Modifiche convenzionali alla comunione dei beni

Margherita Pittalis, Modifiche convenzionali alla comunione dei beni, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di P. Zatti, Milano, 2012, vol. III, p. 519 ss.

MODIFICHE CONVENZIONALI ALLA COMUNIONE DEI BENI

di Margherita Pittalis

1. La comunione convenzionale e la normativa previgente. — 2. Autonomia della comunione convenzionale o regime legale modificato. — 3. I limiti all’autonomia privata dei coniugi nella determinazione del contenuto della comunione convenzionale. — 4. Convenzioni che ampliano l’oggetto della comunione legale. — 5. Convenzioni che riducono l’oggetto della comunione legale. — 6. Soggetti, forma e pubblicità della comunione convenzionale. — 7. Le obbligazioni dei coniugi contratte prima del matrimonio: l’art. 211 c.c.

1. La comunione convenzionale e la normativa previgente.

Alla comunione convenzionale il legislatore del 1975 ha dedicato un’apposita sezione, la IV del capo VI del titolo VI del libro I del codice civile, che sostituisce integralmente la disciplina dei beni parafernali, contenuta negli artt. 210-214 del codice civile del 1942, con due sole disposizioni, gli attuali artt. 210 e 211 c.c. 1. Il primo tratta delle “Modifiche convenzionali alla comunione legale dei beni”, mentre il secondo prevede a favore dei creditori di ciascun coniuge anteriori al matrimonio la possibilità di aggredire i beni immessi dai coniugi in comunione convenzionale nei limiti del valore dei beni che erano di proprietà del coniuge stesso prima del matrimonio.

A tenore del comma 1o dell’art. 210 c.c., la comunione in commento è configurabile quale convenzione matrimoniale stipulata ai sensi dell’art. 162, come tale idonea, in forza dell’art. 159 c.c., a derogare al regime patrimoniale di comunione legale introdotto dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, quale effetto automatico del vincolo coniugale 2.

La normativa riformatrice ha infatti segnato il passaggio da un unico regime patrimoniale di comunione dei beni, fondato sull’accordo dei coniugi in deroga al precedente regime legale della separazione, e disciplinato nel codice del 1942 da una nutrita serie di articoli (215-230) 3, ad un duplice possibile assetto comunitario dei beni coniugali, rappresentato, da un lato, dalla comunione di fonte legale, prevista dagli artt. 177-197 c.c., e dall’altro dalla comunione di fonte convenzionale, di cui ai già richiamati artt. 210 e 211 c.c. 4.

Con particolare riguardo a quest’ultima, si rivela interessante evidenziare i tratti differenziali rispetto alla previgente figura di comunione convenzionale. Una prima notazione riguarda l’estesa disciplina riservata alla comunione dal legislatore del 1942, a fronte dell’esiguo intervento operato dalla riforma, che all’istituto ha dedicato due sole disposizioni. La circostanza rispecchia, come si vedrà, il differente ruolo attribuito dall’una e dall’altra normativa all’autonomia dei coniugi nel configurare la comunione stessa.

Ad un primo esame, si rileva infatti come la disciplina prevista dal codice del 1942 fosse più circostanziata e dettagliata dell’attuale normativa in tema di comunione convenzionale in merito a svariati profili, quali l’oggetto, l’amministrazione dei beni comuni, lo scioglimento, la responsabilità dei beni comuni verso i terzi. Ancora, la disciplina della comunione veniva definita inderogabile, fatta salva la facoltà dei coniugi di stabilire patti speciali di portata meramente integrativa. Gli articoli di riferimento, al riguardo, erano il 215 ed il 216, il primo dei quali, rubricato “Comunione degli utili e degli acquisti”, disponeva che “non è permesso agli sposi di contrarre altra comunione universale dei beni, fuorché quella degli utili e degli acquisti”; l’art. 216, inoltre, in tema di “fonti del regolamento della comunione”, prevedeva che “gli sposi possono stabilire patti speciali per la comunione; in mancanza di questi patti, si applicano le disposizioni relative alla comunione in generale. In ogni caso si osservano le disposizioni seguenti”.

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Il novato art. 210 c.c. attribuisce invece ai coniugi la facoltà di modificare il regime della comunione legale dei beni mediante una convenzione stipulata ai sensi dell’art. 162 c.c., prevedendo comunque, al riguardo, una serie di limiti che ai coniugi è precluso valicare.

Mentre quindi la disciplina della “comunione degli utili e degli acquisti” lasciava ben poco spazio all’autonomia privata, quella dell’attuale comunione convenzionale si limita a circoscriverne in negativo l’ambito di efficacia, indicando quali norme in tema di comunione legale siano da considerare inderogabili.

Inoltre, contrariamente a quanto precedentemente previsto dall’art. 162, commi 2o e 3o, alla cui stregua le convenzioni matrimoniali, e quindi anche la comunione convenzionale, non potevano essere stipulate dopo la celebrazione del matrimonio, se non nei casi previsti dalla legge, nè potevano essere mutate dopo la celebrazione del matrimonio, ai sensi dell’attuale comma 2o dell’art. 162 c.c. “le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo”, e quindi in epoca anteriore, coeva o successiva al matrimonio 5.

Esaminando in particolare l’oggetto della comunione degli utili e degli acquisti, così come configurato dall’art. 217, c.c. del 1942, si rileva che ricadevano immediatamente in comunione i frutti dei beni personali, presenti e futuri, dei coniugi, e gli acquisti effettuati dai coniugi durante la comunione, anche separatamente ed a qualunque titolo. La medesima disposizione configurava invece come personali a ciascun coniuge gli acquisti “derivanti da donazione o da successione, ovvero fatti col prezzo dell’alienazione della cosa già appartenente in proprio a uno dei coniugi, purché in quest’ultimo caso ciò risulti espressamente dall’atto di acquisto”.

Può così notarsi, comparando la precedente normativa con l’attuale art. 177 c.c., peraltro in tema di comunione legale, come la comunione fosse in apparenza più estesa nel codice del 1942, dove infatti includeva gli acquisti effettuati durante il matrimonio “a qualunque titolo” 6, nonché i frutti dei beni personali in via immediata e non solo residuale, come invece nell’attuale disciplina che peraltro assoggetta a comunione eventuale anche i proventi dell’attività separata dei coniugi, che ricadevano invece in comunione immediata nella previgente disciplina 7.

Sulla stessa linea, si evidenzia correlativamente che, quanto ai beni personali, l’elencazione contenuta nell’art. 179 riformato appare più nutrita rispetto alle previgenti previsioni, atteso che in essa compaiono, in aggiunta, i beni di titolarità di ciascun coniuge prima del matrimonio, i beni di uso strettamente personale, i beni destinati all’esercizio della professione ed i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno, nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa. D’altro canto, occorre peraltro mettere ancora una volta in luce lo spazio lasciato in tale ambito all’autonomia privata dall’attuale regime, alla cui stregua infatti, fra i beni personali, soltanto talune categorie sono previste inderogabilmente come tali ai sensi dello stesso art. 210, comma 2o, c.c., e precisamente quelle elencate alle lett. c), d), e), dell’art. 179 c.c., mentre le residue tipologie di beni personali, ivi compresi gli acquisti a titolo successorio e per donazione, che invece restavano personali ai sensi del precedente art. 217, possono formare oggetto di comunione, in forza di apposita convenzione stipulata dai coniugi a norma dell’art. 162 c.c.

In sintesi, l’ambito di autonomia dei coniugi nel tratteggiare l’oggetto della “comunione degli utili e degli acquisti”, se pure in apparenza valorizzato dall’espresso tenore dell’art. 216 previgente, che infatti collocava gli accordi fra gli sposi in primo piano rispetto alla disciplina della comunione in generale, destinata ad una funzione integrativa dei “patti speciali” posti in essere dai coniugi, veniva tuttavia “notevolmente compresso dal tenore imperativo del secondo comma del citato articolo (“ in ogni caso si osservano le disposizioni seguenti ”), nonché dalla rigorosa delimitazione e definizione dell’oggetto della comunione, stabilita dall’art. 215”: Lo Sardo, La comunione convenzionale, cit., 1214 ss., che rileva altresì come “l’unico spazio che si prospettava all’autoregolamentazione delle parti si delineava nella disciplina integrativa delle norme codicistiche, al cui difetto era destinato a supplire il rinvio automatico alle norme generali della comunione ordinaria (artt. 1100 ss.), contenuto nel primo comma, seconda parte, dell’art. 216, testo originario”. La maggiore autonomia riservata ai coniugi dalla normativa riformata consente agli stessi, nonostante la categoria dei beni personali sia più nutrita rispetto all’assetto previgente, di estendere la comunione entro i limiti negativi posti dall’art. 210 c.c., “cosicché la comunione convenzionale può oggi ricomprendere anche i beni che l’abrogato art. 217 attribuiva inderogabilmente al patrimonio personale dei singoli coniugi”: De Rubertis, La comunione convenzionale, cit., 13.

In tema di amministrazione e di ripartizione delle quote sui beni comuni, il legislatore del 1942, in linea con l’assetto gerarchico della comunità familiare, prevedeva all’art. 220 solo a favore del marito la facoltà di amministrare i beni della comunione, di percepirne e riscuoterne i frutti, e di stare in giudizio per le azioni riguardanti la medesima, mentre ai sensi dell’art. 222 l’amministrazione poteva essere affidata alla moglie soltanto temporaneamente, in caso di lontananza o di altro impedimento del marito, previa autorizzazione del Tribunale, che veniva concessa quando ne era ritenuta la necessità nell’interesse della comunione dei beni; d’altro canto, con riferimento alle quote di partecipazione agli utili, l’art. 219 ammetteva la possibile ripartizione degli stessi secondo quote disuguali, prevedendo pur tuttavia che la partecipazione di ciascun coniuge all’attivo della comunione dovesse coincidere con la sua partecipazione al passivo.

Mentre dunque, con riguardo all’amministrazione dei beni, non vi era alcuno spazio per l’autonomia dei coniugi, quest’ultima poteva invece esplicarsi con riguardo alla distribuzione degli utili ricavati dal godimento dei beni personali, ferma restando l’inderogabilità del c.d. “ divieto del patto leonino ” relativamente alla responsabilità per i debiti della comunione (Lo Sardo, La comunione convenzionale, cit., 1219 ss.).

La differenza — fatta eccezione per la necessaria ripartizione in parti uguali dell’attivo e del passivo, tuttora prevista all’art. 194, comma 1o, c.c. — è netta rispetto all’attuale normativa, che dispone invece all’art. 180 c.c., relativamente alla comunione legale, la paritetica amministrazione dei beni comuni da parte di entrambi i coniugi, nonché, all’art. 210, comma 3o, c.c., l’inderogabilità delle norme in tema di paritaria amministrazione dei beni comuni e di uguaglianza delle quote di titolarità relativamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione legale.

Quanto allo scioglimento della comunione, l’abrogato art. 225 prevedeva un numero di cause più esiguo rispetto all’attuale art. 191, in tema di comunione legale, la cui applicabilità alla comunione convenzionale è peraltro, come si vedrà 8, oggetto di discussione, anche sotto il profilo della pattizia estendibilità delle cause di scioglimento della comunione.

In tema di responsabilità dei beni comuni verso i terzi, a fronte delle precedenti previsioni di cui agli artt. 223 e 224, si registra ora, sempre in tema di comunione convenzionale, il solo art. 211, che come si è accennato si riferisce unicamente alle obbligazioni dei coniugi contratte prima del matrimonio, mentre la disciplina della comunione legale, che si propende a ritenere applicabile a quella convenzionale 9, ricomprende la ben più nutrita serie di artt. 186-190 c.c.

2. Autonomia della comunione convenzionale o regime legale modificato.

Si è già accennato che la comunione convenzionale occupa un’autonoma sezione del capo intitolato al regime patrimoniale della famiglia, e precisamente la quarta.

In particolare, l’art. 210 c.c., che la introduce, è rubricato “Modifiche convenzionali alla comunione legale dei beni”, e prevede, a fronte della possibilità dei coniugi di modificare il regime della comunione legale dei beni, anche una serie di limiti a detta facoltà, sia con riferimento al contenuto della convenzione modificativa, che con riguardo all’amministrazione dei beni comuni e alla ripartizione delle quote di titolarità degli stessi.

Proprio in considerazione di tale duplice inquadramento normativo, la dottrina, nel tentativo di individuare la natura giuridica della comunione convenzionale, si dibatte fra la tesi che la configura come regime giuridico autonomo rispetto alla comunione legale ed alla separazione dei beni 10, e quella che invece le attribuisce unicamente l’effetto di mitigare la rigidità del modello patrimoniale legale, delineando i confini entro i quali può spaziare l’autonomia privata dei coniugi nel modificare la comunione legale 11.

Gli Autori che sostengono l’autonomia della comunione convenzionale (Atlante, Il nuovo regime patrimoniale, cit., 6 ss.; De Paola-Macrì, La comunione convenzionale, cit., 219-220) fanno leva sul carattere suppletivo attribuito dal legislatore alla comunione legale, quale regime che opera soltanto in difetto di un diverso regime convenzionale. Si osserva infatti (Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., 73), con riferimento alla comunione convenzionale, che “non siamo necessariamente in presenza di un regime legale “ modificato ”…, ma di un regime aperto alle determinazioni dei coniugi”; di tal che, “l’art. 210 si limita a dire come esso non può essere, lasciando ai coniugi la libertà di pattuirne nel modo più vario il contenuto, entro le linee di confine che quei divieti vengono a determinare”. Archetipo della comunione convenzionale, quale regime patrimoniale di natura autonoma, sarebbe la c.d. comunione a partecipazione differita di tipo scandinavo e germanico, che prevede in costanza di matrimonio la separazione dei patrimoni ed il riconoscimento a ciascuno dei coniugi di un diritto sull’attivo patrimoniale dell’altro allo scioglimento del regime (ampiamente, De Paola-Macrì, La comunione convenzionale, cit., 225; Santosuosso, Della comunione, cit., 333).

Secondo le voci che invece propendono per la non autonomia della comunione convenzionale (Irti, sub artt. 210 e 211, cit., 454 ss.), il legislatore ha preferito disciplinare un solo tipo di comunione, lasciando alle parti unicamente la possibilità di modificare il regime della comunione legale dei beni; di tal che, “gli artt. 210 e 211 c.c. non disciplinano un regime autonomo che, in costanza di separazione dei beni, possa essere costituito dai coniugi”, bensì regolano soltanto i poteri di modificazione della comunione legale, “segnando così il limite del carattere imperativo delle norme contenute nella sezione III (art. 177 ss., c.c.)”. Si è ancora osservato (Alcaro-Sciumbata, La comunione convenzionale, cit., 59) che “lo scopo… della convenzione si concreta nel regolare in modo più o meno differente la comunione legale secondo gli intendimenti e le esigenze particolari dei soggetti”.

Conseguenza della prima posizione sarebbe la integrale sostituibilità della comunione legale da parte della comunione convenzionalmente pattuita fra i coniugi 12, negata dal secondo indirizzo, per il quale sarebbe infatti inammissibile la compresenza di un regime di separazione dei beni e di una comunione limitata ad alcuni beni 13.

