Il danno da prodotto tra la direttiva cee n.374/1985, il d.p.r. n.224/1988 ed il Codice del consumo

Livia Villani, Il danno da prodotto tra la direttiva cee n.374/1985, il d.p.r. n.224/1988 ed il Codice del consumo, in Resp. civ. e prev., fasc.5, 2007, p. 1238B.

IL DANNO DA PRODOTTO TRA LA DIRETTIVA CEE N.374/1985, IL D.P.R. N.224/1988 ED IL CODICE DEL CONSUMO

Resp. civ. e prev., fasc.5, 2007, pag. 1238B

Livia Villani

Sommario: 1. Premessa. − 2. Codice del Consumo e Direttiva: tra differenze e continuità. − 3. Il Codice del Consumo, i farmaci ed il rischio di sviluppo. − 4. Nuove prospettive di utilizzo dell’art. 123 Codice del Consumo: i danni morali. − 5. Conclusioni.

1. Premessa

Prima della Direttiva 85/374CEE mancava una normativa speciale che disciplinasse la responsabilità del produttore per il danno derivante dalla circolazione di prodotti difettosi. La tutela del consumatore era affidata alla disciplina comune della vendita o della responsabilità civile (1).

La Direttiva (trasposta in Italia nel d.P.R. 224/1988) ha profondamente innovato nella materia e ciò si coglie fin dall’art. 1 Codice del Consumo (nel quale a sua volta è stato trasposto il d.P.R. 224/1988) il quale prevede che il produttore sia responsabile per i danni causati da difetti del suo prodotto attraverso il criterio della responsabilità oggettiva (2). Per responsabilità oggettiva si intende responsabilità che prescinde dalla colpa e che richiede il solo rapporto di causalità fra il fatto proprio e l’altrui evento dannoso: “rapporto che si basa sulla regolarità statistica che rende prevedibile un dato effetto come conseguenza del verificarsi di una causa” (3).

Esso si pone in rapporto di continuità con i principi cui erano già approdate le diverse società industriali europee ed extraeuropee, anche se nell’ambito di queste erano stati seguiti itinerari diversi. In alcune di esse si sono prese le mosse dalle norme sulla vendita ed, in particolare, da quelle sulla responsabilità oggettiva del venditore per i vizi della cosa

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 venduta, per poi adeguarle al carattere del sistema distributivo, basato sulle vendite a catena dei prodotti industriali, con l’estensione della relativa azione di danni, dal contraente diretto del venditore, ai successivi aventi causa, fino all’acquirente finale del prodotto. In altre società si è, invece, privilegiata la clausola generale della responsabilità aquiliana, meglio rispondente alle esigenze di tutela del consumatore, che di regola non è diretto contraente del produttore; ma si è poi dispensato il consumatore dall’onere della prova della colpa del produttore e, introducendo una presunzione di colpa, si è resa a questo modo oggettiva la sua responsabilità (4).

Le difficoltà che dottrina e giurisprudenza affrontarono in passato per introdurre la responsabilità oggettiva del produttore si ripresentano anche ora. Ma, mentre le prime riguardavano il difficile sviluppo del concetto di strict liability in una realtà caratterizzata dalla prevalenza assoluta della colpa (si pensi al principio “nessuna responsabilità senza colpa”), ora i problemi maggiori riguardano l’applicazione pratica della Direttiva (e, quindi, del Codice del Consumo) in cui si afferma la responsabilità oggettiva del produttore. Conseguenza di ciò è che i casi successivi all’applicazione della Direttiva 85/374CEE in Italia non erano molti poiché la giurisprudenza non utilizzava frequentemente quest’ultima e prima dell’affermazione di unaItalian products liability law pochi erano i casi risolti. Si possono ricordare i cinque casi più “famosi”: quello dei biscotti avariati (divenuto il leading case italiano), della mountain-bike (5), dello scoppio di una bottiglia di bibita gasata (6), della caduta di un letto a castello (7), dell’orditoio (8).

La Direttiva, e di conseguenza il Codice del Consumo (9), però, rappresenta una continuità con il passato, inoltre un suo studio approfondito e una sua interpretazione “evolutiva” comporta ulteriori possibilità di applicazione riguardanti anche problematiche molto diverse tra loro: si pensi ai danni morali che possono essere causati da prodotti difettosi, al suo utilizzo come strumento di tutela del consumatore attraverso class action (termine coniato dal sistema anglosassone per indicare uno strumento di protezione di un’ampia categoria di soggetti: i consumatori), all’applicazione di questa ai farmaci, più precisamente agli emoderivati.

2. Codice del Consumo e direttiva: tra differenze e continuità

L’art. 114 Codice del Consumo (10) è uguale all’art. 1 della Direttiva che, come già detto, stabilisce la responsabilità oggettiva del produttore per danni cagionati da suoi prodotti, mentre vi sono rilevanti differenze per quanto riguarda l’art. 115 e 116 del Codice (rispettivamente artt. 2 e 3 della Direttiva 85/374CEE e del d.P.R. 224/1988). L’art. 115 definisce il prodotto come qualsiasi bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile (si considera prodotto anche l’elettricità), mentre la Direttiva e il d.P.R. (11) erano molto più specifici: escludevano entrambe i prodotti agricoli e dell’allevamento che non avessero subito trasformazioni. La scelta, nel Codice, di non specificare nulla rispetto alle caratteristiche del prodotto è dovuta al fatto che qualsiasi riferimento a prodotti determinati avrebbe comportato sicuramente una limitazione della definizione generale di prodotto e di conseguenza una limitazione alla tutela del consumatore. Lo stesso vale per l’art. 116 (12) nel quale si da solo la definizione di fornitore e non di produttore (a differenza dell’art. 3 della Direttiva (13) dove vi è una definizione di produttore e degli artt. 3 e 4 del d.P.R. (14), che riguardano il produttore ed il fornitore); anche in questo caso non si voleva dare una definizione di produttore che ne restringesse il significato, ma era necessaria la definizione più ampia possibile per tutelare maggiormente il consumatore. Si sottolinea come in altre parti del Codice si diano definizioni sia di prodotto che di produttore: rispettivamente la prima all’art. 3, comma 1, lett. e), art. 103,lett. a) e b), e art. 128, comma 2, lett. a), mentre la seconda all’art. 3, comma 1, lett. d) (15), 103, comma 1, lett. d) (16), 128, comma 2, lett. b) (17).

