La responsabilità contrattuale ed aquiliana dell’organizzatore di eventi sportivi

Margherita Pittalis, La responsabilità contrattuale ed aquiliana dell’organizzatore di eventi sportivi, in Contratto e impresa, 2011, vol. 1, p. 150-197, ISSN: 1123-5055

La responsabilità contrattuale ed aquiliana
dell’organizzatore di eventi sportivi

Sommario: 1. L’organizzatore di eventi sportivi: la posizione del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive. – 2. Gli obblighi di controllo dell’organizzatore. – 3. I titoli di responsabilità. – 4. La responsabilità delle società di calcio nell’organizzazione di incontri sportivi professionistici. – 5. Considerazioni di sintesi

1. – I fatti lesivi che si verificano durante la pratica di attività sportive possono essere provocati da coloro che praticano le attività stesse, e cioè gli atleti o i gareggianti, ma anche dagli altri soggetti coinvolti nelle competizioni, fra i quali assumono rilievo, in primo luogo, coloro che organizzano gli eventi sportivi.

Questi potranno essere chiamati a rispondere dei pregiudizi eventualmente arrecati ai partecipanti alla gara (1), oppure a terzi, quali spettatori od estranei.

Per “organizzatore” di eventi sportivi si intende tradizionalmente la persona fisica (ipotesi che si verifica raramente), la persona giuridica (in forma di S.p.A. o di S.r.l.), l’associazione non riconosciuta ex art. 36 ss., c.c., (ipotesi molto frequente, che ricomprende le cd. “società sportive” soprattutto dilettantistiche) ed il comitato, che “assumendosene tutte le responsabilità (civili, penali, amministrative) nell’ambito dell’ordinamento giuridico dello stato, promuove l’incontro di uno o più atleti con lo scopo di raggiungere un risultato in una o più discipline sportive, indipendentemente dalla presenza o meno di spettatori e, quindi, indipendentemente dal pubblico spettacolo (2).

Nell’ambito degli organizzatori, si suole distinguere fra organizzatori “di diritto”, appartenenti ad una Federazione e regolarmente autorizzati ad organizzare una manifestazione; organizzatori “di fatto”, non federati e non autorizzati; organizzatori pro-tempore: non federati, ma regolarmente autorizzati ad organizzare un evento sportivo (3).

Tale distinzione sembra peraltro assumere rilievo essenzialmente ai fini dell’omologazione dei risultati delle gare, piuttosto che in seno all’ordinamento giuridico generale, con la conseguenza che l’organizzatore, che con la propria condotta abbia violato disposizioni penali e/o civili, resterà verosimilmente soggetto alla giustizia ordinaria, indipendentemente dal suo inquadramento nell’una o nell’altra tipologia di “organizzatore” (4).

Le caratteristiche che contraddistinguono l’organizzatore sono la finalità di promuovere la competizione e il potere di controllo e di direzione della stessa (5).

In linea con tali criteri, è stata quindi per lo più esclusa la responsabilità del C.O.N.I. che patrocinasse semplicemente l’evento, senza esserne direttamente l’organizzatore; in particolare, la Suprema Corte (6) ha escluso in linea di principio la responsabilità del C.O.N.I., sul rilievo che “esula dai suoi compiti ispettivi la vigilanza sull’organizzazione concreta delle singole manifestazioni sportive”.

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Al C.O.N.I. sarebbe infatti attribuito dalla legge istitutiva n. 426 del 16 febbraio 1942, oggi abrogata dal d.lgs. 23.7.1999, n. 242, portante il “Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano – C.O.N.I., a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59” (cd. “Decreto Melandri”) (7), un potere di regolamentazione e di controllo delle varie discipline sportive in generale, e non una funzione di diretta organizzazione delle stesse, che farebbe invece capo alla Federazione di competenza.

Diversa è invece la posizione delle Federazioni Sportive Nazionali di riferimento, le quali sono infatti sempre titolari di dirette potestà ispettive di controllo sulle singole discipline e sulle rispettive competizioni, dalle quali discendono quindi profili di responsabilità.

Le Federazioni sportive, infatti, pur facendo capo al C.O.N.I. – che ne è la Confederazione (art. 2, d.lgs. n. 242/1999) – e quindi partecipando della natura pubblicistica dello stesso, godono anche di autonomia giuridica pur sotto la sua vigilanza (8), cosicché rispondono delle eventuali omissioni (anche solo per culpa in vigilando) nell’organizzazione delle singole gare sportive, che infatti rientra nelle loro competenze quale attività “privatistica (9).

In applicazione di tale criterio, è stata affermata (10) la responsabilità della F.I.G.C. (Federazione Italiana Giuoco Calcio), quale committente ex art. 2049, c.c., per la colpevole imperizia di un medico sportivo operante in un centro riconosciuto, che, omettendo ulteriori accertamenti, aveva attestato l’idoneità alla pratica agonistica di un quattordicenne, in seguito deceduto durante un incontro, a causa di un arresto cardiocircolatorio; ciò, in quanto lo statuto della F.I.G.C. prevede all’art. 3 che la Federazione persegua il fine della pratica del calcio anche attraverso “la tutela medico sportiva degli atleti”, anche in forza del D.M. 18.2.1982 (11).

Si è inoltre riconosciuta la responsabilità ex art. 2043, c.c., del gruppo sportivo dell’atleta e della Federazione sportiva nazionale di riferimento, in una fattispecie (12) in cui, in un incontro di basket, un giocatore, giocando veementemente, aveva urtato contro la porta a vetri dello spogliatoio, sfondandola e procurandosi ferite da taglio multiple agli arti superiori, e ciò, sul rilievo che la Federazione avrebbe la indiscussa titolarità dell’attività ispettiva e di controllo che si esplica attraverso l’omologazione del campo da gioco secondo il regolamento esecutivo.

Per contro, la Suprema Corte ha negato la responsabilità della F.I.S.I. (Federazione Italiana Sport Invernali), affermando, invece, quella diretta del C.O.N.I., per l’omologazione di una pista da sci non conforme alle prescrizioni tecniche (13).

Dai casi presentatisi e dall’evoluzione del panorama normativo, sembrerebbe così di poter evincere un possibile criterio da adottare agli effetti dell’attribuzione della responsabilità anche al C.O.N.I. o alle sole Federazioni sportive, facente leva sulla “doppia natura” giuridica di queste ultime, e che porterebbe ad affermare la responsabilità del C.O.N.I., ogniqualvolta l’attività svolta nel caso concreto dalla singola Federazione abbia valenza pubblicistica (14), ed invece la responsabilità della sola Federazione per l’attività rientrante nell’autonomia tecnico-organizzativa di natura privata della stessa.

Il discrimine dovrebbe quindi rinvenirsi fra il perseguimento, da parte delle Federazioni, dei fini istituzionali propri del C.O.N.I., e la realizzazione invece, da parte delle medesime, delle proprie autonome finalità, quindi tra attività pubblicistica e attività privatistica delle Federazioni; sul primo tipo di attività il C.O.N.I. avrebbe certamente un pieno potere di controllo e quindi la relativa responsabilità, mentre sull’attività di natura privatistica non avrebbe poteri di diretto controllo, e quindi la responsabilità ricadrebbe unicamente sulla singola Federazione (15).

A seguito del riordino attuato a mezzo del d.lgs. 23.7.1999, n. 242, formalmente venuto meno il rapporto organico fra Federazioni e C.O.N.I, quest’ultimo potrà essere coinvolto soltanto in relazione a quelle attività delle Federazioni espressamente qualificate come “a valenza pubblicistica” dall’art. 23, comma 1º, del suo Statuto, ed unicamente laddove, nel caso concreto, dovessero emergere specifiche negligenze nello svolgimento dei suoi compiti di controllo (16).

2. – Venendo, in particolare, all’esame degli obblighi di controllo facenti capo all’organizzatore, deve rilevarsi che gli stessi appaiono evidentemente tanto più incisivi, quanto più complessa è l’attività organizzativa richiesta dalle singole competizioni sportive (17).

Al riguardo, si distingue fra “competizione sportiva” e “manifestazione sportiva”, nel senso che la prima consisterebbe in un incontro individuale od a squadre che avrebbe per scopo quello di raggiungere un risultato in una sola e ben determinata disciplina sportiva (incontro di calcio, regata velica con un solo tipo di imbarcazione, corsa automobilistica con una sola classe di autovetture …); si avrebbe invece una vera e propria manifestazione sportiva, ogniqualvolta si organizzi un insieme di competizioni, ciascuna con propria autonomia e individualità, che si svolgano in uno stesso contesto anche se a tratto successivo (torneo di tennis con singolari, doppi, femminili e maschili; regata velica con più tipi di imbarcazioni, corsa automobilistica con più classi di veicoli …) (18).

E’ quindi evidente che una manifestazione sportiva richiederà una più complessa organizzazione e comporterà più articolate responsabilità degli organizzatori, anche avuto riguardo alla necessaria presenza di preposti ed all’imputazione di responsabilità agli organizzatori anche ex art. 2049 c.c.

Occorre tenere presente, innanzitutto, che, laddove vi è competizione-spettacolo o manifestazione-spettacolo, si pone un problema di garanzia dell’ordine pubblico, e ciò, sia al fine di salvaguardare l’incolumità degli atleti e degli spettatori, che agli effetti dell’integrità dei risultati sportivi.

La presenza delle forze dell’ordine (vigili del fuoco, carabinieri, pubblica sicurezza, ecc.) appare quindi necessaria, e l’organizzatore che non la attivi tempestivamente potrà incorrere in responsabilità (19).

In merito ai rapporti fra l’organizzatore e le forze dell’ordine, si può peraltro affermare che il primo conserva piena autonomia quanto agli aspetti tecnici delle manifestazioni sportive, e che comunque le forze dell’ordine sono tenute ad intervenire soltanto ove non sia possibile all’organizzatore tutelare diversamente la pubblica incolumità ed assicurare la regolarità delle competizioni (20).

Gli essenziali aspetti che, costituendo fattori di rischio, rientrano negli obblighi di controllo dell’organizzatore, sono (21):

  1. l’idoneità e la sicurezza del luogo in cui si svolge la manifestazione e degli impianti che vengono utilizzati;

  2. l’idoneità e la sicurezza dei mezzi tecnici utilizzati, siano essi forniti o meno dall’organizzatore medesimo;

  3. l’idoneità dell’atleta a partecipare alla competizione, sia in ragione della sua esperienza (22), che per le sue condizioni psico-fisiche (23).

Agli effetti di queste complesse verifiche, l’organizzatore si avvale di propri collaboratori (cronometrista, medico sportivo, allenatore), del cui operato risponde: in particolare, risponderà propriamente ex artt. 1228 e/o 2049 c.c., rispettivamente con riguardo ai danni da inadempimento ed ai fatti illeciti provocati dai propri preposti agli atleti, in ipotesi legati contrattualmente all’organizzatore, ed agli spettatori paganti, mentre risponderà ex art. 2049 c.c. degli illeciti commessi dai propri dipendenti o collaboratori a carico degli spettatori non paganti e comunque dei terzi (24).

Diversamente avviene invece per l’ufficiale di gara, appartenente ed inviato dalla rispettiva Federazione con funzione di arbitro o giudice; questi, infatti, non ha rapporto con l’organizzatore, né con l’atleta né con lo spettatore, e quindi l’illecito, da questi eventualmente posto in essere, interesserà verosimilmente soltanto la sua Federazione di appartenenza, ai sensi dell’art. 2049 c.c. (25).

In particolare, per le situazioni in cui l’arbitro è l’unico ad avere un diretto ed immediato controllo sulla possibile fonte di danno (es. verifica regolarità scarpe da gioco; interruzione del gioco in un incontro di boxe o di karate), la responsabilità sarà dell’arbitro e non dell’organizzatore (26), ed in relazione al suo operato potrà essere chiamata a rispondere anche la Federazione di appartenenza.

L’organizzatore di una manifestazione sportiva è tenuto ad osservare, al fine di assolvere i propri obblighi di controllo, una pluralità di disposizioni, finalizzate alla realizzazione della sicurezza dell’evento sportivo, quali essenzialmente: a) prescrizioni della legge in senso stretto; b) norme regolamentari sportive; c) principi generali di comune prudenza (27).

In particolare, chi organizza un evento sportivo a pagamento in luogo pubblico o aperto al pubblico è tenuto a richiedere la licenza alla questura, secondo quanto previsto dagli artt. 68 e 71 del r.d. 18.6.1931, n. 773 (28), mentre invece, se la manifestazione è sprovvista di qualsivoglia finalità di lucro, sarà sufficiente un preavviso di tre giorni all’autorità locale, salva la facoltà, per quest’ultima, di invitare i promotori a munirsi della licenza prescritta dall’articolo 68 del r.d. 18.6.1931, n. 773 medesimo, e ad informare tempestivamente la questura, qualora ravvisi che l’evento assuma i caratteri dello spettacolo e/o intrattenimento pubblico, ai sensi dell’art. 123, r.d. 6.5.1940, n. 635 (29).

La licenza in questione, ove necessaria, viene concessa a condizione che l’organizzatore appresti ripari materiali per il pubblico e fornisca servizio di assistenza sanitaria per i casi di infortunio (30).

Non sembra comunque che l’eventuale difetto dell’autorizzazione, di cui trattasi, possa di per sé spiegare influenza nell’accertamento delle responsabilità in capo all’organizzatore, in presenza di eventi dannosi (31).

L’organizzatore dovrà inoltre vagliare l’idoneità del luogo prescelto al fine del regolare svolgimento della gara e della sicurezza dei presenti, e sarà inoltre tenuto al rispetto delle disposizioni emanate dalle autorità del luogo, avendo comunque ben presente che per alcuni sport possono essere richiesti controlli specifici (32).

Cosicché, si può sinteticamente affermare che l’organizzatore di competizioni sportive è tenuto a predisporre tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza e l’incolumità di gareggianti e spettatori e per prevenire, rispettando anche le norme generali di prudenza e di diligenza, il verificarsi di eventi che possano mettere in pericolo tale sicurezza ed incolumità (33).

Al riguardo, la giurisprudenza afferma infatti che non è sufficiente il mero rispetto delle prescrizioni regolamentari sportive, ma è necessaria sia l’osservanza delle norme generali e particolari di prudenza della singola disciplina sportiva, che il rispetto delle norme comuni di prudenza e diligenza (34).

L’organizzatore dovrà quindi prevedere a priori, secondo il criterio della prevedibilità ex ante, qualsiasi rischio di eventi lesivi che possa essere originato dall’espletamento dell’attività o della manifestazione sportiva in svolgimento (35).

E’ quindi necessaria un’attività di specifica e complessa programmazione in ordine alla sicurezza dell’evento sportivo da organizzare, mediante la “previsione di tutto il prevedibile, al di là delle prescrizioni statuali e regolamentari di settore, e con una valutazione in concreto di ogni strumento volto a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva” (36) (cd. rischio “consentito”), entro i quali infatti nessuna responsabilità può, in linea di principio, essere addebitata – neppure – all’organizzatore (37).

Per le lesioni che invece vengano arrecate oltre i confini del rischio accettabile nella specifica disciplina o manifestazione, si tende ad affermare che il nesso di causalità fra l’attività dell’organizzatore e l’evento lesivo potrà dirsi interrotto soltanto in caso di “fatto del terzo o della vittima, o in caso di identificazione di una specifica causa estranea non imputabile alla sfera giuridica dell’organizzatore” (38), che avrà quindi, in definitiva, l’onere di provare il caso fortuito per non incorrere in responsabilità (39).

Inoltre, in sede di applicazione pratica, si è assistito di frequente ad una valutazione della prevedibilità, da parte della giurisprudenza, secondo un criterio “a posteriori”, anziché – come più sopra evidenziato come necessario – “ex ante”, e cioè alla stregua, per così dire, dell’equazione per cui lo stesso verificarsi dell’evento lesivo, nonostante l’osservanza delle norme regolamentari per la sicurezza dell’impianto e dei luoghi, sarebbe di per sé indice della sua prevedibilità (40).

Numerosi sono infatti i casi che si annoverano a tal riguardo.

E’ stata ad esempio affermata la responsabilità di una associazione che gestiva un circolo sportivo di squash, che, durante un incontro ufficiale ivi ospitato, pur avendo rispettato tutte le prescrizioni regolamentari in tema di sicurezza, non aveva previsto che un colpo anomalo avrebbe potuto scavalcare le protezioni e colpire gli spettatori (41); nonché la responsabilità della società di calcio per le lesioni riportate da uno spettatore in seguito alla caduta dovuta alla presenza sulle gradinate di frammenti di vetro e di altri rifiuti (42), e addirittura per le lesioni causate dal lancio di monete all’interno dello stadio (43). Si può inoltre annoverare, nel medesimo contesto, il caso in cui fu affermata la responsabilità dell’organizzatore di una gara di atletica e della Federazione di riferimento, per omissione di cautele nell’ammettere un minore al riscaldamento in campo mentre si svolgeva il riscaldamento di altro atleta in preparazione della gara di lancio del martello (44).

In un caso risalente, durante la partita Fiorentina – Juventus, si era verificato il cedimento di 12 metri di balaustra dello stadio di Firenze, a causa della pressione della folla dei tifosi, molti dei quali precipitarono sugli spettatori che si trovavano nel parterre, con ferimento di 139 persone; furono convenuti in giudizio sia il Comune di Firenze, quale proprietario dello stadio, sia l’Associazione Calcio Fiorentina (45), quale organizzatrice dell’incontro. La Corte d’Appello di Firenze, nonostante avesse rilevato un vizio di costruzione della balaustra e quindi l’astratta applicabilità al Comune dell’art. 2053 c.c., in tema di rovina di edificio, addossò interamente la responsabilità all’Associazione Calcio Fiorentina, alla quale imputò di aver provocato un sovraffollamento dello stadio, ritenuto unica causa del sinistro (46).

In un’altra decisione, si è affermato che l’attività di predisposizione del campo di gara configura attività pericolosa ex art. 2050 c.c., se espone gli atleti a rischi maggiori rispetto a quello consentito nel singolo sport (47); nella specie, durante una corsa con il bob, l’atleta era finito, a causa di un’errata manovra, contro la staccionata di legno che conteneva la pista e l’urto del casco aveva fatto staccare una scheggia di legno, la quale aveva ferito gravemente al viso l’atleta, poi caduto in coma. La Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte di Appello, la quale non aveva verificato in concreto, e quindi secondo un giudizio di probabilità ex post e non ex ante, se l’attività di predisposizione del campo di gara (mediante l’adozione di tavole di legno di contenimento della pista) non avesse aumentato la rischiosità dell’evento oltre quella consentita nella specifica attività sportiva. Nessuna indicazione è stata invece data dalla Suprema Corte circa la necessità di valutare se il materiale utilizzato per il casco fosse idoneo a preservare il capo dell’atleta e se lo sbandamento del veicolo avesse contribuito in maniera determinante al sinistro (48).

Analogo è il recentissimo caso verificatosi ai Giochi Olimpici di Vancouver del 2010, dove lo slittinista georgiano Nodar Kumaritashvili, uscito dal budello ghiacciato, è andato a battere contro un palo metallico; al riguardo, ci si è chiesti se la pista fosse diventata troppo veloce a causa di problemi di umidità, oppure se l’incidente sia stato provocato dalla mancata protezione dei piloni posti ai margini della pista, ovvero da un errore dell’atleta.

