Un discutibile obiter dictum delle sezioni unite: nell’opposizione a decreto ingiuntivo il termine di costituzione è sempre dimidato, a pena di improcedibilità

Tedoldi Alberto, Un discutibile obiter dictum delle sezioni unite: nell’opposizione a decreto ingiuntivo il termine di costituzione è sempre dimidato, a pena di improcedibilità, in Corriere Giur., 2010, 11, 1447

Cass. civ. Sez. Unite, 09 settembre 2010, n. 19246

Trib. Milano Sez. VI, 07 ottobre 2010

Trib. Varese Sez. I, 08 ottobre 2010

Un discutibile obiter dictum delle sezioni unite: nell’opposizione a decreto ingiuntivo il termine di costituzione è sempre dimidato, a pena di improcedibilità

Sommario: Considerazioni critiche sulla “giurisprudenza normativa” in materia di regole processuali – L’orientamento consolidato riduceva i termini di costituzione soltanto se il termine a comparire era ridotto – Il revirement draconiano delle Sezioni Unite: nell’opposizione a decreto ingiuntivo i termini di costituzione sono sempre dimezzati – In critica alla tesi sulla dimidiazione dei termini di costituzione – …e sulla sanzione d’improcedibilità dell’opposizione per tardiva costituzione dell’opponente – Sintesi: l’opposizione a decreto ingiuntivo va iscritta entro dieci giorni dalla notifica e, in caso di costituzione tardiva, non è improcedibile, ma va solo cancellata dal ruolo, salvo riassunzione ex art. 307, comma 1, c.p.c.

Considerazioni critiche sulla “giurisprudenza normativa” in materia di regole processuali

Sempre più spesso, da qualche tempo a questa parte, si assiste a interventi della Suprema Corte nel campo processuale in funzione dichiaratamente nomofilattica, ma in realtà nomopoietica: le regole del processo civile, anziché semanticamente ricostruite e applicate al fine di assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale» (art. 65 ord. giud.), vengono adagiate su una sorta di letto di Procuste e disinvoltamente allungate o accorciate con operazioni di ortopedia normativa, in nome del principio costituzionale di ragionevole durata (1).

Codesto innovato afflato efficientista incide non poco sulla vita quotidiana e operativa dell’italico foro, modificando condotte ormai consolidatesi nel tempo e divenute vere e proprie consuetudini, dacché connotate da ambedue gli elementi della diuturnitas e dell’opinio iuris ac necessitatis. Le innovazioni interpretative della Suprema Corte s’aggiungono alle ormai ricorrenti novelle legislative, regole su regole costringono gli operatori ad aggiornamenti continuativi se non addirittura permanenti e, soprattutto, paiono conferire sproporzionata prevalenza alla finalità di “far presto” rispetto a quella di “far bene”, anziché contemperare le due esigenze in armonico equilibrio. Si ha dunque l’impressione che, nelle idee professate nei sacri palazzi, le fondamenta costituzionali del giusto processo poggino precipuamente sul principio di ragionevole durata ancorché, a ben guardare, il precetto contenuto nell’ultima frase dell’art. 111, comma 2, Cost. («La legge ne assicura la ragionevole durata») riservi al conditor legum il compito di assicurare l’efficiente organizzazione della machina machinarumgiurisdizionale, provvedendola di risorse e mezzi adeguati, anziché rimettersi alla buona volontà e alla subiettiva discrezionalità dei singoli.

Invero, pur nella conclamata e protratta mancanza di risorse e di mezzi, la finalità di ridurre i tempi dei civili litigii non ci pare possa esser perseguita per via giudiziaria, anziché normativa ed organizzativa, mediante strumenti formalistici che consentono sì di chiudere la lite e archiviare il fascicolo, ma in rito anziché sul merito, negligendo quel che dovrebbe essere lo scopo d’ogni buon sistema giudiziario: apprestare forme processuali semplici, rapide e poco costose, perché le parti e il giudice si occupino del merito della lite e il meno possibile di questioni processuali, id est soltanto nella misura necessaria a garantire alle parti un due process of law, che si porga quale strumento di tutela effettiva delle situazioni sostanziali.

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Tradire questo scopo, che consiste anzitutto nel rendere un servizio pubblico alla collettività e compiere esercizio di “diritto mite” (2), significa incrinare una delle pietre angolari su cui si fonda il vivere civile, poiché implica una rinuncia a dar voce alle concrete esigenze di tutela che sgorgano dalle nostre società in modi sempre più articolati e complessi.

La sentenza in commento si ascrive a questi orientamenti formalistici di malinteso efficientismo ed è, per più profili, paradossale nelle gravissime conseguenze e nei “lutti infiniti” che potenzialmente è destinata a produrre. Tanto meno risulta accettabile un insegnamento così severo, vero fruit of the poisoned tree maturato in un giudizio imperniatosi per oltre un decennio esclusivamente sul problema processuale della procedibilità dell’opposizione, in cui il solo grado di legittimità si è protratto per più di cinque anni, due dei quali trascorsi nel passaggio dalla sezione semplice alle Sezioni Unite. Onde l’inosservanza delle direttive di Giuseppe Chiovenda e, prima ancora, di Franz Klein sulla necessità che il processo sia semplice, rapido e poco costoso, non potrebbe essere più flagrante, dannosa e persino, scilicet, beffarda.

L’orientamento consolidato riduceva i termini di costituzione soltanto se il termine a comparire era ridotto

Da circa sessant’anni (3) la giurisprudenza costante del Supremo Collegio riteneva che i termini di costituzione per l’opponente a decreto ingiuntivo fossero dimidiati a cinque giorni nel solo caso in cui egli avesse assegnato al convenuto opposto, anche inconsapevolmente, un termine inferiore al minimo indicato dall’art. 163 bis c.p.c., avvalendosi di quella ch’era considerata una semplice facoltà di operare la dimidiatio ex art. 645, ultima frase, c.p.c., in nessun caso uno stringente e imperativo obbligo. Qualora, invece, il termine a comparire fissato in citazione fosse risultato superiore al minimo prescritto dall’art. 163 bis c.p.c., i termini per la costituzione restavano quelli consueti: cioè, per l’attore opponente, dieci giorni dal perfezionarsi della notifica della citazione in opposizione (4).

Altrettanto consolidato era e tuttora rimane l’orientamento per cui la tardiva costituzione in giudizio dell’opponente va equiparata alla costituzione completamente omessa: la sanzione che ne consegue è sempre e comunque l’improcedibilità dell’opposizione, ai sensi dell’art. 647 c.p.c., per effetto della quale il decreto ingiuntivo opposto diviene irrevocabile e produce una praeclusio pro iudicato, stabilizzando definitivamente l’effetto giuridico in esso statuito (5).

Vani erano stati gli sforzi di dottrina e giurisprudenza di merito per salvare da tanto severe e irreversibili conseguenze l’opposizione tardivamente iscritta a ruolo, quantomeno allorché l’opponente avesse per mera svista assegnato un termine a comparire inferiore al minimo legale: ciò che avveniva, ad es., quand’egli avesse omesso di tener conto della sospensione feriale ovvero, specie nei primi mesi di applicazione di reiterate novelle processuali, in ipotesi di prolungamento ex lege dei termini minimi a comparire, quali s’ebbero nel 1995 e ancora, in misura dilatata all’eccesso, nel 2006. Ogni critica (6), al pari d’ogni questione di legittimità costituzionale, s’infrangeva contro il tetragono indirizzo dianzi ricordato, che riceveva altresì il costante avallo della Consulta (7), nelle cui decisioni era ormai acquisita e cristallizzata una precisa regola di diritto vivente: il termine dimidiato per l’iscrizione a ruolo dell’opposizione a decreto ingiuntivo s’applica nel solo caso in cui l’opponente abbia assegnato, anche per semplice distrazione, un termine a comparire inferiore al minimo legale ex art. 163 bis c.p.c. (dovendosi peraltro precisare che il termine per la costituzione dell’opponente prendeva corso dal perfezionarsi della notifica al convenuto opposto, non già dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario o dalla spedizione di esso a mezzo del servizio postale, giusta lo iato introdotto dapprima dalla Consulta e poi definitivamente recepito dal conditor nell’art. 149 c.p.c.) (8).

