di Amsterdam(47), per dimostrare la difettosità di un prodotto, ha considerato la semplice nozione di sicurezza generale che ci si può aspettare legittimamente da un prodotto.
Ciò è in contrasto con l’approccio dei Tribunali del Regno Unito: in una causa che coinvolgeva un profilattico che si era rotto durante l’uso(48) ed anche in un’altra causa che riguardava la rottura di un impianto di gel siliconico al seno, non si è ritenuto responsabile il produttore. In entrambe queste cause, il prodotto era difettoso, ma la causa del difetto era sconosciuta. A differenza delle decisioni di Francia e Belgio, il tribunale del Regno Unito in ciascuna causa ha deciso che, ai sensi della Direttiva 85/374/CEE, il ricorrente aveva l’onere di dimostrare la natura del difetto asserito, e non semplicemente di dimostrare che il prodotto si fosse rotto. Poiché i ricorrenti non potevano dimostrare che cosa avesse causato il difetto, i ricorsi non hanno avuto un esito positivo.
Secondo l’art. 117, 2° co., Codice del consumo, poi, grava sul produttore il compito di liberarsi dalla responsabilità provando uno dei fatti descritti dall’art. 118, lett. a, b, c, d, e, f; la prova liberatoria richiesta al produttore si presenta sia come prova di fatti ulteriori rispetto a quelli sufficienti a fondare la sua responsabilità sia come fatti impeditivi riguardanti circostanze costitutive della responsabilità del produttore.
La ripartizione dell’onere della prova, con riguardo all’esistenza, alle caratteristiche ed alle origini del difetto risponde all’esigenza di adeguare il contenuto della prova al concreto rilievo degli interessi in gioco, equilibrando secondo un criterio razionale le posizioni di consumatore e produttore.
6. Conclusioni
È fondamentale ricordare che né il Codice del consumo (artt. 114-117), né la direttiva in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, né le norme del codice civile (artt. 1492 e 1494) possono essere considerate in isolamento. Sono parte di un sistema più vasto volto a tutelare la sicurezza e difesa dei consumatori e per risolvere al meglio ogni caso giurisprudenziale è necessario compenetrare le caratteristiche della responsabilità civile, gli interessi in gioco e tutelare la parte più debole, il consumatore.
È importante riconoscere l’influsso di questi fattori sull’impatto pratico del codice civile e delle altre leggi riguardanti la responsabilità per danno da prodotto difettoso e la loro rilevanza per un’armonizzazione dei sistemi in materia di tutela del consumatore.
I metodi analizzati precedentemente per una tutela pratica del consumatore (responsabilità oggettiva e principio della vicinanza della prova) possono essere ricompresi in un più vasto ambito che riguarda obiettivi di politica comunitaria volti ad assicurare una efficace protezione contro i rischi per la salute e la sicurezza del consumatore e una efficace protezione contro i rischi che possono nuocere ai suoi interessi economici con particolare attenzione alle ripercussioni relative alla libera circolazione delle merci ed al gioco della concorrenza(49).
Un riscontro di queste necessità lo possiamo ritrovare nella Costituzione della Comunità Europea (oggi Trattato di Lisbona del giugno 2007); infatti, essa prelude ad una nuova dimensione del confronto globale e dei diritti e delle tutele dei cittadini consumatori e utenti(50). Ciò è confermato dal testo dell’art. II, 98 del Trattato, per cui, nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori.
Per questo tutte le norme che tutelano il consumatore (dal Codice del consumo agli articoli del codice civile riguardanti la garanzia per i vizi della cosa venduta) vanno interpretate secondo gli artt. 2, 3 e 117, Cost. poiché essi sono gli strumenti che permettono che gli istituti civilistici italiani siano di ampio respiro e riflettano i principi provenienti dagli organi di giustizia e legislazione comunitaria ed internazionale(51).
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(1) La distinzione tra vizio e difetto è necessaria in quanto, nel sistema commerciale attuale, può identificarsi una differenza sostanziale tra i concetti espressi con il termine vizio e difetto della cosa: il vizio per suo proprio carattere deve intendersi come un quid negativo intrinseco alla cosa, è strutturalmente una inidoneità congenita al materiale o alla compatibilità del materiale alla struttura che durante il funzionamento può manifestarsi attraverso un difetto.