Dai casi analizzati sembra di poter ricavare, in prima approssimazione, i seguenti criteri:

  • il limite della responsabilità dell’organizzatore nei confronti degli atleti è rappresentato dal rischio consentito in ogni singola attività sportiva, pericolosa o meno; di tal che, se la lesione è contenuta entro detto rischio, l’organizzatore un linea di principio non risponde, né risponderà del danno l’atleta che lo ha provocato;

  • se invece l’evento lesivo si pone oltre il confine del rischio accettato nella singola competizione sportiva, verrà in rilievo l’eventuale responsabilità dell’organizzatore, e si tratterà quindi di verificare se il danno sia stato provocato dalle particolari modalità organizzative della gara, che abbiano eventualmente esse stesse esposto gli atleti ad un rischio superiore a quello consentito.

Nella pratica, la responsabilità dell’organizzatore è stata sovente riconosciuta a fronte della mancanza di agibilità del luogo di esercizio dell’attività sportiva, ed a causa della inidoneità dello stesso a garantire, non solo il regolare svolgimento della competizione, ma anche la sicurezza di pubblico e partecipanti (49).

A tal fine, si è ritenuto che l’omologazione da parte della Federazione sportiva sia necessaria, ma non sufficiente ad escludere la responsabilità dell’organizzatore, che comunque è tenuto a provvedere alla regolare manutenzione, in funzione del mantenimento degli impianti al medesimo livello e stato esistente al momento dell’omologazione stessa (50).

Sotto il profilo considerato, frequente è la sovrapposizione fra la figura dell’organizzatore e quella del gestore dell’impianto sportivo, e la conseguente applicazione anche all’organizzatore dell’art. 2051 c.c., in tema di responsabilità per danni da cose in custodia.

Analoghi rilievi suscita il profilo dell’idoneità e della sicurezza dei mezzi tecnici utilizzati dagli atleti (51), circa i quali l’organizzatore è tenuto a rispettare tutte le prescrizioni dei regolamenti federali, predisponendo tutte le misure idonee affinché il loro utilizzo non sia fonte di pericolo (ad esempio, predisponendo nel lancio del martello adeguate reti di protezione, oppure posizionando adeguatamente reti e fossati negli autodromi) (52).

L’organizzatore sarà quindi responsabile della inadeguatezza di luoghi, impianti ed attrezzi, nonchè della loro non corretta custodia, laddove da essa scaturisca un danno (53). Non risponderà invece in caso di condotta dell’atleta elusiva del controllo sui mezzi tecnici di sua proprietà, come per esempio nel caso in cui quest’ultimo abbia dolosamente sostituito i mezzi stessi dopo i controlli tecnici eseguiti dall’organizzatore (54).

Sempre in merito alle responsabilità degli organizzatori relativamente alla sicurezza degli atleti, degli spettatori, dei terzi, interessati o meno alla gara, ed agli obblighi degli stessi di predisporre le cautele necessarie ad evitare che nei luoghi dove si svolge lo spettacolo sportivo si possano concretizzare pericoli ai loro danni, si ritiene che l’organizzatore della manifestazione sportiva sia tenuto, a tal fine, ad apporre cartelli segnalatori, ad impartire con manifesti le opportune disposizioni ai concorrenti ed al pubblico, ad innalzare transenne o altri sistemi protettivi a tutela degli spettatori, nonché ad osservare le prescrizioni di pubblica sicurezza, le regole federali, le circolari e le ulteriori disposizioni che siano eventualmente emesse dalla competente autorità governativa a tutela degli interessi della collettività ed in relazione allo specifico livello di pericolosità che si accompagna a ciascun tipo di attività sportiva. L’organizzatore deve inoltre preoccuparsi di segnalare adeguatamente il tracciato di gara e di apprestare le dovute misure per un tempestivo ed adeguato soccorso agli atleti (55).

Volendo tracciare una sintesi in merito alla responsabilità dell’organizzatore nei confronti degli atleti per lesioni agli stessi derivate durante la competizione sportiva, si può affermare che lo stesso risponde delle lesioni che esulino rispetto al rischio “consentito” nella singola pratica sportiva e che siano direttamente riferibili all’apprestamento di luoghi e misure organizzative inidonee.

Infatti, come si è sopra accennato, per quanto riguarda gli atleti, sussiste effettivamente, da parte loro, un’accettazione del rischio di infortuni, cosicché gli stessi non dovranno essere risarciti ogniqualvolta i danni sofferti rientrino nell’alea normale e fisiologica di quel determinato sport (56); in tali casi, peraltro, sembra comunque di poter affermare che spetterà all’atleta provare – eventualmente – che il danno si è in realtà verificato a causa della scelta, da parte dell’organizzatore, di un impianto difettoso o comunque a causa di inadeguata gestione dell’evento.

La società sportiva, per andare esente da responsabilità per i danni subiti dall’atleta durante le partite, avrà l’onere di provare di aver messo in atto tutte le misure idonee a garantire che la gara si svolgesse secondo le regole sue proprie, con la conseguenza che l’atleta non potrà ottenere risarcimenti per danni verificatisi in seguito ad un accaduto rientrante nell’alea normale dell’attività prescelta e che non sia ricollegabile a carenze organizzative (57).

Ogniqualvolta sia invece ravvisabile la responsabilità dell’organizzatore, che non riesca in ipotesi a dare la prova che la lesione, pur esulante rispetto al rischio consentito, sia stata tuttavia provocata da fatto del terzo o del danneggiato, oppure da una specifica causa configurante caso fortuito, l’organizzatore medesimo risponderà ai sensi della l. 23.3.1981, n. 91, nei confronti dell’atleta a lui legato da contratto, e ciò, sia che si tratti di rapporto di lavoro subordinato, in quanto ex art. 2087 c.c. “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”; sia che il rapporto che lega l’atleta alla società sportiva sia invece inquadrabile nel contratto di lavoro autonomo, la qual cosa, sempre secondo la l. n. 91 del 1981 (58), si verificherà “a) quando l’attività dell’atleta sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni fra loro collegate in un breve periodo di tempo; b) l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento; c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno”.

In forza di tali rapporti contrattuali, peraltro, le società sportive datrici di lavoro, e quindi organizzatrici degli incontri sportivi, sono tenute a stipulare polizze assicurative e a proteggere l’integrità psico-fisica degli atleti, a partire dalla tutela sanitaria che si attua tramite controlli medici periodici.

A tal proposito, l’organizzatore di manifestazioni sportive dovrà infatti, ove prescritto, vigilare sull’idoneità psico-fisica degli atleti ammessi alla competizione (59). Detto obbligo di vigilanza viene considerato ottemperato in base alla presunzione di idoneità ricavabile dagli accertamenti medici, di tal che, la completezza degli accertamenti sanitari cui le singole Federazioni sottopongono i loro atleti esime da qualsiasi responsabilità l’organizzatore che si attenga alle risultanze di tali accertamenti (60).

L’organizzatore dovrà quindi escludere dalla competizione l’atleta che non risulti idoneo sulla base di tali accertamenti, ma non sarà tenuto ad addentrarsi in uno specifico ed ulteriore controllo sullo stato di salute dell’atleta, né tantomeno risponderà di eventuali falsità del certificato.

Naturalmente, qualora non esista una diagnosi federale, o circostanze sopravvenute facciano presumere che il responso federale non sia più attendibile, oppure qualora un incidente in prossimità della gara abbia inciso sulla salute dell’atleta, l’organizzatore avrà l’obbligo di far visitare l’atleta da uno specialista e successivamente di attenersi al suo insindacabile giudizio (61).

L’organizzatore dovrà inoltre vigilare in merito alle condizioni dell’atleta, evitando che si affrontino atleti di diversa esperienza e capacità (62), al fine di evitare il verificarsi di possibili situazioni di pericolo, basandosi di volta in volta sul relativo ranking, ovverosia il piazzamento in graduatoria, la cui verifica varrebbe ad esonerarlo dallo svolgimento di più accurati controlli.

La responsabilità dell’organizzatore – a titolo contrattuale se l’atleta è dipendente o collaboratore della società sportiva organizzatrice, ovvero non contrattuale se non sussiste alcun rapporto contrattuale con l’organizzatore – sarà quindi certamente configurabile laddove questi, nonostante fosse a conoscenza delle non ottimali condizioni fisiche dell’atleta o del divieto opposto dal medico di gara, gli abbia tuttavia concesso di gareggiare (63), oppure quando abbia fatto incontrare fra loro atleti di differente livello (64).

Il principio dell’accettazione del rischio, che determina la soglia entro la quale l’organizzatore si considera in linea di principio esonerato da responsabilità nei confronti degli atleti, non opera tuttavia nei confronti degli spettatori, paganti e non, come pure per la generalità dei terzi (65), che infatti, nell’assistere all’evento sportivo, possono invero ipotizzare, ma certamente non accettare il rischio di infortuni derivanti dalla manifestazione sportiva ai loro danni.

3. – Volendo sintetizzare i titoli che fondano la responsabilità dell’organizzatore, occorre distinguere fra le lesioni occorse agli atleti legati all’organizzatore da rapporto contrattuale ed agli spettatori paganti, e i danni provocati invece ad atleti non legati contrattualmente all’organizzatore, agli spettatori non paganti, agli abusivi e comunque agli estranei (66).

Quanto al primo aspetto, l’organizzatore risponde a titolo contrattuale se nei confronti del danneggiato (atleta, spettatore pagante o utente) sussisteva un rapporto giuridico preesistente al sinistro (lavoro dipendente o autonomo per l’atleta professionista; partecipazione a corsi sportivi interni ad una associazione (67), e così via).

In particolare, l’atleta-contraente, che sia stato leso al di là del rischio “consentito” o comunque in dipendenza di carenze organizzative, potrà chiedere il risarcimento allegando l’inadempimento dell’organizzatore, dimostrando il danno subito e la riconducibilità dello stesso al predetto inadempimento (art. 1218 c.c.).

Quanto allo spettatore, si ritiene che la vendita di un biglietto non comporti soltanto l’obbligo per l’organizzatore di assicurare la visione diretta dello spettacolo sportivo (contratto innominato cd. di “spettacolo”), ma altresì l’obbligo strumentale di garantire la sicurezza e l’incolumità del pubblico (68), per il quale non vale invero il principio dell’accettazione del rischio, dovendo quindi l’organizzatore approntare, fra l’altro, ogni necessario controllo agli ingressi e sugli spalti, onde evitare che vengano introdotti mezzi idonei ad offendere.

Sotto il secondo profilo, relativo agli infortuni eventualmente occorsi ai gareggianti non legati all’organizzatore da alcun rapporto contrattuale, agli spettatori non paganti, ai terzi abusivi e comunque agli estranei, l’organizzatore medesimo risponderà a titolo esclusivamente extracontrattuale, in linea di principio ai sensi dell’art. 2043 c.c. (69).

In questi casi, dunque, il danneggiato, per il quale – diversamente da come avviene nel caso dell’atleta-contraente, precedentemente considerato – non vale il principio dell’accettazione del rischio, dovrà provare tutti gli elementi di cui all’art. 2043 c.c. (anche in relazione a tutte le cautele ed obblighi a carico dell’organizzatore), e chi ha poteri di direzione sull’evento potrà essere chiamato a rispondere anche per il fatto dei propri preposti ed ausiliari, ai sensi dell’art. 2049 c.c. (70).

Si ritiene che lo spettatore pagante danneggiato possa scegliere l’azione contrattuale o quella extracontrattuale, la prima delle quali comporterà un onere probatorio più semplice ed un più lungo termine di prescrizione, mentre la seconda, seppure più rigida sotto il profilo dell’onere probatorio e più limitata quanto al termine prescrizionale, consentirà invece il risarcimento anche dei danni non prevedibili (71); al riguardo, si ammette altresì la possibilità del cumulo fra le due azioni (72).

La tematica della responsabilità extracontrattuale dell’organizzatore introduce l’ulteriore aspetto dell’eventuale pericolosità della manifestazione sportiva da organizzare, con possibile applicazione dell’art. 2050 c.c. (73).

Quanto alla accezione di “pericolosità” dell’evento da organizzare, la stessa viene identificata comunemente con una potenzialità lesiva di grado superiore al normale, che si estrinseca nel prodursi di un elevato numero di eventi lesivi e/o nella elevata gravità degli eventi lesivi provocati (74). Di tal che, la stessa comporta l’applicazione dell’art. 2050 c.c., alla cui stregua “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura (es. gara di automobilismo) o per la natura dei mezzi adoperati (es. tiro con l’arco), è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”.

Nello specifico, le caratteristiche di pericolosità dell’evento da organizzare sono state ricondotte essenzialmente a due indici di riconoscibilità, quali: a) la previsione legislativa di particolari misure di sicurezza relativamente alla singola disciplina o competizione sportiva; b) la sottoposizione della stessa alla potestà autorizzativa della pubblica amministrazione.

L’art. 2050 c.c. viene infatti comunemente ritenuto norma a “struttura aperta”, dal momento che vengono considerate attività pericolose, non solo quelle che sono qualificate come tali dalle leggi di pubblica sicurezza o da altre normative speciali, ma anche quelle che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino una rilevante possibilità del verificarsi di un danno, per la loro spiccata potenzialità offensiva (75).

Si rileva inoltre, al riguardo, che anche “le circostanze in cui l’attività è esercitata possono influire in maniera decisiva sulla pericolosità” (76). In linea con tale principio, si è altresì affermato che “è considerato esercente attività pericolosa anche chi organizza, dirige ed appresta i mezzi necessari per consentire lo svolgimento dell’altrui attività pericolosa” (77)

Ed ancora, in merito all’eventuale responsabilità dell’organizzatore a cagione della pericolosità dell’evento da organizzare, si è affermato che lo stesso è responsabile soltanto della propria attività, mentre non risponde per quella parte di attività organizzativa che abbia “commissionato ad altri in base ad un rapporto che non determini un vincolo di subordinazione fra committente ed esecutore” (78).

Come noto, la previsione della possibile imputazione oggettiva della responsabilità civile è conseguenza delle caratteristiche organizzative della società moderna, in cui, specie nell’ambito delle attività imprenditoriali e delle cd. attività “rischiose”, si preferisce utilizzare criteri di attribuzione della responsabilità che non richiedano analisi complesse (come in particolare quella sulla colpevolezza), e che rendano individuabile a priori il soggetto che deve essere tenuto al risarcimento.

Alla stregua di ciò, la giurisprudenza, che pure originariamente era dell’avviso che l’organizzazione di eventi sportivi non dovesse rientrare nel novero delle attività pericolose, in quanto attività di natura neutra (79), ha tuttavia di volta in volta qualificato come pericolosa l’organizzazione di specifici eventi sportivi, quali, a titolo esemplificativo:

  • quelli relativi a sport che utilizzano mezzi a motore, come l’automobilismo ed il motociclismo (80);

  • gli eventi relativi a sport che comportano ad ogni manifestazione lo spostamento di decine di migliaia di spettatori e causano perciò notevoli problemi di ordine pubblico, come il calcio professionistico (81);

  • l’organizzazione di una competizione sciistica (82);

  • l’organizzazione di un’autogimkana (83);

  • l’organizzazione di una gara internazionale di canoa kajak (84);

  • l’organizzazione di corsi di alpinismo per principianti (85) .

L’onere della prova, in caso di attività organizzativa di eventi sportivi ritenuta “pericolosa”, sarà a carico dell’organizzatore ed avrà ad oggetto l’aver adottato, non solo tutte le misure di sicurezza imposte dalla legislazione in materia e dalla federazione di competenza del singolo sport, ma anche tutte le misure dettate dal progresso tecnologico che siano in concreto idonee a neutralizzare la pericolosità dell’evento; e comunque, a prescindere dalla pericolosità o meno dell’attività sportiva o dell’evento organizzato, l’organizzatore potrà verosimilmente essere chiamato a rispondere, ogniqualvolta sia accertata una sia pure minima prevedibilità dell’evento dannoso. Di tal che, sarà necessaria in capo all’organizzatore la perfetta conoscenza, non soltanto delle normative generali e di settore, ma anche delle specifiche caratteristiche dell’attività organizzata, oltre che la predisposizione di adeguate coperture assicurative (86).

In sintesi, può così affermarsi che:

  • sussiste la responsabilità dell’organizzatore verso gli atleti e verso gli spettatori, se un evento dannoso derivi da scelte improprie dei luoghi, da inadeguatezza di impianti, strumenti od attrezzature, da inesperienza di atleti nota o conoscibile da parte dell’organizzatore;

  • sussiste la responsabilità dell’organizzatore se un evento dannoso sia riconducibile alla condotta di un suo preposto, esclusi gli ufficiali di gara federali;

  • non sussiste la responsabilità dell’organizzatore se un evento dannoso consegua al mancato intervento delle forze dell’ordine, presenti in campo, che abbiano omesso di intervenire;

  • non sussiste la responsabilità dell’organizzatore ogniqualvolta un evento dannoso sia esclusiva conseguenza del comportamento imprudente di un atleta o di uno spettatore, che spezzi il nesso causale fra l’attività organizzativa e la lesione arrecata (87).

Ci si interroga, infine, in merito alla validità delle clausole di esonero della responsabilità dell’organizzatore, dei suoi collaboratori o ausiliari, che trovano previsione in alcuni regolamenti e che vengono fatte sottoscrivere ad atleti, spettatori ed altri soggetti coinvolti nell’evento sportivo.

Tali clausole non sembrano avere efficacia per ipotesi ulteriori rispetto a quella della responsabilità per colpa lieve, ai sensi dell’art. 1229 c.c. (88), e pongono comunque il problema del loro possibile inquadramento nell’ambito di applicabilità dell’art. 1341, 2º comma, c.c., qualora siano contenute sui biglietti di ingresso alle partite, nonché della loro eventuale vessatorietà alla stregua delle previsioni del “Codice del consumo” (89), poiché infatti dette pattuizioni contengono limitazioni di responsabilità a favore di un soggetto, appunto l’organizzatore, per lo più qualificabile come “professionista” (90).

4. – Quanto alle società di calcio, ed alla loro responsabilità per i danni occorsi agli atleti oppure a soggetti estranei alla competizione, occorre sottolineare che, come sopra si è accennato, la giurisprudenza, a partire dagli anni Sessanta e fino agli anni Novanta, riteneva che l’organizzazione di eventi sportivi non dovesse qualificarsi come attività pericolosa, in quanto di natura neutra (91).

L’assunto veniva in particolare affermato con riferimento alla responsabilità delle società di calcio per incontri professionistici, e più in generale per gli sport a violenza eventuale, di per sé ritenuti non pericolosi.

Tuttavia, nel corso degli anni, la giurisprudenza si è evoluta nel senso di ricomprendere l’organizzazione di una partita di calcio professionistico fra le attività pericolose.

Ed infatti, inizialmente, il Tribunale di Milano non aveva accolto la domanda di risarcimento dei danni formulata nei confronti del Milan da parte di un tifoso, che era stato colpito da un petardo nel corso della partita Milan – Fiorentina (92). Nello stesso senso, diversi anni più tardi, lo stesso Tribunale di Milano, trovandosi a giudicare sulla domanda risarcitoria avanzata da un tifoso aggredito fuori dallo stadio da soggetti dell’opposta tifoseria, rimasti in parte non identificati, arrivò a sostenere che i comportamenti violenti dei tifosi, se pure astrattamente prevedibili, non avrebbero potuto essere contrastati con efficacia nemmeno affidando un vigilante ad ogni spettatore (93).

La prima corte ad affermare la responsabilità per esercizio di attività pericolosa della società che aveva organizzato l’evento calcistico, fu il Tribunale di Ascoli Piceno, il quale, relativamente ai danni provocati in seguito ad un incendio sviluppatosi per la presenza di una grande quantità di materiale infiammabile abusivamente introdotto nello stadio, rilevò che all’organizzazione della competizione-spettacolo calcistico si accompagnano ordinariamente pericoli per la pubblica incolumità (94).