 Il revirement draconiano delle Sezioni Unite: nell’opposizione a decreto ingiuntivo i termini di costituzione sono sempre dimezzati

Se questo era il quadro con il quale gli operatori si erano ormai darwinianamente avvezzati a convivere, ancorché obtorto collo, neppure la lodevole iniziativa della I sezione della Suprema Corte – la quale aveva colto sintomi d’ingiustizia e di eccessiva rigidità nell’orientamento che puniva con l’improcedibilità dell’opposizione la mera svista dell’opponente nell’indicare l’udienza in citazione senza osservare il termine ordinario a comparire – è valsa a smuovere il supremo organo nomofilattico ed è stata incolpevolmente all’origine di una reformatio in peius rispetto all’insegnamento consolidato: una reformatio certo non prevista né desiderata da alcuno.

Colpisce anzi che le Sezioni Unite si siano indotte a fissare un principio che costituisce un chiaro obiter dictum, dal momento che il caso di specie ben poteva essere risolto semplicemente con il ribadire il consueto indirizzo, non avendo l’opponente iscritto a ruolo la causa nel minor lasso temporale (cinque giorni anziché dieci) che conseguiva ipso iure all’assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello ordinario, ancorché inconsapevolmente avvenuta.

Il passaggio argomentativo che conduce all’affermazione per cui l’opposizione a decreto ingiuntivo va iscritta, sempre e comunque, entro cinque giorni dal perfezionarsi della notifica, anche quando sia stato assegnato il consueto termine a comparire di cui all’art. 163 bis c.p.c., è forzato e apodittico, frutto di imposizione più che di meditata ponderazione, ancorché vengano riprese tesi professate da dottrina illustre, ma che sul punto sono sempre parse un po’ troppo rigide e severe (9).

Gli antidoti transitorii: il nuovo indirizzo non s’applica alle opposizioni pendentiFatto salvo quanto diremo appresso in critica all’orientamento consolidato, aggravato vieppiù dalla sentenza delle Sezioni Unite in commento, preme illico et immediate indicare quali contromisure e quali antidoti possano ora adoprarsi di fronte a un Diktat così perentorio, che rischia di travolgere opposizioni a decreto ingiuntivo la cui iscrizione a ruolo è sempre stata considerata tempestiva, dacché l’opponente non si era affatto avvalso della facoltà di ridurre il termine a comparire, né consapevolmente né per distrazione, attenendosi scrupolosamente all’insegnamento che aveva attraversato oltre mezzo secolo di processo civile.

Per solito il debitore opponente, salvo che non abbia urgenza di ottenere la sospensione della provvisoria esecutorietà di cui il decreto opposto fosse munito (ma, all’uopo, nella prassi era invalsa un’apposita istanza ex art. 649 c.p.c. in sede di iscrizione a ruolo della causa, onde ottenere un’udienza ad hoc), proprio perché riveste la posizione di convenuto in senso sostanziale, non ha normalmente alcuna fretta di veder celermente trattata la causa di opposizione e di subire l’immancabile istanza di provvisoria esecutorietà ex art. 648 c.p.c. avanzata dal creditore opposto nel costituirsi in giudizio: egli è anzi ben lieto di profittare della facoltà di eleggere ad nutuml’udienza di prima comparizione, tanto più in un termine dilatorio che la legge stessa ordinariamente, e abnormemente, stabilisce in novanta giorni (10).

Trattandosi di un obiter dictum (11), per salvare quantomeno le opposizioni interposte anteriormente al revirement (ma anche, conviene dire sin d’ora, le opposizione future), si potrebbe anzitutto pensare a una disapplicazione del principio riassunto nella prima delle massime riportate in epigrafe. Il metodo della judge made law resta pur sempre estraneo alla nostra cultura giuridica e al nostro ordinamento, ancorché le più recenti riforme processuali abbiano accentuato la funzione nomofilattica della Suprema Corte, dapprima con il noto vincolo per le sezioni semplici ai precedenti delle sezioni unite, salvo motivata rimessione della quaestio per un’eventuale revisio dell’indirizzo pregresso (art. 374, comma 3, c.p.c.), ora anche con il filtro di cui al n. 1 dell’art. 360 bis c.p.c., che impone al ricorrente in Cassazione uno speciale sforzo argomentativo allorché la sentenza impugnata sia conforme a consolidati precedenti di legittimità (12). Un obiter dictum che può essere, insomma, tenuto in non cale dai giudici di merito, almeno finché la questione non giunga innanzi al Supremo Collegio in altro caso, nel quale il problema effettivamente rilevi e formi oggetto di specifica disputa (non così, dicevamo, nella fattispecie esaminata e decisa).

Se, invece, ci si facesse persuasi della bontà della tesi adottata dalle Sezioni Unite e del suo ruolo creativo del diritto, si pone il problema delle opposizioni pendenti alla data di conoscibilità del revirement draconiano (diremmo, dunque, almeno quindici dopo la sua pubblicazione, recte dopo la conclusione del periodo di sospensione feriale che si chiude il 15 settembre d’ogni anno, ché la sentenza delle Sezioni Unite va – per ora – soltanto sul Web e sulle riviste giuridiche, non in Gazzetta Ufficiale: se ciò dovesse accadere per qualche futuro svolgimento della cosiddetta “giurisprudenza normativa”, si godrà quantomeno, appunto, dei quindici giorni divacatio sententiae, fattasi lex). Problema rispetto al quale è da credere che vi siano la necessità e lo spazio per operare rimessioni in termini per causa non imputabile, ai sensi dell’art. 153, comma 2 c.p.c. (ovvero del precedente art. 184 bis, se la pendenza della causa, da stabilirsi con riguardo al deposito del ricorso monitorio, anteceda il 4 luglio 2009).

Un mutamento di rotta tanto improvviso e inaudito, rispetto a una giurisprudenza consolidata da oltre mezzo secolo, ben integra quella causa non imputabile atta a giustificare rimessioni in termini dell’opponente, il quale abbia assegnato all’opposto l’ordinario termine a comparire e, fidando sul pregresso diritto vivente, abbia iscritto a ruolo la causa nel consueto e normale termine di dieci giorni dal perfezionarsi della notifica dell’opposizione. Un generale principio di affidamento conduce, anzitutto, a non considerare negligente né erronea una condotta anteriormente conforme alla regola processuale concretamente adottata e seguita dalla Cassazione. D’altronde, è la stessa garanzia costituzionale del contraddittorio e del giusto processo ad attribuire un fondamento soggettivo all’autoresponsabilità processuale delle parti, ricollegando effetti pregiudizievoli all’inattività solo ove questa sia ascrivibile a colpa. La nozione di causa non imputabile va, dunque, integrata con il criterio della diligenza o dell’assenza di colpa, ricomprendendovi ogni impedimento all’esercizio del potere processuale non evitabile con un comportamento diligente (13).

È poi ben nota la categoria dell’ignorantia iuris scusabile, poiché nascente da obiettiva incertezza del diritto sul comportamento ex lege dovuto, incertezza e dubbi che anteriormente non sussistevano affatto in subiecta materia se non, al più, in una direzione opposta, assai meno rigida e gravosa, quale espressa nell’ordinanza di rimessione della sezione prima della stessa Suprema Corte: sicché la parte che si sia conformata a una regola che, indiscutibilmente e senza sua colpa, riteneva sino ad ora vigente (come in effetti vigeva) nella communis opinio giurisprudenziale, deve passare indenne da ogni tipo di sanzione, sostanziale o processuale che sia, secondo una logica fatta da ultimo propria anche dal codice del processo amministrativo, che conferisce al giudice il potere di disporre, «anche d’ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto» (art. 37 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) (14).

Principio questo dell’irretroattività della legge, anche se frutto d’interpretazione giurisprudenziale anziché d’innovazione legislativa, ben radicato a livello europeo, quale parte essenziale dello Stato di diritto e garanzia di quella precostituita legalità che sorregge non soltanto le norme incriminatrici di carattere penale, ma ogni regola lato sensu sanzionatoria, anche nel campo processuale, come si evince apertis verbis dal nostro art. 111, comma 1, Cost., là dove esige che il giusto processo sia “regolato dalla legge” (15).