Inappagante si rivela, agli effetti qualificatori, il ricorso al criterio testuale, dal momento che gli spunti ricavabili dal dato normativo depongono sia nell’uno che nell’altro senso 14.

In particolare, significativa nel senso dell’autonomia viene ritenuta la collocazione della comunione convenzionale nell’ambito del capo VI del libro I, dedicato al regime patrimoniale della famiglia, la cui disposizione introduttiva (art. 159) afferma la natura suppletiva della comunione legale, quale regime che infatti opererebbe soltanto in mancanza di diversa e distinta convenzione stipulata ai sensi dell’art. 162 c.c. 15; ancora, nello stesso senso deporrebbe anche la intitolazione della quarta sezione specificamente alla comunione convenzionale, come pure la formulazione del comma 2o dell’art. 210, che si riferisce infatti espressamente alla comunione convenzionale per se stessa considerata, nonché la forma condizionale utilizzata nel terzo comma della disposizione, che rievoca la sussistenza di una comunione fondata sull’accordo dei coniugi anziché sulla legge 16. Ancora, nell’ambito della medesima impostazione, si afferma che lo stesso richiamo operato dall’art. 210 al disposto dell’art. 161 c.c., per il quale gli sposi non possono atteggiare i loro rapporti patrimoniali mediante un generico rinvio a leggi alle quali non sono sottoposti o agli usi, dovendo bensì enunciare concretamente il contenuto delle pattuizioni che intendono adottare, costituirebbe un aggancio testuale nel senso dell’autonomia della comunione convenzionale rispetto a quella legale, che l’art. 161 in commento consentirebbe infatti di sostituire integralmente con un regime comunitario “di fonte interamente pattizia, che risulti dal contemperamento più vario dei due modelli di comunione legale e di separazione dei beni legalmente disciplinati” 17.

A favore della semplice portata modificativa della comunione legale sembrerebbero invece condurre, oltre la rubrica dell’art. 210, che infatti recita “modifiche convenzionali alla comunione legale dei beni”, anche l’analogo tenore del comma 1o della disposizione, nonché il disposto dell’art. 211, che, nel riferirsi ai beni di proprietà del singolo coniuge prima del matrimonio che sono entrati a far parte della comunione, sembrerebbe sottendere l’ampliamento della comunione legale già esistente fra i coniugi 18.

Si registra altresì una posizione intermedia 19, secondo cui, oltre ai numerosi spunti testuali cui si è accennato, andrebbe valorizzato l’ampio spazio di autonomia riconosciuto ai coniugi dal legislatore, che ha infatti previsto che la comunione legale trovi applicazione soltanto in difetto di una diversa volontà dai medesimi espressa. Con la conseguenza che, non soltanto sarebbe configurabile una comunione convenzionale dotata di autonomia, ma sarebbero altresì da ammettersi convenzioni matrimoniali atipiche, differenti quindi dai modelli codificati dal legislatore della riforma 20.

Sempre secondo l’orientamento in rassegna, pertanto, una comunione patrimoniale fra coniugi, di natura autonoma e di fonte convenzionale, sarebbe da rinvenirsi tutte le volte che le clausole volute dai coniugi si discostino in maniera incisiva e radicale rispetto alla disciplina della comunione legale, mentre in caso di modifiche al regime legale di rilevanza non apprezzabile, la fonte della disciplina resterebbe sostanzialmente quella legale, con i temperamenti previsti dai coniugi 21.

Secondo l’opinione in commento (Santosuosso, Della comunione, cit., 331), la ritenuta possibile atipicità delle convenzioni matrimoniali renderebbe ipotizzabili anche commistioni fra diversi regimi, ma sempre nell’ambito dei limiti generali di cui agli artt. 160, 161 e 168, e di quelli particolari previsti dai commi 2o e 3o dell’art. 210 c.c. Sulla possibilità per i coniugi di porre in essere convenzioni atipiche o miste, si vedano, fra gli altri, Quadri, Della comunione convenzionale, cit., 395, che richiama peraltro l’attenzione sulla necessità che i coniugi evitino di dar vita a regimi patrimoniali contraddittori; Confortini, La comunione convenzionale, cit., 295, che fa leva sull’autonomia contrattuale prevista dall’art. 1322 c.c.; Corsi, La comunione convenzionale, cit., p. 74, per il quale “l’adozione di regimi atipici ha modo di estrinsecarsi essenzialmente tramite la comunione convenzionale”; Barassi, Rapporti patrimoniali fra coniugi – Il nuovo regime legale e i suoi rapporti con i regimi convenzionali – La comunione convenzionale, ne Il nuovo diritto di famiglia – Contributi notarili, cit., 538, che esprime perplessità circa la configurabilità di regimi misti, quale potrebbe essere ad esempio la previsione da parte dei coniugi che i beni immobili siano comuni ed i mobili restino personali, mentre è favorevole all’apponibilità di termini o condizioni; Russo, L’autonomia privata nella stipulazione di convenzioni matrimoniali, in Vita not., 1982, 488 ss., spec. 504, per il quale “la comunione convenzionale è una convenzione tipica quanto al genere, e atipica, per definizione, quanto al contenuto”; nonché 508-509, ove l’Autore ipotizza come ammissibile il caso in cui i coniugi, che vogliano la comunione ma vogliano altresì determinarne liberamente il contenuto, scelgano il regime di separazione dei beni ed al contempo articolino le clausole del regime patrimoniale prescelto in modo analitico, ai sensi dell’art. 161 c.c. In tal caso, si porrebbe in essere una separazione dei beni complessa, “nella quale sarebbe logicamente distinguibile una “ scelta ” preclusiva dell’ingresso della comunione legale, da una regolamentazione del regime di separazione dei beni, con la posizione di analitiche regole pattizie. Tali regole possono prevedere un libero regime di comunione, il quale avrà, peraltro, come quadro di riferimento, i principi della separazione dei beni, anziché quelli della comunione legale dei beni. Si pone, peraltro, il problema di una eventuale frode alla legge e cioè alle regole di cui all’art. 210 c.c. Si vedano infine le osservazioni di Corsi, La comunione convenzionale, cit., 75 ss., per il quale “l’art. 210 delinea (in negativo) i confini della comunione convenzionale, non ne indica (in positivo) il contenuto”; di tal che, la norma lascerebbe aperto il campo a regolamenti totalmente diversi dalla comunione legale, legittimi quando non contrastanti con quelle specifiche disposizioni inderogabili, senza d’altro canto che queste ultime entrino necessariamente a far parte del contenuto della convenzione; alle 76-77, inoltre, l’A. ipotizza, elencando una serie di clausole, il possibile contenuto di una convenzione atipica, sostitutiva del regime legale.

La scelta fra le varie impostazioni in tema di natura giuridica della comunione convenzionale non appare questione meramente teorica, bensì di rilevante portata sotto il profilo della disciplina applicabile. In caso di ritenuta autonomia, infatti, l’assetto comunitario concertato dai coniugi sarebbe dotato di peculiare efficacia, mentre il regime legale verrebbe in questione solo se ed in quanto espressamente richiamato, e non per forza propria. In ipotesi di lacune nella regolamentazione delle parti, inoltre, si prospetterebbe l’eventuale applicabilità della disciplina sulla comunione in generale 22, e non la semplice interpretazione estensiva delle regole dettate per la comunione legale 23.

Ove invece si accogliesse la teoria della esplicazione, da parte della comunione convenzionale, di un’efficacia semplicemente derogatoria della comunione legale, gli effetti della comunione legale opererebbero automaticamente 24 ad integrazione di eventuali lacune, a meno che non risulti un’espressa volontà contraria dei coniugi 25.

Il tema dell’integrazione delle possibili lacune del contenuto contrattuale appare collegato all’ipotesi del venir meno di singole previsioni dei coniugi, a causa dell’invalidità delle stesse per eventuale contrarietà rispetto ai divieti di cui all’art. 210 c.c., con l’esigenza, anche in tal caso, di colmare il vuoto determinatosi.

A tal riguardo, viene in rilievo l’art. 1419 c.c., in tema di nullità parziale, in entrambi i suoi commi.

Si ritiene infatti 26 che l’adesione alla tesi dell’autonomia porterebbe ad applicare il disposto del primo comma, alla cui stregua occorrerebbe ricercare la volontà oggettivata dai coniugi e quindi, al fine di determinare se la comunione convenzionale sia integralmente o solo parzialmente nulla, ricostruire se i coniugi stessi avrebbero ugualmente voluto l’assetto concertato se avessero conosciuto l’invalidità della singola clausola. Conseguentemente, in caso di ritenuta nullità parziale, si rientrerebbe nella fattispecie precedentemente esaminata in tema di lacune, con applicabilità quindi del regime patrimoniale legale solo su espresso richiamo dello stesso da parte dei coniugi; in difetto di che, si è ipotizzata l’operatività delle norme in tema di comunione ordinaria 27. Diversamente, in ipotesi di ritenuta non autonomia della comunione, si afferma che opererebbe il comma 2o dell’art. 1419 c.c. 28, e quindi l’inserzione automatica delle previsioni in tema di comunione legale, in sostituzione delle clausole invalide 29.

3. I limiti all’autonomia privata dei coniugi nella determinazione del contenuto della comunione convenzionale 30.

Quanto ai limiti che circoscrivono l’autonomia dei coniugi nell’atteggiare il contenuto della comunione convenzionale, si suole distinguere fra limiti di carattere generale, concernenti indifferentemente ogni tipo di convenzione matrimoniale, e limiti peculiari alla comunione convenzionale 31.

In ordine ai primi, viene innanzitutto in rilievo l’art. 160 c.c., che sancisce in generale il divieto di derogare convenzionalmente alle norme in tema di diritti e doveri matrimoniali (art. 143 ss, c.c.) 32. Disposizione che si riferisce in primo luogo al regime patrimoniale primario, e quindi ai paritetici doveri di contribuzione e di assistenza materiale, come pure al dovere di ricercare l’accordo in tema di decisioni in merito all’indirizzo economico della famiglia, ma che non esclude dal divieto di deroga neppure i doveri coniugali di contenuto più strettamente personale, quali quelli di fedeltà, assistenza morale, collaborazione e coabitazione, nella misura in cui detti obblighi possano risultare violati da una particolare configurazione convenzionalmente attribuita dai coniugi ai reciproci assetti patrimoniali 33.

Viene poi in considerazione l’art. 161 c.c., peraltro richiamato anche dall’art. 210, comma 1o, c.c., in tema di comunione convenzionale, che infatti, collocato nell’ambito delle disposizioni generali in tema di regime patrimoniale della famiglia e riferito ai regimi pattizi derogatori rispetto alla comunione legale, vieta ai coniugi di configurare il contenuto della comunione attraverso il generico richiamo a disposizioni alle quali non sono sottoposti od agli usi, imponendo bensì di esplicitare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali i coniugi stessi intendono derogare al regime legale nel disciplinare i loro rapporti patrimoniali 34. Previsione che configurerebbe quindi per i coniugi l’alternativa fra l’adozione in blocco di uno dei regimi codificati, ovvero la puntuale enunciazione di tutte le regole destinate a disciplinare i loro rapporti patrimoniali, se di contenuto diverso da quelle previste dalla legge 35. Se ne è dedotto che i coniugi potrebbero richiamare per relationem le sole norme nazionali, mentre sarebbero tenuti ad indicare in maniera specifica le disposizioni straniere che eventualmente intendano adottare per regolare il regime patrimoniale 36.

Sempre in tema di limiti generali, da ultimo l’art. 166 bis, c.c., sanziona con la nullità ogni convenzione che tenda in ogni modo alla costituzione di beni in dote, e quindi a configurare posizioni di privilegio a favore di un coniuge 37.

Con specifico riguardo all’oggetto della comunione convenzionale, l’art. 210 c.c., al comma 2o, fissa ulteriori limiti all’autonomia privata, prevedendo infatti il divieto di mettere in comunione le categorie di beni individuate, nell’ambito della disciplina dedicata alla comunione legale, dalle lettere c), d), ed e) dell’art. 179 c.c., in tema di beni personali. Trattasi, al riguardo, di beni tutti strettamente legati alla sfera individuale del coniuge 38, quali appunto i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori, i beni destinati all’esercizio dell’attività professionale di ciascun coniuge, eccettuati quelli strumentali alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione, nonché i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno e la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa 39.

Di qui, da un lato, l’esclusione della possibilità di realizzare una comunione universale dei beni 40, e dall’altro, la possibile estensione pattizia della comunione alle residue categorie di beni personali elencate nell’art. 179 c.c., quali i beni di titolarità di ciascun coniuge anteriormente al matrimonio o sui quali era titolare di un diritto reale di godimento (lett. a); i beni acquistati successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione (lett. b); i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali o con il loro scambio (lett. f).

Al comma 3o dell’art. 210 è inoltre prevista l’inderogabilità delle norme della comunione legale in tema di amministrazione dei beni comuni e di uguaglianza delle quote 41 limitatamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione legale. Disposizione che viene da taluni 42 interpretata nel senso che la limitazione ai beni che, in difetto di diversa pattuizione, sarebbero ricaduti in comunione legale riguarderebbe il solo principio di uguaglianza delle quote di titolarità dei beni stessi, e che quindi, mentre relativamente ai cespiti che esulano dall’elencazione di cui all’art. 177 c.c. i coniugi potrebbero pattuire differenti quote di titolarità, le regole in tema di amministrazione, ivi compreso il principio di parità fra i coniugi, varrebbero imperativamente per tutti i beni oggetto di comunione convenzionale 43. Da altri 44 viene invece valorizzato il dato letterale, per cui l’inderogabilità sarebbe circoscritta ai beni che formerebbero oggetto di comunione, sia per quanto concerne la titolarità delle quote, che relativamente ai poteri di amministrazione.

Le norme inderogabili cui si fa riferimento sono, in tema di amministrazione, gli artt. 180-184 c.c., e in ordine alla uguaglianza delle quote, le norme in tema di divisione, di cui agli artt. 194-197 c.c. 45.

Ulteriori limiti all’autonomia privata vengono ravvisati nella disciplina della comunione legale in tema di responsabilità dei beni comuni (artt. 186-190 c.c.) 46, che, in quanto dettata a tutela di interessi di terzi estranei alla famiglia, si ritiene applicabile anche in mancanza di uno specifico richiamo da parte della scarna normativa in tema di comunione convenzionale, che infatti dedica a tale tematica un’unica disposizione, l’art. 211 c.c., peraltro concernente un profilo circoscritto, come si avrà modo di approfondire nell’ultimo paragrafo 47.