All’art. 117 vi è la definizione di prodotto difettoso ed essa è la medesima dell’art. 5 d.P.R. 224/1988 e 6 della Direttiva; si possono, infatti, individuare le tipologie di danno da prodotto ed i rispettivi difetti: difetti di fabbricazione (art. 117, comma 3)(18), difetti di progettazione (19), difetti che dipendono dall’uso del prodotto (art. 117, comma 1, lett. a), b), c) (20). All’art. 118, lett. a), b), c), d), e), f) (come all’art. 7 della Direttiva e 6 del d.P.R.) sono elencati tutti i casi di esclusione della responsabilità del produttore, per esempio, quando un terzo si sia impossessato del prodotto, nel caso in cui il prodotto sia stato costruito per hobby o uso domestico, per factum principis, per rischio di sviluppo (v. par. 3). Gli art. 119 (messa in circolazione del prodotto) (21), 120 (prova), 121 (pluralità di responsabili), 122 (colpa del danneggiato), 123 (danno risarcibile, v, par. 4), 124 (clausole di esonero di responsabilità), 125 e 126 (prescrizione e decadenza), 127 (responsabilità secondo altre disposizioni di legge) non hanno subito nessuna modificazione e, quindi, sono rimasti uguali agli artt. 7-15,d.P.R. 224/1988.

3. Il Codice del Consumo, i farmaci ed il rischio di sviluppo

Un altro ambito di applicazione del Codice del Consumo è quello dei farmaci (22). Si devono fare due precisazioni in merito ad essi: la prima è che possono essere compresi nella categoria della “dannosità del prodotto in sé” (una delle quattro tipologie di danno da prodotto), in quanto, molto spesso si scopre la pericolosità del farmaco solo molto dopo la sua messa in circolo (ricordiamo il caso del talidomide); ma non solo, essi possono essere inseriti nella categoria dei difetti di progettazione poiché questi ultimi si manifestano anche nella composizione chimica dei farmaci.

La seconda precisazione riguarda lo stretto rapporto tra i farmaci ed il concetto di “rischio di sviluppo” (art. 118 Codice del Consumo) per cui “un prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio”, tranne nel caso in cui “lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto” permetteva di considerare il prodotto difettoso (“stato dell’arte”): art. 118, lett. e), del Codice del Consumo.

Caso recente è quello esaminato dal Tribunale di Roma (23) in cui la parte attrice era stata colpita da ischemia causata dall’utilizzo di un prodotto farmaceutico antiobesità (isomeride). Il farmaco era prodotto da una casa farmaceutica francese e successivamente commercializzata in Italia da un’altra casa farmaceutica; proprio questo è il punto fondamentale della decisione, in quanto, non ha permesso di applicare il d.P.R. 224/1988 (il Codice del Consumo non era ancora stato emanato), ma l’art. 2050 c.c. (responsabilità per attività pericolose) poiché la parte attrice non citava il produttore ma il fornitore. Di conseguenza non era applicabile l’art. 1 d.P.R. 224/1988 poiché la società convenuta non era il produttore, ma neppure l’art. 4 d.P.R. 224/1988 poiché questo è valido a condizione che il danneggiato ignori le generalità del produttore (non in questo caso poiché le generalità erano scritte sulla confezione del prodotto).

La sentenza fa riferimento al rapporto intercorrente tra l’art. 2050 c.c. e la disciplina prevista dal d.P.R. 224/1988 e dal Codice del Consumo (applicabile ai farmaci in quanto rientrano nella nozione di prodotto di cui all’art. 2 d.P.R. 224/1988 e art. 115 Codice del Consumo): l’astratta applicabilità delle due strade pone il duplice problema di indagare i rispettivi presupposti applicativi e le relative conseguenze sul piano degli effetti. Profilo critico è quello riguardante la prova liberatoria, mentre l’art. 2050 prevede che “si debbano adottare tutte le misure necessarie per evitare il danno”, la Direttiva 85/374CEE prevede all’art. 6 (ed il Codice del Consumo all’art. 118) una serie di casi di esonero di responsabilità del produttore (tra cui il rischio di sviluppo).

Da queste osservazioni emerge il conflitto non ancora risolto tra coloro che sostengono il principio “nessuna responsabilità senza colpa”, per i quali l’art. 2050 c.c. si limiterebbe ad imporre all’agente un livello di diligenza assai elevato (rievocando “il fantasma della culpa lievissima”) (24), coloro che invece interpretano l’articolo in questione in maniera oggettiva ed infine coloro che trovano possibile l’applicazione della Direttiva 85/374CEE.

Nel primo caso l’art. 2050 c.c. finirebbe così per sovrapporsi all’art. 2043 c.c: è evidente, infatti, che per l’esercizio di un’attività pericolosa si dovranno applicare un certo numero di cautele in base alla probabilità di danni (25) (unico elemento di distinzione è il regime della prova) ed il produttore si libererà provando di non aver adottato tutte le misure che ancora non si conoscevano al momento in cui l’attività veniva esercitata: sarebbe esclusa la sua responsabilità per rischio di sviluppo. Invece se l’art. 2050 c.c. viene interpretato oggettivamente il produttore potrà liberarsi solo provando il caso fortuito: gli verrà quindi addossato il rischio di sviluppo.