Va da sé che questa lata applicazione dell’istituto della rimessione in termini per causa non imputabile non cagionerà la regressione del procedimento ai suoi albori né costringerà l’opponente a costituirsi ex novo in giudizio: semplicemente, la sanzione d’improcedibilità non avrà modo d’operare, non dovrà essere pronunciata e l’iscrizione a ruolo compiuta nell’osservanza del precedente indirizzo resterà ferma (16).

Infine, poiché la questione d’improcedibilità è rilevabile anche d’ufficio, su di essa dovrà il giudice provocare il contraddittorio ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.c., a pena di nullità.

In critica alla tesi sulla dimidiazione dei termini di costituzione

Già s’accennava che la rigida tesi ora adottata dalla Suprema Corte, sia pure in forma di obiter dictum, possiede origini illustri. Carnelutti, in breve scritto (17), ebbe subito a patrocinarla, con argomenti peraltro non condivisi da chi quell’idea, su altre basi, avrebbe in seguito professato (18).

La tesi rigida, nella versione difesa da Garbagnati (19), ha oggidì fatto breccia presso le Sezioni Unite le quali, per “euritmia del sistema” (20), non nutrono dubbi nell’avvicinare l’infelice dettato dell’art. 645, ultima frase, c.p.c. a quanto prevedono gli artt. 165 e 166 in caso di provvedimento presidenziale che, su istanza dell’attore, riduca sino alla metà il termine a comparire nelle cause che richiedano pronta spedizione (art. 163 bis, comma 2, c.p.c.).

Nel confutare e respingere quest’idea si è autorevolmente spiegato che un conto è dimidiare i termini di costituzione a seguito di provvedimento presidenziale che abbia autorizzato la riduzione del termine a comparire per la pronta spedizione della causa, altro conto è scorgere nella riduzione dei termini di costituzione una conseguenza automatica d’ogni previsione di legge che contempli un ridotto termine a comparire, come avviene nell’art. 645, ultima frase, c.p.c. (21). Non v’è eadem ratio che giustifichi alcuna analogia legis iuris, tanto meno nel campo della fissazione giudiciale di termini che implichino decadenze o sanzioni processuali, nel quale vige un principio di stretta legalità (v. l’art. 152 c.p.c.), che dovrebbe sconsigliare all’interprete d’avventurarsi a forgiare motu proprio preclusioni o declaratorie d’improcedibilità là dove la legge non autorizzi a farlo (22); il che, d’altronde, costituisce freno all’arbitrio soggettivo e fondamentale garanzia di quel “giusto processo” che la Costituzione vuol “regolato dalla legge” (art. 111, comma 1, Cost.), vietando operazioni nomopoietiche nel campo processuale a nocumento, talora esiziale, dei diritti sostanziali delle parti (23).

Il sacro furore dei nostri anni per decadenze e preclusioni rigide e predeterminate, che troppo spesso riducono il processo a sterile esercizio computometrico, conduce a moltiplicare trappole e trabocchetti nell’ansiosa ricerca di barriere che la legge non predispone affatto, trasformando il processo da mezzo a fine e obliterando ciò che più dovrebbe premere: la situazione giuridica soggettiva e l’interesse pratico, il chiovendiano bene della vita, che le parti intendono vedere tutelati attraverso il processo, mirando esse a una pronuncia sul merito, non in puro e semplice rito.

Per poco che si rifletta, ci si avvedrà che la modifica dell’ultima frase dell’art. 645 c.p.c. fu “frutto inconsiderato della riforma del «50” (24) la quale, ripristinando il sistema della citazione a udienza fissa, volse la parola “costituzione” in “comparizione” senza prefigurarsi conseguenze particolari né, tanto meno, decadenze o improcedibilità d’alcun genere (25). Sicché pare eccessivo ricercare simmetrie o “euritmie di sistema”, come scrivono le Sezioni Unite sulla scia della Consulta, in un contesto normativo “a macchia di leopardo” e privo d’intima coerenza, non foss’altro che per la molteplicità e il disordine di interventi estemporanei e di dettaglio, che hanno visto,inter alia et multa, il progressivo e smisurato dilatarsi dei termini a comparire (26).

Né pare meritevole d’esser seguita l’idea, debitrice delle predicate “euritmie di sistema”, che il legislatore abbia inteso garantire al giudizio di opposizione la maggiore celerità nell’interesse dell’opponente non meno che del creditore opposto, onde l’esigenza di “pronta spedizione”, che l’art. 163 bis, comma 2, c.p.c. demanda al presidente di valutare caso per caso, esisterebbe in re ipsa per tal specie di giudizi, essendo stabilita a priori e una volta per tutte dallo stesso conditor nell’ultima frase dell’art. 645 c.p.c., che imporrebbe di dimezzare sempre e comunque il termine a comparire e, con questo, i termini di costituzione (27).

Anzitutto, risulta arduo imporre all’opponente l’obbligo cogente di dimidiare sempre e comunque il termine a comparire, che è termine dilatorio di cui è stabilita, sul piano logico prima ancora che giuridico, soltanto la soglia inferiore (dies non ante quem), non quella superiore (dies non post quem) come avviene pei termini acceleratori: il che spiega come mai la giurisprudenza, ivi inclusa la sentenza in rassegna, abbia sempre parlato e continui a parlare di semplice facoltà dell’opponente di assegnare un termine a comparire dimezzato, mai di uno stringente obbligo, ben difficile a praticarsi con il metodo della citazione a udienza fissa previsto per introdurre il giudizio (28).

In secondo luogo, non s’ottiene alcuna accelerazione dimidiando il termine di costituzione, né l’udienza innanzi al giudice dell’opposizione giunge prima sol perché l’opponente si sia costituito in cinque anziché dieci giorni: eventuali pratiche abusive degli opponenti, che citino per udienze assai distanti del tempo, potranno essere adeguatamente scongiurate e sanzionate, da un lato, anticipando l’udienza su istanza del convenuto opposto, ex art. 163 bis, u.c., c.p.c., dall’altro lato, irrogando punitive damages per dilazione temeraria del debitore opponente, ai sensi del nuovo art. 96, comma 3, c.p.c., oltre al carico delle spese di lite.

Sul tema si è condivisibilmente affermato che la riduzione dei termini di comparizione con provvedimento presidenziale ex art. 163 bis, comma 2, c.p.c., producendo «effetti limitativi del diritto alla difesa del convenuto, in quanto comprime i tempi necessari all’attività difensiva preparatoria della comparizione», è compensata dalla riduzione dei termini di costituzione prevista dagli artt. 165 e 166 c.p.c. con disposizioni specifiche ed eccezionali, finalizzate a consentire al convenuto un maggior lasso di tempo per l’esame dei documenti di parte attrice. Analoga esigenza non si coglie, invece, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in cui il creditore, convenuto opposto ma con sostanziale posizione di attore, ha già avuto modo di esporre, sia pure sommariamente, le sue ragioni e di ottenere un provvedimento favorevole inaudita altera parte, onde la ratio della riduzione del termine di comparizione ex art. 645 c.p.c. «è astrattamente riconnessa alla necessità del debitore opponente di radicare rapidamente il contraddittorio, rispondendo all’esigenza difensiva di anticipare la trattazione dei motivi di opposizione, ad evitare ritardi nella pronuncia della sentenza, la quale sola può portare alla revoca del decreto ed alla definitiva eliminazione dei suoi effetti anticipatori» (29).

Perciò, la riduzione dei termini di costituzione alla metà nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non risponde ad alcuna effettiva necessità, mentre la sanzione d’improcedibilità che suole applicarsi all’opposizione tardivamente iscritta non serve, come si è incisivamente notato, se non a fornire un pretesto purchessia per risolvere la causa in rito anziché esaminarla nel merito, adoprando una «trappola tanto micidiale, quanto dolorosa e invisibile» (30) a dispetto delle finalità d’un processo che voglia davvero definirsi giusto.