L’orientamento contrario alla derogabilità della disciplina di cui agli artt. 186 ss. c.c. è nettamente prevalente. Si afferma infatti (Lo Sardo, La comunione convenzionale, cit., 1246) che “lo scopo delle citate norme è rappresentato dalla tutela delle ragioni dei creditori, differenziata in base al carattere personale o coniugale del titolo costitutivo delle singole obbligazioni”, ragion per cui “la preminenza accordata dal sistema giuridico alle ragioni dei creditori esclude ex se l’ammissibilità e la legittimità di una convenzione derogativa o, addirittura, abrogativa che… deve considerarsi radicalmente nulla per violazione di una norma imperativa, ex art. 1418, comma 1o”. Si eccepisce, al riguardo, che l’esclusione convenzionale, da parte dei coniugi, dell’operatività del comma 2o dell’art. 189 c.c., e quindi la preclusione al creditore personale di uno dei coniugi, per un credito sorto anteriormente al matrimonio, di potersi soddisfare in via sussidiaria sui beni della comunione fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, non farebbe altro che fortificare l’autonomia patrimoniale della comunione, del tutto in linea con il vincolo di indisponibilità impresso dalla legge sui beni oggetto di comunione legale (Ghiretti, Convenzioni matrimoniali che limitano la disponibilità dei beni pignorati, in Riv. not., 1978, 583 ss.). A tali argomenti si oppongono coloro (A.-M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, 1984, 1201; Corsi, La comunione, cit., 74; Cian-Villani, La comunione dei beni, cit., 408; tutti richiamati da Lo Sardo, La comunione convenzionale, cit., 1247, spec. nt. 80) che ritengono che una convenzione di tale portata sarebbe radicalmente nulla per contrarietà all’art. 2740 c.c., in forza del quale “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”, e “le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”.

Ancora, in dottrina l’orientamento è pressoché univoco nel senso della configurabilità, quale limite implicito inderogabile, delle disposizioni sullo scioglimento della comunione previste agli artt. 191-193 c.c., con particolare riguardo alle cause di scioglimento, che si tende a ritenere applicabili anche alla comunione convenzionale in ragione della ritenuta operatività ex lege delle fattispecie previste dall’art. 191 c.c. 48. A tal proposito, si pongono comunque talune problematiche, rappresentate principalmente, da un lato, dalla possibilità o meno di configurare cause di scioglimento ulteriori rispetto a quelle codificate, e dall’altro, dall’eventuale facoltà dei coniugi di convenire l’inoperatività di alcuna delle cause previste dalla legge 49.

In ordine al primo aspetto, si registrano opinioni sia nel senso della tassatività dei presupposti di scioglimento della comunione previsti dalla legge 50, sia a favore del possibile dispiegarsi a tal riguardo dell’autonomia privata, in forza della quale i coniugi potrebbero infatti introdurre cause di scioglimento della comunione non tipizzate, fra le quali, ad esempio, l’interdizione e l’inabilitazione, la separazione di fatto o l’abbandono della casa coniugale 51, e comunque circostanze di natura oggettivamente accertabile 52, purché sia fatta salva l’esigenza di assicurare ai terzi adeguata pubblicità circa il loro verificarsi 53.

Circa la possibilità per i coniugi di prevedere cause di scioglimento ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge, merita di essere segnalata la posizione critica di Paladini, La comunione convenzionale, cit., 471, per il quale, in tal caso, si attuerebbe necessariamente il passaggio dal regime di comunione a quello di separazione dei beni, effetto che può verificarsi soltanto in forza di una convenzione matrimoniale, di tal che “una siffatta previsione altro non sarebbe che una convenzione di passaggio dalla comunione alla separazione dei beni sospensivamente condizionata all’evento tipizzato dalle parti”, rientrando quindi nella figura di scioglimento della comunione per “mutamento convenzionale del regime patrimoniale”, prevista dall’art. 191, comma 1o, c.c.

D’altro canto, sulla possibilità per i coniugi di escludere l’applicabilità di alcuna fra le cause di scioglimento tipizzate, si afferma da taluno che, mentre non sarebbe ammissibile l’esclusione di cause di scioglimento della comunione fondate sul venir meno del rapporto coniugale, quali la morte presunta, l’annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, sarebbe invece possibile convenire il perdurare della comunione dei beni nonostante l’avvenuta separazione personale 54. Altri ancora 55 sostengono che non sarebbero escludibili, quali cause di scioglimento della comunione, né il fallimento di uno dei coniugi, in quanto causa prevista a tutela di interessi anche di terzi, né la separazione giudiziale dei beni, i cui presupposti di pronunziabilità (art. 193 c.c.) risulterebbero incompatibili con la possibilità di convenire il permanere della comunione dei beni nonostante il verificarsi dei presupposti stessi 56.

La nettamente prevalente posizione contraria alla possibile esclusione convenzionale dell’applicabilità di alcune delle cause di scioglimento previste dalla legge, argomenta essenzialmente sulla ritenuta operatività ex lege delle fattispecie di cui all’art. 191 c.c., “che spezzano irrimediabilmente il presupposto essenziale di applicazione del regime di comunione (legale o convenzionale), con il venir meno delle condizioni di fatto (coesistenza, quanto meno presunta, dei coniugi), come nel caso di morte ovvero di dichiarazione di morte presunta o di assenza…, ovvero delle condizioni di diritto, siano esse consustanziali al vincolo matrimoniale ed alla convivenza coniugale (nullità o annullamento del matrimonio, divorzio, separazione personale) ovvero indipendenti dal legame matrimoniale, ma incidenti, per fattori esterni, sul regolamento patrimoniale della famiglia (separazione giudiziale dei beni, fallimento, mutamento convenzionale del regime di comunione), previamente accertato mediante apposito provvedimento dell’autorità giudiziaria”: Lo Sardo, La comunione convenzionale, cit., 1241 ss. A fronte di ciò, deve tuttavia darsi atto della tesi di Barbiera, La comunione legale, in Tratt. Rescigno, vol. 3, tomo II, Utet, 1982, 507 ss., che ammette che i coniugi possano convenzionalmente escludere l’operatività, quale causa tipica di scioglimento della comunione ex art. 191 c.c., dell’annullamento del matrimonio, qualora lo stesso non sia chiesto da uno dei coniugi e quindi non si accompagni alla rottura della convivenza; “ciò, sul presupposto che (come riferisce De Rubertis, La comunione convenzionale, cit., 57) tra convivenza coniugale ed effetti del matrimonio, compresi quelli patrimoniali, esiste un nesso di ordine pubblico, per cui, un patto volto ad escludere l’operatività di una causa di scioglimento fondata sul venir meno della convivenza deve considerarsi nullo per illiceità”.

Si registra infine, sul punto, una differente e intermedia posizione 57, che, nell’affermare la tassatività delle cause di scioglimento nel contesto della comunione legale, di tal che sarebbe inammissibile un patto diretto a modificare unicamente il regime delle cause di scioglimento della comunione, ritiene tuttavia configurabile detta pattuizione nell’ambito di una più ampia convenzione avente complessivamente ad oggetto la regolamentazione da parte dei coniugi degli assetti patrimoniali della famiglia, in deroga al regime legale 58.

4. Convenzioni che ampliano l’oggetto della comunione legale.

Nel paragrafo che precede si sono tratteggiati i confini entro i quali all’autonomia privata dei coniugi è concesso di spaziare nel configurare un regime di comunione dei beni diverso da quello legale.

Con particolare riguardo alle tipologie di beni che possono formare oggetto della comunione, si è visto che il legislatore all’art. 210, comma 2o, c.c., nel circoscrivere l’inderogabilità dell’art. 179 c.c. ai beni strettamente attinenti alla piena esplicazione della personalità dei coniugi (c.d. personalissimi), e quindi a quelli indicati alle lett. c), d) ed e), ha implicitamente ammesso la possibilità di ampliare il contenuto della comunione legale, ricomprendendovi convenzionalmente le categorie di beni personali residue rispetto a quelle testè elencate 59.

È quindi pienamente ammissibile una comunione convenzionale avente ad oggetto i beni che erano di titolarità esclusiva di ciascun coniuge prima del matrimonio o rispetto ai quali il medesimo era titolare di un diritto reale di godimento (art. 179, lett. a) 60.

Al riguardo, si segnala Lo Sardo, La comunione convenzionale, cit., 1251 ss., che dopo aver richiamato gli Autori nel senso della natura programmatica e normativa delle convenzioni matrimoniali, in quanto volte a disciplinare l’assetto di eventuali futuri acquisti, dà peraltro atto delle opinioni che configurano la messa in comunione dei beni di cui alla lett. a) dell’art. 179 c.c., quale combinazione di due atti negoziali, e cioè: una convenzione matrimoniale a contenuto programmatico, ed un atto dispositivo a titolo gratuito (liberalità non donativa, soggetta alle norme in tema di donazione indiretta), avente ad oggetto i beni altrimenti personali dei singoli coniugi. A favore della possibilità di ricomprendere in comunione beni che erano di titolarità esclusiva del singolo coniuge prima del matrimonio viene richiamato altresì (De Paola-Macrì, La comunione convenzionale, cit., 221; Lo Sardo, La comunione convenzionale, cit., 1255) lo stesso tenore dell’art. 211 c.c.,che si riferisce infatti espressamente ai “beni di proprietà del coniuge stesso prima del matrimonio che, in base a convenzione stipulata a norma dell’art. 162, sono entrati a far parte della comunione dei beni”. Si veda infine Paladini, La comunione convenzionale, cit., 465, nonché gli AA. dallo stesso richiamati alla nota 17, nel senso che “la convenzione estensiva dell’oggetto della comunione può concernere anche singoli beni determinati, piuttosto che l’universalità di quelli appartenenti alla categoria”; in tal caso, sempre secondo Paladini, la convenzione non avrebbe comunque natura traslativa in ordine alla titolarità dei beni di cui dispone, bensì produrrebbe il semplice effetto di “sottoporre i beni stessi alle regole di amministrazione e responsabilità…previste per la comunione legale, nonché all’imputazione nella massa patrimoniale comune in caso di scioglimento”.

Ancora, la comunione convenzionale può avere altresì ad oggetto i beni acquistati da ciascun coniuge successivamente al matrimonio a titolo di liberalità o per successione (art. 179, lett. b) 61.

In ordine alla categoria di beni in commento, si pone peraltro la questione se l’inclusione in comunione dei beni acquistati per donazione o per successione configuri violazione del divieto di donazione di beni futuri, di cui all’art. 771 c.c., ovvero del divieto di patti successori previsto dall’art. 458 c.c.. La tematica viene affrontata con ampi riferimenti da Confortini, La comunione convenzionale, cit., 306 ss., per il quale occorre distinguere fra acquisti a titolo di liberalità e acquisti mortis causa: quanto ai primi, non vi sarebbe una violazione dell’art. 771 c.c., in quanto l’atto di destinazione del bene in comunione avrebbe ad oggetto una donazione futura e non un bene futuro, mentre più problematico resterebbe il profilo relativo all’art. 458 c.c., che infatti, nel sanzionare di nullità ogni atto con il quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, sembra coinvolgere direttamente anche le convenzioni matrimoniali che immettano in comunione i beni rivenienti da successioni future. Secondo Paladini, La comunione convenzionale, cit., 466, invece, una convenzione che immettesse in comunione i beni di cui alla lett. b) dell’art. 179 c.c. avrebbe come effetto, non certo quello di instaurare sui beni stessi la contitolarità dell’altro coniuge in misura del 50%, bensì unicamente quello di assoggettare automaticamente i beni acquisiti al patrimonio di uno dei coniugi per effetto di donazione o successione al regime di comunione e quindi alle norme in tema di amministrazione, responsabilità, e divisione conseguente allo scioglimento; ragion per cui, nessuno dei divieti di cui agli artt. 458 e 771 c.c. verrebbe in rilievo. Più in generale, sulla possibilità di immettere in comunione beni futuri, si richiama Lo Sardo, La comunione convenzionale, cit., 1253, che, dopo aver passato in rassegna le opinioni nell’uno e nell’altro senso, propende per l’affermativa. In senso contrario si esprimono invece Alcaro-Sciumbata, La comunione convenzionale, cit., 65, che configurano l’immissione in comunione di beni futuri, ove la stessa non sia connotata da reciprocità, come atto vietato ai sensi degli artt. 771 e 458 c.c.

Possono inoltre formare oggetto di comunione convenzionale anche i beni acquistati con il prezzo del trasferimento di altri beni personali o con il loro scambio (art. 179, lett. f), eccettuati i beni acquistati con il prezzo del trasferimento o con lo scambio dei beni personalissimi di cui sopra 62.

Altra categoria di beni che la dottrina ritiene possa essere convenzionalmente inclusa nella comunione, con effetto immediato a decorrere dal loro acquisto, è rappresentata dai beni che normalmente, ai sensi dell’art. 177 c.c., lett. b) e c), sono oggetto di comunione soltanto de residuo, e quindi solo nei limiti in cui effettivamente sussistano al momento dello scioglimento della comunione dei beni per una delle cause di cui all’art. 191 c.c. L’indirizzo prevalente, al riguardo, è infatti nel senso che, mancando disposizioni normative contrarie ad una simile pattuizione, la previsione all’art. 143 c.c. del paritetico obbligo di contribuzione e collaborazione fondi la piena ammissibilità di un accordo avente ad oggetto la rinuncia dei coniugi alla facoltà di disporre autonomamente dei frutti dei beni personali e dei proventi della propria attività separata, attribuendoli in via immediata alla comunione 63.

Per i beni in questione, inoltre, non opererebbe il divieto, previsto dal comma 3o dell’art. 210 c.c., di derogare alle norme in tema di amministrazione e di uguaglianza delle quote, in quanto non si tratta di beni altrimenti destinati ad entrare in comunione legale, bensì di beni che allo scioglimento della comunione legale formerebbero oggetto di comunione ordinaria, in cui il principio di uguaglianza delle quote può essere derogato 64.

Quanto poi all’ipotesi di comunione residuale prevista all’art. 178 c.c., avente ad oggetto i beni destinati all’esercizio di impresa, la dottrina nega la possibilità di ricomprenderli convenzionalmente in comunione immediata, atteso che gli stessi sarebbero strettamente da ricollegarsi alla piena esplicazione dell’autonomia del singolo coniuge nell’attività economica, in relazione alla quale, per di più, si configurerebbe una difficile conciliabilità dei vincoli in tema di amministrazione dei beni comuni con la libertà di iniziativa economica 65.

Come sopra rilevato, ai sensi dell’art. 210, comma 2o, c.c., non è ammissibile una convenzione che programmaticamente includa in comunione i beni più strettamente pertinenti alla persona del singolo coniuge, vale a dire i beni individuati alle lett. c), d), e) dell’art. 179 c.c.

Si ritiene tuttavia in dottrina che detti beni possano essere ricompresi convenzionalmente in comunione ex post, ovverosia a seguito del loro effettivo acquisto e con un apposito atto di disposizione sorretto, a seconda dei casi, da una causa di scambio o di liberalità 66. Il divieto di cui al comma 2o dell’art. 210 c.c. avrebbe quindi unicamente ad oggetto “la rinuncia dei coniugi ad ogni futura titolarità dei beni ricordati, mentre sarebbe da considerare ad esso estraneo il conferimento alla comunione di beni appartenenti alle stesse categorie, se già presenti nel patrimonio dei coniugi” 67. La comunione convenzionale potrebbe così conservare il proprio contenuto programmatico 68 per il futuro, con riguardo ai beni diversi dalle categorie individuate alle lett. c), d), e) dell’art. 179 c.c., mentre avrebbe natura dispositiva per la parte avente ad oggetto la messa in comunione del singolo bene personale già acquisito, rientrante nelle predette categorie 69.