Il difetto, quindi, può essere identificato come la carenza di funzionamento che può derivare o dal palesarsi di un vizio o dalla perdita di funzionalità anche parziale del bene senza che questa sia dovuta necessariamente alla sussistenza del vizio (cfr. Barbarino e Bennati, Responsabilità da prodotto, Milano, 1987, 16).
Il vizio è dunque il fattore scatenante del difetto e non sempre risiede fisicamente nel bene, ma può risiedere nel bene o nella macchina che lo produce; quindi, il vizio agisce a monte del difetto e non è sempre connesso fisicamente con il bene, mentre il difetto si manifesta, invece, sempre come una deficienza del bene (cfr. Baccelli, La responsabilità extracontrattuale del costruttore di aeromobili, Padova, 1987, 38).
(2) Per un primo commento alla sentenza in oggetto, cfr. Obbl. e Contr., 2009, 579, con nota di Rubino.
(3) Cfr. Galgano, Diritto Civile e Commerciale, Le obbligazioni ed i contratti, Padova, 2004, 12, per cui nel caso di obbligazione di garantire il compratore dai vizi della cosa è importante che questi ultimi siano vizi occulti; inoltre, si precisa come si possono intendere vizi anche difetti di fabbricazione o progettazione: «sono ad esempio vizi occulti di un edificio i difetti di costruzione che ne pregiudichino la stabilità, i difetti di fabbricazione delle macchine o di altri prodotti industriali, che ne impediscono l’utilizzazione da parte del compratore (la macchina non funziona o funziona male o è pericolosa per l’incolumità di chi deve usarla) […]».
(4) I vizi di costruzione (detti anche di progettazione) rientrano nel concetto della “tipologia del danno da prodotto”; essa viene descritta nell’art. 6, Direttiva 85/374/CEE, infatti, si riferiscono ai difetti che si manifestano nell’uso del prodotto, “la presentazione e l’uso del medesimo”, si riferisce ai difetti di fabbricazione e progettazione, “il momento della messa in circolo”, infine, ai difetti di fabbricazione, il raffronto tra esemplare e serie che si può ricavare dall’ult. co. dell’art. 6, Direttiva 85/374/CEE.
(5) Galgano, Le obbligazioni e i contratti, Diritto civile e commerciale, Padova, 1999, 315.
(6) Barbarino e Bennati, Responsabilità da prodotto, Milano, 1987.
(7) Trib. Monza, 20.7.1993, in Giur. it., 1995, I, 323, con nota di Tedeschi, La responsabilità del produttore e il d.p.r. 24.5.1988, n. 224.
(8) Trib. Milano, 13.4.1995, in Danno e resp., 1996, 381, con nota di Ponzanelli, Crollo di un letto a castello: responsabilità del produttore-progettista e del montatore, per cui «non tanto esiste un difetto di costruzione del mobile quanto un difetto di concezione; il fatto che la società produttrice abbia costruito e commercializzato un mobile con una struttura di sostegno e contenimento (profondità di soli cm 25) deve essere ritenuto abbastanza “inusuale” anche in considerazione dell’altezza della struttura medesima (m 2,15); senza ombra di dubbio una maggiore profondità della struttura avrebbe dato origine ad una maggiore stabilità intrinseca del mobile».
(9) Cass., 10.11.1970, n. 2337, in Mass. Giur. it., 1970, 929: «nel tagliacarte esiste un evidente vizio di progettazione quale quello che la lama tagliente possa muoversi (sempre in salita ed, accidentalmente, pure in discesa) anche quando le mani dell’operaio addetto alla manovra del tagliacarte siano distaccate dai comandi. Tale vizio è da ritenersi ancor più grave perché contrario al minimum di sicurezza imposto dalla legge per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. La costruzione e la vendita di un apparecchio, progettato in violazione di norme di legge, non limita la responsabilità del venditore a quella contrattuale verso il compratore, ma genera anche quella extracontrattuale verso il terzo».
(10) Trib. Monza, 11.9.1995, in Resp. civ. e prev., 1996, 371, con nota di Martorana, L’orditoio: una macchina che non offre le sicurezze che si possono attendere dalle persone di non alta statura. Un altro caso è Trib. Torino, 17.5.2002, in Foro it., 2002, I, 2899, con nota di Calmieri, Richiamo ope iudicis di veicoli potenzialmente nocivi: quando la sicurezza dei prodotti si combina con la tutela collettiva dei consumatori.