…e sulla sanzione d’improcedibilità dell’opposizione per tardiva costituzione dell’opponente

Non meglio fondato è, a nostro avviso, l’insegnamento tralatizio che equipara quoad effectum la costituzione tardiva dell’opponente alla costituzione completamente omessa, sì che ad ambedue vien fatta seguire l’improcedibilità dell’opposizione, donde l’esecutorietà e l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo.

A noi pare che l’art. 647 c.p.c. si limiti a disciplinare il modus procedendi per rendere esecutivo il decreto ingiuntivo, quando non risulti incardinato dinanzi all’ufficio alcun giudizio di opposizione, o perché mai promosso o perché mai iscritto a ruolo dall’opponente. Fa fede la lettera dell’art. 647 («se non è fatta opposizione nel termine stabilito, oppure l’opponente non si è costituito»), che affida al giudice del monitorio il compito di conferire esecutorietà al decreto ingiuntivo, salvo che non ravvisi eventuali problemi di notifica, proprio perché manca il giudice dell’opposizione. Del che si trae conferma dalla stessa giurisprudenza della Suprema Corte, che preclude il ricorso alla procedura semplificata di exequatur ex art. 647 allorché penda l’opposizione a decreto ingiuntivo, anche se inammissibile o improcedibile, riservando esclusivamente al giudice di questa ogni decisione sull’esecutorietà del decreto (31).

Se dunque s’intende l’art. 647 c.p.c. per quello che è e prevede secundum tenorem legis, cioè una procedura semplificata per conferire rapidamente efficacia esecutiva al decreto ingiuntivo in mancanza di un’opposizione proposta o iscritta a ruolo dall’opponente, appare forzato equiparare la costituzione tardiva dell’opponente alla costituzione completamente omessa, di cui sola discorre il testo della norma; una forzatura che contraddice il più volte ricordato principio di stretta legalità delle sanzioni processuali, di qualunque genere esse siano.

Neppure potrebbe applicarsi all’opposizione a decreto ingiuntivo, per analogia, l’art. 348 c.p.c., che rende improcedibile l’appello allorché l’appellante non siasi costituito nei termini. Quale che sia la natura dell’opposizione a decreto ingiuntivo, su cui non è qui possibile soffermarsi (32), resta il fatto, ormai pacifico anche nella giurisprudenza, ch’essa dà luogo a un ordinario e autonomo giudizio di cognizione, esteso all’esame non solo delle condizioni di ammissibilità e di validità del procedimento strettamente monitorio, ma anche della fondatezza della domanda del creditore, in base a tutti gli elementi offerti dal medesimo e contrastati dall’ingiunto, il cui atto difensivo ha la forma estrinseca della citazione, ma il contenuto della comparsa di risposta, dacché egli è convenuto in senso sostanziale e attore solo in senso formale (33). Permane, insomma, in questo istituto processuale l’idea originaria di una trasformazione del ricorso monitorio e del pedissequo decreto ingiuntivo in atto introduttivo di un processo a cognizione piena, quale effetto automatico dell’opposizione interposta dall’ingiunto, secondo una struttura bifasica che nasce, ab antiquo, dal processus executivus documentale, formatosi in epoca tardomedievale per venire incontro alle esigenze di rapidità dei commerci, in cui il praeceptum (o mandatum) de solvendo, sine o cum clausola iustificativa, avo lontano del procedimento monitorio, si risolveva in vim simplicis citationis a seguito di opposizione dell’intimato (34).

Perciò, non soltanto ogni equiparazione ed ogni accostamento tra opposizione a decreto ingiuntivo e mezzi d’impugnazione ha da avvenire con estrema cautela, ma certamente va esclusa un’applicazione analogica di meccanismi processuali sanzionatori, ostandovi il già ricordato principio di precostituita legalità, quale garanzia per le parti di un due process of law e irrinunciabile freno all’arbitrio soggettivo.

Il che non significa aderire a interpretazioni o letture, pure avanzate in dottrina, che traggono dalla qualità di convenuto sostanziale del debitore ingiunto, ancorché fattosi attore opponente, conseguenze in relazione ai termini di costituzione in giudizio. Ci riferiamo alla tesi ricostruttiva secondo cui, rivestendo il creditore opposto la posizione sostanziale dell’attore che ha proposto la domanda di condanna mediante il procedimento speciale monitorio, non vi sarebbe motivo per accordargli un termine maggiore rispetto a quello di cui dispone nel processo ordinario, cioè venti giorni prima della udienza ex art. 183 c.p.c., pervenendo alla conclusione che il termine ultimo di costituzione per l’opponente sarebbe, appunto, quello di venti giorni prima della predetta udienza, in ragione della sua qualità di convenuto in senso sostanziale (35). È, infatti, agevole obiettare come tale ricostruzione faccia eccessiva leva sulle posizioni sostanziali delle parti, laddove i meccanismi procedurali prescritti dall’art. 645 c.p.c., sia pure in guise oltremodo sintetiche, sono costruiti attorno alla loro posizione formale, che vede l’opponente nella veste pur sempre di attore che dà impulso all’instaurazione del processo a cognizione piena (36).

Valorizzando il dato testuale dell’art. 645, u.c., prima frase, c.p.c. («in seguito all’opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito»), è da ritenere semmai che la tardiva costituzione delle parti e, in particolare, dell’opponente provochi non l’improcedibilità dell’opposizione – come avviene invece, a norma dell’art. 647 c.p.c., per la costituzione completamente omessa (37) – bensì la cancellazione della causa dal ruolo ai sensi degli artt. 171, comma 1, e 307, comma 1, c.p.c., con la possibilità di riassumerla entro tre mesi dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto opposto, cioè venti giorni prima dell’udienza di comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c.

Soluzione questa che si armonizza con il dettato testuale degli artt. 645, u.c., e 647, comma 1, c.p.c. e con le garanzie del giusto processo civile, sanzionando con l’exequatur e l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo solo la costituzione completamente omessa dall’opponente ed applicando, invece, all’ipotesi di costituzione tardiva la medesima disciplina vigente per un processo ordinario di cognizione di primo grado, qual è il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel rispetto altresì della posizione formale delle parti, che è la sola a contare sotto il profilo dei meccanismi schiettamente procedurali di instaurazione della lite e sul piano, a dir così, delProzessforderungspflicht, cioè del dovere di accurata condotta processuale.

Eventuali abusi o pratiche dilatorie dell’opponente, che iscriva tardivamente la causa a ruolo (cioè, nella visione qui difesa, oltre il termine di dieci giorni dal perfezionarsi della notifica dell’atto di opposizione, a prescindere dalla dimidiazione o meno del termine a comparire assegnato in citazione) potranno essere combattute dal creditore opposto o provvedendo a costituirsi tempestivamente nel proprio termine (cioè venti giorni prima dell’udienza fissata per gli incombenti di cui all’art. 183 c.p.c.), sì da evitare in apicibus la cancellazione della causa dal ruolo, come risulta dall’art. 171, comma 2, c.p.c., o riassumendo nel minor tempo la causa di opposizione a decreto ingiuntivo eventualmente cancellata dal ruolo per tardiva costituzione di ambedue le parti ex artt. 171, comma 1, e 307, comma 1, c.p.c. ovvero, infine, attendendo l’ormai breve termine di tre mesi di cui a tale ultima norma, congruamente ridotto dalla riforma del 2009 (da un anno che era), affinché l’opposizione si estingua e il decreto ingiuntivo divenga esecutivo e irrevocabile ai sensi dell’art. 653, comma 1, c.p.c.

Sintesi: l’opposizione a decreto ingiuntivo va iscritta entro dieci giorni dalla notifica e, in caso di costituzione tardiva, non è improcedibile, ma va solo cancellata dal ruolo, salvo riassunzione ex art. 307, comma 1, c.p.c.