Se ora si analizza la fattispecie secondo il Codice del Consumo per quanto riguarda la prova liberatoria ex art. 6, lett. e), in base all’interpretazione che si dà del concetto di “rischio di sviluppo” si avrà una esimente per il produttore più o meno severa (dipende se per rischio di sviluppo si devono intendere tutti gli studi e le ricerche fatte per evitare che quel determinato prodotto difettoso causi un danno oppure se se ne può dare un’interpretazione meno rigorosa).

La prima pronuncia della Corte di Giustizia della CE del 29 maggio 1997 (26) sulla Direttiva 85/374CEE riguardava proprio la definizione di “rischio di sviluppo” (state of art in Common law). La causa era nata dal contrasto tra la definizione presente nella Direttiva di “rischio di sviluppo” e quella nel Consumer Protection Act del 1987, section 4, lett. e), a tenore della quale “in ogni azione civile intentata ai sensi della presente parte a causa di un prodotto difettoso, il convenuto potrà escludere la propria responsabilità se dimostra … che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche esistenti al momento considerato non permetteva di aspettarsi, da un produttore di prodotti del genere di quello in causa, che egli avrebbe potuto scoprire il difetto esistente nei suoi prodotti durante il periodo di permanenza degli stessi nella sua sfera di controllo”.

L’Avvocato Generale, infatti, esclude perentoriamente che il produttore possa utilizzare una nozione soggettiva dello stato delle conoscenze tecnico-scientifiche: non è, infatti, assolutamente sufficiente che il produttore, per escludere la sua responsabilità, invochi il rispetto della normativa di sicurezza in vigore in un dato settore industriale. Non solo: proprio per l’assoluta non linearità del progresso scientifico, il criterio dell’esperto del settore, tradizionalmente usato come cartina di tornasole, per escludere o affermare il rispetto del produttore dello stato delle conoscenze tecnico-scientifiche, non deve corrispondere, sic et sempliciter, all’opinione espressa dalla maggioranza degli esperti, ma deve ragguagliarsi, sempre secondo il criterio di ragionevolezza, al più alto livello delle ricerche effettuate nel mondo e di cui si abbia legittima conoscenza.

È molto difficile dare una definizione di rischio di sviluppo, essa sottende diversi contenuti, può dare al produttore, se interpretata in maniera non severa, molti vantaggi, ma svantaggi, e di conseguenza vantaggi per il consumatore, se interpretata in maniera più aperta; per risolvere al meglio ogni caso giurisprudenziale è necessario compenetrare le caratteristiche della responsabilità civile, gli interessi in gioco e tutelare la parte più debole, il consumatore. Un altro elemento che si deve tenere presente in queste situazioni è anche la possibilità di risolvere il caso a monte, ovvero ricordare sempre che sono fondamentali per evitare i danni da prodotto difettoso i controlli che possono essere attuati. Ad esempio si potrebbe somministrare un questionario che le imprese potrebbero adottare per rendere maggiormente sicuro un prodotto e per individuarne le debolezze; oppure stilare una tabella riportante i difetti ed i danni corrispondenti in un determinato prodotto affinché si possano attuare migliorie allo standard di sicurezza del prodotto.

4. Nuove prospettive di utilizzo dell’art. 123 Codice del Consumo: i danni morali

L’art. 123 specifica cosa debba intendersi per danno ai sensi dell’art. 114 Codice del Consumo. In generale si possono individuare tre categorie di danno: quello causato dalla morte o da lesioni personali; quello consistente nel pregiudizio o distruzione di una cosa, diversa dal prodotto dannoso, che sia destinata all’uso privato da parte del danneggiato e che superi i 387,00 euro di valore; ai sensi dell’art. 9, comma 2, della Direttiva 85/374CEE anche i danni morali.

Uno dei casi più recenti è quello esaminato dal Tribunale di Milano (27): il produttore di una scala è stato ritenuto responsabile per i danni patiti da un giardiniere in seguito al cedimento di due pioli di quest’ultima. Seguendo gli articoli del Codice del Consumo è facile accorgersi di come essi trovino corrispondenza nel caso esaminato: la società produttrice della scala può qualificarsi sicuramente come produttore (art. 116 del Codice); vi è connessione causale tra l’evento dannoso (lesioni personali: frattura del braccio del giardiniere) e la scala a pioli (prodotto difettoso) di cui il giardiniere stava facendo un uso assolutamente normale (art. 120 del Codice); il prodotto non offre “la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze”, cioè l’uso del tutto normale della scala (art. 117 del Codice).

Questo è un caso di chiarezza estrema ed il Codice trova un’applicazione piana e lineare in tutti i suoi articoli, ma vi è un punto in cui né il Codice, né la Direttiva offrono una soluzione immediata: i danni morali (essi costituiscono il danno non patrimoniale cioè le sofferenze fisiche o psichiche del danneggiato). Il risarcimento di questi ultimi non è regolato dalla Direttiva, infatti, essi vengono solo richiamati all’art. 9, par. 2 Direttiva 85/374CEE, mentre nel Codice del Consumo non c’è neppure un cenno a questi ultimi. Quale soluzione al problema in questione?

Fondamentale è l’interpretazione della Direttiva 85/374CEE che è stata fatta da alcuni Autori: bisogna innanzitutto ricordare che in essa ci sono delle “questioni aperte” poiché la composizione delle divergenti tensioni nella formazione di quest’ultima è stata raggiunta al prezzo della rinuncia alla totale uniformazione delle legislazioni degli Stati Membri riguardo sia al risarcimento del danno morale, ma anche riguardo a sospensione ed interruzione della prescrizione, rischio di sviluppo, inclusione dei prodotti agricoli naturali e della caccia (successivamente inseriti nella Direttiva 85/374CEE a causa della epidemia della mucca pazza), un massimale per la responsabilità totale del produttore per i danni risultanti dalla morte o lesioni personali causate da articoli identici aventi lo stesso difetto.