Si afferma in dottrina (Quadri, Della comunione convenzionale, cit., 399) che una conferma dell’assunto sarebbe rinvenibile nello stesso ultimo comma dell’art. 179 c.c., alla cui stregua, in mancanza delle formalità ivi previste, ricadrebbero in comunione anche beni rientranti nelle categorie di cui alle lett. c) e d) dello stesso articolo; la qual cosa deporrebbe nel senso dell’ammissibilità di una decisione del coniuge titolare, che specificamente includa in comunione i predetti beni già acquisiti. La tesi viene criticata da Paladini, La comunione convenzionale, cit., 464, per il quale infatti “la natura e la struttura della comunione tra coniugi (legale e, quindi, anche convenzionale) inducono ad escludere che i beni che ne fanno parte costituiscano un autonomo centro di imputazione patrimoniale, in favore del quale i singoli coniugi possano compiere atti di disposizione”, di tal che “gli unici atti di disposizione, che i coniugi possono compiere, aventi ad oggetto tali beni, consistono…nel trasferimento del diritto dal coniuge-titolare in favore dell’altro o nella costituzione, su bene già in proprietà esclusiva, di una contitolarità ordinaria (art. 1100 c.c.)”; in entrambi i casi si tratterebbe, peraltro, secondo l’A., non di un trasferimento del bene in favore della comunione legale, bensì di un acquisto ordinario, che ricadrebbe in comunione legale in forza dell’automatica operatività dell’art. 177, lett. a). L’ammissibilità di singoli atti di disposizione aventi ad oggetto i beni “personalissimi” di cui trattasi sarebbe inoltre per Paladini da escludersi anche alla luce della ratio del divieto di cui all’art. 210, comma 2o, c.c., vale a dire quella di garantire a ciascun coniuge un nucleo di beni assolutamente personali al momento dello scioglimento della comunione.

Sempre con riferimento all’ipotesi di ampliamento convenzionale dell’oggetto della comunione, si pone il problema di un’eventuale attribuibilità non paritetica sia delle quote di titolarità, che dei poteri di amministrazione sui beni destinati appunto ad implementare il contenuto della comunione legale, questione risolta dalla dottrina in senso affermativo 70, in applicazione dell’art. 210, comma 3o, c.c., che infatti limita ai beni che normalmente formano oggetto della comunione legale i principi in tema di amministrazione paritaria e di uguaglianza delle quote.

5. Convenzioni che riducono l’oggetto della comunione legale.

Appare prevalente in dottrina la tesi favorevole alla possibilità di restringere convenzionalmente il contenuto della comunione rispetto a quanto previsto dall’art. 177, in tema di comunione legale 71. A conferma dell’assunto, viene infatti richiamato l’art. 2647, comma 1o, c.c., che espressamente prevede la trascrizione delle convenzioni matrimoniali che escludono i beni immobili dalla comunione tra i coniugi 72, e che sembra contemplare, sia l’ipotesi dell’esclusione a priori di un bene dalla comunione, sia — con particolare riguardo al comma 2o — l’estromissione dalla stessa di un bene già entratovi 73; ipotesi applicativa di quest’ultima sarebbe rappresentata dalla previsione dell’art. 191, comma 2o, c.c., in tema di scioglimento convenzionale della comunione con riguardo alle aziende comuni ex art. 177, lett d), in quanto gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. Viene inoltre invocata, a sostegno della tesi favorevole alla possibile riduzione convenzionale dell’oggetto della comunione legale, la stessa possibilità per i coniugi, ai sensi dell’art. 215 c.c., di prescegliere la separazione dei beni, e così di escludere del tutto l’operare della comunione, possibilità che farebbe quindi salva, a maggior ragione, la facoltà dei coniugi stessi di convenire fra loro una comunione limitata a specifici beni 74.

Nonostante i richiamati spunti normativi, si registra peraltro anche un indirizzo contrario alla possibilità di ridurre pattiziamente l’ambito oggettivo della comunione legale (De Rubertis, Pubblicità immobiliare e rapporti patrimoniali tra coniugi, in Vita not., 1984, 132 ss.; Barassi, La comunione convenzionale, cit., 531; Giacobbe, L’attività notarile di fronte alla nuova legge sul diritto di famiglia, in Riv. not., 1975, 828; Barbiera, La comunione legale, in Tratt. Rescigno, vol. 3, tomo II, Utet, 1982, 413 e 509; Rescigno, Riconciliazione dei coniugi e regime patrimoniale, in Dir. giur., 1986, 515; Bonilini, Nozioni di diritto di famiglia, Torino, 1987, 80), sull’assunto che la convenzione riduttiva si risolverebbe nella violazione dell’art. 210, comma 3o, c.c., che prevede l’inderogabilità dei principi in tema di uguaglianza delle quote limitatamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione legale. Posizione che viene tuttavia criticata (A.-M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, cit., 1199), sul rilievo che detto principio non comporterebbe l’inderogabilità dell’art. 177 c.c., bensì quella dell’art. 194 c.c., con conseguente inammissibilità di una divisione dei beni della comunione che si realizzi attraverso l’attribuzione di quote diseguali; peraltro, in ipotesi di regime intermedio fra la separazione e la comunione legale, che quindi includa in comunione solo parte dei beni che per legge vi sarebbero ricompresi, resterebbe ferma la necessità di rispettare per tali beni le regole in tema di amministrazione e di uguaglianza delle quote (Quadri, Della comunione convenzionale, cit., 403, spec. note 74-76). Con specifico riguardo alla estromissione dalla comunione di singoli beni nella stessa già ricompresi, inoltre, la natura immediatamente dispositiva di tale atto porterebbe ad escludere l’applicabilità del limite previsto dal 3 comma dell’art. 210 c.c., che varrebbe infatti per le sole convenzioni matrimoniali, come tali connotate dal carattere programmatico per il futuro (Quadri, Della comunione convenzionale, cit., 404, spec. nota 82). Sempre in merito all’estromissione, si registra peraltro la tesi nel senso dell’ammissibilità di convenzioni volte ad escludere ex ante dalla comunione intere categorie di beni, ma non di convenzioni che ne escludano ex post beni già entrativi e che verrebbero a svuotare di contenuto la comunione legale (Zaccaria, La pubblicità, cit., 439; Laurini, L’esclusione parziale dalla comunione legale, in Riv. not., 1985, I, 1072; Barbiera, La comunione legale, cit., 510; tutti richiamati da Montesano, Rifiuto del coacquisto, cit., LXXVIII-XCV, che critica la tesi, facendo propri gli argomenti di Falcone, Scioglimento parziale della comunione legale fra coniugi, estromissione di un singolo bene e rapporto con la pubblicità legale, in Riv. not., 1987, 698, secondo il quale lo svuotamento della comunione legale sarebbe impedito dalla natura non programmatica dei singoli atti di esclusione dei beni dalla comunione, che non avrebbero infatti come tali portata modificativa del regime patrimoniale di comunione legale).

La convenzione riduttiva della comunione legale, in quanto non implica mutamento del regime patrimoniale, non determina uno scioglimento parziale della comunione legale, l’unico caso essendo appunto rappresentato dall’ipotesi della azienda coniugale, alla stregua dell’art. 191, comma 2o, c.c. 75.

Ci si chiede se i coniugi possano di comune accordo escludere dalla comunione i beni che ricadono in comunione solo in via residuale, di cui alle lett. b) e c) dell’art. 177 c.c., di tal che, allo scioglimento della comunione, se ne possa ipotizzare la titolarità esclusiva in capo al singolo coniuge percipiente, ovvero la ripartizione fra i coniugi secondo quote diseguali.

Quanto alla possibilità di prevedere la titolarità esclusiva in capo al singolo coniuge dei beni normalmente ricompresi nella comunione de residuo, prevale l’orientamento favorevole 76, che comunque fa salva la necessità di perseguire tale risultato attraverso una vera e propria convenzione matrimoniale nelle forme di cui all’art. 162 c.c., come richiamato dall’art. 210, comma 1o, c.c., e non semplicemente mediante una rinuncia unilaterale a detti cespiti 77.

In ordine al secondo degli aspetti menzionati, vale a dire l’ammissibilità di una ripartizione dei beni di cui alla comunione de residuo fra i coniugi secondo quote disuguali, si afferma che, posto che i beni di cui trattasi non fanno normalmente parte della comunione, rientrandovi solo ed eventualmente al momento del suo scioglimento, gli stessi, ai sensi dell’art. 210, comma 3o, c.c., non sono soggetti ai principi in tema di uguaglianza delle quote e di parità nell’amministrazione 78.

Nel più ampio problema dell’ammissibilità di convenzioni con portata riduttiva dell’oggetto della comunione legale viene fatta normalmente rientrare anche la questione della validità del c.d. rifiuto del coacquisto, ovverosia dell’atto con il quale “il coniuge (in regime di comunione legale) dell’acquirente di un bene immobile, intervenendo nel rogito di compravendita, dichiara di “rifiutare” l’acquisto ex lege (art. 177, comma 1o, lett. a), c.c.), a suo favore, della contitolarità dell’immobile” 79.

In un primo tempo la Suprema Corte 80 ne ha affermato la legittimità sotto molteplici rilievi e la natura dispositiva 81. In concreto, il problema si pone quando in un primo tempo un coniuge, normalmente la moglie, all’atto del rogito di acquisto da parte del marito di un bene immobile, dichiara di rifiutarne l’acquisto in contitolarità, così manifestando di voler derogare all’effetto acquisitivo automatico ex art. 177, lett. a), c.c., e successivamente invoca, opponendosi alla pretesa esecutiva azionata su detto bene dai creditori personali del marito, la comproprietà del bene, sostenendo l’inefficacia della dichiarazione contenente il “rifiuto del coacquisto” a fronte della operatività del regime della comunione legale.

Nel suo primo orientamento, La Corte aveva rigettato l’opposizione della moglie, sancendo la piena efficacia derogatoria dell’atto di “rifiuto” rispetto agli effetti della comunione legale, e configurando tale dichiarazione come manifestazione di autonomia contrattuale, volta ad evitare di conseguire un acquisto pro quota contro la propria volontà. Chiari spunti testuali in tal senso venivano ravvisati negli artt. 162, 179 e 2647, c.c., in base ai quali deve ritenersi ammesso che un coniuge in comunione legale consenta che l’altro acquisti un determinato bene a titolo personale, ove tale acquisto si realizzi mediante un atto pubblico 82 dal quale risulti detto consenso, restando ad avviso della Corte del tutto irrilevante la riconducibilità o meno del bene ad una delle categorie di beni personali indicate dalla legge all’art. 179 c.c.

In particolare, la Corte muoveva dall’assunto che nessuno può essere costretto ad acquistare beni o diritti contro la propria volontà, di tal che, l’aver il coniuge accettato o prescelto l’operare del regime della comunione non gli avrebbe precluso la facoltà di rinunciare alla quota che gli sarebbe spettata su un determinato bene che l’altro coniuge stesse per acquistare separatamente. Su tali presupposti – riteneva la Corte -, l’atto con cui il coniuge non acquirente avesse dichiarato di rifiutare la quota di contitolarità che gli sarebbe spettata in base al regime di comunione costituiva esplicazione della sua autonomia negoziale, determinando l’efficacia dell’acquisto in capo al solo coniuge acquirente, ed avrebbe integrato quindi una dichiarazione con valore negoziale. Conseguentemente, sempre ad avviso della Corte, il rifiuto della contitolarità del bene, risultante dall’atto pubblico di acquisto debitamente trascritto, non avrebbe potuto essere revocato, ed il coniuge che lo aveva espresso non avrebbe potuto opporre ai creditori del coniuge acquirente o agli aventi causa del medesimo che il bene non aveva carattere personale. Appariva infatti irrilevante che il bene rientrasse effettivamente fra quelli che il codice indica come beni personali, una volta che il coniuge che poteva avere interesse a contestarne il carattere personale ne avesse rifiutato la contitolarità. In piena sintonia con quanto affermato dalla decisione in commento, Montesano, Rifiuto del coacquisto, cit., ibidem, nonché Schlesinger e De Paola-Macrì, dallo stesso citati, per i quali, invece, la differente dichiarazione del coniuge non acquirente, prevista dall’art. 179, ult. comma, c.c., configurerebbe un mero atto giuridico di natura non negoziale, i cui effetti sarebbero preordinati dalla legge e subordinati al ricorrere di tutti gli altri elementi integrativi della fattispecie; cosicché, il coniuge non acquirente si limiterebbe “a riconoscere l’appartenenza del bene alle categorie indicate dall’art. 179”, e l’effetto di escludere il bene dalla comunione si produrrebbe solo ove trattisi realmente di un bene rientrante nelle predette categorie. In quest’ultimo senso, sempre con riguardo alla dichiarazione resa dal coniuge non acquirente ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 179 c.c., si è successivamente espressa la Suprema Corte in due pronunzie, e precisamente Cass., 8 febbraio 1993, n. 1556, in Dir. fam., 1993, 930, e da ultimo Cass., 19 febbraio 2000, n. 1917, in Fam. dir., 2000, 345, con nota critica di Valignani, che entrambe muovono dal presupposto che la dichiarazione del coniuge non acquirente ai sensi del secondo comma dell’art. 179 c.c. avrebbe natura ricognitiva e non negoziale.

Per contro, secondo gli Autori sopra richiamati, nonché secondo la Cass., n. 2688 del 1989, in rassegna, diversa sarebbe la natura, propriamente dispositiva e negoziale, del “rifiuto del coacquisto”, che prescinderebbe quindi dalla natura direttamente o indirettamente personale del bene volontariamente escluso dalla comunione. Corollario della riconosciuta natura negoziale dell’atto di rifiuto sarebbe inoltre la possibilità per il coniuge non acquirente di chiedere l’annullamento del rifiuto per errore, violenza o dolo e di farne anche accertare l’eventuale causa simulandi; così la stessa Cass., 2 giugno 1989, n. 2688, cit., per la quale inoltre i creditori della comunione e quelli particolari del coniuge che ha rifiutato il coacquisto sarebbero legittimati a proporre l’azione revocatoria. Perplessità circa l’ammissibilità dell’atto di rifiuto esprime Laurini, L’esclusione parziale, cit., 1074, pure richiamato da Montesano, per il quale una così ampia e unilaterale possibilità per i coniugi di derogare all’operatività automatica della comunione legale si porrebbe in contraddizione con le precise e tassative indicazioni previste dall’art. 179, ult. comma, citato, alla cui stregua infatti l’esclusione del bene dalla comunione dovrebbe risultare espressamente dal rogito di acquisto, al quale sarebbe per di più tenuto a partecipare anche il coniuge non acquirente. In senso critico, riguardo alla decisione in commento, si registra altresì Paladini, La comunione convenzionale, cit., 468, per il quale infatti “l’interpretazione accolta dalla Suprema Corte rischia di affievolire la comunione legale ad una mera “direttiva” suscettibile di puntuali deroghe in sede di acquisti patrimoniali”.