In conclusione, a noi pare che l’art. 645 c.p.c., riferendosi solo alla facoltà dell’opponente di ridurre a metà i termini a comparire, non incida affatto sui termini di costituzione, non potendosi far aggio su alcuna “euritmia di sistema” rispetto a quanto previsto dall’art. 165 c.p.c., allorché l’attore abbia chiesto e ottenuto dal presidente di abbreviare il termine a comparire “nelle cause che richiedono pronta spedizione” ex art. 163 bis, comma 2, c.p.c.: l’opponente è convenuto in senso sostanziale e non sussiste per lui l’onere, sotteso all’art. 165 c.p.c., di dare al creditore opposto pronta contezza dei documenti offerti in comunicazione, affinché questi possa predisporre per tempo le sue difese. L’opposto, attore in senso sostanziale, conosce già la materia del contendere, poiché è lui stesso ad aver introdotto la lite in via monitoria, tant’è che, quando l’opponente profitti dell’opposizione per proporre domanda riconvenzionale, la citazione in opposizione sarà, quanto alla riconvenzionale, eventualmente nulla per insufficienza del termine a comparire siccome inferiore al minimo legale, ma non certo improcedibile ove l’iscrizione a ruolo avvenga dopo i cinque giorni: si attiveranno, insomma, i meccanismi di sanatoria ex tunc della nullità della citazione per vizio della vocatio in ius ex art. 164 c.p.c., stante il difetto del termine a comparire, ma la riconvenzionale non sarà in alcun modo affetta da improcedibilità.

L’oggetto del giudizio di opposizione è determinato dal ricorso monitorio, non dall’atto di opposizione, mentre la facoltà di dimidiare i termini a comparire nell’atto di opposizione appare coerente con le caratteristiche del procedimento d’ingiunzione, che vedono l’inversione delle parti e il succedersi, alla fase strettamente monitoria, dell’iniziativa dell’opponente, volta a instaurare un giudizio ordinario di cognizione di primo grado. Perciò, ratiodella facoltà di dimidiare il termine a comparire è l’innestarsi dell’opposizione sul pregresso procedimento monitorio, che si conclude con la notifica del decreto ingiuntivo da cui prende corso il termine per promuovere l’opposizione, laddove la ratio della dimidiazione prevista dall’art. 163 bis, comma 2, c.p.c. si asside sulla necessità di pronta spedizione della causa e richiede il vaglio del presidente sulla sussistenza del presupposto applicativo della norma. A tutt’altro scopo risponde l’art. 645, comma 2 (ultima frase), c.p.c., che lascia all’opponente la libera facoltà di ridurre il termine a comparire, proprio in considerazione del fatto che: a) egli non è attore in senso sostanziale, b) l’oggetto del giudizio di opposizione è già stato predeterminato con il ricorso monitorio dal creditore intimante e c) l’opposizione s’innesta su un procedimento giurisdizionale composito, la cui pendenza si produce e determina, a livello prodromico, con il deposito del ricorso e, sul piano della compiuta produzione degli effetti sostanziali e processuali della domanda, con la notificazione del decreto (38).

D’altronde, al debitore ingiunto solitamente non preme la “pronta spedizione” della causa: sicché la dimidiazione del termine a comparire con l’atto di opposizione si connette alle peculiarità e alla struttura bifasica del procedimento d’ingiunzione, piuttosto che alla previsione di cui agli artt. 163 bis, comma 2, 165 e 166 c.p.c., senza alcuna simmetria di sistema né di ratio legis.

In secondo luogo, l’equiparazione della costituzione tardiva alla costituzione mancata, laddove l’art. 647 c.p.c. fa riferimento soltanto a quest’ultima, non è affatto scontata né può discendere tout court dal carattere lato sensu impugnatorio dell’opposizione. Gli artt. 348, 369 e 399 c.p.c. contemplano espressamente la sanzione dell’improcedibilità dell’impugnazione (rispettivamente appello, ricorso per cassazione e revocazione) pertardiva costituzione dell’impugnante. Non così l’art. 647 c.p.c. che, contemplando una procedura semplificata di exequatur, prevede il solo caso della costituzione completamente omessa dall’opponente, non quello della costituzione tardiva, disciplinando nella seconda delle due fattispecie astratte l’ipotesi in cui il giudizio di opposizione, pur promosso mediante notifica della citazione, non risulti incardinato presso l’ufficio giudiziario adito. Un trattamento dell’opposizione tardivamente iscritta deteriore rispetto ai consueti meccanismi applicabili alla tardiva iscrizione della causa a ruolo in prime cure (artt. 171, comma 1, e 307, commi 1 e 2, c.p.c.), appare incompatibile con i principi del “giusto processo regolato dalla legge” (art. 111, comma 1., Cost.), poiché la sanzione dell’improcedibilità, a differenza delle suddette regole in materia d’impugnazioni, non è espressamente comminata dalle norme processuali e, in difetto di ciò, non può essere creata in via interpretativa. Vi è una riserva costituzionale di legge la quale impedisce all’interprete di proporre letture integrative o analogiche, dovendosi preservare il valore, di rilevanza costituzionale, di stretta disciplina legale delle forme e delle garanzie del processo, con speciale riguardo a preclusioni e decadenze poste a carico delle parti, che non possono veder pregiudicate, talora in modo irreversibile, le situazioni sostanziali per la cui tutela hanno agito.

La contrarietà al principio del giusto processo “regolato dalla legge” (art. 111, comma 1, Cost.) si coglie nella creazione, per via giurisprudenziale e con ragionamento analogico, di una sanzione d’improcedibilità dell’opposizione che l’art. 647 c.p.c., comma 1 (seconda ipotesi), contempla soltanto per il caso di mancata costituzione dell’opponente, non per quello di costituzione tardiva. Questa sanzione d’improcedibilità dell’opposizione tardivamente iscritta a ruolo, in caso di dimidiazione anche inavvertita del termine a comparire, viola altresì il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost) e il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), perché grava l’opponente di un onere che appare inutilmente e irragionevolmente contrario alla struttura bifasica del rito monitorio, all’inversione della posizione processuale delle parti e alle regole normalmente applicabili a un processo ordinario di cognizione in prime cure, la cui tardiva iscrizione non provoca improcedibilità alcuna, bensì la cancellazione dal ruolo e la successiva estinzione soltanto in caso di mancata riassunzione nel termine di tre mesi, a norma degli artt. 171, comma 1, e 307, comma 1, c.p.c.

Queste ragioni, fatte valere in passato innanzi alla Corte costituzionale, ma con rapido e sbrigativo tratto dichiarate inammissibili perché prospettate in un rapporto di “alternatività irrisolta” (39), dopo l’arrêt delle Sezioni Unite qui esaminato si impongono a fortiori e sollecitano nuove rimessioni alla Consulta o, in mancanza di queste, disapplicazioni della soluzione qui criticata per contrasto con le norme europee, di cui anche l’art. 6 della CEDU, in grazia del Trattato di Lisbona, forma parte integrante e prevalente rispetto al diritto interno (40). Non senza l’auspicio che, alfine, prendano il sopravvento le garantistiche letture che abbiamo qui cercato di difendere, virando di centottanta gradi in una direzione diametralmente opposta a quella sin qui percorsa dalla giurisprudenza del Supremo Collegio; o che giungano a buon fine le proposte di modifica dell’art. 645 c.p.c., immediatamente presentate in sede legislativa dopo l’inatteso revirement (41).

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(1) Si pensi alle interpretazioni creative che la Cassazione va propugnando nel nostro contesto processuale dietro l’usbergo, per vero assai generico e bon à tout faire, del principio di ragionevole durata del processo (cfr., exempli gratia, Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883;Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726;Cass., sez. un., 6 marzo 2009, n. 5456;Cass., sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309;Cass., sez. un., 30 luglio 2008, n. 20604;Cass., 18 febbraio 2010, n. 3830. Per un quadro d’insieme su questi sviluppi v., da ultimo, Bove, Il principio di ragionevole durata del processo nella giurisprudenza della Corte di cassazione, Napoli, 2010, nonché, con una condivisibile e strenua reazione critica, Caponi, Dalfino, Proto Pisani, Scarselli, In difesa delle norme processuali, in Foro it., 2010, I, 1794 ss. Il nuovo verbo della Cassazione sulla “giurisprudenza normativa” quale autonoma fonte del diritto può leggersi ex professo, sia pure in campo sostanziale anziché processuale, in Cass., 11 maggio 2009, n. 10741, in Foro it., 2010, I, 141 (v. spec. 146 s.), con nota critica di Di Ciommo, “Giurisprudenza-normativa” e ruolo del giudice nell’ordinamento italiano.