(11) Trib. Milano, 31.1.2003, in Foro it., 2003, I, 1260.
(12) In questi casi (Trib. Roma, 4.12.2003; Trib. Forlì, 25.11.2003; Trib. Roma, 14.11.2003, in Foro it., 2004, I, 1631 s., con nota di Bitetto) in perfetta sintonia con l’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Cassazione e con le linee guida dettate dalla Corte Costituzionale in tema di danno non patrimoniale, i giudici hanno ritenuto che, anche nell’ipotesi di responsabilità oggettiva del produttore, ai sensi del d.p.r. n. 224/1988 (ed oggi ai sensi degli artt. 114-127 Codice del consumo), debba essere riconosciuto all’utilizzatore, qualora vi sia stata lesione dei diritti inviolabili della persona, il risarcimento del danno non patrimoniale inteso sia come sofferenza psicologica, sia come compromissione del rapporto familiare.
Quindi c’è stata un’evoluzione anche nel campo della responsabilità oggettiva poiché si è inserita la possibilità di risarcire oltre al danno patrimoniale, che è descritto all’art. 123 Codice del consumo, anche il danno morale, ovvero, il danno che riguarda le sofferenze fisico-psichiche di un determinato soggetto. In effetti non aveva alcun senso limitare il risarcimento del danno alle voci presenti nell’articolo suddetto, non è detto che, sebbene in presenza di responsabilità oggettiva, non si possa risarcire un danno morale. Anzi è sicuramente un passo in avanti per una maggior utilizzo di questo tipo di responsabilità e una maggior sensibilizzazione del legislatore verso la vittima che ha subito un danno causato da un prodotto difettoso.
(13) Trib. Bologna, 22.3.2007, n. 909, in Resp. civ., 2008, 802, con nota di Villani, Il Tribunale di Bologna applica, per la prima volta, il d.p.r. n. 224/1988 (Direttiva 85/374/CEE) sulla responsabilità del produttore, trasposto oggi nel codice del consumo (d.lg. 6.9.2005, n. 206).
(14) Cass., 23.1.1982, n. 452, in Giust. civ. mass., 1982, 1, la quale, secondo l’orientamento odierno afferma che «l’azione redibitoria si configura come speciale e rafforzativa della tutela del compratore».
(15) Cfr. Galgano, Diritto Civile e Commerciale, Le obbligazioni ed i contratti, Padova, 2004, 15.
(16) Greco e Cottino, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1981, 267.
(17) Greco e Cottino, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1981, 271 ss.
(18) Cfr. Galgano, Diritto Civile e Commerciale, Le obbligazioni ed i contratti, Padova, 2004, 18.
(19) Cass. n. 639/2000, in Contr., 2000, 905, con nota di Capoluongo, Vizi della cosa venduta e natura della responsabilità del venditore. Interessante è anche il riferimento in questa sentenza al d.p.r. n. 224/1988 poiché il venditore delle tegole viziate aveva chiamato in causa anche il produttore di queste ultime chiedendo che questo risarcisse il danno all’acquirente; la Cassazione chiarisce però che l’azione di risarcimento del danno per i vizi della cosa (art. 1494, 2° co., c.c.) non è azione di natura extracontrattuale, ma contrattuale e nel caso in cui sia promossa dall’acquirente contro il proprio venditore, non si estende automaticamente nei confronti del produttore della cosa.