Deve peraltro darsi atto che il richiamato orientamento della Suprema Corte in tema di legittimità del “rifiuto del coacquisto”, è stato successivamente ribaltato dalla pronunzia del Supremo Collegio del 27 febbraio 2003, n. 2954 83 , che ha rilevato, innanzitutto, che la circostanza della appartenenza esclusiva ad uno dei coniugi del denaro necessario per l’acquisto, ove non si tratti di provento della vendita di suoi beni personali, non costituisce elemento di per sé sufficiente ad escludere il bene immobile dalla comunione legale. Inidonei a tali effetti sono stati ritenuti dalla Suprema Corte anche la partecipazione del coniuge non acquirente al contratto ed il suo eventuale esplicito assenso all’acquisto personale da parte dell’altro coniuge, in quanto detti elementi non avrebbero efficacia negoziale o dispositiva del diritto all’acquisto del bene in comunione, bensì portata ricognitiva degli effetti della dichiarazione, resa dall’altro coniuge, circa la natura personale del bene.

In mancanza dunque del carattere personale del bene da acquistare, la sua caduta in comunione non verrebbe evitata per effetto della rinunzia da parte di uno degli sposi.

Le categorie di beni <<personali>> sarebbero pertanto le sole tassativamente ed eccezionalmente previste dall’art. 179 c.c., come tali insuscettibili di interpretazione estensiva o analogica, eciò in ragione della funzione pubblicistica riconosciuta alla comunione legale.

Ad avviso della Corte, infatti, i coniugi possono convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio (art. 215 c.c., regime di separazione dei beni) od anche instaurare fra loro un regime di comunione convenzionale, modificando quello tipico (art. 210 c.c.); ma tali convenzioni, oltre a soggiacere a determinate forme (art. 162 c.c.), riguardano sempre il regime patrimoniale complessivo della famiglia e non possono essere limitate a beni specifici, compresi nella comunione legale.

Un argomento testuale in tal senso, sempre secondo la Corte, sarebbe ricavabile dall’art. 210, 3 comma, c.c., ai sensi del quale le norme della comunione legale non sono derogabili relativamente, fra l’altro, all’uguaglianza delle quote di comproprietà sui beni che formerebbero oggetto della comunione legale; principio che porterebbe a maggior ragione a ritenere che un coniuge, in regime di comunione legale, non possa rinunciare all’intera quota a lui spettante su un bene che ne forma oggetto, non rientrando nelle categorie elencate dall’art. 179 c.c..

La decisione commentata, ha trovato conferma in un primo tempo, sia pure in via incidentale, nella pronunzia di Cass., 24 settembre 2004, n. 19250 84 , che ha ribadito l’imprescindibilità dell’effettiva sussistenza dei presupposti di cui alle lettere c), d) ed f) dell’art. 179 c.c., ai fini del carattere personale dell’acquisto in capo al conoige acquirente; da ultimo, nella sentenza emanata a Sezioni Unite di Cass., 28 ottobre 2009, n. 22755 85 , che ha ribadito che sono esclusi dalla comunione legale solo i beni qualificabili come “personali” e sempre che, trattandosi di beni immobili o di beni mobili registrati, tale esclusione risulti dalla dichiarazione dell’altro coniuge, alla quale la decisione attribuisce natura confessoria soltanto ove la stessa attesti fatti, e non quando esprima unicamente una condivisione di intenti quanto alla futura destinazione del bene.

Dato atto di quanto sopra, deve comunque tenersi presente che l’atto di rifiuto del coacquisto, se pure collegato alla più ampia tematica della riducibilità dell’oggetto della comunione legale, non è tuttavia certamente riconducibile alla comunione convenzionale con portata riduttiva di quella legale, in virtù della sua struttura unilaterale 86, che impedirebbe quindi di sussumere detta fattispecie nell’ambito delle convenzioni matrimoniali.

Deve ancora rilevarsi che differente dal “rifiuto del coacquisto” si presenta l’atto di c.d. “estromissione” di un singolo bene dalla comunione legale di cui faceva parte, per effetto del quale, infatti, non si impedirebbe la caduta in comunione legale di un bene sin dal momento del suo acquisto, bensì si provocherebbe la fuoriuscita dalla comunione legale di un bene già rientratovi.

Fattispecie applicativa dell’estromissione di un singolo bene dalla comunione legale sarebbe rappresentata, come già accennato, dal comma 2o dell’art. 191 c.c., che prevede lo scioglimento convenzionale della comunione, nelle forme di cui all’art. 162 c.c., relativamente alle aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, e quindi comuni ai sensi dell’art. 177, lett. d), c.c.; di tal che, il legislatore avrebbe disciplinato al primo comma dell’art. 191 c.c. le ipotesi in cui viene a mutare il regime legale e ad instaurarsi un regime diverso per l’avvenire, mentre al comma 2o sarebbe stato previsto il differente caso di “una causa di scioglimento che pur escludendo un singolo bene (l’azienda), non intende eliminare fra i coniugi il regime di comunione legale che pertanto continuerà a valere, e le successive aziende acquistate entreranno lo stesso in comunione”.

In tal senso, Falcone, Scioglimento parziale della comunione legale fra coniugi, estromissione di un singolo bene e rapporto con la pubblicità legale, in Riv. not., 1987, I, 694 ss., che riporta l’orientamento maggioritario, pur dando atto, alla p. 697, dell’opinione di Corsi, per il quale il comma 2o dell’art. 191 c.c. concreterebbe un’ipotesi non di estromissione, bensì di scioglimento parziale della comunione relativamente alle sole aziende, con un effetto programmatico di esclusione di tali beni dalla comunione anche per il futuro. Alla medesima p. 697, inoltre, Falcone riferisce la tesi, anch’essa minoritaria, di Laurini, L’esclusione parziale dalla comunione legale, in Riv. not., 1985, 1072, per il quale quello di cui al comma 2o dell’art. 191 c.c. sarebbe un caso tassativo di estromissione, da considerarsi unica eccezione al generale divieto di esclusione parziale dalla comunione legale. Nel senso dell’interpretazione estensiva del comma 2o dell’art. 191 c.c., che consentirebbe quindi di escludere dalla comunione tutti i beni in essa ricompresi e non solo le aziende, si esprime la dottrina maggioritaria, richiamata da Falcone, Scioglimento parziale, cit., 696 ss., ed in particolare Gabrielli, I rapporti patrimoniali fra coniugi, Trieste, 1981, 21; Bianca, Diritto civile, II, Giuffrè, 1985, 99.

In particolare, l’estromissione avrebbe come obiettivo e come effetto quello di eliminare dalla contitolarità del bene le caratteristiche tipiche della comunione legale, di tal che, il bene in seguito alla estromissione diverrebbe bene personale dei coniugi pro quota in regime di comunione ordinaria, con conseguente libera cedibilità della quota, espropriabilità della stessa, possibilità di divisione immediata e di donazione all’altro coniuge 87. L’estromissione si configurerebbe come atto bilaterale, in quanto, “concernendo un bene che appartiene in comunione (legale) ai due coniugi, richiede necessariamente il consenso di entrambi i coniugi”, cosicché l’unico elemento ostativo al suo inquadramento nell’ambito delle convenzioni matrimoniali, ed in particolare nella comunione convenzionale, sarebbe rappresentato dal fatto che la stessa ha ad oggetto e dispone di singoli beni determinati e difetta quindi della natura programmatica propria delle convenzioni 88.

In considerazione di tale aspetto, si è quindi distinta la fattispecie in cui i coniugi intendano escludere dalla comunione legale l’azienda già presente nella comunione, e solo per il passato, ricorrendo così all’istituto della vera e propria estromissione di cui al comma 2o dell’art. 191 c.c., dal diverso caso in cui i coniugi intendano invece escludere dalla comunione legale le aziende che acquisteranno in futuro, ponendo così in essere una comunione convenzionale ai sensi dell’art. 210 c.c., con portata riduttiva dell’oggetto della comunione 89.

6. Soggetti, forma e pubblicità della comunione convenzionale.

Si ritiene che la comunione convenzionale sia atto proprio ed esclusivo degli sposi, di tal che la possano porre in essere soltanto i nubenti, in caso di convenzione anteriore al matrimonio, o i coniugi, in caso di convenzione successiva al matrimonio 90.

Quanto alla capacità delle parti, anche con riguardo alla modifica della comunione convenzionale, si applicano le disposizioni comuni a tutte le convenzioni matrimoniali, contenute agli artt. 163, comma 2o, 165 e 166 c.c., e ciò, nonostante l’art. 210 faccia espresso rinvio al solo art. 162 c.c 91. Non è quindi necessario, agli effetti della conclusione o della modificazione della comunione convenzionale, il compimento del diciottesimo anno di età, ben potendo infatti il minore ammesso a contrarre matrimonio, ai sensi dell’art. 165 c.c., compiere l’atto con l’assistenza dei genitori esercenti la potestà o del tutore o del curatore speciale nominato a norma dell’art. 90 c.c. 92. Quanto poi all’inabilitato, l’art. 166 c.c. richiede, per la validità delle convenzioni dal medesimo stipulate, la necessaria assistenza del curatore già nominato o, se questi non è stato ancora nominato, la necessaria nomina di un curatore speciale. Si afferma infine 93 che l’interdetto giudiziale, che non può contrarre matrimonio (art. 85 c.c.), non possa stipulare convenzioni matrimoniali, mentre l’interdetto legale, cui invece il matrimonio non è precluso, può concludere convenzioni matrimoniali mediante gli organi di rappresentanza legale.

Come tutte le convenzioni matrimoniali, anche la comunione convenzionale, ai sensi degli artt. 162, comma 1o, c.c., e 210, comma 1o, c.c., richiede per la validità la forma solenne dell’atto pubblico, da redigersi secondo l’orientamento prevalente alla presenza dei testimoni, come richiesto dall’art. 48, legge not., trattandosi di “contratto matrimoniale” 94. Si ritiene, al riguardo, che legittimato a ricevere l’atto sia unicamente il notaio, e che quindi sia nulla la comunione convenzionale ricevuta dall’ufficiale di stato civile 95.

Si afferma, peraltro, che la disciplina relativa alla forma solenne non si applica alle convenzioni fra coniugi che siano sprovviste di natura programmatica, e che assolvano la funzione non di regolamentare i futuri acquisti, bensì di trasferire la proprietà o altri diritti all’altro coniuge od alla comunione 96.

La comunione convenzionale va poi annotata, ex art. 162, comma 4o, c.c., a margine dell’atto di matrimonio 97 e, ove abbia ad oggetto beni immobili, è altresì soggetta a trascrizione ai sensi degli artt. 2643, n. 3 98 e 2647 c.c., quest’ultimo riferito testualmente alle sole convenzioni matrimoniali restrittive dell’oggetto della comunione legale tra i coniugi 97 e non alle convenzioni di separazione dei beni 99100.

Funzione dell’annotazione è quella di rendere opponibile ai terzi l’esistenza del vincolo derivante dalla comunione, mentre la trascrizione è volta a dirimere i conflitti fra più acquirenti del medesimo bene: per tutti, Irti, sub artt. 210 e 211, cit., 457, che evidenzia la duplice funzione della pubblicità delle convenzioni matrimoniali. Si veda inoltre Lo Sardo, La comunione convenzionale, cit., 1331, per il quale “le notizie desumibili dalla formalità dell’annotamento, limitate alle sole generalità degli sposi e del notaio rogante, sebbene approfondite dall’esame dell’atto negoziale, istitutivo di un regime convenzionale, non avrebbero mai fornito certezza assoluta sulla titolarità effettiva dei beni immobili…”; e 1349, ove si afferma che “le trascrizioni segnalano gli spostamenti patrimoniali effettivi, conseguenti alla convenzione di deroga del regime generale già pubblicizzata tramite l’annotazione”. Per una compiuta trattazione delle formalità di pubblicità del regime patrimoniale della famiglia, si veda Zaccaria, La pubblicità del regime patrimoniale, cit., 415 ss. Si segnala infine, in ordine alle problematiche di natura tributaria, lo stesso Lo Sardo, Profili tributari della comunione convenzionale, in Riv. not., 1990, I, 1435 ss.

7. Le obbligazioni dei coniugi contratte prima del matrimonio: l’art. 211 c.c.

La disposizione in commento ha espressamente ad oggetto l’ipotesi in cui, in forza di apposita convenzione matrimoniale stipulata ai sensi dell’art. 162 c.c., l’oggetto della comunione sia stato ampliato rispetto al regime legale attraverso l’inclusione di beni che prima del matrimonio erano di proprietà esclusiva del singolo coniuge 101. Ebbene, in tal caso, il legislatore si preoccupa di tutelare i terzi, creditori del singolo coniuge in base ad una obbligazione dal medesimo contratta precedentemente al matrimonio, prevedendo che questi possano ugualmente soddisfarsi sul valore — e limitatamente a questo — di beni sui quali avevano confidato, nonostante la loro immissione in comunione 102.

La norma è dunque sorretta dall’esigenza di evitare che terzi, divenuti creditori dei coniugi in forza di un debito precedente al matrimonio, vengano a trovarsi, per effetto della convenzione in questione, posposti rispetto ai creditori della comunione, come infatti comporterebbe l’applicazione dell’art. 189, comma 2o, c.c. 103. I creditori anteriori al matrimonio, quindi, per effetto della disposizione in commento e in deroga al disposto dell’art. 189, comma 2o, c.c., agirebbero sui beni comuni in via principale e paritetica rispetto ai creditori della comunione 104; inoltre, in luogo della garanzia prevista dalla disposizione da ultima citata, costituita dal “valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”, i creditori stessi potrebbero contare sulla garanzia patrimoniale rappresentata dal valore dei beni di proprietà del singolo coniuge volontariamente immessi in comunione 105.

Si è peraltro prospettata la piena compatibilità degli artt. 211 e 189, comma 2o, c.c. fra loro, in considerazione del loro diverso oggetto. Si precisa infatti 106 che, mentre l’art. 211 c.c. ha ad oggetto il valore di quei beni che precedentemente alla loro immissione in comunione convenzionale erano di proprietà esclusiva del singolo coniuge, l’art. 189 c.c. riguarda invece tutti gli altri beni oggetto della comunione, in relazione ai quali il comma 2o prevede che, sia pure in via sussidiaria rispetto ai creditori della comunione, i creditori personali dei coniugi per debiti anteriori al matrimonio possano soddisfarsi fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. La responsabilità dei beni comuni per i debiti contratti dai coniugi anteriormente al matrimonio verrebbe quindi, sempre secondo la posizione in rassegna, ad articolarsi come segue: i creditori per debiti dei singoli coniugi anteriori al matrimonio potrebbero soddisfarsi, alla pari con i creditori della comunione, fino a concorrenza del valore dei beni già personali, eventualmente immessi in comunione convenzionale; oltre tale limite di valore, invece, i creditori particolari verrebbero postergati rispetto a quelli della comunione e potrebbero soddisfarsi sui beni comuni residui soltanto in via sussidiaria rispetto ai creditori della comunione e nei limiti della quota del coniuge obbligato 107.

Si precisa in dottrina che garanzia delle obbligazioni contratte precedentemente al matrimonio non sarebbero i singoli beni convenzionalmente immessi in comunione, bensì unicamente il loro valore; di tal che, i singoli creditori anteriori al matrimonio non potrebbero agire esecutivamente sui soli beni personali divenuti comuni per effetto della convenzione, ma indistintamente su tutti i beni della comunione 108.