In questi casi si è lasciata ampia autonomia agli Stati Membri come previsto dai considerando della Direttiva 85/374CEE: “le deroghe consentite agli Stati Membri, alla scadenza di un periodo sufficientemente lungo per poter disporre di una esperienza pratica sugli effetti di tali deroghe, sulla protezione dei consumatori e sul funzionamento del Mercato Comune” permettono di adattare la Direttiva 85/374CEE ad ogni Stato. Questa interpretazione sembrerebbe in contrasto con gli artt. 13 e 15 Direttiva 85/374CEE, dove si è affermato che lo spazio di azione degli Stati Membri, per alcuni articoli della Direttiva, non comporta una sostituzione dei principi di quest’ultima con quelli di diritto interno.

Per conciliare questi due concetti che sembrerebbero tra loro discordanti è fondamentale ricordare (28) che, tranne per le questioni rimaste aperte, nelle fattispecie regolate dal Codice del Consumo, dalla Direttiva 85/374CEE e dal d.P.R. 224 1988 il diritto comune è inapplicabile. Anzitutto il Codice non copre tutte le possibili fattispecie di danno da prodotto, non copre la fattispecie del danno al patrimonio aziendale dell’utente, esclusa già dall’art. 11 d.P.R. 224/1988, e in questo caso l’imprenditore danneggiato dovrà pur sempre agire verso il produttore a norma dell’art. 2043 c.c. Non copre, inoltre, la fattispecie del danno cagionato dal rivenditore. Là dove il consumatore danneggiato non trova la protezione nel decreto attuativo della Direttiva 85/374CEE egli farà valere “i diritti che siano attribuiti al danneggiato da altre leggi”. Al che si può aggiungere anche un’altra serie di ipotesi in cui si sia in presenza di speciali norme di legge, che dal decreto attuativo della direttiva si discostino in relazione a particolari categorie di produttori, o di prodotti o di consumatori (farmaci, giocattoli, ecc.). A sostegno di ciò si possono inserire alcune pronunce della Corte di Giustizia Comunitaria che (dopo l’estensione della Direttiva anche ai prodotti agricoli e all’ipotesi di danneggiamento di un organo umano da trapiantare (29)) riconoscono l’incompatibilità con la Direttiva di una normativa interna di recepimento più severa nei confronti del produttore: la Corte afferma che in nessun caso i danni inferiori a 500 euro causati da prodotti difettosi possono essere risarciti; che la responsabilità del fornitore è e deve rimanere una responsabilità di tipo sussidiario rispetto a quella del produttore; che il regime di responsabilità oggettiva previsto dalla Direttiva è incompatibile con qualsiasi altro regime di responsabilità (30).

Nel caso esaminato non può essere riconosciuto il danno morale poiché, come già evidenziato, “la responsabilità della convenuta viene qui affermata ai sensi del d.P.R. 224/1988, prescindendo da qualsiasi profilo di colpa (sua o di altri soggetti, ma ad essa riferibile ex art. 2049 c.c.) ed anzi in assenza di elementi per affermarne la sussistenza; laddove, secondo le regole generali (non derogate dal d.P.R. 224/1988), l’applicazione dell’art. 2059 c.c. (31) presuppone la sussistenza in concreto di tutti gli estremi (oggettivi e soggettivi) dell’illecito penale (nella specie, reato da lesioni)”.

A questo proposito si possono inserire altri casi recenti nei quali si sono presi in considerazione proprio i danni morali: il primo riguarda un anomalo funzionamento dell’impianto frenante di una vettura (32), il secondo un difetto del comparto frigorifero di un automezzo (33), il terzo il cedimento dello sterzo di un motociclo (34). La soluzione di questi casi non comporta particolari problemi: l’applicazione della Direttiva 85/374CEE è piana (tenendo presente gli articoli della Direttiva precedentemente descritti e inserendo i difetti dei casi in questione nella categoria dei difetti di progettazione). Ma le novità più importanti introdotte dall’analisi di questi casi sono date dal riconoscimento dei danni morali “in perfetta sintonia con l’evoluzione giurisprudenziale della Suprema Corte di cassazione (35) e con le linee guida dettate dalla Corte costituzionale(36) in tema di danno non patrimoniale, i giudici capitolini ritengono che anche nell’ipotesi di responsabilità oggettiva del produttore, ai sensi del d.P.R. 224/1988, debba essere riconosciuto all’utilizzatore, qualora vi sia stata lesione dei diritti inviolabili della persona, il risarcimento del danno non patrimoniale inteso sia come sofferenza psicologica, sia come compromissione del rapporto familiare”.

5. Conclusioni

Né il Codice del Consumo (evoluzione della Direttiva 85/374CEE e del d.P.R. 224/1988), né le leggi in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi possono essere considerate in isolamento. Sono parte di un piano complessivo che coinvolge una grande varietà di leggi sulla sicurezza e difesa dei consumatori, prassi e procedure giudiziarie, fattori culturali e sociali (come atteggiamenti dei consumatori per presentare ricorsi) e la dinamica di un mercato integrato.

È importante riconoscere l’influsso di questi fattori sull’impatto pratico del Codice e delle altre leggi riguardanti la responsabilità per danno da prodotto difettosi e la loro rilevanza per qualsiasi armonizzazione dei sistemi in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi.

Solo la prassi, la giurisprudenza ed ulteriori casi pratici porteranno ad una soluzione esaustiva, anche perché è molto interessante esaminare nuove correnti di pensiero che sostengono il concetto di responsabilità oggettiva rapportandola a questioni di politica economica ed etiche non prive di spessore.

Il concetto di rischio di sviluppo, il danno morale rapportato alla responsabilità oggettiva ricadono proprio in questa problematica e per risolvere al meglio ogni caso giurisprudenziale è necessario compenetrare le caratteristiche della responsabilità civile, gli interessi in gioco e tutelare la parte più debole, il consumatore.