Per la dottrina cfr. Greco e Cottino, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1981, 269: oltre a ribadire il principio per cui non è necessaria per esperire tali azioni la colpa del venditore si precisa che la loro funzione è quella di ristabilire un rapporto di corrispettività economica tra le prestazioni; Luminoso, La compravendita, Corso di diritto civile, Torino, 1991, 161 s., per il quale «il fondamento di tale speciale responsabilità è dato perciò dall’oggettiva inattuazione o imperfetta attuazione dell’effetto traslativo, derivanti da anomalie preesistenti alla vendita»; Rubino, La compravendita, in Tratt. Cicu e Messineo, Milano, 1971, II, XXIII, 629 ss, per cui «le caratteristiche della garanzia per vizi della cosa venduta sono: il fatto obiettivo di inadempimento cui si riferiscono; il titolo per il quale si risponde di questo fatto (e che prescinde dalla colpa); la limitatezza delle sanzioni in cui si sostanzia tale responsabilità». Egli, inoltre, afferma che l’irrilevanza della colpa dell’alienante ai fini dell’esperibilità del rimedio risolutorio, viene generalmente spiegata considerando che, da un punto d vista oggettivo, il vizio-quale imperfezione materiale della cosa alienata-provoca uno squilibrio nel rapporto sinallagmatico tra le prestazioni tale da far venire meno la ragione giustificatrice del diritto alla controprestazione; anche se l’alienante riuscisse a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per rendersi conto dello stato materiale in cui versava la cosa prima della stipulazione, resterebbe immutata la possibilità per l’acquirente di agire per la risoluzione del contratto. Si può osservare come alcune parole degli autori si ritrovino anche nella Direttiva 85/374/CEE sul danno da prodotto.
(20) Tale orientamento è stato affermato anche da ulteriore dottrina, a questo proposito cfr. Franzoni, Prevenzione e risarcimento per danni da prodotti industriali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1982, 87; Bianca, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1993, VII, 1, 948, per cui «alle disposizioni generali sulla risoluzione del contratto per inadempimento fa espresso richiamo la norma sulla mancanza delle qualità essenziali o promesse (art. 1497 c.c.) la stessa dizione non è ripetuta in tema di vizi. Questo spunto letterale induce ancora in dottrina a ritenere che l’azione di risoluzione per vizi costituisca un rimedio a sé».
(21) Cass. n. 14665/2008, in Giust. civ. mass., 6, 860.
(22) Inoltre a conferma delle sentenze citate cfr. anche Cass. n. 452/1982, in Giust. civ. mass., 1982, 1; Cass. n. 15104/2000, in Giust. civ. mass., 2000, 2420; Cass. n. 7718/2000, in Giust. civ. mass., 2000, 1241; Cass. n. 3425/2001, in Giust. civ. mass., 2001, 449; G.d.P. Taranto, 30.7.2005, in Giudice di Pace, 2006, 2, 144.
(23) Alpa, Tutela del consumatore e controlli sulle imprese, Bologna, 1977.
(24) Valsecchi, La responsabilità del produttore e nuove forme di tutela del consumatore, Milano, 1993; Bianca, La vendita e la permuta, Torino, 1972, 885 ss., per il quale «il riconoscimento della responsabilità extracontrattuale del venditore per i danni cagionati dalla messa in circolazione di cose insidiose prescinde dal rapporto contrattuale intercorrente tra danneggiante e danneggiato. Il diritto al risarcimento spetta anche ai terzi estranei alla vendita».
Anche Franzoni, Prevenzione e risarcimento per danni da prodotti industriali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1982, 89, ritiene che le norme sulla vendita non siano idonee a rispondere al problema della responsabilità oggettiva.
(25) Alpa e Bessone, La responsabilità del produttore, Milano, 1976.
(26) Franzoni, Prevenzione e risarcimento per danni da prodotti industriali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1982, 96: «il criterio della colpa è divenuto nella pratica inutilizzabile per i danni conseguenti alla circolazione di prodotti industriali, sia sotto il profilo risarcitorio, sia sotto quello sanzionatorio. Pertanto il compito principale del sistema della responsabilità consiste nell’eliminare le conseguenze del pregiudizio sofferto dal danneggiato, reintegrandone il patrimonio, e, su questo presupposto, va pure sviluppata la ricerca circa gli strumenti per una moderna prevenzione delle occasioni di danno, in armonia con la complessità del sistema di produzione e distribuzione di massa».
(27) Trib. Roma, 11.5.1998, in Danno e resp., 1998, 1147, con nota di Ponzanelli, Anche le bottiglie italiane esplodono, in cui si sottolineano le differenze tra i sistemi di Common Law ed i sistemi europei e si ritiene che l’insuccesso della Direttiva 85/374/CEE sia dovuto probabilmente alle grandi differenze tra i due; Trib. Roma, 17.3.1998, in Foro it., 1998, I, 3660, con nota di Palmieri, Dalla mountain-bike alla bottiglia d’acqua minerale: un nuovo capitolo per un’opera incompiuta.