Ed infine, anche il Tribunale di Milano arrivò a ricomprendere nell’alveo di cui all’art. 2050 c.c. l’organizzazione di un evento sportivo calcistico, quando condannò la società organizzatrice a risarcire i danni subiti da un tifoso colpito all’occhio da un oggetto lanciato dentro allo stadio (95).

La delineata evoluzione giurisprudenziale è stata giustificata sul rilievo della sempre maggiore popolarità dello sport calcistico professionistico, che infatti coinvolge oggigiorno decine di migliaia di spettatori “diretti”, e nella organizzazione dei quali eventi sportivi si possono in effetti riscontrare tutti gli indici di pericolosità richiamati al precedente paragrafo, fra i quali, in primo luogo, la riscontrata attitudine a dare luogo a numerosi episodi lesivi ovvero ad episodi lesivi molto gravi.

Proprio in ragione di tali caratteristiche, inoltre, nella organizzazione degli incontri di calcio professionistico si rinvengono altresì gli ulteriori indici di pericolosità visti sopra, quali la sussistenza di una normativa molto articolata, volta a prevenire sinistri ed infortuni, nonché la previsione dell’obbligo di ottenere specifiche autorizzazioni da parte dell’autorità amministrativa.

Si è infatti, al riguardo, preso atto del fenomeno della violenza negli stadi, e si è quindi considerata pericolosa l’organizzazione di competizioni calcistiche di livello professionistico, di tal che, è stata emanata la l. 13.12.1989, n. 401 (“Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive”), poi modificata dal d.l. 22.12.1994, n. 717 (“Misure urgenti per prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche”), convertito con modificazioni nella l. 24.2.1995, n. 45; il d.l. 20.8.2001, n. 336 (“Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive”), convertito con modificazioni nella l. 19.10.2001, n. 377; il d.l. 24.2.2003, n. 28 (“Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive”), convertito con modificazioni nella l. 24.4.2003, n. 88; il d.l. 17.8.2005, n. 162 (“Ulteriori misure per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive”), convertito nella l. 17.10.2005, n. 210, e, infine, a seguito dell’uccisione dell’agente Raciti al termine della partita Catania – Palermo, il d.l. 8.2.2007, n. 8, convertito nella l. 4.4.2007, n. 41 (“Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche, nonché norme a sostegno della diffusione dello sport e della partecipazione gratuita dei minori alle manifestazioni sportive”).

Più in particolare, l’attività di gestione di uno stadio è stata espressamente definita attività pericolosa, ex art. 2050 c.c., dalla disciplina di cui al d.m. 25.8.1989, contenente “Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi”, ed è stata in tal modo inquadrata dalla giurisprudenza, a causa dei frequenti incidenti, spesso mortali, che avvengono durante ogni stagione sportiva.

In tal senso, si è infatti affermato (96) che “L’organizzazione di una manifestazione sportiva di livello professionistico deve essere ricondotta al concetto di attività pericolosa […] in quanto considerata tale da espresse norme di legge (D.M. 25.8.1989 […]) il cui contenuto è tutto informato dalla consapevolezza sull’estrema pericolosità delle manifestazioni agonistiche, in quanto oggettivamente pericolose.

Anche in dottrina ci si è posti a favore di questa impostazione, ritenendo che l’art. 2050 c.c. si applichi al gestore dello stadio di calcio, sul presupposto che le intemperanze dei tifosi negli stadi rappresentano un rischio creato – anche se involontariamente – dall’attività di organizzazione di incontri calcistici; rischio che in quelle sedi si connota per una potenzialità dannosa elevatissima, attesa la concentrazione negli stadi di migliaia di persone (97).

Si è quindi affermata la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale dell’organizzatore della manifestazione calcistica.

A tal riguardo, la casistica rinvenuta in giurisprudenza si può raggruppare nei seguenti profili di responsabilità: a) danni occorsi agli atleti; b) danni provocati ai terzi, quali spettatori e tifosi.

Con riferimento ai danni subiti dagli atleti, si è affermata la responsabilità contrattuale della società di calcio in forza dell’art. 2087 c.c. (98); disposizione che si riempie di contenuto, alla stregua del combinato normativo della l. n. 91 del 1981 e del d.m. 13.4.1995, che dispongono in tema di controlli sulla salute psico-fisica degli atleti da parte delle società sportive.

La norma, in particolare, è stata applicata nel caso di un calciatore professionista (99), il quale, nel corso della propria attività sportiva, aveva subito due fratture al metatarso del piede destro, a seguito delle quali era stato operato di osteosintesi con inserimento di una vite metallica, che poi non era stata rimossa completamente per un errore. L’atleta era stato poi visitato da un medico dell’Istituto di Medicina dello Sport di Torino, che aveva dichiarato l’idoneità del calciatore, il quale poi, nel corso di un allenamento, aveva riportato una terza frattura dalla quale era derivata la totale inabilità al gioco del calcio e una inabilità permanente del 12%.

La Suprema Corte ha affermato la responsabilità della società di calcio, ex art. 2087 c.c., in quanto la stessa aveva omesso di comunicare al centro medico sportivo la storia sanitaria dell’atleta ed aveva altresì omesso propri controlli sul calciatore.

Si tratta di una pronuncia, che, a ben guardare, si è espressa in merito all’applicabilità della richiamata disposizione codicistica alla società di calcio onde fondare la responsabilità della stessa per il grave infortunio occorso al proprio giocatore, semplicemente in forza della sua qualità di datrice di lavoro e non già anche in qualità di organizzatrice di una particolare gara; peraltro, ove si fosse trattato di un infortunio verificatosi nel corso di una partita organizzata da detta società, parimenti questa avrebbe potuto essere chiamata a rispondere ai sensi dell’art. 2087 c.c. dal giocatore che, nella specie, non fosse stato adeguatamente tutelato nella propria integrità fisica.

Dalla natura contrattuale della responsabilità di cui al 2087 c.c. derivano rilevanti conseguenze in merito alla ripartizione dell’onere della prova, che, una volta dimostrato dall’atleta il verificarsi dell’infortunio nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo, sarà a carico del datore di lavoro, il quale, ove voglia esonerarsi, dovrà dimostrare che l’evento dannoso si è verificato per causa a lui non imputabile e nonostante abbia posto in essere tutte le misure idonee ad evitare il danno (100).

Nel caso concreto esaminato, inoltre, è stata affermata la responsabilità della società sportiva anche ex art. 2049 c.c., applicabile in relazione agli illeciti commessi dai preposti, quale – nella specie – il medico sportivo della società stessa.

In una diversa fattispecie venuta alla ribalta delle cronache, un orientamento dottrinale ha invece ritenuto applicabile l’art. 2050 c.c. (101), affermando quindi la responsabilità extracontrattuale della società di calcio nei confronti dell’atleta, per esercizio di attività pericolosa. Durante la partita di calcio Messina – Lecce, il calciatore Domenico Giampà andò a scontrarsi con un cartellone pubblicitario “rotativo” posizionato a bordo campo, riportando lesioni personali alla coscia sinistra a causa della recisione del muscolo mediale, e ben 147 punti di sutura.

Al riguardo, il regolamento della F.I.G.C. prevede una distanza di due metri e mezzo di tali cartelloni dalle linee di demarcazione del campo. Si è peraltro rilevato che il rispetto di dette prescrizioni non esime la società sportiva dall’osservanza dei principi generali di cautela e di salvaguardia per l’incolumità degli atleti, vale a dire che non basta aver rispettato le distanze stabilite per poter affermare e dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Di qui, la responsabilità oggettiva ex art. 2050 c.c., ipotizzata a carico della società sportiva per omessa vigilanza sul corretto posizionamento del supporto pubblicitario – che sembra fosse stato spostato dopo il controllo degli ufficiali di gara – nonché “per omessa adozione delle misure di sicurezza necessarie a rendere l’insidia del ferro sporgente del cartello pubblicitario visibile e prevedibile” (102).

Si è ritenuto peraltro che, nel caso esaminato, si sarebbe in linea di principio ben potuta prospettare anche una responsabilità ex art. 2051 c.c., per danni da cose in custodia, atteso che i cartelloni pubblicitari collocati all’interno allo stadio di calcio sono soggetti al continuo monitoraggio del soggetto-custode, sul quale ricadono gli obblighi di vigilanza sulla loro integrità o comunque non alterazione o non rimozione da parte di terzi (103).

Per attività di “custodia” si intende infatti “qualsiasi relazione fra la cosa ed il soggetto, tale per cui si possa ritenere che a quest’ultimo incomba un dovere di controllo su di essa” (104); per aversi vera e propria custodia, è quindi necessario che la cosa custodita, che abbia causato la lesione, si trovi sotto la diretta sorveglianza e dipendenza assoluta del custode, con esclusione di qualsiasi altra persona (105).

Il custode delle cose risponde quindi del danno dalle stesse (dinamiche o statiche) prodotto, a meno che provi il caso fortuito o il fatto del terzo, se autonomo, imprevedibile ed inevitabile.

Pertanto, poiché nel “caso Giampà” si è ritenuto che non si fosse verificato un fatto del terzo, od un fattore esterno, tali da interrompere il nesso causale fra il custode (società sportiva Messina), la cosa e l’evento lesivo, sarebbe stato verosimilmente ipotizzabile, a carico della società di calcio Messina, organizzatrice della gara, un ulteriore titolo di responsabilità, ex art. 2051 c.c. (106).

Si è inoltre rilevato che l’ipotizzata responsabilità, anche ai sensi dell’art. 2051 c.c., della società sportiva organizzatrice dell’incontro di calcio, non precluderebbe alla stessa l’azione di regresso nei confronti del produttore del cartellone, a titolo di responsabilità oggettiva per danno da prodotto difettoso, superabile, da parte del produttore stesso, mediante la prova di aver adottato tutti gli accorgimenti tecnici ed operativi a disposizione del mercato, per produrre e commercializzare correttamente il prodotto; né precluderebbe il regresso della società sportiva medesima anche nei confronti della terna arbitrale, sulla quale incombe infatti l’obbligo di verificare la conformità del cartellone pubblicitario alle norme regolamentari concernenti le attrezzature utilizzate, nonché la conformità del terreno di gioco e di quanto ad esso pertinenziale (107).

In un’ulteriore fattispecie, in cui una violenta pallonata aveva colpito al volto un calciatore, che aveva quindi proposto azione nei confronti della società di calcio organizzatrice per il risarcimento dei danni subiti, la responsabilità della convenuta è stata negata, in quanto la pallonata è stata considerata rientrare nel rischio consentito dal giocatore, con conseguente operatività della scriminante sportiva, che infatti giustifica la produzione della lesione ogniqualvolta la stessa non sia stata provocata con intenzione di ledere e sia stata funzionale allo spirito agonistico della specifica disciplina, oltre che ispirata a razionalità sportiva (108). In ipotesi, si sarebbe potuto configurare la responsabilità della società sportiva, ove l’infortunato avesse dimostrato che il danno era stato causato dalle concrete modalità di organizzazione o gestione dell’impianto, dalla mancanza di misure di sicurezza o dal ritardo nell’intervento dei sanitari.

Quanto al secondo profilo di responsabilità delle società di calcio, sopra individuato sub b), vale a dire quello relativo ai danni provocati ai terzi, quali spettatori e tifosi, si rinvengono in giurisprudenza, sia decisioni che hanno affermato la responsabilità della società di calcio a titolo contrattuale, che pronunzie che invece ne hanno riconosciuta la responsabilità aquiliana.

Con riguardo al primo orientamento, si è infatti affermato da talune corti di merito che “l’obbligo di garantire il godimento dello spettacolo assunto dall’ente organizzatore della partita di calcio con la vendita del biglietto include certamente il dovere di adottare tutte le misure idonee ad assicurare l’incolumità degli spettatori, anche sulla fase dell’ingresso e dell’uscita dallo stadio” (109). In applicazione di tale principio, le medesime decisioni hanno peraltro in concreto escluso la responsabilità civile della società sportiva per le lesioni subite da uno spettatore fuori dallo stadio in seguito alle percosse dei tifosi avversari o procurate da lancio di oggetti contundenti, e a distanza di tempo dalla conclusione dell’incontro; ciò, in quanto, in presenza di tali circostanze, i comportamenti dei tifosi, se pure prevedibili, non sarebbero comunque fronteggiabili.

In sede di appello, si è confermato che “l’obbligo contrattuale di garantire lo spettacolo include anche quello di adottare tutte le misure idonee ad assicurare l’incolumità degli spettatori, misura accessoria rispetto a quella principale di fornire lo spettacolo”, per concludere tuttavia che va esclusa la responsabilità contrattuale dell’organizzatore della partita di calcio per i danni riportati da tifosi al termine della partita ed al di fuori dello stadio, atteso che “esaurito lo spettacolo, gli spettatori che abbiano lasciato il luogo in cui esso si è svolto, non possono vantare alcuna pretesa in ordine ad un contratto esaurito in ogni prestazione da entrambi i contraenti” (110).

Ed ancora, si è addirittura ritenuto (111) che l’obbligo contrattuale di garantire la sicurezza dello spettatore pagante si tradurrebbe nell’obbligo di impedire l’introduzione ed il lancio di oggetti nello stadio; sussisterebbe quindi un obbligo di vigilanza come momento “privatistico” della società di calcio organizzatrice dell’evento, che sarebbe contrattualmente tenuta anche a porre in essere tutte le attività che occasionalmente e temporaneamente si configurano come strumentali al mantenimento dell’ordine pubblico.

Per contro, ad avviso di una decisione di merito più recente (112), la società di calcio non sarebbe contrattualmente tenuta a garantire l’incolumità degli spettatori, dovere che invece incomberebbe unicamente sulle forze dell’ordine; sempre secondo la medesima pronunzia, inoltre, l’organizzatore di una partita di calcio non avrebbe neppure l’obbligo extracontrattuale di salvaguardare l’incolumità degli spettatori dal lancio di oggetti ad opera di terzi, dal momento che il fatto del terzo escluderebbe il nesso causale e poiché l’organizzazione di una partita di calcio professionistico non costituirebbe attività pericolosa, con la conseguenza che, secondo il principio generale di cui all’art. 2043 c.c., andrebbe provato dal danneggiato l’elemento soggettivo del fatto illecito (113).

Con riguardo all’orientamento giurisprudenziale che ha riconosciuto la responsabilità extracontrattuale della società di calcio per danni arrecati ai terzi, quali spettatori e tifosi, lo stesso ha fatto leva, di volta in volta, sulla responsabilità generale di cui al precetto del neminem laedere, ex art. 2043 c.c., e sulle responsabilità speciali di cui agli artt. 2049 e 2050 c.c.

Ed infatti, nel caso degli incontri di calcio professionistici, l’esigenza di oggettivizzare la responsabilità per eventi dannosi occorsi durante le partite riposa, da un lato, nella difficoltà di individuare un responsabile del comportamento dannoso (114), e, dall’altro, nell’esigenza di apprestare al danneggiato una più veloce ed efficace azione risarcitoria (favor victimae) (115).

Si osserva, inoltre, che la frequenza con la quale in certi contesti si verificano eventi dannosi, ovvero la gravità degli stessi, rende qualificabile come pericolosa l’attività di chi organizza una competizione sportiva, cosicché si deve necessariamente richiamare l’art. 2050 c.c. con riferimento agli incontri di calcio professionistico, circa il quale si constata, infatti, che lo stesso, pur consistendo nel gioco intorno al pallone, si sviluppa e si amplifica tuttavia ben oltre tale ambito, come dimostra il crescendo di violenze negli stadi, nonché negli spazi immediatamente adiacenti.

Infine, la tendenza ad “oggettivizzare” la responsabilità delle società sportive in caso di eventi professionistici, si giustifica preminentemente sul rilievo che lo sport, ed in particolare taluni sport, come il calcio, sono sempre più da riguardare come business, in ragione dei molteplici interessi economici che vi ruotano attorno (pubblicità, sponsorizzazioni, diritti radiotelevisivi, eventi promozionali …), cosicché ben si comprende l’esigenza di applicare il principio “cuius commoda eius et incommoda”, con conseguente responsabilità oggettiva della società sportiva per i danni arrecati ai terzi, come, ad esempio, nel caso del lancio di fumogeno (116), ed agli atleti, come nel caso, sopra esaminato, delle lesioni subite dal calciatore Domenico Giampà del Messina calcio (117).

Venendo ora, più nello specifico, all’esame dell’incidente avvenuto allo Stadio delle Alpi di Torino durante la partita di calcio Juventus – Roma, nel corso del campionato 2000-2001 (118), deve rammentarsi che, in tale occasione, un tifoso della Roma veniva gravemente ferito alla mano destra da un fumogeno, lanciato dal settore riservato alla tifoseria avversaria, che egli non aveva potuto evitare, a causa della ingessatura che gli immobilizzava la gamba destra e che gli aveva impedito di allontanarsi celermente.

Il danneggiato conveniva la Juventus, in qualità di organizzatrice dell’incontro calcistico, non a titolo di responsabilità contrattuale, come pure avrebbe potuto avendo pagato il biglietto, bensì a titolo di responsabilità extracontrattuale per esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 c.c., con conseguente onere probatorio, a carico della Juventus, di “aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”.

All’esito dell’istruttoria esperita nel corso del giudizio, era emersa, in primo luogo, la responsabilità della Questura competente, e quindi dello Stato, a causa delle riscontrate lacune nel sistema di perquisizioni, ed inoltre la responsabilità del Comune di Torino, in qualità di proprietario dello Stadio delle Alpi, per aver concesso in locazione alla Juventus uno stadio, le cui strutture si erano rivelate inadeguate nel 2001, in quanto sprovviste di ripari orizzontali fissi o mobili che ostacolassero i lanci reciproci di oggetti fra le tifoserie avversarie, con conseguente pericolosità dello stadio stesso.

L’istruttoria aveva quindi escluso la responsabilità della Juventus organizzatrice, tanto più che la stessa aveva più volte sollecitato interventi adeguatori del Comune di Torino, mirati a fronteggiare la pericolosità dell’evento calcistico.

Tuttavia la Juventus è stata condannata ex art. 2050 c.c., sull’assunto che la stessa, ben consapevole della pericolosità dell’incontro e dell’impianto – tant’è vero che aveva più volte sollecitato al riguardo interventi da parte del Comune – non aveva scelto di disputare la partita in un altro stadio.

E ciò, nonostante fosse possibile obiettare, al riguardo, che il comportamento che si rimproverava essere stato omesso, cioè quello di far disputare la partita in uno stadio differente, si presentava difficilmente esigibile nel caso di specie, essendosi la Juventus impegnata ad inizio anno, nei confronti della F.I.G.C., a disputare tutti gli incontri di calcio a Torino; inoltre, non sembra che durante l’istruttoria si fosse adeguatamente vagliato se esistesse un altro stadio che potesse costituire una valida alternativa.

Come ben si vede, la tendenza della giurisprudenza appare quella di ricondurre comunque alla società di calcio organizzatrice la responsabilità per il lancio di oggetti, invocando le regole in tema di responsabilità per attività pericolosa anche in casi nei quali sembrerebbe dover operare il principio generale per cui “ad impossibilia nemo tenetur” (119).

Analoga decisione è stata assunta in un altro caso di lancio di oggetti per mancanza di coperture orizzontali (120); nella specie, l’anello inferiore riservato ai tifosi della squadra ospite era più largo di quello superiore riservato alla opposta tifoseria, dalla quale era quindi possibile lanciare oggetti.

Anche in tale occasione, si è affermato che l’organizzazione di una partita di calcio è attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c., sia perché ritenuta tale dalle numerose disposizioni volte ad impedire incidenti negli stadi o fuori da essi, sia perché oggettivamente pericolosa, come dimostra la serie di incidenti che sempre funestano le partite; è stato dato altresì rilievo agli interessi economici coinvolti in questo tipo di eventi.