Un altro elemento che si deve tenere presente in queste situazioni è anche la possibilità di risolvere il caso a monte, ovvero ricordare sempre che sono fondamentali per evitare i danni da prodotto difettoso i controlli che possono essere attuati.

I metodi analizzati precedentemente per una tutela pratica del consumatore possono essere ricompresi in un più vasto ambito che riguarda obiettivi di politica comunitaria volti ad assicurare una efficace protezione contro i rischi per la salute e la sicurezza del consumatore e una efficace protezione contro i rischi che possono nuocere ai suoi interessi economici con particolare attenzione alle ripercussioni relative alla libera circolazione delle merci ed al gioco della concorrenza. Per raggiungere questi obiettivi è fondamentale analizzare con cura i casi pratici e interpretare correttamente i principi di diritto comunitario, quindi, attuare una “interpretazione che si evolve col tempo”, in quanto, molte delle questioni esaminate sono di particolare difficoltà poiché affrontano concetti quali sviluppo tecnologico ed etica (rischio di sviluppo per i farmaci) che comportano sempre continui cambiamenti nello scenario di tutela del consumatore.

Note:
(1) Meritano qualche riflessione gli articoli del codice civile poiché il loro studio da parte della dottrina ha introdotto alcune interessanti teorie che sono prodromiche alla Direttiva 85/374CEE. In un primo momento si utilizzavano gli articoli del codice civile sulla vendita (art. 1494 c.c.) o le teorie che si basavano sulla prevalenza assoluta della colpa (per quanto riguarda la giurisprudenza ancorata al principio della colpa cfr. App. Cagliari, 27 giugno 1958, in Alpa-Bessone, La responsabilità del produttore, a cura di Toriello, Milano, 1999, 20; Pret. Roma, 20 giugno 1959 (inedita) in Alpa-Bessone, cit., 21). Successivamente si considerò l’art. 2043 c.c., con il quale si stabiliva la responsabilità del produttore e se ne presumeva la colpa per facilitare la dimostrazione della prova al consumatore, ma anche molti articoli del codice civile che prescindevano da criteri soggettivi, per esempio, l’art. 2050 c.c., responsabilità per esercizio di attività pericolose (per un approfondimento cfr.: Visintini, Responsabilità del produttore per danni da prodotto difettoso, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 2005, 854 ss.; DeMartini, Responsabilità per danni da attività pericolosa e responsabilità per danni nell’esercizio di attività pericolosa, in Giur. it.,1973, II, 963 ss.; per la giurisprudenza Cass. civ., 9 maggio 1969, n. 1595, in questa Rivista, 1970, 270; Trib. Forlì, 7 maggio 1976, in Giur. it., 1978, I, 429, con nota di Alpa, Casi e questioni di responsabilità del produttore). Si utilizzavano anche gli art. 2049 c.c., responsabilità di padroni e committenti (per un approfondimento cfr.: Trimarchi, Responsabilità e rischio oggettivo, Milano, 1961, 239 ss; DeSanna, Bottiglie esplosive e responsabilità del custode, in questa Rivista, 1987, 275 ss; Trib. Savona, 31 dicembre 1971, in Temi, 1975, 90, con nota di Alpa, “Bottiglie esplosive” e problemi di responsabilità del fabbricante) e 2051 c.c., responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia (casi giurisprudenziali che utilizzano l’art. 2051 c.c. per difetti derivanti da una errata custodia sono: Cass. civ., 13 gennaio 1981, n. 294, in questa Rivista, 1982, 746; Trib. Roma, 23 luglio 1984, in questa Rivista, 1984, 668). Infine si prese in considerazione l’applicazione dell’art. 2054 c.c.: responsabilità del costruttore per vizi e difetti dell’autoveicolo (Alpa, La responsabilità del costruttore per vizi e difetti dell’autoveicolo, in Arch. giur. circ. sin. strad., 1979, 225 ss; Alpa-Bessone, cit., 45 ss.).
(2) In Italia il primo caso che si avvicina di più a questo concetto è Cass. civ., 25 maggio 1964, n. 1270, in Foro it., 1966, V, 22-24, con nota di Martorano, Sulla responsabilità del fabbricante per la messa in commercio di prodotti dannosi (a proposito di una sentenza della Cassazione). Nel caso di danni dovuti all’ingestione di biscotti avariati, che avevano provocato a più persone una enterocolite febbrile, in principio qualsiasi colpa del dettagliante veniva esclusa dal fatto che il prodotto era contenuto in confezione sigillata. La Cassazione, poi, modificando l’orientamento espresso dalla sentenza di Primo grado (Pret. Roma, 20 giugno 1959, inedita, in Alpa- Bessone, cit., 24), condanna al risarcimento l’impresa produttrice, nonostante non si fosse provata a suo carico una colpa nell’esercizio dell’attività industriale. Il dettato dell’art. 2043 c.c., che richiede al danneggiato di provare la colpa del danneggiante, viene superato con il ricorso ad un processo logico presuntivo con il quale la Corte di cassazione fa risalire direttamente all’impresa il difetto riscontrato nei prodotti sigillati: in definitiva, la colpa dell’impresa viene presunta.Per un’analisi della responsabilità del produttore cfr. Alpa, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, Vol. IV, Milano, 1999; Alpa-Carnevali-Ghidini-Ruffolo-Verardi, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, Milano, 1990; Alpa-Bin-Cendon, La responsabilità del produttore, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, Vol. XIII, Padova, 1989; Monateri, Illecito e responsabilità civile, Torino, 2002; Valsecchi, La responsabilità del produttore e nuove forme di tutela del consumatore, Milano, 1993; Visintini, Responsabilità del produttore per danni da prodotto difettoso, in Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 2005.
(3) Cfr. Galgano, La responsabilità del produttore in Contratto impr., 1986, 996 ss.
(4) Cfr. Galgano, La responsabilità del produttore, in Contratto impr., 1986, 995 e in Le obbligazioni e i contratti, in Diritto civile e commerciale, Vol. II, Padova, 378.
(5) Trib. Monza, 20 luglio 1993, in Giur. it., 1995, I, 323, con nota di Tedeschi, La responsabilità del produttore e il d.P.R., 24 maggio 1988, n. 224.
(6) Trib. Roma, 11 maggio 1998, in Danno resp., 1998, 1147, con nota di Ponzanelli, Anche le bottiglie italiane esplodono: in cui si sottolineano le differenze tra i sistemi di Common law ed i sistemi europei e si ritiene che l’insuccesso della Direttiva 85/374CEE sia dovuto probabilmente alle grandi differenze tra i due; Trib. Roma, 17 marzo 1998, in Foro it., 1998, I, 3660, con nota di Palmieri, Dalla mountain-bike alla bottiglia d’acqua minerale: un nuovo capitolo per un’opera incompiuta.
(7) Trib. Milano, 13 aprile 1995, in Danno resp., 1996, 381, con nota di Ponzanelli, Crollo di un letto a castello: responsabilità del produttore-progettista e del montatore.
(8) Trib. Monza, 11 settembre 1995, in questa Rivista, 1996, 371, con nota di Martorana, L’orditoio: una macchina che non offre le sicurezze che si possono legittimamente attendere … le persone di non alta statura.
(9) Cfr. Franzoni, Dieci anni di responsabilità del produttore, in Danno resp., 1998, 823.
(10) Per un’analisi del Codice del Consumo cfr. Alpa, Carleo, Codice del consumo, commentario, Napoli, 2005; Tripodi, Belli, Codice del Consumo: commentario del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Santarcangelo di Romagna, 2006.