(28) Franzoni, Dieci anni di responsabilità del produttore in Danno e resp., 1998, 823.
(29) Uno spunto a questo proposito può essere trovato proprio nella Direttiva 85/374/CEE dove, come già anticipato, diventa elemento fondamentale la responsabilità oggettiva.
(30) cfr. Cass. n. 26724/2007, che conferma Cass. n. 19024/2005, in Franzoni, La responsabilità precontrattuale: una nuova stagione, in Resp. civ., 2006, 295.
(31) Franzoni, L’Illecito, Milano, 2004, 955.
(32) In materia di rapporti medico-paziente, soprattutto per quanto attiene al profilo del risarcimento dei danni in caso di prestazioni sanitarie inadeguate, merita di essere segnalata tra le ultime pronunce giurisprudenziali la sentenza Cass. n. 20/2009 (per il testo integrale consultare il sito www.utetgiuridica.it). Con tale sentenza, la S.C. ha statuito che, nell’ambito delle prestazioni sanitarie, i pazienti vanno equiparati ai consumatori e, come tali, ove volessero agire in giudizio contro il professionista, possono incardinare la causa presso il proprio foro di residenza.
Il caso che ha portato alla pronuncia è stato quello di un neonato cui alla nascita, avvenuta presso un ospedale calabrese, venivano cagionati dei danni fisici. I genitori, poi trasferitisi in Veneto, promuovevano la causa per il risarcimento dei danni presso il foro giudiziario del nuovo luogo di residenza.
L’Ospedale e la relativa compagnia assicurativa si costituivano in giudizio sostenendo che la causa dovesse essere respinta in quanto incardinata presso il foro sbagliato. Più precisamente, secondo i convenuti, la causa avrebbe dovuto essere incardinata avanti al Tribunale del luogo ove i fatti erano avvenuti.
Approdata in Cassazione, la causa, circa la questione relativa al foro competente, veniva definita in senso favorevole per gli attori. Più precisamente, la S.C. ha colto l’occasione per statuire che la posizione dei pazienti nei confronti dei professionisti del settore sanitario è del tutto equiparabile a quella generale dei consumatori che ricevono prestazioni professionali.
Per questo motivo è possibile applicare nei loro confronti le norme del Codice del consumo e, in specifico, per quanto interessa in questa sede, l’art. 33, 2° co., lett. u, che prevede che i consumatori possano incardinare le cause di risarcimento danni presso il foro del luogo di residenza. Dato che trattasi, con tutta evidenza, di norma disposta in favore dei consumatori, secondo la Cassazione, per potersi avere un foro competente diverso, occorre che il consumatore abbia dato il proprio consenso in tal senso in forma scritta.
(33) Franzoni, Prevenzione e risarcimento per danni da prodotti industriali, Riv. trim. dir. e proc. civ., 1982, 104.
(34) Come già precisava Rubino, La compravendita, in Tratt. Cicu e Messineo, Milano, 1971, II, XXIII, 629 ss. Per l’autore il fondamento della garanzia (in generale per vizi ed evizione) «sta nel fatto obiettivo, in sé e per sé, dell’inadempimento (ineliminabile), inteso semplicemente come mancata esecuzione, nell’alterazione che questo fatto porta al sinallagma funzionale del contratto (cfr. par. 4) […]. La garanzia nella vendita è un rimedio che prescinde dalla colpa del venditore. Ciò non significa, peraltro che essa sia un caso di responsabilità oggettiva, almeno nel senso tradizionale di quest’ultima figura […]. Nel nostro ordinamento giuridico, che prevede la responsabilità oggettiva solo come figura eccezionale, questa responsabilità significa anche una seconda cosa: che le reazioni giuridiche comminate per un dato fatto, a titolo appunto di responsabilità oggettiva, non sarebbero state ammissibili, in base ai principi generali, senza introdurre per quella particolare ipotesi una responsabilità oggettiva. Ora dei tre rimedi anzidetti (la restituzione o riduzione del prezzo, il rimborso delle spese fatte per il contratto e sulla cosa, la corresponsione del valore dei frutti che il compratore sia tenuto a restituire a colui dal quale è evitto) nei quali si sostanzia la garanzia della vendita, solo il rimborso per le spese fatte per il contratto non sarebbe stato ammissibile in base ai principi generali (in caso di mancanza di colpa), ed è dovuto solo in virtù di una norma dettata per la vendita e che richiama il concetto di responsabilità oggettiva. Gli altri due rimedi […] avrebbero dovuto essere ammessi […] anche se non vi fosse stata una norma apposita sulla vendita. Ciò spiega perché la garanzia nella vendita non è un caso di responsabilità oggettiva nel tradizionale ed anzidetto significato del termine».