(2) Secondo la felice espressione di Gustavo Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Torino, 1992.

(3) Da quando cioè la controriforma del 1950 era intervenuta sul testo dell’art. 645, comma 2, ultima frase, c.p.c. in ragione del ripristino del sistema della citazione a udienza fissa, già adottato nel procedimento sommario del 1865/1901, in luogo dell’udienza che il presidente fissava, una volta scaduti i termini di costituzione delle parti (v. anche infra).

(4) Soltanto la remotissima Cass. 10 gennaio 1955, n. 8 (Pres. Acampora, Est. Bianchi D’Espinosa) in Riv. dir.proc., 1955, II, 85 con nota adesiva di Bianchi D’Espinosa, Termini di costituzione, cancellazione dal ruolo, riassunzione del processo, aveva escluso che la dimidiazione del termine a comparire influisse sui termini di costituzione. Già Cass. 12 ottobre 1955, n. 3053, in Foro it., 1955, I, 1454, peraltro senza dar conto della precedente pronuncia (rimasta completamente isolata tra i giudici di legittimità), inaugurò l’orientamento riferito nel testo, sul quale v., tra molte, Cass. 1° settembre 2006, n. 18942;Cass. 4 settembre 2004, n. 17915;Cass. 20 novembre 2002, n. 16332. V. anche in Consolo (a cura di), Codice di procedura civile commentato, III, Milano, 2010, sub art. 647.

(5) Cfr. Cass. 14 luglio 2006, n. 16117;Cass. 8 marzo 2005, n. 5039. V. per altri riferimenti in Consolo (a cura di), Codice di procedura civile commentato loc. cit.

(6) V., in dottrina, Cipriani, La trappola che non c’è (ma che funziona: a proposito del termine di costituzione dell’opponente a decreto ingiuntivo), in Il giusto proc. civ., 2008, 919 ss.; Trisorio Liuzzi, La dimidiazione del termine di costituzione nell’opposizione a decreto ingiuntivo, ivi, 2009, 541 ss.; Caponi, Sul termine di costituzione nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo (art. 645, 647 c.p.c.), in questa Rivista, 2006, 5, 727 ss.; Andreozzi, Sulle conseguenze della riduzione dei termini di comparizione dell’opposizione a decreto di ingiunzione, in Giur. it., 2008, 954 ss.; Balbi, Improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo, diritto alla difesa e inadeguatezza del termine di costituzione del debitore opponente, in Giur. it., 1998, 2087 ss.; Tarantola, Mancata o tardiva costituzione dell’attore, improcedibilità ed effettiva conoscenza dell’inizio del decorso del termine di costituzione, in Giur. it., 1999, 952 ss.; Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 406 ss.; cfr. anche Bianchi D’Espinosa, Termini di costituzione cit., 124 ss.

(7) V., solo per menzionare le ultime, Corte cost., 6 maggio 2010, n. 163, in questa Rivista, 2010, 800; Corte cost. 22 luglio 2009, n. 230; Id., 12 dicembre 2008, n. 407; Id., 2 luglio 2008, n. 249; Id., 8 febbraio 2008, n. 18, in Giust. civ., 2008, I, 296; Id., 12 aprile 2005, n. 154, in Foro it., 2006, I, 2677; Id., 2 aprile 2004, n. 107, in Foro it., 2004, I, 1321, con nota di Caponi e in questa Rivista, 2004, 10, 1309, con nota di Glendi; Id., 6 febbraio 2002, n. 18, in Foro it., 2002, I, 1643, con nota di Caponi e in Giur. it., 2002, 1806, con nota di Conte; Id., 23 giugno 2000, n. 239.

(8) Cfr. Cass. 3 luglio 2008, n. 18203, ancorché su fattispecie in cui era stata concessa l’ulteriore dimidiazione ex art. 163 bis, comma 2, c.p.c. mercé provvedimento presidenziale, con il risultato che il termine a comparire era doppiamente dimezzato e, dunque, l’iscrizione a ruolo doveva avvenire entro due giorni e mezzo, arrotondati a tre per favor rei (ché l’opponente è pur sempre convenuto in senso sostanziale): su questi esercizi di matematica del diritto e del processo v., criticamente, Trisorio Liuzzi, op.cit., 547 ss.

(9) V. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 1991, 152; Id., Nullità del decreto ingiuntivo e improcedibilità dell’opposizione per costituzione tardiva dell’opponente, in Foro pad., 1972, I, 94 ss.; Carnelutti, Decadenza dall’opposizione all’ingiunzione, in Riv. dir. proc., 1955, II, 223 ss.; v. successivamente Dalmotto, Sui termini di costituzione in opposizione a decreto ingiuntivo: dimidiare sempre, in Nuova giur. civ.comm., 1998, I, 710 ss.; nonché, con rapidi cenni, Carratta, Opposizione a decreto ingiuntivo davanti al giudice di pace e riduzione dei termini minimi di comparizione, in Giur. it., 1999, 1174, e Conte, Tardiva costituzione dell’opponente a decreto ingiuntivo e rinnovazione dell’opposizione, in Giur. it., 2002, 1808.

(10) Vi fu un caso di abuso manifesto, provocatorio e finanche parodistico, dacché l’opponente citò a vent’anni (v. Trib. Napoli 13 aprile 1973, in Dir. e giur., 1973, 212 ss.): il creditore opposto, nondimeno, può costituirsi immantinente in giudizio e chiedere al giudice un’anticipazione dell’udienza ex art. 163 bis, u.c., soprattutto al fine di discutere l’istanza di provvisoria esecutorietà del decreto opposto, a norma dell’art. 648 c.p.c.

(11) «Poiché l’autorità del giudicato è circoscritta oggettivamente in conformità alla funzione della pronuncia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande hinc et inde proposte, ogni affermazione eccedente le necessità logico-giuridiche della decisione deve considerarsi un obiter dictum, come tale non vincolante» (così, sia pure a proposito dell’efficacia del giudicato anziché del precedente nomofilattico, Cass. 30 luglio 1984, n. 4531;v. anche Cass. 8 ottobre 1997, n. 9775;Cass. 7 novembre 2005, n. 21490).

(12) Cfr., da ultimo, Cass. 6 settembre 2010, n. 19051;nonché, per uno sguardo critico, Scarselli, La crisi della Cassazione civile e i possibili rimedi, in Il giusto processo civile, 2010, 653 ss.; Bove, Il principio della ragionevole durata cit., passim.

(13) Cfr. Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996 195 ss.; Id., La causa non imputabile alla parte nella disciplina della rimessione in termini nel processo civile, in Foro it., 1998, I, 2667; Balbi, Rimessione in termini (dir. proc. civ.), in Enc. Giur. Treccani, XXVII, Roma, 1993, 7; De Santis, La rimessione in termini nel processo civile, Torino, 1997, 142 ss. nonché, in giurisprudenza, le recentissime Cass. 17 giugno 2010, n. 14627 e Cass. 2 luglio 2010, n. 15811, in questo numero, 1473, con nota di D’Alessandro, L’errore scusabile fa il suo ingresso nel processo civile: il mutamento di un precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale quale giusta causa di rimessione in termini ai fini della proposizione del ricorso per cassazione, secondo le quali, «alla luce del principio costituzionale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, incorre in errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., ratione temporis applicabile, anche in assenza di un’istanza di parte, se, esclusivamente a causa del predetto mutamento, si sia determinato un vizio d’inammissibilità od improcedibilità dell’impugnazione dovuto alla diversità delle forme e dei termini da osservare sulla base dell’orientamento sopravvenuto alla proposizione del ricorso». Dopo l’arrêt delle Sezioni Unite i primi provvedimenti di giudici di merito pubblicati in epigrafe, pur aderendo pro futuro al dictum in commento, si sono già orientati in un senso salvifico delle opposizioni pendenti.