(11) Art. 2 direttiva 85/374CEE: “ai fini della presente direttiva, per prodotto si intende ogni bene mobile, ad eccezione dei prodotti agricoli naturali e dei prodotti della caccia, anche se forma parte di un altro bene mobile o immobile. Per prodotti agricoli naturali si intendono i prodotti del suolo, dell’allevamento e della pesca, ad esclusione dei prodotti che hanno subito una prima trasformazione. Per prodotto si intende anche l’elettricità”.Art. 2 d.P.R. 224/1988: “1) Prodotto, ai fini delle presenti disposizioni, è ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile. 2) Si considera prodotto anche l’elettricità. 3) Sono esclusi i prodotti agricoli del suolo e quelli dell’allevamento, della pesca e della caccia, che non abbiano subito trasformazioni. Si considera trasformazione la sottoposizione del prodotto a un trattamento che ne modifichi le caratteristiche, oppure vi aggiunga sostanze. Sono parificati alla trasformazione, quando abbiano carattere industriale, il confezionamento e ogni altro trattamento, se rendano difficile il controllo del prodotto da parte del consumatore o creino un affidamento circa la sua sicurezza”.
(12) Art. 116 Codice del Consumo: “1) Quando il produttore non sia individuato, è sottoposto alla stessa responsabilità il fornitore che abbia distribuito il prodotto nell’esercizio di un’attività commerciale, se ha omesso di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta, l’identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. 2) La richiesta deve essere fatta per iscritto e deve indicare il prodotto che ha cagionato il danno, il luogo e, con ragionevole approssimazione, la data dell’acquisto; deve inoltre contenere l’offerta in visione del prodotto, se ancora esistente. 3) Se la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio non è stata preceduta dalla richiesta prevista dal comma 2 il convenuto può effettuare la comunicazione entro i tre mesi successivi. 4) In ogni caso, su istanza del fornitore presentata alla prima udienza del giudizio di primo grado, il giudice, se le circostanze lo giustificano, può fissare un ulteriore termine non superiore a tre mesi per la comunicazione prevista dal comma 1. 5) Il terzo indicato come produttore o precedente fornitore può essere chiamato nel processo a norma dell’articolo 106 del codice di procedura civile e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata comparisce e non contesta l’indicazione. Nell’ipotesi prevista dal comma 3 il convenuto può chiedere la condanna dell’attore al rimborso delle spese cagionategli dalla chiamata in giudizio. 6) Le disposizioni del presente articolo si applicano al prodotto importato nella Comunità europea, quando non sia individuato l’importatore, anche se sia noto il produttore”. Sulla definizione di fornitore cfr. la pronuncia della Corte giust. CE, nei confronti della Danimarca, 10 gennaio 2006, n. C-402/03 in Resp. civ., 2006, 506, con nota di Villani, La responsabilità del produttore-fornitore: nuovi casi italiani ed europei.
(13) Art. 3 direttiva 85/374CEE: “1) Il termine produttore designa il fabbricante di un prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, opponendo il proprio marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso. 2) Senza pregiudizio della responsabilità del produttore, chiunque importi un prodotto nella Comunità Europea ai fini della vendita, della locazione, del leasing o di qualsiasi altra forma di distribuzione nell’ambito della sua attività commerciale, è considerato produttore del medesimo ai sensi della presente direttiva ed è responsabile allo stesso titolo del produttore. 3) Quando non può essere individuato il produttore del prodotto si considera tale ogni fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. Le stesse disposizioni si applicano ad un prodotto importato, qualora questo non rechi il nome dell’importatore di cui al paragrafo 2, anche se è indicato il nome del produttore”.
(14) Art. 3 d.P.R. 224/1988: “1) Produttore è il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente e il produttore della materia prima. 2) Per i prodotti agricoli del suolo e per quelli dell’allevamento, della pesca e della caccia, produttore è chi li abbia sottoposti a trasformazione. 3) Si considera produttore anche chi si presenti come tale apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione. 4) È sottoposto alla stessa responsabilità del produttore chiunque, nell’esercizio, di un’attività commerciale, importi nella comunità Europea un prodotto per la vendita, la locazione, la locazione finanziaria o qualsiasi altra forma di distribuzione, e chiunque si presenti come importatore nella Comunità europea apponendo il proprio nome, o altro segno distintivo sul prodotto o sulla confezione”.Art. 4 d.P.R. 224/1988: “1) Quando il produttore non sia individuato, è sottoposto alla stessa responsabilità il fornitore che abbia distribuito il prodotto nell’esercizio di un’attività commerciale, se abbia omesso di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta, l’identità e il domicilio del Produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. 2) La richiesta deve essere fatta per iscritto e deve indicare il prodotto che ha cagionato il danno, il luogo e, con ragionevole approssimazione, il tempo dell’acquisto; deve inoltre contenere l’offerta in visione del prodotto, se ancora esistente. 3) Se la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio non è stata preceduta dalla richiesta prevista dal comma 2 il convenuto può effettuare la comunicazione entro i tre mesi successivi. 4) In ogni caso, su istanza del fornitore presentata alla prima udienza del giudizio di primo grado, il giudice, se le circostanze lo giustificano, può fissare un’ulteriore termine non superiore a tre mesi per la comunicazione prevista dal comma 1. 5) Il terzo indicato come produttore o precedente fornitore può essere chiamato nel processo a norma dell’art. 106 c.p.c. e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata comparisce e non contesta l’indicazione. Nell’ipotesi prevista dal comma 3 il convenuto può chiedere la condanna dell’attore al rimborso delle spese cagionategli dalla chiamata in giudizio. 6) Le disposizioni del presente articolo si applicano al prodotto importato nella Comunità europea, quando non sia individuato l’importatore, anche se sia noto il produttore”. Si noti che a differenza dell’art. 116 Codice del Consumo qui non è richiesta la dichiarazione da parte del consumatore della data dell’acquisto.
(15) “Produttore, fatto salvo, quanto stabilito nell’art. 103, comma 1, lett. d) e nell’art. 115, comma 1, è il fabbricante del bene o il fornitore del servizio, o un suo intermediario, nonché l’importatore del bene o del servizio nel territorio dell’Unione europea o qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo”.
(16) “Il produttore è Il fabbricante del prodotto stabilito nella Comunità e qualsiasi altra persona che si presenti come fabbricante apponendo sul prodotto il proprio nome, il proprio marchio o un altro segno distintivo, o colui che rimette a nuovo il prodotto; il rappresentante del fabbricante se quest’ultimo non è stabilito nella Comunità, l’importatore del prodotto; gli altri operatori professionali della catena di commercializzazione nella misura in cui la loro attività possa incidere sulla sicurezza dei prodotti”.