In questa prospettiva, si è ritenuto che il gestore dello stadio debba adottare ogni misura idonea ad evitare il verificarsi di eventi dannosi che vedano coinvolti gli spettatori, derivanti tanto da lanci di oggetti, quanto da contatti fisici tra tifoserie avversarie, anche perché la normativa in materia richiede che le strutture sportive siano predisposte per tenere separati i tifosi avversari e che le barriere tra settori siano realizzate con materiali resistenti ed ignifughi (121).

L’onere della prova di avere adottato tutte le misure idonee incomberebbe sulla società di calcio che gestisce lo stadio, ed in questo contesto, dalla medesima pronuncia è stato ritenuto irrilevante che il danno abbia avuto concausa nel fatto di un terzo; si è affermato infatti, al riguardo, che il fatto del terzo rileva unicamente quando sia tale da elidere totalmente il nesso causale tra l’attività gestoria e l’evento, circostanza che nella specie non è stata in concreto ritenuta, essendo stata evidentemente addossata alla società di calcio organizzatrice la responsabilità per non aver fatto tutto il possibile per prevenire anche lo stesso fatto del terzo.

Cosicché, alla luce delle decisioni sin qui richiamate sul profilo in considerazione, vale a dire quello degli eventi lesivi occorsi a terzi, quali spettatori e tifosi, può affermarsi, in linea generale, che l’onere della prova a carico dell’organizzatore consiste nel dimostrare in concreto che il fatto, per le modalità in cui si è svolto, ha reso vana ogni possibile prevenzione.

Con specifico riguardo alla responsabilità della società di calcio organizzatrice per i danni provocati da fatto dei tifosi, è poi emerso che, se pure in passato è stata affermata dalla giurisprudenza la responsabilità della società sportiva per fatti provocati dai tifosi nell’area antistante allo stadio e addirittura per i danni cagionati dai tifosi stessi durante una partita in trasferta (122), più di recente è stata invece negata la responsabilità dell’organizzatore per i danni avvenuti ad opera dei tifosi al di fuori dello stadio, ed invece affermata per i fatti avvenuti all’interno dello stadio, ivi comprendendosi anche l’entrata e l’uscita dallo stesso (123).

Come si può notare, l’esclusione della responsabilità dell’organizzatore per fatti occorsi fuori dallo stadio – e a distanza di tempo dalla fine della partita – è stata sancita in relazione a casi per i quali il titolo invocato dal danneggiato per far dichiarare la responsabilità dell’organizzatore era quello contrattuale (acquisto del biglietto nel contratto cd. di “spettacolo”); la qual cosa, ben si comprende alla luce del rilievo che, ove il titolo della pretesa risarcitoria azionata venga fondato sulla responsabilità contrattuale, è certamente più agevole per l’organizzatore far leva sull’esaurimento, a fine partita e fuori dallo stadio, delle prestazioni dallo stesso previste a proprio carico; in ipotesi di invocata responsabilità extracontrattuale ex art. 2050 c.c., invece, meno semplice si presenta – alla luce del rigore probatorio con il quale la giurisprudenza, come si è visto, è solita applicare l’art. 2050 c.c. all’attività di organizzazione di eventi sportivi, ed in particolare di quelli di calcio professionistico – la prova, da parte della società di calcio organizzatrice, che l’evento dannoso, pur verificatosi fuori dallo stadio e a fine partita, esulava del tutto dalla propria sfera di controllo.

5. – Come si è avuto modo di evidenziare, l’attività di organizzazione di un evento sportivo dà luogo a responsabilità nei confronti degli atleti ove li esponga ad un rischio superiore a quello connaturato alla singola disciplina o gara, e quindi da essi accettato, o comunque, anche all’interno di detta soglia di rischio, ove gli eventi lesivi possano ricondursi alla mancata predisposizione di cautele imposte da prescrizioni tecniche, dai criteri di prudenza e diligenza operanti nel singolo ambito sportivo di riferimento, dai principi generali di comune prudenza e diligenza, e comunque dalle caratteristiche della specifica disciplina.

In tali casi, in favore degli atleti si potranno applicare, se dipendenti dall’organizzatore, l’art. 2087 c.c. e comunque, più specificatamente, le previsioni della l. n. 81 del 1991, operante anche con riguardo agli atleti inquadrabili come lavoratori autonomi.

Sempre in caso di eventi lesivi occorsi ad atleti, come si è visto (124), si è ritenuta ipotizzabile, per il caso di organizzazione di evento calcistico professionistico, l’applicabilità dell’art. 2050 c.c., in tema di responsabilità per attività pericolosa e l’art. 2051 c.c., in tema di danni da cose in custodia.

Quanto invece ai danni rientranti nel rischio “consentito”, gli stessi resteranno in linea di principio a carico dell’atleta, a meno che questi non dimostri la loro riconducibilità alla mancata osservanza di doverose cautele da parte dell’organizzatore.

Con riferimento agli eventi lesivi occorsi agli spettatori, poiché per essi – come pacificamente riconosciuto (125) – non vige il principio dell’accettazione del rischio, si applicheranno all’organizzatore l’art. 1218 c.c., e/o l’art. 2043 c.c. (ed inoltre, l’art. 2049 c.c., quanto alla responsabilità vicaria dello stesso).

Sempre nei confronti degli spettatori, nei casi in cui l’attività dell’organizzatore si configuri come “pericolosa” – come, ad esempio, viene ora reputata quella delle società di calcio professionistiche – si potrà applicare, oltre all’art. 1218 c.c., anche l’art. 2050 c.c.

Relativamente ad entrambi i titoli di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, tuttavia, al di là del diverso soggetto su cui ricade l’onere probatorio (il danneggiato, in caso di ritenuta applicabilità dell’art. 2043 c.c., oppure il danneggiante, in ipotesi di operatività dell’art. 1218 c.c. oppure dell’art. 2050 c.c.), sembra comunque di poter affermare che, alla stregua dei rigidi criteri applicativi utilizzati in giurisprudenza nel configurare gli obblighi di cautela posti a carico dell’organizzatore, agli effetti di ritenere quest’ultimo esonerato da responsabilità si tenda a porre in definitiva pur sempre l’accento sul caso fortuito, inteso quale evento del tutto imprevedibile ed eccezionale, che esuli dal controllo dell’organizzatore – società sportiva, e che abbia di per sé solo determinato il danno.

Si assiste così ad uno spostamento di attenzione, dalla condotta e quindi dalla diligenza e prudenza pretendibili dall’organizzatore, anche in linea con quanto espressamente previsto dall’art. 2050 c.c., alla valorizzazione massima del nesso causale, pretendendosi infatti che l’organizzatore sia tenuto a rispondere, ogniqualvolta non dimostri la specifica causa, straordinaria ed imprevedibile, che abbia da sé determinato l’evento lesivo (126). Il tutto, in una prospettiva che muta l’astratto giudizio di prevedibilità ex ante, che ragionevolmente potrebbe e quindi dovrebbe porsi a carico dell’organizzatore, nella pretesa ad una valutazione, da parte del medesimo, della prevedibilità in concreto, ex post, dell’evento lesivo, come tale, oltre che del tutto irragionevole, eccessivamente gravosa per l’organizzatore, di fatto tenuto all’“impossibile”.

Neppure appare convincente, quantomeno ove affermata in maniera assoluta, la tesi, per la quale l’organizzatore risponderebbe ex art. 2050 c.c., vale a dire per esercizio di attività pericolosa, ogniqualvolta gli atleti risultassero esposti “a conseguenze più gravi rispetto a quelle che potrebbero essere prodotte dagli errori del gesto sportivo” (127), vale a dire ad un rischio superiore a quello dagli stessi accettato.

Sembra infatti a chi scrive, che, in linea con la pacifica accezione di “attività pericolosa”, come più sopra ricordata, la pericolosità della attività dell’organizzatore possa essere ravvisata soltanto ogniqualvolta la stessa sia connotata da una rischiosità peculiare ed intrinseca, quale per esempio quella dell’organizzatore di incontro di calcio professionistico (128), e che non possa essere automaticamente indotta dal semplice superamento del rischio consentito riconducibile a mancata predisposizione di cautele.

Di converso, in ipotesi di organizzazione di eventi sportivi relativi a discipline di per sé “pericolose”, sembrerebbe difficile ipotizzare che la pericolosità della singola attività sportiva considerata non si riverberi anche sulla stessa attività organizzativa dell’evento, colorandola di rischiosità ex art. 2050 c.c. (129).

Si è infine avuto modo di evincere, dai casi decisi in giurisprudenza, che all’organizzatore-società di calcio viene in linea di principio addossato il rischio di tutti gli incidenti che si verificano dentro lo stadio, ivi comprendendosi gli ingressi e le uscite, in quanto presuntivamente rientranti nell’ambito del suo potere di controllo, mentre esulerebbero dalla sua sfera di responsabilità gli eventi che si verificano fuori dallo stadio e a distanza di tempo dalla partita (130); per questi ultimi, infatti, l’esclusione della responsabilità dell’organizzatore è stata ottenuta con maggior successo facendo leva sul titolo contrattuale della sua eventuale responsabilità, che potrebbe invero ragionevolmente considerarsi non più sussistente a fine partita, a seguito della compiuta esecuzione del contratto di spettacolo da entrambe le parti.

1() A tale proposito, si segnala Cass., 27.10.2005, n. 20908, in Foro it., 2006, 5, c. 1465, nonché in Danno e resp., 2006, p. 633, con nota di Ferrari, e in Rass. dir. econ. sport., 2006, p. 508, con nota di Lepore e in Resp. civ., 2006, p. 601, con nota di Filippi, secondo la quale “…in tema di responsabilità civile per lesioni cagionate nel contesto di un’attività agonistica, non possono considerarsi partecipanti solo gli atleti in gara ma anche tutti coloro che sono posti al centro o ai limiti del campo di gara per compiere una funzione indispensabile allo svolgimento della competizione […]”.

2() La definizione è quella, costantemente richiamata in dottrina, che fa capo a Dini, L’organizzatore e le competizioni: limiti alla responsabilità, in Riv. dir. sport., 1971, p. 416.

3() Al riguardo, Bertini, La responsabilità sportiva, ne Il diritto privato oggi, a cura di Cendon, Milano, 2002, p. 120; Di Ciommo-Viti, La responsabilità civile in ambito sportivo, in Lineamenti di diritto sportivo, a cura di Cantamessa, Riccio, Sciancalepore, Milano, 2008, p. 290.

4() Galligani-Piscini, Riflessioni per un quadro generale della responsabilità civile nell’organizzazione di un evento sportivo, in Riv. dir. econ. sport, 2007, p. 115.

5() Si è infatti esclusa la responsabilità dell’utilizzatore di un impianto a fini di organizzazione di una gara, che non aveva l’effettivo potere di gestione e di intervento sullo stesso: Cass., 10.2.2003, n. 1948, in Foro. it., 2003, I, c. 1439. Si è inoltre affermato che, se più persone organizzano una gara amichevole di tiro a segno, ciascun partecipante risponde dei danni causati al passante che transitava sulla strada adiacente, qualora venga accertato che non erano state predisposte le opportune cautele: App. Firenze, 20.2.1951, in Giur. tosc., 1951, p. 446, in tal senso richiamata da Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 115.

6() Cass., S.U., 12.7.1995, n. 7640, in Riv. dir. sport., 1996, p. 75, con note di Carra e Fontana: trattasi del leading case affacciatosi sul punto, in un caso in cui l’atleta di una competizione di pentathlon moderno era caduto nel corso di una gara di equitazione a causa del rifiuto del cavallo di saltare l’ostacolo, ed aveva riportato gravissime lesioni. Ma per l’affermazione secondo cui al C.O.N.I. “in nessun caso potrebbe dirsi attribuita anche la qualifica di organizzatore delle manifestazioni sportive”, si v. già Cass., 16.1.1985, n. 97, in Giur. it., 1985, I, 1, c. 1226.

7() Per una sintetica rassegna delle diverse fonti normative che nel corso del tempo hanno interessato il C.O.N.I., si v. Frattarolo, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, II ed., Milano, 2005, p. 1 ss.; si segnala inoltre Romano, L’organizzazione dell’attività sportiva, in Manuale di diritto dello sport, a cura di Di Nella, Napoli, 2010, p. 99 ss., per un’accurata disamina delle funzioni del Comitato, del funzionamento e dei compiti dei suoi organi e dei suoi rapporti con la C.O.N.I. Servizi S.p.A., cui sono state attribuite funzioni strumentali e gestorie volte al conseguimento degli obiettivi ed al soddisfacimento delle finalità istituzionali dell’Ente. Sulla tematica si richiama inoltre Sanino-Verde, Il diritto sportivo, II ed., Padova, 2008, p. 51 ss..

8() Si veda già la l. 16.2.1942, n. 426, ma anche la l. 23.3.1981, n. 91, che ha parzialmente modificato i rapporti fra C.O.N.I. e Federazioni, ed il cui art. 14, comma 2º, espressamente riconosceva alle Federazioni “autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sotto il controllo del C.O.N.I.”, nonché, da ultimo, il già ricordato d.lgs., 23.7.1999, n. 242, che all’art. 15, comma 2°, ha abrogato sia la l. n. 426/1942, che l’art. 14, l. n. 91/1981, ed ha attribuito personalità giuridica di diritto privato alle Federazioni, le quali, peraltro, continuano ad essere soggette, sotto molteplici aspetti, al controllo del C.O.N.I. Tale assetto si evince da diverse disposizioni del citato decreto, fra le quali: l’art. 5, comma 1º, che attribuisce al consiglio nazionale il compito di disciplinare e coordinare l’attività sportiva nazionale, armonizzando a tal fine l’azione delle Federazioni; l’art. 5, comma 2º, che impone alle Federazioni di conformare i propri statuti ai principi fondamentali stabiliti dal consiglio nazionale allo scopo del riconoscimento ai fini sportivi e prevede che lo stesso consiglio nazionale, su proposta della giunta nazionale, ha il potere di deliberare il commissariamento delle Federazioni in caso di gravi irregolarità nella gestione o di gravi violazioni dell’ordinamento sportivo da parte degli organi direttivi; l’art, 7, comma 2º, che attribuisce alla giunta il potere di controllo sulle Federazioni in merito al regolare svolgimento delle competizioni, alla preparazione olimpica e all’attività sportiva di alto livello e all’utilizzo dei contributi finanziari; l’art. 15, comma 1º, che richiede alle Federazioni stesse di svolgere la loro attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del C.I.O., delle Federazioni internazionali e del C.O.N.I., anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate dallo Statuto del C.O.N.I.. Su tutti gli aspetti qui esaminati si vedano Romano, L’organizzazione dell’attività sportiva, cit., pp. 113 ss.; Napolitano, Il “riordino” del Coni, in Profili evolutivi del diritto dello sport, Napoli, 2001, pp. 19-20. Si richiama inoltre l’attuale art. 20, comma 2º, dello Statuto del C.O.N.I., che riproduce nella sostanza il disposto del già richiamato ed oggi abrogato art. 14, comma 2º, l. n. 91/1981, stabilendo che “Nell’ambito dell’ordinamento sportivo alle Federazioni Sportive Nazionali è riconosciuta l’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sotto la vigilanza del CONI”.

9() La tesi della natura “mista”, di diritto pubblico e di diritto privato, delle Federazioni sportive, già affermata dalle Sezioni Unite (Cass., S.U., 9.5.1986, n. 3092, in Foro it., 1986, I, c. 1254; Cass., S.U., 9.5.1986, n. 3091, ibidem, c. 1259) prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 242/1999, è oggi pacifica in giurisprudenza alla luce delle disposizioni di detto decreto: sul punto, si v., fra le altre, Cass., S.U., 23.3.2004, n. 5775, in Giust. civ., 2005, I, p. 1625, con nota di Vidiri, ove si legge che “La legge 16 febbraio 1942, n. 426, istitutiva del Coni, configurava le federazioni sportive nazionali come organi dell’Ente, che partecipavano della natura pubblica di questo. La successiva legge 23 marzo 1981, n. 91 (contenente norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), con l’art. 14, ribadì questo inquadramento, riconoscendo alle federazioni funzione di natura pubblicistica, riconducibile all’esercizio in senso lato delle funzioni proprie del Coni, e funzione di natura privatistica per le specifiche attività da esse svolte. Questa funzione, in quanto autonoma, era separata da quella di natura pubblica e faceva capo soltanto alle federazioni … La legge n. 91 del 1981 è stata sostituita con il decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, contenente disposizioni sul riordino del Coni. L’articolo 15 del decreto legislativo ha recepito l’inquadramento attribuito dalla giurisprudenza alle federazioni sportive nazionali. La norma, infatti, dopo avere disposto che le federazioni sportive nazionali svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Cio e del Coni (primo comma), così consentendo l’esercizio di attività a valenza pubblicistica sulla base di poteri pubblicistici e mediante l’adozione di atti amministrativi, attribuisce loro natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato e dichiara che non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo (secondo comma)”. Definisce le Federazioni quali “enti privati di interesse pubblico”, Di Nella, Le federazioni sportive nazionali dopo la riforma, in Profili evolutivi del diritto dello sport, Napoli, 2001, p. 122. p. 70. Per ulteriori riflessioni sulla natura delle Federazioni nazionali sportive, si veda tuttavia anche la successiva n. 14.

10() Trib. Vigevano, Sez. pen., 9.1.2006, n. 426, in Resp. civ. prev., 2007, p. 334, con nota di Aureliano; la decisione è commentata anche da Grassani, La responsabilità risarcitoria delle federazioni sportive in caso di incidente o infortunio dell’atleta, in Riv. dir. econ. sport, 2006, p. 13 ss..

11() Nell’ambito dello stesso giudizio, si veda altresì Cass. Pen., 5.9.2009, n. 38154, in Resp. civ. prev., 2010, p. 1074, con nota critica di Farolfi, la quale, facendo propria l’impostazione dei giudici di merito, ha confermato che “in caso di erroneo rilascio di certificazione medica, la Federazione è responsabile solidalmente, per responsabilità contrattuale e vicaria, con il medico esterno alla sua struttura associativa per la posizione di garanzia in ordine alla tutela medico-sportiva, discendente da obbligazione assunta nei confronti dell’atleta all’atto del tesseramento”. La decisione della Suprema Corte è commentata anche da Stincardini-Piscini, La responsabilità delle federazioni sportive nazionali per erronea certificazione dell’idoneità sportiva rilasciata presso strutture sanitarie esterne all’atleta dilettante, in Riv. dir. econ. sport, 2010, p. 95 ss..

12() Trib. Milano, 23.2.2009, n. 2430, in Rass. dir. econ. sport, 2010, p. 160, con nota di Agostinis.