(35) In Italia il primo caso di responsabilità oggettiva del produttore è Cass., 25.5.1964, n. 1270, in Foro it., 1966, V, 22 ss., con nota di Martorano, Sulla responsabilità del fabbricante per la messa in commercio di prodotti dannosi (a proposito di una sentenza della Cassazione). Nel caso di danni dovuti all’ingestione di biscotti avariati, che avevano provocato a più persone una enterocolite febbrile, in principio qualsiasi colpa del dettagliante veniva esclusa dal fatto che il prodotto era contenuto in confezione sigillata. La Cassazione, poi, modificando l’orientamento espresso dalla sentenza di Primo grado (Pret. Roma, 20.6.1959, inedita, in Alpa e Bessone, La responsabilità del produttore, a cura di Toriello, Milano, 1999, 24), condanna al risarcimento l’impresa produttrice, nonostante non si fosse provata a suo carico una colpa nell’esercizio dell’attività industriale. Il dettato dell’art. 2043 c.c., che richiede al danneggiato di provare la colpa del danneggiante, viene superato con il ricorso ad un processo logico presuntivo con il quale la Corte di Cassazione fa risalire direttamente all’impresa il difetto riscontrato nei prodotti sigillati: in definitiva, la colpa dell’impresa viene presunta.
Per un’analisi della responsabilità del produttore Alpa, Trattato di diritto civile, IV, La responsabilità civile, Milano, 1999; Id., La responsabilità dell’impresa e tutela del consumatore, Milano, 1975; Alpa e Bessone, La responsabilità del produttore, a cura di Toriello, Milano, 1999; Alpa, Bin, Cendon, La responsabilità del produttore, in Tratt. Galgano, XIII, Padova, 1989; Alpa, Carnevali, Ghidini, Ruffolo e Verardi, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, Milano, 1990; Alpa e Rossi Carleo (a cura di), Codice del consumo, Commentario, Napoli, 2005; Carnevali, La responsabilità del produttore, Milano, 1974; Cinelli, Contributi e contraddizioni della giurisprudenza in tema di esercizio di attività pericolosa, in Riv. dir. civ., 1971, 457; Confortini, Posizioni della dottrina e della giurisprudenza italiana sul tema della responsabilità civile del produttore per la messa in commercio di prodotti difettosi e dannosi, in Resp. civ. e prev., 1977, 547; Dellacasa, Le definizioni legislative nella disciplina della responsabilità del produttore (d.lg. 24.5.1988, n. 224), in Sulle definizioni legislative nel diritto privato: fra codice e nuove leggi civili, Torino, 2004; Franzoni, Colpa presunta, Padova, 1988; Id., 10 anni di responsabilità del produttore, in Danno e resp., 1998; Id., Prevenzione e risarcimento per danni da prodotti industriali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1982; Id., La responsabilità oggettiva, Parte I, Il danno da cose e animali, in Galgano, I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale, Padova, 1988; Id., Il danno da attività pericolosa nella giurisprudenza, Contratto e impresa, 1985; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 2, Padova, 1999; Id., La responsabilità del produttore, in Contratto e impresa, 1986; Ghidini, La responsabilità del produttore nei beni di consumo, Milano, 1970; Id., Prevenzione e risarcimento nella responsabilità del produttore, in Riv. società, 1975, 530; Gorassini, Contributo per un sistema sulla responsabilità del produttore, Milano, 1990; Martorano, Sulla responsabilità del fabbricante per la messa in commercio di prodotti dannosi (a proposito di una sentenza della Cassazione), nota a Cass., 25.5.1964, n. 1270, in Foro it., 1966, V; Monateri, Illecito e responsabilità civile, in Tratt. Bessone, Torino, 2002; Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1967; Teofilatto e Gentile, La responsabilità del produttore, in Tripodi e Belli (a cura di), Codice del consumo, Rimini, 2006; Trimarchi, La responsabilità del fabbricante nel progetto di statuto d’impresa, in Quadrimestre, 1985, 207; Truglio, Il rischio dell’impresa tra valutazione della gestione efficace e tutela del terzo danneggiato, in Riv. critica dir. privato, 1986, 101; Valsecchi, La responsabilità del produttore e nuove forme di tutela del consumatore, Milano, 1993; Visintini, Responsabilità del produttore per danni da prodotto difettoso, in Trattato breve della responsabilità civile, 3ª ed., Padova, 2005.