In relazione alla responsabilità dei beni volontariamente immessi in comunione per i debiti contratti separatamente dai coniugi, si è ipotizzata in dottrina (Irti, sub artt. 210 e 211, cit., 461) una possibile combinazione fra le norme di riferimento, rappresentate dall’art. 189, comma 2o, c.c., e dall’art. 211 c.c.: nell’ipotesi in cui si tratti di beni di proprietà esclusiva di un coniuge prima del matrimonio, infatti, il valore dei beni immessi volontariamente in comunione costituirebbe, ai sensi dell’art. 211 c.c., la garanzia per i debiti personali anteriori al matrimonio, mentre il valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato varrebbe, in base all’art. 189, comma 2o, c.c., quale garanzia per i debiti personali posteriori al matrimonio. Nella differente fattispecie di beni acquistati da uno dei coniugi dopo il matrimonio e quindi immessi in comunione convenzionale, la garanzia per i debiti personali anteriori o posteriori al matrimonio sarebbe rappresentata dal valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, alla stregua dell’art. 189, comma 2o, c.c.

1 Sulle ragioni che hanno fatto venir meno la necessità di una autonoma disciplina dei beni parafernali, si richiama IRTI, sub artt. 210 e 211, nel Commentario Carraro-Oppo-Trabucchi, Cedam, 1977, 453.

2 Nel senso della natura contrattuale della comunione in rassegna, ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, in Il nuovo diritto di famiglia. Contributi notarili, Giuffrè, 1975, 58 ss., che, sul presupposto che la comunione convenzionale si risolverebbe nella “regolamentazione di posizioni giuridiche nascenti ex lege… secondo un interesse comune”, la qualificano, nonostante il suo carattere bilaterale, come contratto con comunione di scopo, dove la messa in comunione di beni costituisce il mezzo per l’attuazione dello scopo comune dei coniugi e non viene effettuata in funzione di una controprestazione.

3 Per la comparazione fra il regime di comunione successivo alla riforma e quello previgente, si vedano per tutti IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 453; DE RUBERTIS, La comunione convenzionale tra coniugi, in Riv. not., 1989, I, 11 ss.; LO SARDO, La comunione convenzionale nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. not., 1991, I, 1211 ss.

4 Si veda peraltro, sul punto, IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 453 ss., che, in linea con la propria tesi della non autonomia della comunione convenzionale rispetto a quella legale (su cui v. infra, par. 2), afferma che il legislatore del 1975 “ha in verità abrogato la disciplina della comunione convenzionale… e ridotto i vari tipi di comunione all’unico modello della comunione legale”, così negando che i coniugi, una volta prescelta la separazione dei beni in luogo del regime legale, possano ciononostante costituire in comunione i loro beni.

5 Fra gli altri, ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 58. Si veda altresì, sul punto, CONFORTINI, La comunione convenzionale tra coniugi, in Il diritto di famiglia, II. Il regime patrimoniale della famiglia, nel Trattato Bonilini-Cattaneo, Utet, 1997, 285 ss., spec. 300, che esamina la comunione convenzionale prenuziale, nuziale e postnuziale. A quest’ultimo riguardo, si veda anche, fra gli altri, QUADRI, La comunione convenzionale, cit., 1129, che dà atto di come la legge 10 aprile 1981, n. 142, abbia fatto venir meno la necessità dell’autorizzazione giudiziale, anteriormente richiesta in ipotesi di comunione convenzionale successiva alla celebrazione del matrimonio; si veda altresì SANTOSUOSSO, Della comunione convenzionale, cit., 335, che riferisce come, sempre per effetto della l. n. 142/1981, l’autorizzazione del giudice sia prevista soltanto per il mutamento, dopo la celebrazione del matrimonio, di convenzioni matrimoniali stipulate per atto pubblico prima dell’entrata in vigore della legge stessa; per un’ampia disamina delle questioni suscitate dall’innovazione normativa, si richiama infine BOERO, La nuova disciplina sulla stipulazione delle convenzioni matrimoniali, in Foro it., 1981, V, c. 121 ss.

6 Espressione che non compare più nell’art. 177, lett. a), riformato, che ha infatti per tale ragione ingenerato perplessità circa la ricomprensione in comunione dei beni acquistati a titolo originario.

7 LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1215.

8 V. infra, par. 3.

9 V. ancora infra, par. 3.

10 ATLANTE, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia alla luce della prima esperienza notarile, in Riv. not., 1976, 6 ss.; DE PAOLA-MACRÌ, La comunione convenzionale, in Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Giuffrè, 1978, 217 ss., spec. 219-220; GRANELLI, Profili civilistici e riflessi tributari del nuovo diritto di famiglia, in Boll. trib., 1977, 1421 ss.; BONIS, La nuova disciplina della pubblicità immobiliare con la riforma del diritto di famiglia, in Aa.Vv., Il nuovo diritto di famiglia. Contributi notarili, Giuffrè, 1975, 300 ss.; LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1301, che valorizza altresì, nel senso dell’autonomia, i lavori preparatori della riforma, che portarono infatti al rigetto di un emendamento che introduceva il principio di tipicità delle convenzioni matrimoniali; sostanzialmente nel senso dell’autonomia, CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato Cicu-Messineo, II, Le convenzioni matrimoniali, Famiglia e impresa, Giuffrè, 1984, 73. Per una rassegna di opinioni più sfumate, sempre nel senso dell’autonomia, si richiama CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 287, nt. 4.

11 IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 454 ss.; ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 59; RUSSO, L’autonomia privata nella stipulazione di convenzioni matrimoniali, in Vita not., 1982, 488 ss., spec. 503; CIAN-VILLANI, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. dir. civ., 1980, I, 337 ss., spec. 407; MORELLI, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Cedam, 1996, 10 ss. Ancora, nello stesso senso, si richiamano i numerosi AA. citati da PALADINI, La comunione convenzionale, nel Trattato Bessone, IV, Il diritto di famiglia, II, Giappichelli, 1999, 460, nt. 4; si vedano inoltre i riferimenti di CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 287, nt. 5, nonché lo stesso CONFORTINI, 294, ove definisce la comunione convenzionale come “una specie di comunione legale, che si caratterizza perché avente un oggetto modificato, per effetto di una convenzione stipulata tra i coniugi ai sensi dell’art. 162 c.c.”.

12 ATLANTE, Il nuovo regime patrimoniale, cit., ibidem.

13 IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 453.

14 Per tutti, QUADRI, Della comunione convenzionale, nel Commentario Cian-Oppo-Trabucchi, III, Cedam, 1992, 390 ss., spec. 393.

15 LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1301 e 1302, dove l’A. considera quale ulteriore argomento nel senso dell’autonomia la possibilità per gli sposi, ai sensi dell’art. 161 c.c., di richiamare — specificamente — nelle convenzioni matrimoniali, e quindi anche nella comunione convenzionale, il contenuto di leggi alle quali non sono sottoposti o gli usi.

16 Per una rassegna delle opinioni che valorizzano nel senso dell’autonomia i dati testuali, si veda nuovamente QUADRI, Della comunione, cit., 394, per il quale la formulazione adottata dal legislatore al comma 3o dell’art. 210 c.c. andrebbe preferibilmente intesa “nel senso che le limitazioni ivi previste riguardano i beni che già per legge… sono destinati a cadere in comunione, con ciò risultando la formula legislativa sostanzialmente neutra rispetto ai fini per i quali viene evocata”. Ancora, nel senso che la forma condizionale adottata nel comma 3o dell’art. 210 c.c. sarebbe dovuta “ad un semplice difetto di coordinamento sintattico”, configurando quindi un ostacolo soltanto letterale, IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 454.

17 DE PAOLA-MACRÌ, La comunione convenzionale, cit., 221; nello stesso senso, CORSI, La comunione, cit., 74. In senso contrario si esprime invece QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 398, per il quale il dato testuale di cui trattasi non sarebbe così decisivo nel senso dell’autonomia, riferendosi infatti espressamente l’art. 161 c.c. anche ad accordi fra i coniugi che solo in parte riproducano usi o leggi straniere.

18 DE RUBERTIS, La comunione convenzionale tra coniugi, in Riv. not., 1989, I, 11 ss., che richiama in tal senso IRTI. Per una completa rassegna degli argomenti nell’un senso e nell’altro, CONFORTINI, La comunione convenzionale tra coniugi, cit., 285 ss., spec. 292 ss.

19 SANTOSUOSSO, Delle persone e della famiglia-Il regime patrimoniale della famiglia-Della comunione convenzionale, in Commentario del codice civile, Parte terza, Utet, 1983, 330-331.

20 Al riguardo, si veda PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 461, spec. nota 7, che afferma che l’assunto di Santosuosso poggerebbe “sul presupposto — accolto dalla più autorevole dottrina — che le convenzioni matrimoniali abbiano natura contrattuale”, e che richiama sul punto BUSNELLI, voce Convenzione matrimoniale, in Enc. dir., X, Giuffrè, 1962, 514.

21 Per una esemplificazione delle possibili clausole idonee ad attuare modifiche incisive del regime di comunione legale, si veda sempre SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., p. 333. In linea con Santosuosso si collocano DE PAOLA-MACRÌ, La comunione, cit., 221, che riconducono infatti pur sempre alla comunione legale i casi di modificazione convenzionale di aspetti non essenziali del modello legale, quali, ad esempio (223), “la clausola con cui si riconosce alla comunione un diritto di godimento sui beni mobili e immobili, presenti e futuri, di proprietà personale dei singoli coniugi ovvero un diritto di prelievo periodico sui beni frutti dei beni personali o sui proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi”. Ancora, aderiscono all’orientamento FRAGALI, La comunione, nel Trattato Cicu-Messineo, XIII, Appendice aggiornamento, I, Giuffrè, 1977, 25 ss.; QUADRI, Della comunione, cit., 395; nonché LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1302 e 1304, per il quale, entro i limiti di contenuto negativo delineati dal legislatore, il contenuto dispositivo delle convenzioni matrimoniali può assumere il più vario contenuto, “sia esso puramente modificativo ed integrativo del regime legale, sia esso costitutivo di un regime convenzionale autonomo, di fonte integralmente pattizia”.

22 Così ipotizza, al tempo stesso escludendo una simile conclusione ed optando per la tesi della non autonomia della comunione convenzionale rispetto a quella legale, IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 459, per il quale infatti la soluzione porterebbe a conseguenze incongruenti e confliggenti con l’esigenza di unità di disciplina, consistenti nel ritenere che le possibili lacune siano colmate dalle norme in tema di comunione in generale relativamente a beni non compresi nella comunione legale, e che invece siano regolate dalle disposizioni in tema di comunione legale ove concernenti beni inclusi nella comunione legale.

23 PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 461.

24 RUSSO, L’autonomia privata, cit., 503 ss., per il quale “gli effetti propri della comunione legale si applicheranno non in quanto richiamati dalle parti, bensì per forza propria, in quanto effetti legali la cui verificazione non è esclusa dalla esistenza di fatti impeditivi. La volontà delle parti rileva solo nel senso di porre particolari determinazioni derogative degli effetti legali di comunione; ma, per quanto riguarda tutti i possibili diversi fini (integrazione della volontà negoziale, disciplina di situazioni e rapporti non previsti, ecc.) gli effetti propri della comunione legale troveranno incondizionata applicazione”.

25 PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 461; si segnala peraltro che alla 462, l’A., nell’affermare di propendere per la non autonomia della comunione convenzionale, attesa la insufficienza dei soli artt. 210 e 211 c.c. a delineare “un regime patrimoniale compiuto ed alternativo alla comunione legale”, rileva che il ricorso alla comunione convenzionale da parte dei coniugi si rivelerebbe sempre più superfluo, sia in ragione dell’orientamento della giurisprudenza (in particolare, Cass., 2 giugno 1989, n. 2688, in Foro it., 1990, I, c. 608) favorevole alla validità dell’atto con cui il coniuge, in regime di comunione legale, consente all’acquisto in titolarità esclusiva di un bene immobile o mobile registrato da parte dell’altro coniuge anche al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 179, lett. c), d) e f), c.c.; sia per il fatto che, a seguito dell’emanazione della legge 27 aprile 1989, n. 154, alla cui stregua i proventi dell’attività separata di ciascun coniuge sono a questi imputati in ogni caso per l’intero ammontare, è venuta meno la convenienza per i coniugi di prescegliere la comunione convenzionale, al fine di conseguire l’imputabilità dei proventi stessi per metà a ciascun coniuge, ai sensi dell’art. 4, legge 13 aprile 1977, n. 114. Sui risvolti disciplinari della qualificazione normativa della comunione convenzionale si vedano anche i rilievi di QUADRI, Della comunione, cit., 395, per il quale l’inquadramento nell’ambito della comunione legale renderebbe inderogabilmente applicabili, oltre alle regole indicate dall’art. 210 c.c., anche quelle previste in tema di responsabilità patrimoniale (artt. 186-190 c.c.) e di scioglimento della comunione (artt. 191 e 193 c.c.), mentre in ipotesi di ritenuta autonomia si applicherebbero solo i limiti particolari di cui all’art. 210 c.c., oltre a quelli generali previsti agli artt. 160, 161 e 166 bis; posizione che non appare in linea con l’orientamento che sembra prevalente — e di cui si dirà oltre, nel par. 3, in tema di limiti all’autonomia dei coniugi nell’atteggiare il regime comunitario dei beni —, che configura infatti sempre come inderogabili le norme in tema di responsabilità patrimoniale e di scioglimento della comunione.

26 RUSSO, L’autonomia privata, cit., 509, che si esprime tuttavia in senso contrario all’autonomia della comunione convenzionale.

27 Così IRTI, Della comunione convenzionale, cit., 459, che propende tuttavia nel senso della non autonomia della comunione convenzionale, e quindi a favore dell’applicabilità del comma 2o dell’art. 1419 c.c. Si richiama tuttavia SANTOSUOSSO, Della comunione convenzionale, cit., 332, per il quale dalle limitazioni del comma 3o dell’art. 210 c.c. “si deduce che la legge non consente all’autonomia privata dei coniugi nemmeno di instaurare fra loro un regime patrimoniale della famiglia del tutto conforme alla comunione ordinaria, ma solo la possibilità della comproprietà di uno o più determinati beni secondo le norme generali della comunione”. Si veda inoltre CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 288 ss., sul carattere statico della comunione ordinaria, la cui funzione precipua risiederebbe infatti nel consentire il godimento di una o più cose, diversamente dalla comunione fra i coniugi, che avrebbe carattere dinamico, in quanto sarebbe volta a disciplinare i nuovi acquisti fra gli stessi; l’Autore differenzia inoltre le due tipologie di comunione in relazione alla natura globale e tendenzialmente instabile della comunione legale, in cui si riscontrerebbe altresì l’indisponibilità della quota da parte del singolo coniuge, mentre la comunione ordinaria avrebbe carattere parziale e stabile e sarebbe connotata dalla facoltà del singolo partecipante di alienare la propria quota.

28 RUSSO, L’autonomia privata, cit., 509, che propende appunto per tale configurazione.

29 Le differenti implicazioni derivanti dalle varie tesi circa la natura giuridica della comunione convenzionale si ritrovano analizzate, sia relativamente alle lacune contrattuali, che quanto alla nullità parziale, da QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 408.