13() Cass., 23.6.1999, n. 6400, in Riv. dir. sport., 2000, p. 521, con nota di Lambo, secondo la quale “l’omologazione di una pista di sci, collaudata per cinque anni, compiuta dalla F.I.S.I. per accertarne, attraverso un proprio tecnico, la conformità alla regolamentazione tecnica dalla stessa dettata per le gare di sci, è direttamente imputabile al C.O.N.I., al quale sono istituzionalmente demandate le funzioni di regolamentazione, controllo e coordinamento, ai sensi dell’art. 3, L. 6 febbraio 1942, n. 426, della varie attività sportive che si svolgono in Italia, e che esso esercita attraverso le Federazioni nazionali, in qualità di suoi organi – in tali attività aventi pertanto natura pubblicistica – e non rientra invece nell’autonomia tecnica-organizzativa – di natura privata – di ciascuna Federazione di una singola gara. Di conseguenza il rilascio del relativo certificato di omologazione nazionale da parte di quest’ultima rende responsabile direttamente il C.O.N.I. per i danni riportati da un concorrente a seguito di incidente verificatosi per mancato rispetto, invece, di prescrizioni tecniche, aventi natura di norme interne (quali la mancanza di zone di caduta, all’esterno delle curve, prive di ostacoli, e idonea protezione di quelli contro i quali i concorrenti possono esser proiettati)”. Al riguardo, occorre peraltro notare come la pronuncia de qua sia temporalmente precedente al citato d.lgs n. 242/1999, mediante cui è stato attuato il riordino del C.O.N.I. e che ha abrogato la l. n. 426/1942, istitutiva dello stesso Comitato. Tale riordino, da un lato, ha formalmente comportato il venir meno del rapporto organico che legava il C.O.N.I. alle diverse Federazioni sportive, dall’altro – come già ricordato – ha attribuito la personalità giuridica di diritto privato a queste ultime, le quali, dunque, oggi sono sicuramente autonomi centri di imputazione giuridica: ne discende, pertanto, come è stato correttamente osservato (Campione, Attività sciistica e responsabilità civile, Padova, 2009, p. 372 ss., spec. p. 374 e p. 376, ove ampie informazioni sul procedimento di omologazione delle piste), che, qualora un atleta riporti dai danni a causa del mancato rispetto delle norme regolamentari che presiedono all’omologazione della pista, la legittimazione passiva della F.I.S.I. non potrà attualmente essere messa in discussione, dal momento che l’omologazione – oggi come ieri – ha luogo proprio grazie all’esclusivo apporto dei suoi tecnici. Accanto alla responsabilità della F.I.S.I., potrebbe poi intravvedersi anche una responsabilità concorrente della società sportiva organizzatrice della competizione e dei giudici di gara per la mancata rilevazione e/o segnalazione di difetti di sicurezza atti a comportare la revoca del certificato di idoneità della pista interessata.

14() L’art. 23, comma 1º, dello Statuto del C.O.N.I. attribuisce valenza pubblicistica esclusivamente alle attività delle Federazioni sportive nazionali relative “all’ammissione e all’affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazione dei contributi pubblici; alla prevenzione e repressione del doping”; nonché alle attività relative “alla preparazione olimpica e all’alto livello della formazione dei tecnici, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi pubblici”. Ma è opportuno ricordare anche quanto stabilito dal successivo comma 1º-bis, ai sensi del quale “nell’esercizio delle attività a valenza pubblicistica, di cui al comma 1º, le Federazioni sportive nazionali, si conformano agli indirizzi e ai controlli del C.O.N.I. ed operano secondo principi di imparzialità e trasparenza. La valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse”; disposizione, quest’ultima, introdotta con deliberazione del 26.2.2008, alla luce della quale vi è chi ritiene che oggi la tesi della natura “mista” delle Federazioni dovrebbe essere rimeditata, “nel senso di affermarne la piena natura privatistica anche rispetto alle attività a valenza pubblicistica da queste svolte”: così Romano, L’organizzazione dell’attività sportiva, cit., pp. 117-118.

15() In tal senso, Grassani, La responsabilità risarcitoria delle federazioni, cit., p. 32.

16() Con specifico riguardo all’attività di omologazione delle piste svolta dalla F.I.S.I., si v. Campione, Attività sciistica e responsabilità civile, cit., pp. 376-377, il quale ritiene che il venire meno del rapporto organico fra C.O.N.I. e Federazioni non sia, di per sé, sufficiente ad escludere la concorrente responsabilità del C.O.N.I. per i danni eventualmente derivati agli atleti. Tale conclusione viene giustificata alla luce dei già ricordati compiti di coordinamento e di controllo sulle Federazioni che, a tutt’oggi, il Comitato svolge e specialmente alla luce di quanto prescritto dall’art. 7, comma 2º, lettera e) del d.lgs. n. 242/1999, che attribuisce alla giunta nazionale del C.O.N.I. il potere di controllo sulle Federazioni “in merito al regolare svolgimento delle competizioni” e dall’art. 23 dello Statuto del C.O.N.I., che fa rientrare nei compiti a valenza pubblicistica attribuiti alle Federazioni il “controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni”: ed infatti, secondo l’a. citato, l’omologazione della pista potrebbe farsi rientrare proprio nell’ambito dei controlli inerenti alla regolarità delle gare, deputati alla Federazione, che, in tale ambito, è tuttavia soggetta ai poteri di controllo del Comitato di vertice, del quale potrebbe quindi parimenti prefigurarsi la responsabilità. Per un accenno in questo senso, sia pur in termini più generali, si v. anche Agostinis, Brevi note in materia di responsabilità dell’organizzatore di competizioni sportive e della Federazione per gli infortuni subiti dagli atleti, in Rass. dir. econ. sport, 2010, pp. 180-181.

17() Sull’organizzazione di eventi sportivi in chiave prettamente economica, con particolare riguardo ai diritti mediatici sugli eventi sportivi, si v. Indraccolo, L’organizzazione di eventi sportivi, in Manuale di diritto sportivo, a cura di Di Nella, Napoli, 2010, p. 177 ss.; sui diritti televisivi sportivi, si v. anche Di Nella, La commercializzazione dei diritti audiovisivi sugli eventi sportivi, in I contratti del turismo, dello sport e della cultura, a cura di Delfini e Morandi, in Trattato dei contratti, diretto da Rescigno e Gabrielli, Torino, 2010, p. 838 ss.; Cuffaro, Diritti audiovisivi, diritti di archivio, proprietà delle riprese: epicedio del diritto di cronaca, in Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Atti del 3° Convegno Nazionale S.I.S.Di.C., Napoli, 2009, p. 543 ss.; Zeno-Zencovich, La statalizzazione dei “diritti televisivi sportivi”, ibidem, p. 585 ss..

18() Dini, L’organizzatore, cit., p. 418 ss..

19() Dini, L’organizzatore, cit., p. 422 ss..

20() Dini, L’organizzatore, cit., p. 423 ss..

21() Dini, L’organizzatore, cit., p. 424.

22() A tal proposito, può richiamarsi il caso deciso da Cass. Pen., 21.2.1995, n. 6478, in Riv. dir. sport., 1996, p. 302, per la quale “rispondono di omicidio colposo i componenti del Consiglio direttivo della Lega Navale Italiana, i quali abbiano organizzato una gara di pesca al traino, omettendo di adottare le misure necessarie ad evitare l’evento dannoso”; nella fattispecie, è stata affermata la responsabilità della Lega per aver ammesso alla competizione il gareggiante, poi deceduto in seguito a naufragio, gravato da una limitazione di navigabilità entro le sei miglia, pur in previsione di un campo di gara in alto mare. Sulla vicenda di specie si sono pronunciati nei gradi di merito, Trib. Brindisi, 15.5.1991, ibidem, 303 e App. Lecce, 18.1.1994, ibidem, 303.

23() Sul punto, Di Ciommo-Viti, La responsabilità civile, cit., p. 291, alla cui stregua, l’organizzatore “potrebbe risultare adempiente a quest’onere anche semplicemente predisponendo un adeguato servizio medico di controllo”. Secondo Beghini, L’illecito civile e penale sportivo, Padova, 1999, p. 103, “nel caso di competizioni sportive che comportino un impegno fisico particolarmente elevato, egli [l’organizzatore n.d.a.] è anche tenuto a controllare l’idoneità psico-fisica degli atleti mediante accertamenti sanitari, avvalendosi eventualmente dei medici federali o di personale comunque specializzato. Se l’atleta è stato ritenuto idoneo dalla competente federazione, l’organizzatore non deve effettuare alcun altro controllo medico”.

24() Profilo connesso è quello, tuttora discusso, dell’eventuale responsabilità vicaria dell’organizzatore per gli eventi lesivi provocati con condotte illecite dagli atleti – particolarmente se allo stesso legati da rapporto di lavoro subordinato – ad altri gareggianti, sul quale si vedano le riflessioni ed i riferimenti anche giurisprudenziali di Liotta, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, cit., p. 89 ss., spec. p. 97 ss., il quale conclude nel senso che, poiché “l’attività degli atleti soddisfa in maniera diretta l’interesse fondamentale dell’organizzatore sportivo consistente nell’effettiva realizzazione e messa in scena dello spettacolo programmato […] è giocoforza concludere che […] i risultati dell’attività dell’agonista conforme alle regole del gioco ricadono a tutto vantaggio dell’organizzatore”, con conseguente applicabilità a quest’ultimo, anche alla stregua del principio cuius commoda eius et incommoda, dell’art. 2049 c.c.. Per una critica a tale assunto, ma con specifico riguardo all’organizzatore di gare di sci e agli atleti che vi partecipano, Campione, Attività sciistica e responsabilità civile, cit., pp. 382-383, il quale, sulle orme di Giannini, La responsabilità civile degli organizzatori di manifestazioni sportive, in Riv. dir. sport., 1986, p. 279, osserva che l’atleta “oltre ad esercitare l’attività agonistica in maniera del tutto indipendente […] prende comunque parte alla competizione nel proprio ed esclusivo interesse, tanto più che la sua prestazione riveste un’estrinsecazione individuale (ricerca dell’affermazione) che non è in rapporto causale con l’attività dell’organizzatore”. Criticamente anche Tortora, Izzo, Ghia, Guarino, Danese, Nucci, Naccarato, Casolino, Novarina, Diritto sportivo, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da Bigiavi, Torino, 1998, pp. 133-134; Izzo, Le responsabilità nello sport, diretto da Izzo, Merone, Tortora, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da Bigiavi, Torino, 2007, p. 145; Lepore, La responsabilità nell’esercizio e nell’organizzazione delle attività sportive, in Manuale di diritto dello sport, a cura di Di Nella, Napoli, 2010, p. 281, il quale afferma che il riferimento all’art. 2049 c.c. “si mostra più convincente se ricondotto non tanto al rapporto tra organizzatore e atleta, quanto a quello tra il sodalizio sportivo – che soltanto in alcuni casi può rivestire il ruolo di organizzatore – e il proprio tesserato”. Per un riferimento a quest’ultima ipotesi, si v. Trib. Monza, 5.6.1997, in Riv. dir. sport., 1997, p. 758, ove si legge che “Qualora risulti accertato che l’infortunio occorso ad un atleta durante una competizione sportiva, anche contraddistinta da elevato agonismo (nella specie, una partita ufficiale di hockey su pista), è stato provocato da un gesto avulso dalla dinamica del gioco e diretto a ledere l’avversario, va dichiarata la responsabilità solidale dell’autore del gesto e della società sportiva nelle cui file quest’ultimo militava”; ma in senso contrario, Trib. Bari, 10.6.1960, in Dir. e giur., 1963, p. 81, con nota di Scognamiglio, che ha escluso l’applicabilità dell’art. 2049 c.c. alla società sportiva di appartenenza del calciatore resosi responsabile del fallo. Nel senso che la responsabilità del sodalizio sportivo di appartenenza per l’illecito posto in essere dall’atleta possa essere affermata ex art. 2049 c.c. solo dopo aver valutato l’effettiva sussistenza, nel caso di specie, di un potere di direzione e vigilanza, Frattarolo, La responsabilità civile per le attività sportive, Milano, 1984, p. 94; Lepore, Responsabilità civile e tutela della “persona-atleta”, Napoli, 2009, p. 230 ss.. A tal riguardo, è indubbio che tale potere vi sia ove si tratti di atleta professionista, il quale, secondo quanto stabilito dall’art. 3, l. 23.3.1981, n. 91, è un lavoratore subordinato (Bona, Castelnuovo, Monateri, La responsabilità civile nello sport, cit., p. 46 e p. 71).

25() Dini, L’organizzatore, cit., p. 425.

26() In tal senso, Beghini, L’illecito civile e penale, cit., p. 107, il quale, dopo aver affermato che il giudice di gara ha una posizione di garanzia in relazione all’integrità fisica degli atleti, afferma che lo stesso può incorrere in responsabilità, in concorso con il giocatore, qualora non abbia preso i provvedimenti necessari al fine di evitare che il fatto lesivo si verificasse; al riguardo, l’a. fa appunto l’esempio dell’arbitro che abbia concesso all’atleta di giocare con tacchetti non regolamentari, o che non sospenda l’incontro di boxe, pur rendendosi conto delle condizioni precarie di uno dei contendenti, contribuendo a provocare la morte del pugile.

27() Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 122; Conrado, Ordinamento giuridico e responsabilità dell’organizzatore di una manifestazione sportiva, in Riv. dir. sport., 1991, p. 9; Perseo, Sport e responsabilità, in Riv. dir. sport., 1961, pp. 277-278; Lepore, La responsabilità nell’esercizio e nell’organizzazione delle attività sportive, cit., p. 282, il quale sottolinea che “qualsiasi disposizione sportiva riveste sempre un ruolo sussidiario rispetto ai canoni generali di prudenza, che non possono essere abbandonati”: ne deriva che “sarà sempre necessario svolgere un accertamento concreto del comportamento tenuto dall’organizzatore anche oltre il rispetto delle safety rules, le quali, da sole, possono non coprire tutte le ipotesi di responsabilità dei soggetti coinvolti negli incidenti”.

28() Recante l’“Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”.

29() Portante l’“Approvazione del regolamento per l’esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza”. Occorre comunque tenere presente che la Corte Costituzionale, con pronunzia del 15.4.1970, n. 56, in Foro it., 1970, I, c. 1293, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 68 del richiamato R.D. 18.6.1931, n. 773, nella parte in cui prescrive che per gli intrattenimenti da tenersi in luoghi aperti al pubblico e non indetti nell’esercizio di attività imprenditoriali, occorre la licenza; deve infatti ritenersi non assoggettata a tale licenza l’organizzazione dell’evento che difetti di quella natura imprenditoriale che ne giustifica e impone il rilascio.

30() Art. 119, R.D. 6.5.1940, n. 635, cit..

31() Bertini, La responsabilità civile, cit., p. 124 ss.; Conrado, Ordinamento giuridico e responsabilità dell’organizzatore di una manifestazione sportiva, cit., p. 9; Perseo, Sport e responsabilità, cit., p. 277.

32() Al riguardo, si veda Cass. Pen., 24.11.2009, n. 4912, massimata in Riv. dir. econ. sport, 2010, p. 175 ss. ed ivi commentata da Gentiloni Silveri, Brevi note sulla responsabilità penale dell’arbitro per fatti di reato verificatisi durante la gara: esiste un obbligo giuridico di impedire l’evento?, nonché per esteso in DeJure, che ha riconosciuto la responsabilità penale, per omicidio colposo, dell’organizzatore (in concorso con quella del direttore di gara) di una competizione motociclistica enduro, per non aver rispettato le prescrizioni imposte dall’autorizzazione prefettizia con riguardo alla predisposizione del tracciato di gara: nella specie, la sospensione temporanea della circolazione da parte di tutti i veicoli non interessati alla gara e la dislocazione lungo tutto il percorso, ed in particolare nei tratti chiusi al traffico, di personale qualificato munito di bandierine di segnalazione, prescrizioni entrambe disattese.

33() Al riguardo, si sottolineano in dottrina i due essenziali profili dell’individuazione delle misure idonee ad evitare il danno e della prova dell’adozione di tali misure: in tal senso, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 117. Si veda inoltre Trib. S. Maria Capua Vetere, 31.3.1998, in Gius., 1998, p. 2935, per il quale “l’organizzatore di un torneo di calcio non è responsabile per i danni subiti da un calciatore durante una partita a causa di un colpo ricevuto da un avversario, trattandosi di evento prevedibile ma non prevenibile mediante l’osservanza dei regolamenti sportivi e delle altre regole di prudenza e diligenza”.

34() Cass., 28.2.2000, n. 2220, in Danno e resp., 2000, p. 614, con nota di Di Ciommo, che, in relazione all’organizzazione di una gara di sci, ha affermato che l’esclusione di una colpa specifica degli organizzatori attenutisi alle prescrizioni del regolamento tecnico della F.I.S.I., “non comporta automaticamente anche quella di una colpa generica degli stessi organizzatori, e cioè una condotta caratterizzata da negligenza o imprudenza o imperizia, secondo la previsione dell’art. 43 c.p. (valevole anche per la nozione di colpa ex art. 2043 c.c.)”; Cass., 16.1.1985, n. 97, cit., che, in relazione all’organizzazione di una partita di hockey su ghiaccio, nel corso della quale uno spettatore era stato colpito dal disco, ha escluso che l’osservanza dei regolamenti di gara del C.O.N.I. potesse esimere l’organizzatore dalla responsabilità, attesa l’ininfluenza dei regolamenti anzidetti nei riguardi degli spettatori, nonché il loro ruolo subordinato rispetto alla legge e, segnatamente, all’art. 2043 c.c.; Trib. Milano, 23.2.2009, n. 2430, cit., ove si legge che l’organizzatore “è tenuto a predisporre tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza e l’incolumità degli atleti, rispettando, oltre che le prescrizioni specifiche, anche le norme generali di prudenza”; Trib. Busto Arsizio, 22.2.1982, in Riv. dir. sport., 1982, p. 570, ove si afferma che “la responsabilità dell’organizzatore di una gara motociclistica per l’incidente occorso ad un concorrente, deve essere valutata non solo in rapporto alla osservanza delle regole generali e particolari della materia ma anche al rispetto delle comuni norme di diligenza e prudenza”; Trib. Rovereto, 5.12.1989, in Riv. dir. sport., 1990, p. 498, che ha affermato la responsabilità di una società organizzatrice di una gara di tamburello per le lesioni derivate ad uno spettatore colpito all’occhio dalla pallina, a fronte della mancata adozione di idonee misure di protezione suggerite dalla comune esperienza e dall’ordinaria prudenza e diligenza, anche se tali misure non erano espressamente imposte da alcuna disposizione e nonostante il campo fosse stato omologato dalla Federazione Italiana Palla Tamburello; Trib. Napoli, 21.5.1986, in Riv. dir. sport., 1986, p. 466, che, nel configurare in capo agli organizzatori l’obbligo di rispettare il generale principio del neminem laedere posto a tutela dei diritti assoluti, ha affermato la responsabilità degli organizzatori di una gara ippica per la perdita di un cavallo provocato dallo slittamento dell’autostart, in un’ipotesi in cui lo svolgimento della stessa gara era stato imposto nonostante la presenza di avverse e proibitive condizioni climatiche che avevano determinato l’instaurarsi di una situazione di manifesta pericolosità per il regolare svolgimento della competizione. In dottrina, insiste sul profilo della necessaria osservanza anche delle norme comuni di diligenza e prudenza, Stanca, Natura della responsabilità dell’organizzatore di gare sportive e criterio della sua imputazione, in Rass. dir. econ. sport, 2010, pp. 157-158; contra Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 135, che infatti, in linea con autorevole dottrina dal medesimo citata, afferma che “quantomeno per il danno risentito dallo sportivo, il rispetto da parte dell’organizzatore delle norme regolamentari sportive sarà tendenzialmente sufficiente a escluderne la responsabilità, essendo ragionevole supporre che la norma federale abbia preventivamente contemperato le esigenze della gara con quelle di incolumità dei partecipanti”.

35() Al riguardo, Cass. Pen., 21.2.1995, n. 6478, cit., che ha riconosciuto la responsabilità per omicidio colposo della Lega Navale Italiana, per “non aver predisposto, a mezzo di natanti, un servizio di assistenza in mare; […] non aver informato dello svolgimento della gara la competente Capitaneria di Porto che, quindi, non aveva attuato servizi speciali di sicurezza ed aveva potuto intervenire soltanto in ritardo; […] non aver disposto un efficiente e continuo servizio di ascolto radio con conseguente ritardata ed indiretta ricezione della notizia delle difficoltà della imbarcazione poi naufragata”.