(36) Cfr. Galgano, La responsabilità del produttore, in Contratto e impresa, 1986, 996 ss.
(37) Per un commento a questa sentenza cfr. Bitetto e Pardolesi, Risultato anomalo e avvertenza generica: il difetto nelle pieghe del prodotto, in Danno e resp., 2008, 292; Indovino, Il labile confine tra nozione di difetto e responsabilità per colpa, ivi, 296; Querci, Protesi mediche tra regolamentazione di sicurezza e responsabilità da prodotto: l’onere della prova tutela il consumatore, ivi, 300; Carnevali, Prodotto difettoso e oneri probatori del danneggiato, in Resp. civ., 2008, 354.
(38) Ad una conclusione contraria giungeva la Cass. n. 6007/2007, commentata da Bitetto, Responsabilità da prodotto difettoso a passo di gambero, in Danno e resp., 2007, 1222.
(39) Illuminata poiché, come già osservato, in pochi casi l’accertamento del difetto è il risultato non già di una evidenza probatoria su uno specifico vizio della cosa prodotta dal fabbricante, ma di un giudizio sintetico circa le qualità di sicurezza del prodotto. Deve, quindi, concludersi che il difetto in tali casi non verrà in considerazione come fattore causale, in senso materiale, dell’evento dannoso, ma come un attributo o una qualificazione del prodotto, tale da rendere antigiuridico l’evento pregiudizievole da quest’ultimo provocato (Di Giovanni, Prova, in Alpa, Carnevali, Ghidini, Ruffolo e Verardi, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, Milano, 1990, 131). Quindi per citare la sentenza n. 20985/2007 un prodotto si ritiene difettoso quando comporta risultati anomali rispetto alle normali aspettative.
(40) Visintini, La S.C. interviene a dirimere un contrasto tra massime (in materia di onere probatorio a carico del creditore vittima dell’inadempimento), in Contratto e impresa, 2002, 903; la sentenza n. 13533/2001 precisa che «in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’inadempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte; mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento».
(41) Bitetto e Pardolesi, Risultato anomalo e avvertenza generica: il difetto nelle pieghe del prodotto, in Danno e resp., 2008, 292, per cui «tanto la disciplina europea quanto d’oltreoceano sembrano orientate a soluzioni efficientistiche laddove mirano ad addossare i c.d. “danni necessari”, perché connessi con lo sviluppo tecnologico, a chi risulti meglio in grado di sopportarli, rectius a colui che si assume possa internalizzarli al minor costo investendo in precauzioni che riducano la probabilità di verificazione dell’evento ovvero diminuiscano l’ammontare dei danni connessi all’evento. Non può sfuggire al lettore che proprio il campo della responsabilità ingegneristica biomedica rappresenta un’ipotesi tipica di prevenzione unilaterale, perché non ha senso esporre le vittime potenziali del danno da prodotto ad una responsabilità complementare in assenza di misure di prevenzione che il paziente possa adottare al fine di prevenire il verificarsi dell’incidente. Inoltre si precisa che lo scenario statunitense dall’ormai lontano 1962, data di introduzione nel mercato americano ad opera della Dow Corning delle prime protesi mammarie, ha visto duellare alcune donne che reclamavano di aver subito danni e sofferenze a causa della rottura della protesi contro le maggiori case produttrici tra cui la Dow Corning, Bristol-Myers-Squibb, Bioplasty, Mentor ed Inamed ora denominata Allergen. A seguito delle pesanti condanne delle case produttrici nei primi anni novanta in conseguenza di class action (tutte le portatrici di protesi mammarie rappresentano la class) si assiste ad un abbandono di produzione delle protesi mammarie al silicone. Oggi la Food and Drug Administration ha approvato la commercializzazione di due soli tipi di protesi mammarie, quelle al gel siliconico e quelle in soluzione salina, prodotte da due produttori la Mentor e la Allergen, le altre tipologie di protesi debbono considerarsi sperimentali e non possono essere immesse in commercio».