(17) “Il produttore è il venditore come qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1”.
(18) Casi recenti che riguardano questa tipologia di difetto sono: Cass. civ., 14 giugno 2005, n. 12750, in Foro it., e Trib. La Spezia, 25 ottobre 2005, in Foro it., 2005, I, 3500.
(19) Trib. Monza, 20 luglio 1993 in Giur. it., 1995, I, 323, con nota di Tedeschi, cit.; Trib. Milano, 13 aprile 1995, in Danno resp., 1996, 381, con nota di Ponzanelli, cit.; Trib. Milano, 31 gennaio 2003, in Foro it., 2003, I, 1260; Trib. Monza, 11 settembre 1995, in questa Rivista, 1996, 371, con nota di Martorana, cit., Trib. Roma, 14 novembre 2003 e 4 dicembre 2003, in Foro it., 2003, I, 1632, con nota di Bitetto.
(20) Cass. civ., 21 ottobre 1957, n, 4004 in ALPA-BESSONE, La responsabilità del produttore, a cura di Toriello, Milano, 1990, ed anche in Foro it. Rep., 1958, 21; App. Genova, 5 giugno 1964, in Foro Padano, 1964, I, 725; Trib. S. Maria Capua Vetere, 10 dicembre 1976, in Alpa-Bessone, La responsabilità del produttore, cit.; e in Rass. dir. civ., 1985, 790, con nota di Sica, Rapporto produttore-consumatore e responsabilità per danni da prodotto (Esame di una vicenda giudiziaria); Cass. civ., 29 giugno 1981, n. 7336, ivi.
(21) Per quanto riguarda la definizione di messa in commercio, cfr. la pronuncia della Corte giust. CE, nei confronti della Gran Bretagna, 9 febbraio 2006, n. C-127/04 (Carnevali, Consegna del prodotto al distributore e messa in circolazione di esso, nota a Corte giust. CE, Sez. I, 9 febbraio 2006, n. 127, in questa Rivista, 2006, 826).
(22) I farmaci sono un prodotto molto particolare e per esaminarli, anche dal punto di vista della responsabilità del produttore, bisogna tenere presente alcuni elementi che li caratterizzano. Prima che questo venga messo in commercio subisce numerose prove sulle quali viene esercitato un controllo da parte della Pubblica Amministrazione; in molti casi richiede una prescrizione medica; il corretto uso dipende dalle istruzioni che si trovano su di esso, ma anche dell’utilizzo che ne fa l’utente (si pensi ai farmaci di automedicazione); vi può essere la somministrazione di più farmaci; un altro elemento da considerare è la scadenza.
(23) Trib. Roma, 20 giugno 2002, in Foro it., 2002, I, 3226, con nota di Pardolesi; e in Danno resp., 2002, 985, con nota di LaBattaglia.
(24) A questo riguardo si può prendere in considerazione un caso precedente a quello dell’Isomeride: quello del Trilergan(farmaco contro le cefalee composto di gammaglobuline umane infette che causavano epatite B) che ha sollevato numerose problematiche. Si è ritenuta responsabile la società produttrice, il distributore ed il fornitore di questo farmaco (secondo l’art. 3 della Direttiva 85/374CEE), non solo per la produzione del farmaco (considerata attività pericolosa ex art. 2050, a questo proposito cfr. Carnevali, Nuove frontiere della responsabilità del produttore: farmaci difettosi e prevenzione del rischio, in questa Rivista, 1989, 225), ma anche per la sua commercializzazione. Inoltre la società responsabile non ha attuato i controlli che nel tempo in cui fu messo in circolazione il farmaco erano possibili (metodo immunoradiologico RIA già presente al momento della produzione delle gammaglobuline umane infette). Per un approfondimento vedi Cass. civ., 15 luglio 1987, n. 6241, e Trib. Roma, 27 giugno 1987, in Rep. Foro it., 1988, n. 183, e per esteso in Nuova giur. civ. comm., 1988, I, 475, con nota di DaMolo; Cass. civ., 15 luglio 1987, n. 6241, e Trib. Milano, 19 ottobre 1987, in Foro it., 1988, I, 144, con nota di Caruso, Quando il rimedio è peggiore del male: emoderivati infetti e responsabilità civile; App. Trieste, 16 giugno 1987, in questa Rivista, 1989, 334, con nota di Dassi, Orientamenti giurisprudenziali in materia di responsabilità civile del produttore e anche in Carnevali, cit.; per un’interpretazione contraria vedi Trib. Napoli, 20 gennaio 1987, in questa Rivista, 1988, 423, con nota di Tassoni, Responsabilità del produttore di farmaci per rischio di sviluppo e art. 2050 e in Carnevali, cit.; Cass. civ., 20 luglio 1993, 8069, in Giust. civ., 1994, I, 1041, con nota di Barenghi, Brevi note in tema di responsabilità per danni da emoderivati difettosi tra obiter dicta e regole giurisprudenziali, e in questa Rivista, 1994, 67, con nota diBusato, I danni da emoderivati: le diverse forme di tutela.
(25) A questo riguardo vedi: App. Trieste, 16 giugno 1987, in questa Rivista, 1989, 334: “l’attività imprenditoriale nel settore di produzione dei medicinali è organizzata secondo criteri di professionalità, per cui si tratta di responsabilità professionale, da apprezzarsi con maggior rigore (art. 1176, comma 2, c.c.), tanto da avvicinare detta responsabilità per colpa alla responsabilità oggettiva”.
(26) Causa c-300/95, Commissione CE c. Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, in Foro it., 1997, IV, 387, con nota di Ponzanelli, Regno Unito, Corte di giustizia ed eccezione dello “state of art”.
(27) Trib. Milano, 31 gennaio 2003, in Foro it., 2003, I, 1260, con nota di Ponzanelli.
(28) Galgano, Le obbligazioni e i contratti, in Diritto civile e commerciale, Padova, 1999, 323.
(29) Cfr. Corte giust. CE, 10 maggio 2001, n. C-203/99 in questa Rivista, 2001, 843, con nota di Bastianon, La responsabilità dell’ente ospedaliero alla luce della normativa comunitaria in tema di prodotti difettosi; in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, 186, con nota di Dosi e in Diritto comunitario e scambi internazionali, 2001, 51, con nota di Borracetti, La responsabilità per danno da prodotto difettoso e la prestazione di servizio in campo medico.
(30) Cfr. Corte giustizia Comunitaria, Gonzalez Sanchez, 25 aprile 2002, n. C-183/00; Corte giust. CE, Commissione Francia, 25 aprile 2002, n. C-52/00; Corte giust. CE, Commissione Grecia, 25 aprile 2002, n. C-154/00 in questa Rivista, 2002, 997, con nota di Bastianon; la pronuncia della Corte giust. CE, 10 gennaio 2006, n. C-402/03 in Resp. civ., 2006, 506, con nota di Villani, cit.; e, per un resoconto sulla applicazione della Direttiva 85/374CEE a livello europeo, vedi Palmieri e Pardolesi, Difetti del prodotto e del diritto privato europeo in Foro it., 2002, IV, 294.
(31) Art. 2059 c.c: “il danno patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”, ovvero perché la responsabilità civile sussista è necessaria l’astratta previsione del fatto come reato e il fatto illecito deve integrare tutti gli estremi del reato.
(32) Trib. Roma, 4 dicembre 2003, in Foro it., 2004, I, 1631, con nota di Bitetto.
(33) Trib. Forlì, 25 novembre 2003, in Foro it., 2004, I, 1632, con nota di Bitteto.
(34) Trib. Roma, 14 novembre 2003, in Foro it., 2004, I,1632, con nota di Bitetto.
(35) Cass., 25 novembre 2003, in Foro it., 2004, II, 138; Cass., 7 novembre 2003, n. 16715, Foro it. Mass.,1489; Cass., 19 agosto 2003, n. 12124, ivi, 1151.
(36) Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, in Foro it., 2003, I, 2201. 