36() Così, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 118. Sulla mancanza di responsabilità dell’organizzatore che contenga il rischio di lesioni entro quello cd. “consentito”, si veda altresì, nuovamente, Cass., 27.10.2005, n. 20908, cit., per la quale “l’attività agonistica implica l’accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, intendendosi per tali non solo gli atleti in gara ma tutti quelli (come gli arbitri, i guardalinee, i guardaporte, i meccanici, i tecnici, gli assistenti, ecc.) che sono posti al centro o ai limiti del campo di gara, per compiere una funzione indispensabile allo svolgimento della competizione, assicurandone il buon andamento, il rispetto delle regole, la correttezza dei comportamenti e la trasparenza dei risultati. Sicché, i danni da essi eventualmente sofferti ad opera di un competitore, rientranti nell’alea normale, ricadono sugli stessi ed è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi. Il relativo accertamento è demandato alla valutazione del giudice del merito, che è insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato. (Nella specie, la S.C., rigettando il ricorso, ha rilevato l’adeguatezza e logicità della motivazione della sentenza di appello, con cui, in relazione allo svolgimento di una gara di sci, si era escluso – anche in ordine alla possibile configurabilità della corresponsabilità per atto illecito del “club” organizzatore – che un concorrente avesse tenuto una condotta anomala, rientrando l’incontrollato sbandamento nel rischio tipico ed ordinario dello slalom gigante, tenuto conto, altresì, che il guardaporte, investito dal concorrente medesimo, al fine di compiere l’attività demandatagli, era libero di scegliere la postazione che riteneva opportuna, non esistendo alcuna norma regolamentare o, più genericamente, di prudenza che imponesse all’organizzatore della gara di disporre in merito)”.

37() Né ad alcun altro soggetto coinvolto nell’evento sportivo, atleti compresi; in tal senso, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 118 ss..

38() Bona, Castelnuovo, Monateri, La responsabilità civile nello sport, ne Le nuove frontiere della responsabilità civile, collana diretta da Monateri, Milano, 2002, p. 43.

39() Per tali rilievi si veda Facci, La responsabilità civile nello sport, in Resp. civ., 2009, p. 651, in tema di incidenti occorsi durante le partite di calcio professionistico, nelle quali l’organizzatore dell’evento sportivo sarebbe responsabile ex art. 2050 c.c., in tema di attività pericolosa, con conseguente applicazione della prova liberatoria consistente nella dimostrazione del “caso fortuito che interrompe il nesso causale tra l’attività pericolosa e l’evento, nel senso che il danno verificatosi deve risultare del tutto estraneo al potere di controllo dell’esercente; inoltre, la condotta del terzo può escludere la responsabilità dell’esercente soltanto quando sussista un giudizio di non pertinenza tra il danno ed il rischio creato”. Per l’applicazione di tali principi in tema di responsabilità dell’organizzatore per gli eventi lesivi rientranti nel suo potere di controllo, si veda Trib. Milano, 22.9.2008, n. 11133, in Giustizia a Milano, 2008, n. 9 p. 59, che ha condannato il proprietario di una pista di go-kart per le lesioni riportate dal pilota in seguito all’urto contro le barriere montate per evitare l’uscita di strada, nonostante l’uscita di strada stessa fosse stata provocata da un contatto con un altro mezzo, affermando al riguardo che, “nel caso in cui il pilota di un go-kart, durante una competizione sportiva, esca di strada e urtando la struttura rigida di recinzione si ferisca la mano e la testa, deve essere riconosciuta la responsabilità del proprietario del circuito ex art. 2043 c.c. Infatti, il fatto stesso che l’urto contro la recinzione predisposta per frenare la fuoriuscita dalla pista dei veicoli, abbia causato delle lesioni al pilota, comporta il conseguente giudizio di inadeguatezza della stessa con il conseguente obbligo di risarcimento dei danni. Irrilevante è da ritenersi il fatto che l’uscita di strada del go-kart sia stata preceduta da un urto da parte di un veicolo concorrente che effettuava una regolare manovra di tentativo di sorpasso”.

40() Nello stesso senso, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 117.

41() Trib. Milano, 12.11.1992, in Riv. dir. sport., 1993, p. 499.

42() Trib. Roma 5.2.1992, n. 1393, in Riv. dir. sport., 1992, p. 90, con nota di Bellantuono, la quale, peraltro, ha affermato la responsabilità della S.S. Lazio, sulla base dell’art. 2043 c.c., solo nella misura del 25%, ritenendo che per il restante 75% questa dovesse essere ascritta allo spettatore che, invece di attendere lo sfollamento della massa degli spettatori, con grave imprudenza e senza la necessaria attenzione, aveva sceso i gradini, nonostante la ressa e la visibile presenza per terra dei detti detriti. Nella giurisprudenza di merito più risalente, in relazione ad analogo incidente, la responsabilità della società calcistica era invece stata negata: sul punto, si v. Trib. Roma, 28.6.1957, in Riv. dir. sport., 1959, p. 155, con nota di Tondi, che ha escluso la responsabilità della A.S. Roma, osservando la presenza dei frammenti di vetro per terra avrebbe ben potuto essere “conseguenza della caduta di qualche bottiglia avvenuta poco prima dell’avverarsi del sinistro. Non si deve dimenticare infatti che, durante le partite, lo stadio è particolarmente affollato e che non è controllabile, quindi, da chi di dovere, il comportamento delle persone che spesso si recano alla partita, anche molto tempo prima che essa abbia inizio. Sicché, il difetto di manutenzione o di pulizia degli impianti, se rapportato alla circostanza da cui si vuol far discendere la colpa dei dirigenti dello Stadio, non sembra possa sostenersi nella specie, potendo – come si è detto sopra – la causa del danno essere dipesa dal comportamento poco controllabile di terzi”.

43() Al riguardo, Facci, La responsabilità civile nello sport, cit., p. 651, che riferisce di come sia stata ritenuta responsabile ex art. 2050 c.c., una società sportiva di calcio professionistico, che aveva organizzato la manifestazione, per il danno patito da uno spettatore colpito da un oggetto contundente (moneta), scagliato da un terzo rimasto ignoto, situato in un settore diverso; nella specie, l’a. ricorda che fu respinta la tesi difensiva della società convenuta che invocava sia il fatto del terzo sia l’impossibilità di impedire l’introduzione di monete, che potevano, poi, essere scagliate da un settore all’altro.

44() Trib. Torino, 14.12.2000, in Gius, 2001, p. 2783, per il quale “gli organizzatori di una gara sportiva, e la stessa federazione sotto la cui egida la gara si svolga, sono responsabili per la mancata adozione di regole di prudenza e cautela adeguate al caso anche nella fase di preparazione e di riscaldamento e ciò in particolare laddove alla gara in questione partecipino soggetti minorenni (nella specie, la federazione organizzatrice della gara sportiva nonché il direttore di riunione che regolamentava l’accesso al campo, i direttori di campo, l’addetto al settore, il giudice di gara del lancio, il giudice d’appello – soggetti presenti nel campo al momento del sinistro – sono stati ritenuti responsabili dei danni occorsi ad un atleta minorenne, al quale era stato, nella fase di riscaldamento, consentito l’accesso al campo mentre era in corso il riscaldamento di altro atleta impegnato nel lancio del martello)”.

45() App. Firenze, 3.4.1963, in Riv. dir. sport., 1964, p. 235. Su tale vicenda si era pronunciato, in primo grado, Trib. Firenze, 17.10.1961, in Giur. tosc., 1962, p. 83, che aveva condannato sia il Comune che la Fiorentina. La diversa impostazione fatta propria dalla Corte d’Appello è stata successivamente confermata da Cass., 31.1.1966, n. 363, in Riv. dir. sport., 1967, p. 112.

46() Deve infatti tenersi presente, al riguardo, che gli impianti sportivi di proprietà comunale appartengono al patrimonio indisponibile del Comune e possono essere trasferiti nella disponibilità dei privati soltanto mediante apposite concessioni amministrative. In tal caso, sul Comune può residuare un obbligo di custodia e quindi una responsabilità ex art. 2051 c.c. (oltre che ex art. 2053 c.c.), ma la gestione-organizzazione dell’evento sportivo fa capo all’organizzatore, che quindi ne è comunque responsabile. Sui presupposti di applicabilità della responsabilità ex art. 2053 c.c., in tema di rovina di edificio, in una fattispecie in cui si era verificato il crollo di un parapetto in un impianto sportivo, si richiama Cass., 14.10.2005, n. 19975, in Giust. civ. Mass., 2005, per la quale “la responsabilità del proprietario per i danni cagionati a terzi dalla rovina dell’edificio sussiste, ai sensi dell’art. 2053 c.c., in dipendenza di ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati; essa integra un’ipotesi particolare di danno da cose in custodia, che impedisce l’applicazione dell’art. 2051 c.c., per il principio di specialità, e può essere esclusa ove il proprietario fornisca la prova che la rovina non fu dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. Benché la norma non ne faccia menzione, ai fini dell’esonero dalla responsabilità è consentita anche la prova del caso fortuito, ovvero di un fatto dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla condotta del proprietario medesimo, ivi compreso il fatto del terzo o dello stesso danneggiato. È inoltre configurabile il concorso tra la colpa presunta del proprietario e quella accertata in concreto del danneggiato, che con la propria condotta abbia agevolato o accelerato la rovina dell’immobile o di parte di esso. (In applicazione di tali principi, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti del titolare di un impianto sportivo per la morte di un calciatore che, arrampicatosi con una scala di legno sul tetto dello spogliatoio per recuperare il pallone uscito dal terreno di gioco, e superata una rete di recinzione manomessa in più punti proprio per consentire l’accesso al solaio, era caduto al suolo a seguito del crollo del parapetto, al quale si era appoggiato per guardare nella strada sottostante)”.

47() Cass., 13.2.2009, n. 3528, in Guida al dir., 2009, 12, p. 30, con nota di Sacchettini e in Rass. dir. econ. sport, 2010, p. 141, con nota di Stanca, per la quale “è certo che l’atleta impegnato in una manifestazione agonistica accetta di esporsi a quegli incidenti che ne rendono prevedibile la verificazione, perché a produrli vi concorrono gli inevitabili errori del gesto sportivo proprio o degli altri atleti impegnati nella gara, come gli errori di manovra dei mezzi usati”; “[…] ma è proprio tale insita pericolosità della attività di cui si assume l’organizzazione ad imporre che questa non sia aumentata da difetto od errore nella predisposizione delle misure che debbono connotare il campo di gara, in modo da evitare che si producano anche a carico dell’atleta conseguenze più gravi di quelle normali. Sicché, l’attività di organizzazione di una gara sportiva connotata secondo esperienza da elevata possibilità di incidenti dannosi, non solo per chi vi assiste, ma anche per gli atleti, è da riguardare come esercizio di attività pericolosa, ancorché in rapporto agli atleti nella misura in cui li esponga a conseguenze più gravi di quelle che possono essere prodotte dagli stessi errori degli atleti impegnati nella gara”; in tal caso, infatti, l’eventuale lesione supera il rischio consentito e quindi prevedibile nella singola disciplina. A commento della medesima decisione, si richiamano altresì Cerbara, Natura dell’attività di predisposizione del campo di gara, in Riv. dir. econ. sport, 2009, p. 111 ss., e Sesti, Attività di organizzazione di un evento sportivo: l’inefficacia dell’accettazione del rischio da parte dell’atleta, in Resp. civ. prev., 2009, p. 1555 ss..

48() Sempre in tema di predisposizione del campo di gara, ed in linea con la tesi che ravvisa la responsabilità dell’organizzatore soltanto quando esponga gli atleti ad un rischio maggiore di quello consentito, si richiama la decisione di Trib. Viterbo, 12.7.2002, in Giur. merito, 2003, p. 2191, alla cui stregua “il giocatore di calcetto che abbia subito una lesione pretesamente per inidoneità del fondo del campo ove si giocava può chiedere di essere risarcito ex art. 2043 c.c. allegando la responsabilità dell’organizzatore del torneo nel cui ambito la partita era stata disputata soltanto se ne prova la colpa nell’avere, per negligenza, scelto un impianto che a priori apparisse pericoloso sì da potersi prevedere l’evento dannoso seguito nell’uso dello stesso”.

49() Frequentemente il profilo della “agibilità” della pista è venuto in questione in tema di rally; si segnala, al riguardo, Cass., 6.5.2008, n. 11040, in Giust. civ., 2008, p. 2136, che, dovendosi pronunciare sulle rispettive responsabilità in capo al pilota ed agli organizzatori di una gara di rally, nella quale era stato ferito uno spettatore, ha affermato fra l’altro, quanto al pilota, che “nel caso di danni causati da un pilota di rally nel corso di una competizione su un circuito interdetto al traffico veicolare, mentre deve escludersi l’invocabilità, da parte della vittima, della presunzione di cui all’art. 2054 c.c. nei confronti del pilota medesimo, la responsabilità di quest’ultimo può essere affermata soltanto ove si accerti la grave violazione di regole minime di diligenza, ovvero del regolamento di gara. Deve, di conseguenza, escludersi che la sola elevatissima velocità tenuta nel corso della gara possa costituire fonte di responsabilità per il pilota”; quanto invece alla condotta degli spettatori ed alla responsabilità dell’organizzatore, la Suprema Corte ha rilevato che “[…] le circostanze (non più esaminabili nelle presente sede di legittimità) rendono evidente la situazione di pericolo alla quale si esposero gli spettatori poi investiti, come rendono evidente che sarebbe stato onere proprio ed esclusivo degli organizzatori della corsa approntare le precauzioni indispensabili al fine di evitare il concretizzarsi di tale pericolo”; sulla base di tali principi, quindi, la decisione ha ritenuto che non sussistesse una responsabilità ex art. 2043 c.c. a carico del pilota. Sempre in tema di rally, si ricorda altresì Cass. Pen., 3.7.2008, n. 35326, in Arch. giur. circol., 2009, p. 619, la quale, in una fattispecie in cui un’auto in panne era stata lasciata ferma ai bordi della carreggiata anziché essere spostata dalla pista, né era stata sospesa la gara, causando ciò uno scontro in cui un pilota aveva riportato lesioni personali, ha rigettato la tesi difensiva dell’organizzatore, secondo cui la pericolosità insita in quel tipo di competizioni lo esimerebbe da responsabilità, sancendo che «se […] è corretto affermare che un corsa automobilistica – nella specie un rally di montagna – rappresenta un classico esempio di attività sportiva pericolosa e viene disciplinata da regole di condotta che non sono ispirate al comune concetto di prudenza, ciò vale per la valutazione delle condotte dei gareggianti, non certo di coloro che devono organizzare la gara cui è demandato l’obbligo giuridico di attuare tutte le cautele possibili atte ad evitare incidenti “appunto di gara”». Si veda inoltre Cass., 8.11.2005, n. 21664, in Foro it., 2006, I, c. 1459, che si è pronunciata in una fattispecie in cui un pilota, durante una gara di go-kart, perdeva la vita schiantandosi contro una vettura parcheggiata in prossimità della pista, dopo essere uscito di strada in seguito ad una manovra di sorpasso; in tal caso, la Suprema Corte ha statuito che “gli organizzatori di una gara sportiva (nella specie, una gara di go-kart) rispondono dei danni subiti dai partecipanti alla gara o dal pubblico qualora abbiano omesso di predisporre le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla singola attività sportiva (colpa generica), alla stregua dei criteri di garanzia e protezione che l’organizzatore ha l’obbligo di rispettare nel caso concreto (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ravvisato la colpa dell’organizzatore che non aveva provveduto affinché la zona ai lati della pista fosse lasciata libera per tutta l’ampiezza prevista dal regolamento, e non aveva verificato l’avvenuto collocamento di un numero idoneo di balle di paglia ai bordi della pista e nelle zone a maggior rischio)”. Sui medesimi aspetti, si vedano altresì App. Genova, 4.9.1991, in Riv. dir. sport., 1992, p. 79, per la quale “sussiste la responsabilità dell’organizzatore per l’incidente occorso a un atleta durante la competizione sportiva, quando egli abbia omesso di assicurare con tutte le possibili ed opportune cautele che lo svolgimento della manifestazione potesse aver luogo senza pericolo per l’incolumità delle persone dei partecipanti”; nonché Trib. Verona, 13.7.1990, in Resp. civ. prev., 1992, p. 808 con nota di Dassi, nonché in Giur. it., 1993, I, 2, c. 378, con nota di Battisti, per la quale “sussiste la responsabilità dell’organizzatore di una autogimcana per i danni provocati agli spettatori dall’incidente avvenuto sul luogo della manifestazione, se questi non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Va esclusa la responsabilità del patrocinatore della manifestazione sportiva, se questi si è limitato ad erogare contributi per la sua realizzazione, senza partecipare all’organizzazione”.

50()Dini, L’organizzatore, cit., p. 426 ss..

51() Sia quelli forniti dall’organizzatore, che quelli di proprietà degli atleti stessi; sul punto, Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 121, per il quale, qualora l’atleta faccia uso di mezzi tecnici propri, l’organizzatore ha l’obbligo di verificarne la regolarità.

52() Bertini, La responsabilità nello sport., cit., p. 121.

53() Come riferisce Bertini, La responsabilità nello sport., cit., p. 122, che infatti, nel senso dell’applicabilità in tal caso dell’art. 2051 c.c., richiama la pronuncia del Trib. Rovereto, 10.12.1971 in Riv. dir. sport., 1971, p. 431, avente ad oggetto un caso in cui un giovane atleta, dopo essersi impossessato indebitamente di un giavellotto nel corso di una manifestazione sportiva, lo aveva lanciato contro un altro atleta, ferendolo; al riguardo, la decisione nell’escludere in concreto la responsabilità dell’organizzatore per omessa custodia degli attrezzi, ha comunque affermato l’astratta applicabilità al caso di specie dell’art. 2051 c.c.. Al riguardo, si vedano altresì Cass., 28.10.1995, n. 11264, in Danno e resp., 1996, p. 74, con nota di Ponzanelli; nonché in Riv. dir. sport., 1996, p. 87, con nota di Laghezza, che ha affermato la responsabilità, ex art. 2051 c.c., di una società di tennis, per la distorsione riportata da un giocatore a causa di una buca presente sul campo; nonché Trib. Pinerolo, 3.4.1999, n. 86, inedita, che in un caso di lesioni di uno sciatore, riportate in seguito ad uno scontro con un pilone non protetto posizionato su una pista da sci, ha ritenuto la responsabilità della società sportiva convenuta ex art. 2051 c.c., per aver omesso di predisporre le dovute protezioni; Cass. Pen., 10.11.2005, n. 11361, in Guida al dir., 2006, n. 20, p. 105, per la quale “il responsabile di attrezzature sportive o ricreative è titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità di coloro che le utilizzano, anche a titolo gratuito, sia in forza del principio del “neminem laedere“, sia nella sua qualità di “custode” delle stesse attrezzature (come tale civilmente responsabile, per il disposto dell’art. 2051 c.c., fuori dall’ipotesi del caso fortuito, dei danni provocati dalla cosa), sia, infine, quando l’uso delle attrezzature dia luogo a un’attività da qualificarsi pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c., quale soggetto obbligato ad adottare tutte le misure idonee a evitare l’evento dannoso. (Fattispecie in cui della morte di uno dei partecipanti a una gara automobilistica era stato chiamato a rispondere, a titolo di omicidio colposo, l’amministratore delegato e direttore dell’autodromo, cui era stato addebitato di non avere adeguatamente protetto, con barriere di pneumatici, un muretto di protezione contro il cui spigolo la vittima era andata a sbattere dopo una collisione con altra vettura)”; identici principi si rinvengono affermati anche da Cass. Pen., 27.5.2003, n. 34620, in Riv. pen., 2003, p. 959, in una fattispecie in cui un circuito per go-kart è stato reputato carente di barriere idonee ad evitare l’uscita di pista dei veicoli, tanto da consentire che il mezzo condotto da un minorenne, che ne aveva perso il controllo, abbattesse la protezione esistente e urtasse violentemente contro un ostacolo esterno.

54() Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 121.

55() Su tutti tali aspetti, Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 129 ss..

56() Al riguardo, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 119.

57() Nello stesso senso, Bona, Castelnuovo, Monateri, La responsabilità civile nello sport, cit., p. 33. A supporto – sia pure non del tutto espresso – dell’assunto, sembra altresì di poter richiamare Trib. Milano, 29.2.2008, n. 2671, in Giustizia a Milano, 2008, n. 3, p. 20, per il quale, “nel caso di caduta di un concorrente nel corso della fase finale di una gara ciclistica deve essere dichiarata la responsabilità solidale dell’Unione Sportiva, organizzatrice della gara e della Federazione ciclistica italiana ai sensi degli art. 2043 e 2049 c.c. quando dalla espletata istruttoria siano risultate evidenti carenze e limiti organizzativi e di gestione della sicurezza della competizione, soprattutto tenuto conto del particolare contesto durante il quale la caduta si è verificata (fase concitata della gara corrispondente alla volata finale dei ciclisti). È indubbio infatti che l’attività agonistica implichi l’accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, sicché eventuali danni da essi sofferti, rientranti nell’alea normale, ricadono sugli stessi, mentre è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti all’uopo previsti”. In merito al profilo considerato, si vedano altresì i rilievi di Stanca, Natura della responsabilità dell’organizzatore di gare sportive, cit., p. 148, per la quale “l’atleta ripone ragionevole affidamento sulla circostanza che l’organizzatore abbia predisposto le misure volte a garantire la sicurezza del campo di gara o della pista da gioco”, di tal che “i danni riportati dallo sportivo a causa della violazione di leggi o di regolamenti tecnici da parte degli organizzatori non rientrano nell’area di rischio assunto”.

58() V. spec. art. 3.

59() Indaga la questione con specifico riguardo all’idoneità psico-fisica dello sciatore partecipante ad una gara, Campione, Attività sciistica e responsabilità civile, cit., p. 344 ss..

60() Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 127. Si tenga conto che può capitare che sia l’atleta a nascondere malori per impedire la formulazione di una corretta diagnosi; al riguardo giova ricordare il famoso caso Curi, inerente un calciatore del Perugia deceduto nel corso di una partita di calcio a seguito di un improvviso attacco di cuore. La Suprema Corte, nel valutare l’imputazione di omicidio colposo a carico del medico della società, ha evidenziato che l’atleta, nonostante fosse affetto da un’infermità che gli cagionava notevoli sofferenze nel corso dei suoi impegni sportivi, non si era mai lamentato di ciò con alcuno (medici, familiari, amici), ma aveva, anzi, partecipato all’attività agonistica in modo brillante, riscuotendo popolarità e ammirazione, sia superando i compagni di squadra sia, a livelli elevati, le ripetute prove sotto sforzo cui veniva sottoposto; cosicché, la decisione ha affermato la rilevanza del concorso colposo dell’atleta nel sottacere le proprie patologie al medico: Cass. Pen., 9.6.1981, in Foro it., 1982, II, c. 268. Si veda inoltre, sul punto, la precedente nota 23.

61() Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 127 ss. In merito alla necessità, sancita dalle norme regolamentari della F.I.G.C., che, nell’ambito di una partita di calcio fra dilettanti, la squadra organizzatrice – ovvero quella ospitante – assicuri la presenza a bordo campo di un medico al fine di assicurare un pronto soccorso agli atleti che si dovessero infortunare nel corso della gara, si v. Trib. Napoli, 29.1.1996, in Riv. dir. sport., 1997, p. 91, con nota di De Marzo, che, alla luce di tali previsioni, ha escluso la possibilità di imputare la responsabilità derivante dall’assenza di un sanitario in campo a carico della squadra ospitata, la quale era stata convenuta in giudizio per il risarcimento del danno dal giocatore che nella stessa militava e che, infortunatosi nel corso della partita, non aveva ricevuto adeguate cure.

62() Trib. Genova, 4.5.2000, in Foro it., 2001, I, c. 1402.

63() Izzo, Le responsabilità nello sport, cit., p. 143.

64() Trib. Genova, 4.5.2000, cit.

65() Fra gli altri, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 119.

66() Al riguardo, si richiama liotta, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, cit., che alla p. 129, distingue fra spettatore pagante, spettatore amichevole e spettatore a titolo gratuito, ovvero “abilitato ad accedere liberamente allo stadio”, ipotesi, quest’ultima, che costituirebbe quella più ricorrente di soggetto estraneo, danneggiato dallo svolgimento della competizione sportiva.

67() Trib. Genova, 4.5.2000, cit., che ha dichiarato inadempiente la società sportiva organizzatrice di corsi di karate, condannandola a risarcire il danno per le lesioni subite da una allieva che, invitata durante un allenamento a lottare contro una cintura nera, riportava la rottura del menisco a causa di una mossa, detta “gancio”.

68() Trib. Milano, 21.3.1988, in Riv. dir. sport., 1989, p. 68; nonché Trib. Milano, 18.1.1973, in Foro it., 1973, I, c. 1953, sulle quali più ampiamente infra, sub par. 4.

69() Conrado, Ordinamento giuridico sportivo e responsabilità dell’organizzatore di una manifestazione sportiva, cit., p. 12.

70() Siano essi dipendenti dell’organizzatore – quindi anche gli atleti in forza del rapporto di lavoro subordinato come da legge del 1981 n. 91 – o comunque soggetti alla direzione dello stesso od a qualsiasi titolo inseriti nella sua organizzazione e sotto la sua vigilanza, ivi compresi eventuali collaboratori a titolo gratuito. Con particolare riguardo agli istruttori, si richiama, al riguardo, il caso deciso da Trib. Genova, 4.5.2000, cit., relativamente ad una scuola di karate, nell’ambito della quale, sotto la vigilanza di un istruttore, un’allieva aveva riportato lesioni; la pronuncia ha affermato la responsabilità vicaria ex art. 2049 c.c. della scuola, in virtù di una presunzione assoluta di culpa in eligendo vel in vigilando, operante a condizione che il preposto abbia commesso un illecito completo in tutti i suoi elementi, soggettivo ed oggettivo. In una fattispecie analoga, in cui era stata peraltro invocata la responsabilità contrattuale di una scuola di sci nell’ambito di lezioni impartite da un maestro dipendente della stessa, si è affermato che “deve escludersi la responsabilità contrattuale di una scuola di sci per le lesioni che un allievo subisca nel corso di una lezione ad opera di terzi che lo investa su una pista aperta a tutti ove il maestro del quale la scuola si avvale, si trovi nella materiale impossibilità di evitare l’evento dannoso e nel suo comportamento esulino profili di colpa”: Cass., 25.5.2000, n. 6866, in Giust. civ. Mass., 2000. Si veda inoltre la risalente Cass., 10.7.1968, n. 2414, in Resp. civ. prev., 1969, p. 335, che ha riconosciuto la responsabilità dell’organizzatore per i danni arrecati ad un partecipante ad un gara di tiro al piattello, rimasto ferito in seguito allo scoppio di una munizione, mentre l’armarolo la inseriva nel fucile, senza preoccuparsi di verificare previamente la sussistenza dei difetti meccanici denunciati dal concorrente; infine, si richiama altresì Cass., 6.3.1998, n. 2486, in Giur. it., 1999, p. 265, con nota di Piccirilli, la quale ha affermato che “sussiste la responsabilità dell’organizzatore della gara per avere l’istruttore omesso di predisporre le cautele necessarie ad evitare le lesioni personali riportate da un minore ad opera di un compagno di squadra durante l’attività sportiva svoltasi sotto la sua sorveglianza”.

71() Su tale profilo si v. Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 122, ove si evidenzia la maggiore elasticità dell’azione extracontrattuale sotto il profilo delle voci di danno risarcibili. Sui riflessi concreti della distinzione fra danni prevedibili e non prevedibili nell’ambito sportivo, si veda Liotta, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, cit., p. 146 ss., nonché Lepore, La responsabilità nell’esercizio e nell’organizzazione delle attività sportive, cit., pp. 279-280.

72() In tal senso, con riferimento all’organizzazione di un incontro di calcio professionistico, Trib. Milano, 21.9.1998, n. 10037, in Riv. dir. sport., 1999, p. 556, nonché in Danno e resp., 1999, p. 234, per il quale “sussiste responsabilità contrattuale ed extracontrattuale dell’organizzatore di un incontro di calcio professionistico per i danni subiti da uno spettatore colpito da oggetti lanciati da parte di altri tifosi in quanto l’attività di gestione di uno stadio di calcio costituisce attività pericolosa in relazione alla sua stessa natura e per le caratteristiche dei mezzi adoperati”. Si veda altresì Di Ciommo-Viti, La responsabilità civile, cit., 291, alla cui stregua, per quanto riguarda i danni subiti dagli sportivi “potrebbero concorrere due diversi titoli di imputazione, rappresentati dalla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, chiamati in causa o meno, a seconda che al danneggiato facciano capo diverse situazioni protette”; nonché Bertini, La responsabilità civile, cit. p. 131 ss., che sul punto riporta la decisione di Trib. Roma, 31.12.1952, in Temi romana, 1954, p. 211, la quale afferma, in presenza di danni sofferti dagli spettatori, la possibilità di cumulo della responsabilità contrattuale e di quella extracontrattuale. Gli aa. menzionati richiamano peraltro, più in generale, sul tema del cumulo fra i due titoli di responsabilità, quanto affermato da Cass., 6.3.1995, n. 2577, in Giust. civ. Mass., 1995, secondo la quale, “è ipotizzabile il concorso tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale non solo quando lo stesso fatto è imputabile a più autori, a diversi titoli, ma anche quando in capo ad una stessa persona danneggiata sussiste una molteplicità di situazioni protette, in relazione sia ad un precedente obbligo relativo, sia a divieti generali ed assoluti. Tali sono, per loro natura, quelli che tutelano gli interessi considerati dai delitti previsti dal codice penale, rispetto ai quali la tutela civilistica assegnata alle vittime costituisce il riflesso patrimoniale della violazione di un divieto più ampio, che prescinde dall’esistenza di obblighi di origine contrattuale ed attiene, invece, al diritto assoluto del soggetto di non subire pregiudizio ai diritti personalissimi, o quello di proprietà, di cui è titolare. (Nella specie, la S.C., enunciando il principio di diritto di cui alla massima, ha confermato la sentenza del giudice di merito, il quale – rilevato che la tutela civile del diritto derivante da una scrittura contrattuale era stata promossa con la costituzione nel procedimento penale e poi proseguita nell’unica sede disponibile dopo l’estinzione di quel procedimento – aveva fatto cenno al principio dell’unicità della giurisdizione per sostenere l’opportunità di far salve le acquisizioni del giudice penale e, nel determinare le quantità di danno spettante all’attore, aveva fatto applicazione delle norme che provvedono al danno extracontrattuale)”. Così, in precedenza, anche Cass., 7.8.1982, n. 4337, in Resp. civ. prev., 1984, p. 78, anch’essa richiamata, al riguardo, da Grassani, in nota a Trib. Vigevano, 9.1.2006, n. 426, ne La responsabilità risarcitoria, cit., p. 23 ss..

73() Per una fattispecie particolare si veda, al riguardo, Trib. Firenze, 15.12.1989, in Riv. dir. sport., 1991, p. 95, la quale, pronunciandosi in merito ad incidenti occorsi durante una partita di calcio in costume, ha affermato che “la disciplina della responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. non si applica al calcio in costume dato che non può ritenersi che tale attività sportiva sia di per sé pericolosa. Pertanto, se alla partita si sovrappone una rissa, questa resta concettualmente e giuridicamente distinta dalla manifestazione ufficiale e non è quindi ipotizzabile la responsabilità oggettiva per le conseguenze dannose dell’incidente del comitato di gestione della manifestazione”. Più in generale, sempre con riguardo al calcio, si veda la Cass., 19.1.2007, n. 1197, in Diritto dello sport, 2007, p. 663, che, nel decidere una fattispecie in cui un minore, durante l’ora di educazione fisica a scuola, nel giocare a calcio era scivolato sul pallone e si era procurato la frattura di un avambraccio, ha affermato che “deve escludersi che all’attività sportiva riferita al gioco del calcio possa essere riconosciuto il carattere di attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c., trattandosi di disciplina che privilegia l’aspetto ludico, tanto che è praticata normalmente nelle scuole di tutti i livelli come attività di agonismo non programmatico finalizzato a dare esecuzione ad un determinato esercizio fisico, tale da escludere ogni riferibilità alla prescrizione dell’art. 2050 c.c.”. Sul tema, si vedano inoltre i cenni di Ponzanelli, Responsabilità civile e attività sportiva, in Danno e resp., 2009, p. 603, che alla nota n. 3 richiama talune decisioni che hanno ricondotto all’ambito di applicazione dell’art. 2050 c.c. l’attività dell’organizzatore di eventi sportivi.

74() Bona, Castelnuovo, Monateri, La responsabilità civile nello sport, cit., p. 34 ss..

75() Sul punto, fra gli altri, Franzoni, La responsabilità civile nell’esercizio di attività sportive, in Resp. civ., 2009, p. 922 ss..

76() Franzoni, La responsabilità civile, cit., p. 922 ss., che richiama in tal senso, alla nota 13, numerose decisioni riferite al ciclismo, al motociclismo, all’automobilismo ed all’equitazione, mentre dà atto dell’orientamento non univoco della giurisprudenza in merito all’attività sciistica, che non configurerebbe infatti di per sé attività pericolosa ove resti “semplice modo di trasferimento”, mentre lo diventerebbe ove esercitata “per scopi agonistici”. L’a. afferma lo stesso principio anche con riguardo al calcio, rilevando come lo stesso configuri attività pericolosa quando si tratti di incontro professionistico – e richiama in tal senso, alla nota 14, Trib. Torino, 8.11.2004, in Giur. it., 2005, p. 720, con nota di Visintini (che si commenterà infra più ampiamente) – osservando che invece “di tutt’altro tenore sarebbe stata la decisione se la partita si fosse svolta nel campo di calcio della parrocchia di un piccolo paese di montagna”. Per la negazione del carattere pericoloso dell’attività di organizzazione di una corsa ciclistica, si v. Trib. Brescia, 5.3.1970, in Riv. dir. sport., 1970, p. 251, che, in relazione alla responsabilità gravante sugli organizzatori di una corsa ciclistica, distingue fra gare a circuito chiuso e gare a circuito aperto, riferendo unicamente alle prime un obbligo di ispezione della strada in capo agli organizzatori allo scopo di verificare se vi siano eventuali insidie che potrebbero essere causa di cadute dei partecipanti, mentre nelle seconde, poiché sul percorso circolano anche altri veicoli con l’obbligo per i partecipanti di osservare le regole del codice stradale, non vi sarebbe alcun dovere di preventiva ispezione, essendo obbligo della P.A. mantenere in efficienza le strade aperte al traffico. In relazione ad una gara ciclistica organizzata su circuito aperto, si v. anche Trib. Milano, 10.3.2003, in Giur. merito, 2003, p. 2184, che ha affermato la responsabilità degli organizzatori (in concorso con quella dell’automobilista) per le lesioni occorse ad un corridore finito contro una macchina parcheggiata nella zona del traguardo, che non era stata precauzionalmente transennata, così consentendo al guidatore di transitare sotto lo striscione di arrivo e di sostare sulla dirittura finale del percorso di gara nell’imminenza dell’arrivo dei partecipanti.

77() Franzoni, La responsabilità civile, cit., p. 922 ss., che cita sul punto, alle note 15 e 16, numerose pronunce di merito.

78() Nuovamente Franzoni, La responsabilità civile, cit., p. 922 ss., che alle note 17-20 richiama le numerose decisioni che hanno fatto applicazione di tale principio.

79() Si veda, al riguardo, la rassegna di Trib. Milano, 18.7.1963, in Riv. dir. sport., 1963, p. 378.

80() App. Milano, 2.6.1981, in Riv. dir. sport., 1983, p. 411, relativa ad una gara automobilistica, ove si rinviene l’ulteriore precisazione secondo cui l’appalto a terzi del servizio antincendio, la cui inefficienza abbia cagionato il danno, non esclude di per sé la responsabilità verso i danneggiati dell’organizzatore della gara, istituzionalmente obbligato ad assicurare il servizio stesso, ove manchi la dimostrazione che, da parte sua, sono state adottate tutte le misure idonee ad evitare il danno; Cass., 24.1.2000, n. 749, in Foro it., 2000, I, c. 2861, che ha affermato il principio per cui “la organizzazione di una gara motociclistica su circuito aperto al traffico (anche se di regolarità) è un’attività alla quale è applicabile l’art. 2050 c.c.”.

81() Fra le altre, Trib. Milano, 21.9.1998, n. 10037, cit. Alla tematica è peraltro dedicato il successivo paragrafo 4, cui si rinvia.

82() Cass., 15 luglio 2005, n. 15040, in Giust. civ. Mass., 2005, che, pur affermando che, in linea di principio, la pratica agonistica dello sci e, correlativamente, anche l’attività di organizzazione di una competizione sciistica presenta carattere pericoloso, ha tuttavia ritenuto appagante sotto il profilo della motivazione la decisione del giudice d’appello, che aveva escluso la ricorrenza del carattere della pericolosità nell’attività concretamente esercitata nella specie, trattandosi di gara svoltasi su pista larga, con andamento rettilineo, con un normale muretto di neve ai lati, nel corso della quale nessun altro atleta era caduto. Il carattere pericoloso dell’attività di organizzazione di una gara sciistica è stato escluso anche da Cass., 28 febbraio 2000, n. 2220, cit., che ha tuttavia rimesso al giudice di rinvio il compito di valutare se nella specie vi fosse stata una qualche condotta colposa, rilevante ex art. 2043 c.c., sia da parte della F.I.S.I., che da parte dall’arbitro nell’aver organizzato e nell’aver fatto disputare una gara di discesa libera con atleti minorenni su una pista a tratti ghiacciata.

83() Trib. Verona, 13.7.1990, cit., che viene richiamata, a tal proposito, da franzoni, La responsabilità civile, cit., p. 922 ss..

84() Cass., 30.1.2009, n. 2493, in Giust. civ. Mass., 2009, che ha tuttavia confermato la decisione di merito che aveva nella specie escluso la responsabilità dell’organizzatore per aver ritenuto da questi provato il caso fortuito; la pronunzia ha altresì confermato l’assunto circa la pericolosità, di per sé, dello sport della canoa kajak.

85() Trib. Milano, 21.11.2002, in Giur. milanese, 2003, p. 80.

86() Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 123.

87() Si veda tuttavia il caso del lancio del fumogeno nella partita Juventus – Roma, deciso da Trib. Torino, 8.11.2004, cit., anche in Giur. merito, 2006, p. 90, con nota di Rocchio, nonché in Danno e resp., 2006, p. 767, con nota di Maietta, decisione che ha affermato la responsabilità dell’organizzatore – Juventus, per non avere fornito la prova liberatoria richiesta dall’art. 2050 c.c., “la cui “ratio” è proprio […] quella di contemperare gli interessi (economici) del soggetto che esercita una determinata attività pericolosa con l’interesse preminente della tutela dell’incolumità delle persone e delle cose tramite la voluta scelta di porre il rischio dei danni derivanti da tale attività su coloro che ne traggono lucro”.