30 Su cui si veda altresì, supra, Oberto, (sull’art. 160).

31 DE PAOLA-MACRÌ, La comunione convenzionale, cit., 218-219. Si registra peraltro sul punto l’opinione di QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 396 ss., per il quale, ove i coniugi sostituiscano il regime di comunione legale con un diverso tipo di comunione, a quest’ultima non sarebbero applicabili i limiti posti dall’art. 210 c.c., bensì esclusivamente le limitazioni di carattere generale previste dagli artt. 160, 161 e 166 bis c.c. Per l’A., infatti, “escludendo il modello comunitario legale, le parti… si sottraggono alla disciplina che, in deroga ai principi generali del diritto patrimoniale, l’ordinamento detta in funzione dell’esistenza del rapporto coniugale tra i soggetti”; cosicché “lo sfondo su cui le parti si trovano in tal caso ad operare finisce con l’essere… quello della separazione dei beni, ma non tanto quale “regime” generale alternativo, quanto come “non regime”, semplice richiamo, quindi, alle regole del diritto comune che prescindono completamente dallo status di coniugi dei soggetti”; i limiti di cui all’art. 210 c.c. sarebbero invece per Quadri applicabili soltanto ove le parti intendano modificare il regime di comunione legale, senza però dar vita ad un regime comunitario autonomo.

32 Fra gli altri, RUSSO, L’autonomia privata, cit., 525-526.

33 In tal senso, LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1231-1232.

34 Al riguardo, RUSSO, L’autonomia privata, cit., 527, nel rilevare che l’art. 161 c.c. “colpisce con nullità assoluta un intento negoziale generico e non precisato quanto al contenuto”, ne fa conseguire che è nulla una convenzione dalla quale non sia desumibile in modo chiaro la direzione della volontà verso l’area della comunione dei beni e l’area della separazione dei beni. Si vedano altresì ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 63, che interpretano il disposto dell’art. 161 c.c. in senso maggiormente limitativo dell’autonomia dei coniugi, che non avrebbero neppure la facoltà di scegliere regimi patrimoniali diversi da quelli predisposti, cosicché la convenzione matrimoniale non potrebbe in concreto snaturare le caratteristiche della comunione legale, realizzando, ad esempio, una forma di comunione ordinaria.

35 Così QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 397, per il quale “è chiaro come una simile direttiva… vale anche indiscutibilmente a scoraggiare il ricorso a schemi diversi da quelli legalmente disciplinati…”.

36 IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 459.

37 LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1234.

38 In tal senso, per tutti, CORSI, La comunione, cit., 74; nonché QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 399, per il quale il comma 2o dell’art. 210 c.c. starebbe a significare che “l’unione coniugale non deve risolversi in una serie di vincoli alla personalità dei coniugi, avendo, anzi, la funzione di svilupparne le potenzialità di affermazione. Di qui l’opportunità di salvaguardare una certa sfera di piena autonomia a ciascuno di essi, nei limiti… in cui determinati beni costituiscano… il supporto per la libera esplicazione della loro personalità”.

39 Si segnala sul punto, per tutti, CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 304, per il quale “il fondamento razionale di questo limite posto all’autonomia dei coniugi è stato generalmente ravvisato nella necessità di impedire che anche il minimum patrimoniale indispensabile per il libero e dignitoso esplicarsi della persona umana cada in comunione”. Nello stesso senso, RUSSO, L’autonomia privata, cit., 505.

40 CORSI, La comunione, cit., 74; SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 332; QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 398; ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 65.

41 Quanto all’uguaglianza delle quote, rileva PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 469, che l’inderogabilità del principio “preclude soltanto la possibilità di programmare convenzionalmente una divisione non paritaria del patrimonio coniugale, ma non certo la possibilità di convenire liberamente, in sede di divisione, le rispettive quote, come si desume dalla possibilità che i coniugi decidano addirittura di non procedere affatto alla divisione”.

42 ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 63-64; SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 332; PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 469-470; DE PAOLA-MACRÌ, La comunione, cit., 223 e 224, alla cui stregua, quanto all’amministrazione dei beni comuni (artt. 180-184 c.c.), i coniugi non potrebbero derogare al regime in tema di amministrazione disgiuntiva e congiuntiva, prevedendo, ad esempio, che l’amministrazione straordinaria spetti al marito e quella ordinaria alla moglie, o che ciascuno dei coniugi possa amministrare sempre in via disgiuntiva.

43 In questo senso, espressamente, QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 405, per il quale “almeno ove si ritenga che le parti, ponendo in essere pattuizioni modificative, si muovono pur sempre nel quadro del regime comunitario legalmente disciplinato, pare meritevole di adesione la tesi che vede nel complesso delle regole legali in tema di amministrazione la proiezione del peculiare fondamento paritario della comunione legale, con la conseguente necessità del loro rispetto, indipendentemente dalla composizione del patrimonio comune”.

44 RUSSO, L’autonomia privata, cit., 506; BARASSI, Rapporti patrimoniali fra coniugi-Il nuovo regime legale e i suoi rapporti con i regimi convenzionali-La comunione convenzionale, ne Il nuovo diritto di famiglia, cit., 534; IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 459.

45 LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1240; ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 64, per i quali è inderogabile l’art. 194 c.c., di tal che “la divisione deve essere fatta, necessariamente, ripartendo in parti uguali (o proporzionalmente quando si verifichi l’ipotesi dell’art. 210, ult. comma) sia l’attivo che il passivo”.

46 Al riguardo, DE RUBERTIS, La comunione convenzionale, cit., 79; SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 332; DE PAOLA-MACRÌ, La comunione, cit., 224; CORSI, La comunione, cit., 74; ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 64; PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 470; contra, QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 395, che infatti ritiene che le regole in tema di responsabilità dei beni comuni e di scioglimento della comunione si applichino soltanto nell’ipotesi in cui si riconduca la comunione convenzionale pur sempre nell’ambito di quella legale, ma non in caso di ritenuta autonomia della stessa, che comporterebbe unicamente l’applicazione dei principi generali di cui agli artt. 160, 161 e 166 bis, c.c.

47 Al riguardo, si veda QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 406, che nel ritenere inderogabili in caso di comunione convenzionale le regole in tema di responsabilità patrimoniale di cui agli artt. 186 ss., c.c., afferma che dette regole costituiscono presupposto dello stesso art. 211 c.c., “che ne costituisce adattamento espresso… alla particolare struttura della comunione convenzionale”. L’Autore richiama inoltre alla nt. 92 la tesi di CIAN e VILLANI, La comunione dei beni, cit., 408, per i quali non sarebbero invece inderogabili i criteri dettati dall’art. 192 c.c. in tema di rimborsi e restituzioni, fatta comunque salva la necessità di rispettare il principio di uguaglianza delle quote; analogamente, nel senso della rinunciabilità di rimborsi e restituzioni ex art. 192 c.c., ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 66.

48 SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 332; LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1241 ss., ove si richiamano alla nt. 60 gli Autori che si esprimono nel senso dell’inderogabilità delle norme in tema di scioglimento della comunione; CORSI, La comunione, cit., 74.

49 Sul tema, si veda l’ampia rassegna di PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 471 ss.

50 DE PAOLA-MACRÌ, La comunione, cit., 224; GRASSO, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato Rescigno, II, 3, Utet, 1984, 536; FRAGALI, La comunione, cit., 26.

51 Sul punto, CORSI, La comunione, cit., 76; LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1243, che alle nt. 63 e ss. richiama in tal senso, fra i numerosi altri, ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 70; SANTOSUOSSO, Delle persone e della famiglia – Il regime patrimoniale della famiglia, in Commentario del codice civile, I, Utet, 1983, 336 ss.

52 ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 70; QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 407.

53 QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 407, spec. nt. 97, ove si richiamano Autori che prospettano analoga questione addirittura per alcune delle cause di scioglimento tipizzate dalla legge.

54 ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 70, per i quali la separazione personale, anziché come causa di scioglimento della comunione, potrebbe concretarsi in una causa di recesso; SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 336; contra LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1245, ad avviso del quale infatti le cause legali di scioglimento della comunione non potrebbero formare oggetto di una pattuizione dei coniugi volta ad escluderne l’operatività.

55 QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 407.

56 In ordine alla separazione giudiziale dei beni, si richiamano ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 70, che ne affermano la operatività anche in presenza di una giusta causa, individuata di comune accordo fra i coniugi in elementi ed eventi idonei a turbare l’assetto patrimoniale fra i medesimi, senza dare luogo a responsabilità come per l’ipotesi di separazione giudiziale dei beni per cattiva amministrazione. La tesi è richiamata da SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 337.

57 DE PAOLA-MACRÌ, La comunione convenzionale, cit., 226; SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 336.

58 La tesi richiamata è condivisa da LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1244, ove si rinviene un’ampia e articolata panoramica di tutti gli orientamenti sul punto. L’Autore non manca peraltro di evidenziare (1245), quale aspetto problematico della ritenuta ammissibilità di convenzioni in senso ampliativo delle cause di scioglimento della comunione previste dalla legge, la difficoltà di dare adeguata pubblicità alle cause di scioglimento convenzionalmente introdotte, attesa la scarsità di informazioni reperibili dalla semplice annotazione della comunione convenzionale a margine dell’atto di matrimonio.

59 Fra gli altri, DE PAOLA-MACRÌ, La comunione, cit., 221; ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 65. In generale, sul possibile ampliamento dell’oggetto della comunione legale anche in considerazione dell’art. 211 c.c., che presupporrebbe appunto l’esistenza di una convenzione ampliativa, per tutti, QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 398.

60 In tal senso, fra gli altri, QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 400; BARASSI, Rapporti patrimoniali, cit., 536; CORSI, La comunione, cit., 77; SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 331. Si veda altresì Cass., 28 agosto 2008, n. in Riv. notar., 2009, 2, 434, con nota di pedron, per la qaule i coniugi uniti in matrimonio prima dell’entrata in vigore della l. 19 maggio 1975, n. 151, e che, con apposita convenzione, abbiano deciso di ricomprendere bnella comunione legale tutti i loro beni, ivi compresi quelli personali acquistati prima del matrimonio, hanno stipulato un atto che è da ritenere estraneo alla fattispecie tipica prevista dall’art. 228, 2 comma, della legge n. 151 del 1975, e che, tuttavia, è valido poiché manifesta la volontà di dare vita ad una comunione convenzionale – istituto previsto dall’art. 210 c.c. (esercitando una facoltà che solo arbitrariamente avrebbe potuto essere esclusa per le famiglie già costituite).

61 QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 400; CORSI, La comunione, cit., 77.

62 LO SARDO, La comunione, cit., 1251.

63 LO SARDO, La comunione, cit., 1265 ss., e Autori citati alla nota 113. Si richiamano inoltre, nello stesso senso, QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 400-401; CONFORTINI, La comunione, cit., 308; SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 331; DE PAOLA-MACRÌ, La comunione, cit., 221; ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 65; G. DE RUBERTIS, Note minime sulla comunione convenzionale dei frutti dei beni personali e dei proventi dell’attività separata, in nota a Trib. Udine, decr. 23 dicembre 1977, in Vita not., 1978, 431 ss. Si segnala inoltre CORSI, La comunione, cit., 76 ss., spec. nota 9, che prospetta l’ammissibilità di “clausole intese a garantire reciprocamente i coniugi in ordine all’utilizzazione, da parte di ciascuno, dei proventi e dei frutti destinati a cadere in comunione de residuo”; si veda inoltre la nota 12 per l’analisi delle motivazioni, essenzialmente di ordine fiscale, della pattizia inclusione in comunione immediata dei beni che formerebbero oggetto di comunione eventuale.

64 LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1268 e Autori ivi citati.

65 In tal senso, PARENTE, DE RUBERTIS, GALLETTA, tutti richiamati da LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1269, nt. 122.

66 CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 305. Configura la parte dispositiva come donazione BARASSI, Rapporti patrimoniali, cit., 536.

67 QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 399.

68 Sulla natura programmatica delle convenzioni matrimoniali, che sarebbero infatti preordinate a regolare complessivamente l’assetto dei rapporti patrimoniali fra i coniugi e non le vicende di singoli beni, si veda QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 400, spec. nt. 56, ove si richiama in tal senso GABRIELLI, I rapporti prematrimoniali tra coniugi, Trieste, 1981, 264.

69 Sul punto, si vedano altresì CIAN-VILLANI, La comunione dei beni, cit., 409, per i quali scopo dell’art. 210 “è solo quello di escludere la possibilità che a priori certe categorie di beni siano destinate alla massa comune, non che un singolo bene ad esse appartenente, con decisione presa caso per caso, sia lasciato entrare nella comunione”; nello stesso senso, RUSSO, L’autonomia privata, cit., 506.

70 CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 310-311, ove si precisa peraltro che il limite alla legittima pattuizione di quote e di poteri di amministrazione disuguali è rappresentato dal divieto di costituzione di beni in dote, di cui all’art. 166 bis c.c., alla cui stregua vanno comunque considerate nulle, a titolo esemplificativo, le previsioni che attribuiscano ad uno dei coniugi l’amministrazione esclusiva dei beni conferiti dall’altro, o “che in qualunque modo comportino vincoli di destinazione di alcuni beni ad sustinenda onera matrimonii”. L’Autore afferma inoltre che il problema del rispetto dell’art. 210, comma 3o, c.c., non si pone con riguardo alle convenzioni riduttive dell’oggetto della comunione legale, in quanto in tal caso le regole in tema di amministrazione e in tema di quote coinciderebbero con quelle dettate per la comunione legale.

71 A.-M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia, I, 1984, 1199 ss.; DE PAOLA-Macr|$$|AGi, La comunione convenzionale, cit., 222; FRAGALI, La comunione, cit., 26; ATLANTE, Il nuovo regime patrimoniale, cit., 7; ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 66, per i quali i coniugi potrebbero restringere l’oggetto della comunione legale, non solo escludendo determinate categorie di beni che normalmente vi rientrerebbero, ma anche escludendo specifici beni nell’ambito delle medesime categorie; OPPO, Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia, in Riv. dir. civ., 1976, I, 108; CIAN-VILLANI, La comunione dei beni fra coniugi, cit., 409; SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 331. Sul tema, si richiamano le ampie rassegne di MONTESANO, Rifiuto del coacquisto. Altre ipotesi di esclusione di un bene dalla comunione legale e riconoscimento dell’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali familiari, in Vita not., 1991, III, LXXVIII-XCV; e di LAMBERTI, Ipotesi di riducibilità convenzionale della comunione legale tra coniugi, in Vita not., 1992, 384 ss.

72 CIAN-VILLANI, La comunione, cit., 409; DE PAOLA-MACRÌ, La comunione convenzionale, cit., 222; ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 68; PARENTE, Comunione legale e autonomia coniugale, Esi, 1984, 91 ss.; ZACCARIA, La pubblicità del regime patrimoniale della famiglia: le posizioni della dottrina, in Riv. dir. civ., 1980, II, 441.

73 DE PAOLA-MACRÌ, La comunione, cit., 222; QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 403. Si veda invece PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 468, per il quale “le sole convenzioni matrimoniali, che i coniugi sono liberi di stipulare e trascrivere ai sensi dell’art. 2647 c.c., sono quelle di natura programmatica, che dettano, cioè, una regola generale e astratta, destinata a trovare applicazione per gli acquisti futuri compiuti da uno o entrambi i coniugi”.