Avvocato in Bologna. Nel maggio 2012 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Stato e Persona negli ordinamenti giuridici presso l'Università di Bologna, indirizzo Diritto Civile, titolo della tesi di ricerca: “La responsabilità civile da prodotto farmaceutico”. Nell'anno 2013/2014 è stata professore a contratto di Istituzioni di Diritto Privato nel corso di laurea in Economia e Management, facoltà di Economia, Libera Università di Bolzano. Dall’anno 2011 all’anno 2014 ha svolto l'attività teaching assistant presso la cattedra di Istituzioni di Diritto Privato (corso di laurea in Economia e Management, facoltà di Economia, Libera Università di Bolzano). Dal 15 luglio 2012 al 20 ottobre 2012 ha svolto attività di collaborazione presso la Facoltà di Economia della Libera Università di Bolzano nell'ambito del progetto di ricerca “Tutele per il consumatore di fronte alle pratiche commerciali sleali”. Relatrice a numerosi convegni e autrice di articoli, saggi, note a sentenza in particolare sulla Responsabilità civile e sul Danno da prodotto. Coautrice del volume Le responsabilità nei servizi sanitari, diretto da Massimo Franzoni, 2011, 343, ZANICHELLI (Capitolo: Responsabilità per danni da dispositivo medico).

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