(42) Di Giovanni, Prova, in Alpa, Carnevali, Ghidini, Ruffolo e Verardi, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, Milano, 1990, 120.
(43) In Italia il primo caso che si avvicina di più a questo concetto è Cass., 25.5.1964, n. 1270, in Foro it., 1966, V, 22 ss., con nota di Martorano, Sulla responsabilità del fabbricante per la messa in commercio di prodotti dannosi (a proposito di una sentenza della Cassazione), cfr. nt. 31.
(44) Di Giovanni, Prova, in Alpa, Carnevali, Ghidini, Ruffolo e Verardi, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, Milano, 1990, 129.
(45) Trib. Aix en Provence, 2.10.2001, in Dalloz, 2001, in IR, 3092, e in Studio della Commissione Europea sul Libro Verde per la responsabilità per danno da prodotti difettosi.
(46) Riboux versus S.A. Schweppes Belgium, civ. Namur, 21.11.1996, in J.L.M.B.,1997, 104, e in Studio della Commissione Europea sul Libro Verde per la responsabilità per danno da prodotti difettosi.
(47) Sholtenversus Sanquin of Blood Supply, 3.2.1999, Nederlandse Jurisprudentie, 8NJ, 1999, 621, e in Studio della Commissione Europea sul Libro Verde per la responsabilità per danno da prodotti difettosi.
(48) Richardson versus LRC Prodct Ltd, in Lloyd’s Rep. Med., 280, e in Studio della Commissione Europea sul Libro Verde per la responsabilità per danno da prodotti difettosi.
(49) A questo proposito si pensi anche agli artt. 128-135 Codice del consumo che hanno abrogato gli artt. 1519 bis-1519 nonies, disciplinanti le garanzie nella vendita per i beni di consumo, sulla base della Direttiva 99/44/CE.
(50) L’Unione, infatti, si adopera per un’Europa improntata ad uno sviluppo sostenibile basato su una crescita economica equilibrata e sulla giustizia sociale, in un contesto di mercato unico e libero, ed un’unione economica e monetaria, con l’obiettivo di ottenere la piena occupazione e di produrre un livello di competitività ed un tenore di vita elevato. Essa promuove la coesione economica e sociale, la parità tra donne e uomini e la protezione ambientale e sociale e coltiva il progresso scientifico e tecnologico.
(51) A riprova della politica sulla sicurezza dei prodotti adottata dalla Comunità Europea si precisa che è del 20.4.2009 la relazione annuale Rapex 2008 e del 24.3.2009 la Risoluzione legislativa del Parlamento Europeo sui cosmetici sicuri. Per quanto riguarda il Rapex si precisa che esso è una recente misura di sicurezza sperimentale che serve per avvertire il produttore dei difetti presenti nei suoi prodotti.
Il Rapex è stato costituito dalla Direttiva 2001/95/CE: esso è un sistema di allarme veloce che riguarda prodotti pericolosi ed insicuri per la salute e l’incolumità del consumatore, soprattutto giocattoli e dispositivi elettrici. Attraverso questo sistema di allerta rapido ed il rapporto diretto consumatore-produttore, la Commissione riceve 2 o 3 avvisi di allarme settimanali riguardanti prodotti potenzialmente pericolosi. Con questi strumenti cerca di ottenere sorveglianza attiva e ritiro rapido del prodotto pericoloso dal mercato (recall) per tutelare maggiormente il consumatore.
La relazione annuale Rapex 2008 rileva un aumento del 16% rispetto al 2007 del numero di prodotti pericolosi individuati. I giocattoli, i prodotti elettrici, i veicoli a motore sono stati i protagonisti del maggior numero di notifiche nel 2008. Inoltre, è cresciuto il numero delle notifiche di prodotti di origine cinese.
La risoluzione legislativa del Parlamento Europeo sui cosmetici sicuri precisa, inoltre, all’art. 1 che ogni prodotto cosmetico immesso sul mercato deve rispettare, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno, un livello elevato di tutela della salute umana. [/thrive_lead_lock]