Anche in sede legislativa si sta correndo ai ripari mediante un d.d.l. presentato al Senato XVI – S.2380 e così articolato: Art. 1. (Modifica all’articolo 645 del codice di procedura civile) “1. Al secondo commadell’articolo 645 del codice di procedura civile, le parole: «ma i termini di comparizione sono ridotti a metà» sono soppresse”. Art. 2. (Norma transitoria) “1. In via transitoria, i termini ridotti di cinque e dieci giorni, rispettivamente previsti dagli articoli 165 e 166 del codice di procedura civile per la costituzione in giudizio dell’attore e del convenuto, non si applicano con riferimento a tutti i procedimenti iscritti a ruolo prima della data di entrata in vigore della presente legge, con la sola eccezione di quelli per i quali il giudice ha pronunciato decreto di abbreviazione dei termini a comparire ai sensi dell’articolo 163-bis del medesimo codice”. Art. 3. (Entrata in vigore) “1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale”.

Sul divieto di modificare in corsa le regole del giuoco processuale cfr. Caponi, Tempus regit processum – Un appunto sull’efficacia delle norme processuali nel tempo, in Riv.dir.proc., 2006, 449 ss.

(14) V., ad es., la celeberrima Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p., «nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile»; regola questa estesa anche all’illecito amministrativo (cfr., tra molte, Cass. 13 settembre 2006, n. 19643: “anche nella materia dell’illecito amministrativo disciplinato dalla l. n. 689 del 1981 deve ritenersi applicabile l’art. 5 c.p., quale risulta a seguito della sentenza della corte costituzionale 24 marzo 1988 n. 364, secondo la quale viene a mancare l’elemento soggettivo quando ricorra la inevitabile ignoranza del precetto da parte di chi commetta l’illecito; per la configurabilità di questa situazione, con riferimento alla posizione di colui che professionalmente risulta inserito in un determinato campo di attività ed è quindi tenuto non solo all’obbligo generico di conoscenza ed informazione di ogni cittadino, ma anche a quello specifico in ordine alle norme che disciplinano quel campo di attività, è necessario che l’errore sulla liceità del fatto si fondi su un elemento positivo estraneo all’agente ed idoneo a determinare in lui la convinzione della liceità del suo comportamento”; v. anche Cass. 11 ottobre 2006, n. 21779); in materia tributaria v. l’art. 8 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che consente al giudice di dichiarare “non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce”; si pensi infine al principio di tutela del legittimo affidamento nell’applicare il divieto europeo degli aiuti di Stato (cfr., tra molte, Corte di giustizia, 22 giugno 2006, cause 182/03 e 217/03, in Racc., 2006, I, 5479). Sul tema della rimessione in termini per errore scusabile v. amplius la citata nota di D’Alessandro, L’errore scusabile cit., dove alcune considerazioni sulla concedibilità o meno del rimedio, nel processo civile, anche ex officio o mediante successiva convalida, ad instar di quel che avviene nel processo amministrativo.

(15) Cfr., a livello, europeo ed ex plurimis, Corte di giustizia, 28 giugno 2005, cause 189, 202, 205-208 e 213/02 P, in Racc., 2005, I, 5425, secondo cui la nozione di «diritto» ai sensi dell’art. 7 n. 1 CEDU include il diritto di origine sia legislativa che giurisprudenziale: tale disposizione, che sancisce in particolare il principio di previsione legale dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege), benché non possa essere intesa come un divieto di graduale chiarimento delle norme sulla responsabilità penale, può opporsi all’applicazione retroattiva di una nuova interpretazione di un divieto di legge; ciò avviene, in particolare, nel caso si tratti di un’interpretazione giurisprudenziale il cui risultato non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui l’infrazione è stata commessa, alla luce, in particolare, dell’interpretazione vigente a quell’epoca nella giurisprudenza relativa alla disposizione legale in questione”. V. altresì Corte di giustizia, 3 settembre 2007, causa 3/06 P, nonché, con richiami anche alla giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo, Trib. Varese, 8 ottobre 2010 in epigrafe.

(16) Cfr. le ordinanze gemelle di Trib. Milano, sez. VI, 7 ottobre 2010 in commento, le quali concludono che, nel caso opposizione iscritta tempestivamente in base al pregresso indirizzo, una rimessione in termini e una nuova costituzione non sono propriamente necessarie, «ove si rilevi che l’opposizione è stata svolta avanti al giudice competente mediante atto di citazione ritualmente notificato e che l’opponente si è già costituito, senza avere leso i diritti di difesa dell’opposto». Analogamente Trib. Varese, 8 ottobre 2010 cit., secondo cui una interpretazione costituzionalmente orientata «impone di ritenere che la parte – piuttosto che essere rimessa in termini, con regressione del giudizio e conseguente grave danno alla giurisdizione – deve essere considerata come aver agito correttamente, su mero accertamento del giudice di merito che verifica l’overruling e l’affidamento incolpevole del litigante». Per alcune considerazioni su questa sorta di rimessione in termini mediante convalida retroattiva dell’atto già compiuto v. D’Alessandro, L’errore scusabile cit.

(17) Carnelutti, Decadenza dall’opposizione all’ingiunzione, in Riv. dir. proc., 1955, II, 223 ss., nota critica a Trib. Milano 7 ottobre 1954, secondo cui i termini di costituzione non erano mai dimidiati.

(18) Garbagnati, Il procedimento cit., 170 nt. 145, pur difendendo la tesi per cui il termine di costituzione è sempre dimidiato, ritiene non persuasiva l’argomentazione di Carnelutti. Spunti critici in Cipriani, op.cit., 922.

(19) Garbagnati, op.ult.cit., 169 ss., nonché 152 ss.

(20) Espressione questa dichiaratamente mutuata da Corte cost., 8 febbraio 2008, n. 18.

(21) V., in particolare, Cipriani, op.ult.cit., 920 ss.; cfr. anche Trisorio Liuzzi, op.cit., 542 ss.; Caponi, Sul termine di costituzione cit., 727 ss.

(22) V., in tal senso, Cass. 7 settembre 1993, n. 9382. Con ciò non s’intende, ovviamente, misconoscere che le preclusioni siano connaturate allo svolgersi del procedimento, il quale a un certo punto deve pur chiudere la fase assertiva e probatoria, al fine di decidere la controversia (v., in luogo di molti, Andrioli, voce Preclusione (dir.proc.civ.), in Noviss. dig. it., XIII, Torino, 1966, 568), bensì rendere avvertiti gli interpreti sulle cautele da adottare ogniqualvolta non si rinvengano nei testi di legge esplicite comminatorie. Né vuolsi tanto meno negare che il carattere perentorio di un termine, ancorché non sancito espressamente dalla legge, possa desumersi dalla funzione e dallo scopo da esso adempiuti (cfr. Cass. 19 gennaio 2005, n. 1064;Cass., sez. un., 23 dicembre 2004, n. 23832, nonché ulteriori riferimenti in Consolo (a cura di), Codice di procedura civile commentato cit., I, sub art. 152).

(23) Cfr. in particolare Proto Pisani, Appunti sul valore della cognizione piena, in Foro it., 2002, V, 65 ss.; Id., Il nuovo art. 111 cost. e il giusto processo civile, in Foro it., 2000, V, 241 ss.; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, 2010, Torino, 45 s., dove si sottolinea come l’art. 111, comma 1, Cost. contenga una «tipica riserva di legge, non da regolamenti e neppure dalla giurisprudenza, pur se fatalmente quest’ultima dovrà specificare aspetti concreti che una disciplina di legge anche molto minuziosa – quale è di solito quella processuale italiana – fatalmente lascerà scoperti».

(24) Così Satta, Commentario al c.p.c., IV, Milano, 1959/1968, 83.

(25) Nella Relazione del Ministro Guardasigilli al d.P.R. 17 ottobre 1950, n. 857 si parla semplicemente di «una lieve modificazione nel secondo comma dell’art. 645 del codice come necessaria conseguenza del sistema della citazione a udienza fissa». Il senso della novella sul punto si trova ben esplicato in Cipriani, op.ult.cit., 920 s., dove si ricorda come per il codice del 1940 la citazione non fosse “a comparire a udienza fissa”, come invece era in precedenza (cioè nel procedimento sommario quale riformato da Mortara nel 1901) e come sarebbe ridiventata nel 1950.