88() In tal senso, Bertini, La responsabilità sportiva, cit., p. 137, nonché, con specifico riguardo alle clausole limitative della responsabilità dell’organizzatore in relazione ai danni provocati agli atleti, Campione, Attività sciistica e responsabilità civile, cit., p. 362 e Lepore, Responsabilità civile e tutela della “persona-atleta”, cit., p. 264 ss., il quale esprime perplessità sulle clausole di esonero anche alla luce del fatto che esse hanno ad oggetto la responsabilità derivante dalla lesione di un diritto indisponibile e avente rilievo costituzionale, quale quello alla salute di un individuo, ma conclude nel senso che queste siano valide ove riguardino lesioni di minima entità funzionali all’attività sportiva praticata.

89() Di cui al d.lgs. 6.9.2005, n. 206, spec. artt. 33 e ss..

90() Con particolare riferimento alle clausole di esonero della responsabilità predisposte dalla F.I.S.I., si v. Trib. Roma, 15.9.2000, in I contratti, 2002, p. 254, con nota critica di Caramico D’Auria, che, per contro, ha escluso che potessero trovare applicazione gli allora vigenti artt. 1469 bis e ss., c.c., fra la Federazione sportiva e i suoi iscritti, “essendosi in presenza di un tipico rapporto associativo volto al perseguimento di uno scopo comune”; se ne è pertanto fatta discendere la conseguenza che “l’atleta tesserato non può considerarsi come consumatore così come la Federazione convenuta non può qualificarsi come professionista.

91() Si veda, al riguardo, la superiore nota 79 e la rassegna di decisioni operata dalla ivi richiamata Trib. Milano, 18.7.1963.

92() Trib. Milano, 19.10.1972, in Riv. dir. sport., 1973, p. 81.

93() Trib. Milano, 21.3.1988, cit., e la successiva App. Milano, 30.3.1990, in Riv. dir. sport., 1990, p. 495.

94() Trib. Ascoli Piceno, 13.5.1989, in Riv. dir. sport., 1989, p. 496, con nota di Manfredi. La decisione è stata confermata da App. Ancona, 18.6.1990, in Società, 1990, p. 1625, ove si afferma che “Nel caso in cui si verifichi, in occasione di una partita di calcio, la morte di alcuni spettatori per un incendio sviluppatosi all’interno dello stadio a seguito dell’accensione di fumogeni e di materiale cartaceo, il presidente della società di calcio è penalmente e civilmente responsabile di tali fatti se non dimostra di avere predisposto una rigorosa, specifica e puntuale divisione di mansioni e di avere delegato la vigilanza ed il controllo sugli impianti sportivi a persone idonee a svolgere detti compiti”. Sulla stessa linea della pronuncia del giudice marchigiano si è espressamente posta l’inedita decisione di Trib. Bari, 11.10.2007, n. 2301, per esteso in DeJure.

95() Trib. Milano, 21.9.1998, n. 10037, cit. Sul punto, si veda altresì la rassegna di casi operata da Bertini, La responsabilità civile, cit., p. 39.

96() Trib. Milano, 21.9.1998, n. 10037, cit.

97() Fra gli altri, Franzoni, La responsabilità civile, cit., p. 922 ss., che alla nota 16 richiama anche giurisprudenza di merito in tal senso; nonché Sferrazza, La responsabilità oggettiva delle società di calcio, in Resp. civ. prev., 2008, p. 2154 ss., spec. par. 5.

98() L’art. 2087 c.c. è infatti considerato norma portante del sistema, in materia di sicurezza sul lavoro.

99() Cass., 8.1.2003, n. 85, in Resp. civ. prev., 2003, p. 765, con nota di Gherardi.

100() In tal senso, Gherardi, Responsabilità contrattuale delle società calcistiche a livello professionistico per infortuni subiti dai calciatori, in nota a Cass., 8.1.2003, n. 85, cit., colloc. cit., p. 770.

101() Maietta, La responsabilità civile delle società di calcio: osservazioni a margine del caso “Giampà”, in Riv. dir. econ. sport, 2005, p. 41 ss.; Idem, Cartelli pubblicitari nello stadio e responsabilità delle società sportive: il caso Giampà, in Danno e resp., 2005, p. 337 ss..

102() Così, Maietta, La responsabilità civile della società di calcio, cit., p. 46 ss. Critico sul punto Lepore, Responsabilità civile e tutela della “persona-atleta”, cit., p. 254 ss., ad avviso del quale, nel caso di specie, sarebbe stato necessario approfondire meglio l’effettivo ruolo giocato dalla società del Messina in merito alla gestione dello stadio e alla predisposizione della cartellonistica pubblicitaria ivi presente, non essendo sempre detto che chi organizza l’incontro si occupi anche di questo particolare aspetto, circostanza data invece per scontata dalla dottrina citata; l’a. riferisce anche in merito alla pronuncia emanata dal Tribunale penale di Messina, in data 28.9.2006, che ha sancito la condanna del legale rappresentante della società che gestiva la cartellonistica e del tecnico allestitore, a tre mesi di reclusione e venti giorni di arresto per entrambi e alla liquidazione delle spese sostenute dal giocatore: tale ultima sentenza individua, a suo avviso, il vero responsabile delle lesioni occorse a Giampà, ovvero la società pubblicitaria e non il Messina calcio.

103() Maietta, La responsabilità civile della società di calcio, cit., pp. 48-49.

104() Per tutti, Alpa, Bessone, Zeno Zencovich, I fatti illeciti, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 14, 2ª ed., Torino, 1995, p. 354.

105() Geri, Responsabilità civile da custodia, in Resp. civ. prev., 1974, p. 169.

106() Maietta, La responsabilità civile della società di calcio, cit., p. 49.

107() Maietta, La responsabilità civile delle società di calcio, cit., p. 49 ss., e autorevole dottrina dal medesimo citata. Si veda inoltre, al riguardo, il d.m. 18.3.1996, recante Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi.

108() Trib. Cassino, 18.4.2002, in Giur. romana, 2002, p. 383.

109() Trib. Milano, 21.3.1988, cit.; nonché Trib. Milano, 18.1.1973, cit. Sul punto, si veda anche Liotta, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, cit., p. 142.

110() App. Milano, 30.3.1990, cit. In merito alla richiamata decisione, si veda nuovamente franzoni, La responsabilità civile, cit., p. 922 ss., che sottolinea come, agli effetti della sussistenza della responsabilità contrattuale dell’organizzatore, sia necessario che “il pregiudizio lamentato dall’utente sia in rapporto di causalità con l’evento, dunque che il fatto dell’organizzatore possa essere considerato conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, secondo l’art. 1223 c.c.”.

111() Giud. pace Napoli, 31.12.2003, in Giur. it., 2004, I, 2, c. 2324, con nota di Lucarelli.

112() Trib. Perugia, 15.7.2005, in Resp. civ. prev., 2006, p. 1297, con nota di Zuddas.

113() Nella specie ritenuto insussistente: nel caso di cui trattasi, infatti, uno spettatore, mentre era in fila per accedere alle gradinate, era stato colpito all’occhio sinistro da un oggetto lanciato da alcuni tifosi all’interno dello stadio.

114() Ad esempio, nel caso del lancio di oggetti in campo dagli spalti: al riguardo, si richiama nuovamente Trib. Torino, 8.11.2004, cit., che ha deciso in merito al lancio di un petardo.

115() Maietta, La responsabilità civile della società di calcio, cit., p. 45.

116() Trib. Torino, 8.11.2004, cit.

117() Si veda, al riguardo, Maietta, La responsabilità civile delle società di calcio, cit., p. 46.

118() Che ha formato oggetto della più volte richiamata Trib. Torino, 8.11.2004.

119() Così Grassani, La responsabilità risarcitoria dell’organizzatore dell’evento sportivo – il caso Juventus. Sentenza del Tribunale di Torino 8 novembre 2004, in Riv. dir. econ. sport, 2005, p. 134. Critico nei confronti della decisione che ha coinvolto unicamente la squadra organizzatrice, conduttrice dello stadio, mandando esente da ogni responsabilità il Comune di Torino che ne era proprietario, anche Lepore, La responsabilità nell’esercizio e nell’organizzazione delle attività sportive, cit., p. 278, il quale, richiamando la Cass. Pen., 27.1.1975, n. 207, in Riv. dir. sport., 1976, p. 30, rileva che una soluzione diversa dovrà essere invece ricercata qualora l’impianto formi oggetto di concessione amministrativa, per cui la quasi totalità della gestione e dell’organizzazione dello stesso e degli eventi che in esso vengono realizzati, fanno carico alla società concessionaria in via esclusiva, la quale ha anche l’obbligo di provvedere all’ottenimento della relativa autorizzazione di pubblica sicurezza.

120() Trattasi dell’incontro di calcio Milan – Sampdoria, sottoposto all’esame di App. Milano 18.5.2001, in Foro pad., 2002, I, c. 205, con nota di Curti, nonché, previamente, di Trib. Milano, 21.9.1998, n. 10037, cit.

121() È opportuno rilevare, al riguardo, che il Codice di giustizia della F.I.G.C. configura a carico delle società calcistiche una responsabilità oggettiva in relazione all’operato dei propri sostenitori sia sul proprio campo, ivi compreso il campo neutro, sia su quello delle società ospitanti (art. 4, comma 3º), nonché un’ulteriore responsabilità in relazione all’ordine e alla sicurezza prima, dopo e durante lo svolgimento della gara, sia all’interno del proprio impianto sportivo, che nelle aree esterne immediatamente adiacenti (art. 4, comma 4º). È inoltre previsto che le società rispondano per l’introduzione o utilizzazione negli impianti sportivi di materiale pirotecnico di qualsiasi genere, di strumenti ed oggetti comunque idonei ad offendere, di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni oscene, oltraggiose, minacciose o incitanti alla violenza; esse sono altresì responsabili per cori, grida e ogni altra manifestazione comunque oscena, oltraggiosa, minacciosa o incitante alla violenza (art. 12, comma 3º): in caso di violazione, il giudice sportivo applicherà la sanzione dell’ammenda; nei casi più gravi, da valutare in modo particolare anche con riguardo alla recidiva, potrà essere disposto l’obbligo di disputare uno o più gare a porte chiuse o con uno o più settori privi di spettatori, ovvero potrà essere prevista la squalifica del campo per una o più giornate (art. 12, comma 6º). Le società sono responsabili anche per i fatti violenti commessi dai propri sostenitori in occasione della gara, sia all’interno del proprio impianto sportivo, che nelle aree esterne immediatamente adiacenti, quando siano direttamente collegati ad altri comportamenti posti in essere all’interno dell’impianto sportivo, se dal fatto derivi un pericolo per l’incolumità pubblica o un danno grave all’incolumità fisica di uno o più persone (art. 14, comma 1º); per questi fatti è prevista la sanzione dell’ammenda con eventuale diffida; laddove la società sia già stata diffidata o in caso di fatti particolarmente gravi potrà essere disposto l’obbligo di disputare uno o più gare a porte chiuse o con uno o più settori privi di spettatori, ovvero potrà essere prevista la squalifica del campo per una o più giornate (art. 14, comma 2º). Le disposizioni da ultimo richiamate si rinvengono nell’attuale Codice di giustizia sportiva entrato in vigore il 1.7.2007. In relazione alle norme, di contenuto analogo, contenute nel Codice di giustizia sportiva in vigore precedentemente, si è pronunciato il TAR Catania Sicilia, 19.4.2007, n. 679, in Foro Amm. TAR, 2007, p. 1484, con nota di Paolantonio, che ha dichiarato l’illegittimità delle norme disciplinari prevedenti la responsabilità oggettiva delle società calcistiche per i fatti di violenza imputabili ai propri tifosi, invocando il principio di personalità della pena, di cui all’art. 27 Cost. (nel caso di specie alcuni abbonati del Catania si erano rivolti TAR lamentando un danno in conseguenza dei provvedimenti assunti dal giudice sportivo in seguito ai già richiamati disordini, in occasione dei quali, durante la partita Catania – Palermo, era morto l’agente Raciti; in applicazione delle norme del Codice sulla responsabilità oggettiva delle società calcistiche, il giudice sportivo aveva infatti deciso che tutte le successive partite casalinghe del Catania di lì alla fine del campionato avrebbero dovuto disputarsi a porte chiuse). La pronuncia citata è commentata da Forti, Riflessioni in tema di diritto disciplinare sportivo e responsabilità oggettiva, in Riv. dir. econ. sport, 2007, p. 13 ss., il quale (p. 24) informa anche in merito ai successivi articolati sviluppi giudiziari della vicenda di specie, che si è conclusa con la conciliazione fra Catania e F.I.G.C. davanti alla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., nell’ambito della quale la società si è dichiarata estranea al ricorso presentato dal gruppo di abbonati ed ha accettato la sanzione, ottenendo come contropartita l’apertura dello stadio al pubblico per le ultime due giornate del campionato. La sentenza è commentata anche da Castronovo, Pluralità degli ordinamenti, autonomia sportiva e responsabilità civile, in Europa e dir. priv., 2008, pp. 549-550, il quale, analizzandone la motivazione, rileva criticamente come il principio di personalità della pena sia stato richiamato a sproposito dal giudice amministrativo, vertendosi, nella specie, non di responsabilità oggettiva penale di una persona fisica, ma di responsabilità oggettiva disciplinare (sportiva) di una persona giuridica. Sulle regole di responsabilità oggettiva delle società calcistiche previste dal Codice di giustizia sportiva in collegamento a comportamenti violenti dei propri tifosi, si v. anche Franchini, Profili di attualità nella disciplina della Federazione italiana giuoco calcio, in Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Atti del 3° Convegno Nazionale S.I.S.Di.C., Napoli, 2009, pp. 643-644, il quale ricorda anche che (ai sensi dell’art. 14, comma 4º) il giudice sportivo, ai fini della non applicazione o dell’attenuazione delle sanzioni, può tenere in considerazione la verificata sussistenza di una delle seguenti circostanze: adozione ed efficace attuazione prima del fatto, di modelli di organizzazione e gestione della società idonei a prevenire comportamenti violenti, con impiego di risorse finanziarie ed umane idonee allo scopo; ovvero concreta cooperazione della società con le forze dell’ordine e le altre autorità competenti per l’adozione di misure atte alla prevenzione e alla identificazione dei responsabili dei fatti di violenza. Sul controverso istituto della responsabilità oggettiva sportiva e sul suo fondamento, si v. Tortora, Izzo, Ghia, Guarino, Danese, Nucci, Naccarato, Casolino, Novarina, Diritto sportivo, cit., p. 103 ss; Izzo, Le responsabilità nello sport, cit., p. 127 ss., ove ulteriori riferimenti. Sulle possibili conseguenze dell’affermazione della responsabilità oggettiva da parte del giudice sportivo agli effetti della valutazione della responsabilità dell’organizzatore da parte del giudice statale, si v. Santoro, Sport estremi e responsabilità, nei Quaderni di Responsabilità civile e previdenza, Milano, 2008, pp. 174-175, la quale afferma che il giudice, chiamato a decidere in merito alla domanda di risarcimento del danno derivato da fatti ascrivibili alla responsabilità oggettiva della società, dovrà fondare la sua decisione non già sulla regola dell’ordinamento sportivo, ma sulla regola di cui all’art. 2050 c.c., che, tuttavia, viene riempita di contenuto, sulla base della normativa sportiva: “in altri termini”, a parere dell’a. citata, “le regole federali che addossano la responsabilità per il mantenimento dell’ordine pubblico a carico delle società, specificando talvolta i singoli comportamenti costituenti infrazione […] riempiono di contenuto la generale nozione di attività pericolosa riferita all’organizzatore sportivo”; Liotta, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, cit., pp. 86-87, il quale, nel commentare l’inedita pronuncia di Trib. Crotone, 17 giugno 1993, n. 433, che ha condannato la società al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità oggettiva proprio sulla base della regola sportiva che configura la responsabilità oggettiva per i fatti di violenza ascrivibili alla tifoseria, sottolinea la marcata funzionalità della responsabilità oggettiva sportiva a taluni scopi, quali quelli della prevenzione dei fenomeni di violenza, perseguiti anche dall’ordinamento giuridico statale, rilevando che “è proprio questa funzione antiviolenza che sancisce una sorta di dovere preventivo di induzione al controllo in capo all’organizzatore sportivo”, ma precisando anche che la rilevanza dell’istituto della responsabilità sportiva oggettiva all’interno del sistema generale della responsabilità civile “sembra, in ogni caso, condizionata dallo stesso valore giuridico del caso fortuito”. Molto critico invece sulla decisione del tribunale calabrese Castronovo, Pluralità degli ordinamenti, cit., pp. 554-555, il quale afferma che “una decisione del genere è esemplare della incomprensione di ciò che autonomia dell’ordinamento sportivo sia, e pluralità degli ordinamenti giuridici significhi […] la regola dell’ordinamento collaterale sportivo […] non può diventare automaticamente, e quasi a mo’ di corollario, responsabilità oggettiva degli stessi soggetti secondo l’ordinamento dello Stato […] Ciascun ordinamento può contenere regole di responsabilità, che si riferiscono agli ambiti suoi propri: questo significa che non è possibile trarre effetti giuridici previsti in uno da regole contenute in alcuno degli altri”.

122() Così, rispettivamente, Trib. Torino, 14.2.1971, in Riv. dir. sport., 1972, p. 74, e App. Roma, 17.7.1971, in Riv. dir. sport., 1972, p. 256, entrambe richiamate da Bona, Castelnuovo, Monateri, La responsabilità civile, cit., p. 64.

123() In tal senso, le già richiamate Trib. Milano, 21.3.1988, Trib. Milano, 18.1.1973, ed App. Milano, 30.3.1990.

124() si vedano le superiori note 101 ss., sul “caso Giampà”.

125() Per tutti, Galligani-Piscini, Riflessioni, cit., p. 119; Ponzanelli, Responsabilità civile e attività sportiva, cit., p. 603; in giurisprudenza, si v. Trib. Rovereto, 5.12.1989, cit., secondo cui “il principio dell’assunzione del rischio […] mal si concilia con le nuove concezioni sociali: se è nell’interesse dell’organizzatore la presenza del pubblico agli incontri sportivi da lui organizzati, sia per l’entrata pecuniaria che gli procura, sia per l’interesse pubblicitario che gli deriva, è anche suo specifico obbligo quello di prendere tutte le misure di prudenza per tutelare detto pubblico dal pericolo di danno alla sua incolumità”.

126() Nello stesso senso, Stanca, Natura della responsabilità dell’organizzatore di gare sportive, cit., p. 150 ss..

127() Così, fra le varie, Cass., 13.2.2009, n. 3528, cit., emanata a proposito di una gara di bob, e quindi di attività sportiva di per sé pericolosa.

128() Motivata in giurisprudenza e in dottrina sulla idoneità di detta attività e di detti eventi a muovere moltitudini di spettatori, assiepandoli tutti in un medesimo impianto sportiivo. A fronte di tale assunto, riferibile alla sola attività organizzativa di eventi professionistici, che sia connotata dalla presenza di folle di spettatori, si potrebbe inferire che l’incontro professionistico giocato “a porte chiuse” non connoti di pericolosità l’attività organizzativa, trattandosi, con particolare riguardo al calcio, di attività sportiva ritenuta di per sè non pericolosa.

129() Si vedano infatti, in tal senso, oltre la stessa Cass., 13.2.2009, n. 3528, cit., anche le decisioni richiamate alle superiori note 76 ss..

130() Esprime peraltro rilievi critici in merito a tali assunti Liotta, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, cit., p. 139.