74 Tra gli altri, ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 67, per i quali “ben può quindi l’autonomia privata, attraverso lo strumento della comunione convenzionale, costruire una comunione il cui ambito oggettivo venga a sfiorare la separazione dei beni”.

75 DE PAOLA-MACRÌ, La comunione, cit., 222; SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 331-332; QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 404.

76 Fra gli altri, QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 405, e gli Autori dal medesimo richiamati alla nt. 84; CORSI, La comunione, cit., 78. In senso dubitativo, si veda peraltro RUSSO, L’autonomia privata, cit., 508 ss. Sul tema, cfr. CONFORTINI, La comunione, cit., 309; PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 468, spec. nt. 2.

77 In tal senso, ancora QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 405, che alla nt. 85 richiama tuttavia, a favore dell’ammissibilità di una rinuncia unilaterale, BARBIERA, La comunione legale, cit., 438.

78 CONFORTINI, La comunione, cit., 309.

79 MONTESANO, Rifiuto del coacquisto, cit., LXXVIII-XCV, ove si precisa che trattasi di meccanismo non espressamente previsto dalla legge, “che realizza effetti analoghi… a quelli prodotti dalla fattispecie di cui all’ultimo comma dell’art. 179 c.c., pur in mancanza, nel bene acquistato, di uno dei requisiti previsti da quest’ultimo articolo nel suo primo comma”. Per l’Autore il rifiuto del coacquisto si differenzierebbe dalla dichiarazione di cui all’ultimo comma dell’art. 179 c.c., in quanto quest’ultima ha natura di atto giuridico, mentre la dichiarazione di rifiuto avrebbe carattere negoziale; inoltre, nella fattispecie di cui all’art. 179, comma 2o, c.c., non è la dichiarazione che determina l’acquisto personale, ma la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo, con la conseguenza che tale dichiarazione non è indispensabile, ma può essere sostituita da un accertamento giudiziale; diversamente, il rifiuto del coacquisto vale da solo ad impedire la caduta del bene in comunione; infine, la previsione di cui al comma 2o dell’art. 179 c.c. mira a tutelare il coniuge acquirente, il quale infatti potrà compiere l’acquisto in via esclusiva anche quando l’altro coniuge rifiuti ingiustificatamente di intervenire all’atto, mentre con il rifiuto del coacquisto viene invece tutelato il coniuge che potrebbe non essere interessato all’acquisto del bene per i più svariati motivi.

80 Cass., 2 giugno 1989, n. 2688, in Giust. civ., 1990, I, 1359, con nota adesiva di DE STEFANO.

81 Contra MONTESANO, Rifiuto del coacquisto, cit., LXXVIII-XCV, che configura l’atto unilaterale di rifiuto quale “atto negoziale non dispositivo di un diritto, ma ostativo dell’operare del meccanismo di cui all’art. 177, lett. a)”, come tale non riconducibile quindi alla categoria delle convenzioni matrimoniali; diversamente da queste ultime, infatti, caratterizzate da bi-plurilateralità, la dichiarazione negoziale, avente come effetto l’esclusione del meccanismo acquisitivo di cui all’art. 177, lett. a), c.c., viene dall’Autore configurata come unilaterale e non destinata a fondersi con alcun’altra dichiarazione negoziale.

82 Nel senso che tale dichiarazione, pur dovendo essere contestuale all’atto di acquisto del bene da escludersi dalla comunione, possa tuttavia essere effettuata anche tramite scrittura privata autenticata, MONTESANO, Rifiuto del coacquisto, cit., ibidem.

83 In Fam. dir., 2003, 379; v. anche, fra l’altro, in Riv. notar., 2003, II, 414, con nota di lupetti,. La sentenza è stata ampiamente commentata; in particolare, si richiamano riva, Il c.d. rifiuto del coacquisto del coniuge in regime di comunione legale dei beni, in Riv. trim. dir. proc. Civ., 2004, 713-725; scacchi, Comunione legale dei beni – Irrinunciabilità alla comproprietà dei beni acquistati durante il matrimonio, in Nuovo dir., 2003, II, 370-374; calice, acquaviva, Inammissibilità del rifiuto del coacquisto, in Contratti, 2003, I, 673-680; patti, Il cosiddetto rifiuto del coacquisto alla luce della sentenza n. 2954/03, in Riv. notar., 2003, II, 1548-1561.

84 In Fam. dir., 2005, 13 ss., con nota di bolondi.

85 In Foro it., 2009, 12, I, 3317.

86 Sulla unilateralità, ancora MONTESANO, Rifiuto del coacquisto, cit., ibidem; nonché LO SARDO, Il rifiuto preventivo del coacquisto, in Vita not., 1992, 395 ss., spec. 397.

87 FALCONE, Scioglimento parziale, cit., 694 ss., spec. 698, ove l’A. precisa che per effetto dell’estromissione “non si verifica… uno stravolgimento della comunione legale perché essendo l’esclusione fine a se stessa e senza natura programmatica, non si muta il regime che comunque rimane in piedi ed operante per eventuali futuri acquisti ed è questa la differenza con la comunione convenzionale”.

88 MONTESANO, Rifiuto del coacquisto, cit., ibidem, che dà atto infatti di come, per tale ragione, la dottrina abbia ricondotto il problema in esame nell’ambito di quello più generale, concernente l’ammissibilità di convenzioni atipiche, ed inquadra appunto l’estromissione come convenzione atipica. Sul punto, si veda anche nuovamente FALCONE, Scioglimento parziale, cit., 697, che nega la riconducibilità dell’estromissione alla comunione convenzionale, appunto per la mancanza nella prima della natura programmatica. Al riguardo, si richiama peraltro nuovamente l’indirizzo che inquadra la stessa comunione convenzionale nell’ambito delle convenzioni atipiche (v. supra, par. 2).

89 FALCONE, Scioglimento parziale, cit., 697, che precisa inoltre che “se infine i coniugi vorranno beneficiare degli effetti sia per il passato (estromissione) che per il futuro (comunione convenzionale), dovranno porre in essere due distinti negozi, riunibili in un solo documento con i quali un singolo bene viene estromesso attualmente, ed una o più categorie escluse per l’avvenire”. Sulle conseguenze dell’assunto in ordine alle formalità di pubblicità dell’estromissione e della diversa convenzione programmatica riduttiva della comunione, si veda oltre, alla nt. 97.

90 Così LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1310, che esclude la partecipazione di estranei alla comunione convenzionale, diversamente da quanto si verifica per la costituzione del fondo patrimoniale ex art. 167, commi 1o e 2o, c.c. L’Autore ritiene peraltro che, nonostante la comunione convenzionale sia configurabile come “negozio familiare”, come tale da riguardarsi in linea di principio, secondo la dottrina maggioritaria, quale atto personalissimo, “il consenso di uno o di entrambi gli sposi possa essere manifestato a mezzo di un nuncius munito di procura speciale ad hoc”, e quindi che debba ammettersi la validità di una procura specifica e dettagliata, che determini l’an, il quando e il quomodo della comunione convenzionale, mentre debba considerarsi preclusa la possibilità di attribuire una qualche discrezionalità al procuratore.

91 PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 472; QUADRI, La comunione convenzionale, cit., 1128.

92 IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 455; CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 302; per osservazioni dettagliate in argomento, LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1311 ss.

93 CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 303.

94 DE RUBERTIS, Sulla necessità dell’intervento dei testimoni nelle convenzioni matrimoniali, in Dir. giur., 1983, 172 ss., richiamata da PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 472, spec. nota 40. Nel senso della irrinunciabilità dei testimoni, si vedano inoltre, fra gli altri, DE PAOLA-MACRÌ, La comunione convenzionale, cit., 227; QUADRI, La comunione convenzionale, in Dir. fam., 1991, 1102 ss., spec. 1128; ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 60 ss.; CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 311 ss., ed AA. citati alla nt. 94.

95 CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 311.

96 CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 312, che fa tuttavia salva la necessità della forma solenne ogniqualvolta l’acquisto alla comunione avvenga in forza di donazione, nel qual caso evidentemente le prescrizioni in tema di atto pubblico e di necessaria presenza dei testimoni derivano dalla disciplina in tema di donazione.

97 Si veda tuttavia, al riguardo, RUSSO, L’autonomia privata, cit., 209, che ritiene superflua l’annotazione per le convenzioni con contenuto dispositivo e non programmatico; contra, LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1329, per il quale sarebbero suscettibili di annotazione tutte le convenzioni matrimoniali, comprese quelle dispositive.

98 IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 456, per il quale gli atti elencati al n. 3 dell’art. 2643, c.c., “sono destinati a costituire la comunione su diritti non compresi nella comunione legale”, quali, ad esempio, i diritti di proprietà acquistati da uno dei coniugi per effetto di donazione o successione, o comunque acquistati in tempo anteriore al matrimonio.

99 QUADRI, La comunione convenzionale, cit., 1130; LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1335 e 1356, ove si afferma che le convenzioni “ampliative” non sono soggette a trascrizione ex art. 2647, mentre lo sono le convenzioni “riduttive”, di tal che per l’opponibilità ai terzi delle prime è sufficiente l’annotazione. Si veda altresì MORELLI, Autonomia negoziale e limiti legali nel regime patrimoniale della famiglia, in Fam. dir., 1994, 104 ss., spec. 108, che richiama la tesi secondo cui il primo comma dell’art. 2647 c.c. “disciplina la pubblicità delle convenzioni a contenuto programmatico, che prevedono l’esclusione dalla comunione di beni o categorie di beni, per il futuro; con la precisazione che la trascrizione dovrà effettuarsi, di volta in volta, in occasione degli acquisti che, per effetto della precedente convenzione, non cadono in comunione; mentre il secondo comma disciplina la pubblicità delle convenzioni che escludono dalla comunione beni che già ne facevano parte”. Sulla stessa linea, FALCONE, Scioglimento parziale, cit., 700 ss., che affronta la problematica della pubblicità dell’estromissione, richiamando le disposizioni di cui all’art. 2647 c.c., e propendendo per l’applicabilità del comma 2o; in senso contrario, tuttavia, ZACCARIA, La pubblicità del regime patrimoniale della famiglia: le posizioni della dottrina, in Riv. dir. civ., 1980, II, 415 ss., spec. 439, che propende invece per la riferibilità del comma 2o dell’art. 2647 c.c. all’esclusione ex ante di un bene dalla comunione.

100 LO SARDO, La comunione convenzionale, cit., 1332; l’Autore, 1340 ss., distingue la funzione della trascrizione effettuata ai sensi dell’art. 2647 c.c. da quella della normale trascrizione di cui all’art. 2643 c.c.., prospettando il possibile concorso delle due formalità pubblicitarie, cosicché ove, mediante una convenzione matrimoniale, “un coniuge intenda eseguire un’attribuzione (gratuita) integrale del bene a favore dell’altro, il negozio stipulato, integrando gli estremi di una fattispecie traslativa, sarà previamente soggetto a trascrizione ex art. 2647 “a carico” di entrambi i coniugi allo scopo di evidenziarne la sottrazione al regime di comunione coniugale, e successivamente a trascrizione ex art. 2643 c.c., per gli effetti dell’art. 2644, “a carico” del disponente ed “a favore” dell’acquirente, allo scopo di palesarne la titolarità esclusiva in capo a quest’ultimo”.

101 Si vedano infatti fra gli altri, sul punto, SANTOSUOSSO, Della comunione convenzionale, cit., 331, per il quale il presupposto dell’art. 211 c.c. sarebbe appunto costituito da un’ipotesi di ampliamento della comunione; nello stesso senso DE PAOLA-MACRÌ, La comunione convenzionale, cit., 221; QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 412; RUSSO, L’autonomia privata, cit., 509, per il quale dall’art. 211 c.c. si rileva che “il legislatore sembra considerare un conferimento dei beni in comunione come comunione convenzionale”. Da notarsi che la formulazione della disposizione in commento, nella parte in cui menziona i beni che “sono entrati a far parte della comunione dei beni”, viene da IRTI, op. cit., 454, valorizzata come ulteriore conferma testuale della mancanza di autonomia rispetto al regime comunitario legale, della convenzione matrimoniale che ampli il contenuto della comunione.

102 La tematica del possibile pregiudizio arrecato dai coniugi ai creditori mediante la pattuizione di accordi concernenti il regime patrimoniale della famiglia, e dell’ammissibilità dell’azione revocatoria avente ad oggetto gli atti di immissione in comunione di beni precedentemente oggetto della garanzia patrimoniale dei creditori, coinvolge per pacifico orientamento tutte le ipotesi di convenzioni matrimoniali, ivi compresa la comunione convenzionale; al riguardo, si richiama CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 314, e gli Autori citati alla nota 105.

103 PALADINI, La comunione convenzionale, cit., 473, che riferisce come la norma venga interpretata in senso estensivo, e quindi, sia con riferimento alle obbligazioni contratte successivamente al matrimonio ma in epoca anteriore all’ampliamento della comunione legale, sia con riguardo al valore dei beni personali diversi da quelli di proprietà del coniuge prima del matrimonio, ai quali la norma appare testualmente limitarsi; sulla tematica si veda altresì CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 313, dove si precisa che l’art. 211 c.c. non riguarda obbligazioni della comunione, ma individua debiti dei quali risponde la comunione. Ad avviso dell’Autore, inoltre, la norma appare applicabile anche alle obbligazioni contratte dopo il matrimonio, ma anteriormente alla stipulazione della convenzione. Sulla ratio dell’art. 211 si veda altresì SANTOSUOSSO, Della comunione, cit., 337, per il quale dalla norma in commento discende che “i beni che le parti hanno voluto includere nella comunione legale rispondono, oltre che delle obbligazioni contratte dopo il matrimonio, ai sensi dell’art. 189, comma 2o, anche delle obbligazioni precedenti al matrimonio, secondo la disposizione in esame”; nello stesso senso, IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 460.

104 IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 460; QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 412-413.

105 QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 413, e 414-415, ove si prospetta una possibile interpretazione estensiva della norma in commento, che secondo l’Autore consentirebbe al creditore anteriore al matrimonio di aggredire i beni della comunione convenzionale entro i limiti del valore, non dei soli beni che erano personali prima del matrimonio, bensì di tutti i beni personali acquisiti dal singolo coniuge anche dopo il matrimonio e dal medesimo volontariamente immessi in comunione; dello stesso avviso paiono ALCARO-SCIUMBATA, La comunione convenzionale, cit., 64.

106 CORSI, La comunione, cit., 79-80, dove l’Autore rammenta come l’art. 211 c.c. sia stato formulato prima del comma 2o dell’art. 189 c.c., essendo stato infatti quest’ultimo introdotto dalla Commissione del Senato nel testo, contenente già l’art. 211, del progetto approvato dalla Commissione permanente della Camera dei Deputati nel 1972 (art. 79).

107 CORSI, La comunione, cit., 80.

108 QUADRI, Della comunione convenzionale, cit., 413, spec. nt. 6; IRTI, sub artt. 210 e 211, cit., 460; CONFORTINI, La comunione convenzionale, cit., 314 ss., ove in ordine al quesito circa il momento cui riferire il valore della garanzia di cui trattasi, l’Autore propende per la rilevanza del momento in cui è sorta l’obbligazione del creditore precedente al matrimonio.