Nella stesura originaria del c.p.c. del 1940 l’attore non doveva indicare la prima udienza in citazione, né invitare il convenuto a comparirvi, ma semplicemente a costituirsi nel termine fissato dalla legge: dopo la scadenza dei termini di costituzione delle parti, il presidente, su istanza di parte, designava l’istruttore e fissava la prima udienza.

(26) Cfr. sempre Cipriani, op.ult.cit., 923 s.

(27) Cfr. Garbagnati, Il procedimento cit., 152 ss. e 171 s.; v. anche Carratta, op.loc.cit.

(28) Tant’è che Satta, Commentario al c.p.c., IV, 1, Milano, 1964, 83 considerava l’ultima frase dell’art. 645 “priva di valore sostanziale perché il termine di comparizione è stabilito dall’opponente, che può assegnare il termine che vuole, anche superiore al minimo”.

(29) Così Balbi, Improcedibilità cit., 2088 ss. e, in giurisprudenza, Trib. Milano, 25 ottobre 1999 e Trib. Genova 23 gennaio 1999, in Giust. civ., 2000, I, 1195, che avevano sollevato questioni d’incostituzionalità dell’art. 647 c.p.c. per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., dichiarate manifestamente infondate da Corte cost., 23 giugno 2000, n. 239. V. anche, con analoghe considerazioni critiche sulla pronuncia delle Sezioni Unite, Negri, Il “giro di vite” delle Sezioni Unite sui termini di comparizione e costituzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo: onere di costituzione quasi istantanea per il debitore opponente, in corso di pubblicazione.

(30) Così Cipriani, op.ult.cit., 924.

(31) V. Cass. 6 giugno 2006, n. 13252, secondo cui, «allorquando venga proposta l’opposizione a decreto ingiuntivo intempestivamente e sia seguita da costituzione tempestiva oppure venga proposta tempestivamente, ma sia seguita da una costituzione tardiva dell’opponente, non sussiste la possibilità della formulazione da parte del creditore della richiesta ai sensi dell’art. 647 c.p.c., che si deve intendere limitata o alla mancanza di opposizione o alla mancanza di costituzione dopo l’opposizione; nelle suddette ipotesi, l’efficacia del decreto è la stessa dei casi di mancanza dell’opposizione o di mancata costituzione, ma, essendosi comunque incardinato il processo in contraddittorio, la definizione del giudizio deve avvenire con la sentenza (ferma la possibilità della concessione della provvisoria esecutività al decreto ai sensi dell’art. 648 c.p.c.), in quanto l’opposizione dev’essere dichiarata rispettivamente inammissibile o improcedibile d’ufficio nel presupposto che sul decreto ingiuntivo si è formato un giudicato interno, configurandosi il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo come ulteriore sviluppo della fase monitoria».

Cfr. anche Cass. 23 ottobre 2008, n. 25621, in Giur. it., 2009, 1723, che tra l’altro, in caso di tardiva costituzione dell’opponente nella prima opposizione, ammette una seconda opposizione purché proposta entro il termine di decadenza decorrente dalla notifica del decreto ingiuntivo. In dottrina v. Garbagnati, Il procedimento di ingiunzione cit., 175 nonché Consolo (a cura di), Codice di procedura civile commentato cit., sub art. 647 e, si vis, Tedoldi, Merlo, L’opposizione a decreto ingiuntivo, in Caponi (a cura di), Il procedimento d’ingiunzione, Bologna, 2009, 539 ss.

(32) Cfr. ampiamente Garbagnati, op.ult.cit., 127 ss.; Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 340 ss., che parla di “impugnazione di primo grado”; Id., Procedimento per decreto ingiuntivo, in Chiarloni, Consolo (a cura di), I procedimenti sommari e speciali, I, I procedimenti sommari, Torino, 2005, 311 ss.

(33) Cfr. Cass., sez. un., 7 luglio 1993 n. 7748, in questa Rivista, 1993, 11, 1330, con nota di De Luca nonché, tra molte, Cass. 10 marzo 2009, n. 5754.

(34) V. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1935 (rist. 1960), 209 s.; Id., Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1923 (rist. 1965), 205 ss.; Id., Chiovenda, Azioni sommarie. La sentenza di condanna con riserva (1915), in Saggi di diritto processuale civile, I, rist. Milano 1993, 121 ss.; Scarselli, La condanna con riserva, Milano, 1989, 15 ss.; Briegleb, Einleitung in die Theorie der summarischen Processe, Leipzig, 1859; v. anche Id., Über executorische Urkunden und Executiv-Prozess, I, Geschichte des Executiv-Prozesses, Stutt-gart, 1845, 40 ss.;

Wach, Der italianische Arrestprocess, Leipzig 1868; Stein, Das private Wissen des Richters. Untersuchungen zum Beweisrecht beider prozesse, Leipzig, 1893, rist. Aachen, 1969, 16 ss.

(35) Ronco, Struttura cit., 409 ss.; Id., Procedimento cit., 373 ss.

(36) Nello stesso senso v. Conte, Tardiva costituzione cit., 1806 ss.

(37) Cfr. Cass. 26 maggio 2004, n. 10116, in Giust. civ., 2005, I, 1303, la quale, in un caso di omessa costituzione dell’opponente (cui ha equiparato la costituzione tardiva, in acritica adesione all’orientamento tradizionale), ha giustamente negato la possibilità di riassumere il giudizio di opposizione ai sensi degli artt. 171 e 307 c.p.c., annullando la sentenza impugnata per violazione dell’art. 647 c.p.c.

(38) V., con particolare sensibilità verso i profili pratici delle questioni affrontate e risolte, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20596 (Pres. agg. Carbone, Est. Salmè: gli stessi autorevoli magistrati della pronuncia in commento), in questa Rivista, 2008, 8, 1121, con nota critica di Stropparo e in Riv. dir. proc., 2008, 1759, con nota sostanzialmente adesiva di Piccininni.

(39) Così Corte cost. 22 luglio 2009, n. 230 sull’ordinanza di rimessione di Trib. Monza, 8 ottobre 2008, in G.U. 2009, n. 4, prima serie speciale.

(40) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 2010, n. 1220, dove si ricorda che la CEDU, per effetto del Trattato di Lisbona, è divenuta parte integrante dell’ordinamento europeo e contiene, pertanto, non più mere norme internazionali, bensì norme comunitarie le quali, in virtù del principio di primauté del diritto comunitario, legittimano la disapplicazione di norme interne con esse contrastanti.

(41) V. supra in nota 13.


Autore: Prof. avv. Alberto Maria Tedoldi

Professore associato di Diritto processuale civile presso l’Università degli Studi di Verona, presso cui tiene i corsi di Diritto processuale civile, Diritto dell’esecuzione civile, Diritto fallimentare. Nelle medesime materie, è autore di numerosi scritti. È stato Responsabile d’area Diritto processuale civile della Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università di Verona, consorziata con l’Università di Trento, e componente della Commissione per le riforme del processo civile, istituita presso il Ministero della Giustizia e presieduta dal Prof. Romano Vaccarella. Ha conseguito nel 1996, presso l’Università “La Sapienza” di Roma, il titolo di dottore di ricerca in Diritto processuale civile. Nel 2002 ha superato il concorso di ricercatore di ruolo presso l’Università degli Studi di Milano. Ha partecipato ai convegni dell’Associazione italiana fra gli studiosi di diritto processuale civile, alla quale è iscritto, e a numerosi convegni di diritto processuale civile e di diritto fallimentare. Dal 1998 è docente di Diritto processuale civile presso la Scuola forense dell’Ordine degli avvocati di Milano. Relatore a convegni e master organizzati dal CSM e dalla Scuola superiore di Magistratura, in sede distrettuale, interdistrettuale e nazionale, dagli ordini professionali e da enti privati su argomenti di diritto processuale civile e di diritto fallimentare.

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