La mediazione nel sistema sanitario regionale alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale

Marika Ragni, La mediazione nel sistema sanitario regionale alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2, 2014, p. 565 ss.

La mediazione nel sistema sanitario regionale alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale

Sommario: 1. Una premessa tra il vecchio e il nuovo. – 2. La lettura della mediazione in àmbito sanitario nella sentenza della Corte cost., 14 maggio 2010, n. 178. – 3. L’incostituzionalità della c.d. mediazione obbligatoria. 4. Il contesto giuridico. – 5. Alla ricerca di un coordinamento tra la normativa statale e regionale – 6. Segue: profili problematici – 7. Segue: la  mediazione <<multiparte>> in àmbito sanitario – 8.  Segue: l’intreccio dei problemi relativi alla competenza, professionalità e imparzialità.  – 9. Conclusioni.

1. Le riflessioni proposte nelle pagine che seguono traggono spunto da alcune pronunce della Corte costituzionale in tema di gestione stragiudiziale del contenzioso ([1]) che, ad una lettura globale, consentono di approfondire le novità riguardanti l’attuale ruolo della mediazione nel settore della responsabilità medica.

E’ immediato rilevare, sin dalle prime battute, che le peculiarità della materia dovranno inevitabilmente riflettersi in altrettante singolari sfumature del procedimento di mediazione, perché vi siano ragionevoli chances di evitare la fase contenziosa. Ciò spiega perché le regioni abbiano avvertito l’esigenza di dettare una regolamentazione specifica e differenziata rispetto alla normativa comune offerta dal d.lgs. n. 28 del 2010, che, come noto, ha introdotto in Italia la prima disciplina unitaria sulla mediazione e la conciliazione nelle controversie civili e commerciali ([2]).

Il tema risulta di estrema attualità considerata la recentissima dichiarazione di illegittimità costituzionale della c.d. mediazione obbligatoria. Si tenga presente, infatti, che ciò porterà delle rilevanti ripercussioni nell’àmbito di tali controversie, rispetto alle quali, come noto, la mediazione costituiva condizione di procedibilità dell’azione ai sensi della precedente formulazione dell’art. 5 del decreto.

Questa rilevante novità costringe ad accantonare alcune delle vecchie rimostranze nei confronti del d.lgs. n. 28 del 2010 e ad occuparsi dei problemi che, nonostante gli sforzi legislativi e giurisprudenziali degli ultimi tempi, restano ancora sul tavolo.

Ogni considerazione sarà, dunque, ponderata alla luce sia del quadro normativo statale che della normativa speciale regionale ([3]), nonché della più recente giurisprudenza in materia.

D’accordo con chi, adottando una prospettiva de iure condendo, ritiene di dover trarre occasione da questa delicata fase di transizione tra il vecchio e il nuovo regime per perfezionare l’intero sistema nazionale della mediazione ([4]), mi sembra opportuno verificare se tale istituto possa continuare ad avere, in un futuro prossimo, dei margini di operatività nell’àmbito della responsabilità medico-sanitaria, o se, viceversa, permangano insuperabili elementi di incoerenza tra le discipline in questione.

2. La sentenza con cui la Corte salva la legge della regione Veneto, che regolamenta le modalità di composizione stragiudiziale delle controversie di responsabilità medica ([5]), suscita notevole interesse sia per la nuova lettura degli strumenti conciliativi nell’àmbito del sistema sanitario ([6]), che per il riconoscimento di un fondamentale ruolo delle regioni in questo settore ([7]).

Tutto muove dall’individuazione della materia in cui ricadono le norme impugnate, identificata nella <<tutela della salute>>, che rientra nell’àmbito della competenza concorrente Stato-regioni, di cui all’art. 117, comma 3°, cost.

In sostanza, la legge viene salvata ricostruendo la connessione tra il servizio pubblico di predisposizione di strumenti ad hoc per la gestione stragiudiziale delle controversie e la tutela della salute. Una connessione non immediata da cogliere in tutte le sue sfumature, ed è per questo che il giudice delle leggi si cura di enuclearla con un ragionamento di ampio respiro, o meglio interdisciplinare, che coinvolge profili pubblicistici di diritto costituzionale, amministrativo e processuale ([8]).

Il succo delle varie argomentazioni sta in ciò: la prevenzione delle controversie attraverso la predisposizione di servizi volti a facilitare la conciliazione  [thrive_lead_lock id=’4487′] stragiudiziale in materia di danni da responsabilità sanitaria rientra tra gli strumenti idonei a raggiungere obiettivi di economicità, efficacia e qualità delle prestazioni sanitarie, che devono caratterizzare tutta l’organizzazione posta a tutela della salute dei cittadini.

Tali princìpi trovano il loro referente principe nell’art. 97 cost. che guida l’azione amministrativa, ma si arricchiscono di nuovi contenuti quando il bene oggetto di quell’azione è di rango primario come la salute.

A tale conclusione si giunge attraverso la ricerca della ratio legis perseguita dal legislatore regionale e la sua collocazione nel contesto del pesante contenzioso che grava sul servizio sanitario regionale.

Le regioni, dunque, non solo possono ma devono regolarla, pur muovendosi sempre nell’àmbito della normativa di principio dettata dal legislatore statale, che nel caso di specie è contenuta nel d.lgs. n. 28 del 2010 e nel suo regolamento di attuazione, d.m. n. 180 del 2010, comprese le successive modifiche ([9]).

In definitiva, all’attività volontaria e negoziale di prevenzione delle liti viene riconosciuta natura accessoria di strumento transattivo volto a migliorare la qualità del servizio, prevedendo organi e procedimenti specificatamente adatti alla natura delle attività coinvolte.

Qui si inserisce un altro punto nodale della motivazione, dove la Corte respinge la censura relativa alla violazione dell’art. 117, comma 3°, cost., escludendo la creazione di nuove figure professionali a dispetto della competenza statuale in materia. Infatti, la commissione istituita dalla legge regionale è composta da noti profili professionali – un magistrato a riposo, un avvocato e un medico legale – che non acquistano alcuna ulteriore qualificazione per il solo partecipare all’attività conciliativa ([10]).

Semmai, la questione consente di rimarcare la disarmonia tra il livello statuale e quello regionale, qualora non si consenta a tale commissione di inserirsi tra gli organismi abilitati a svolgere il procedimento di mediazione, attraverso l’iscrizione nell’apposito registro ([11]), ma tale profilo sarà trattato in séguito.

La logica della decisione è impeccabile e merita di essere condivisa, tuttavia resta aperto il rilevante profilo del coordinamento tra la normativa nazionale, ritenuta normativa quadro entro la quale devono inserirsi gli interventi legislativi in materia, e quella regionale, alla luce della intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione.

3. Come già anticipato, l’illegittimità costituzionale della c.d. mediazione obbligatoria porta un vento di novità anche nel settore che ci occupa.

Ritengo inopportuno ricostruire in questa sede i dettagli del travagliato dibattito che la previsione ha suscitato, fin dalla sua entrata in vigore; tuttavia appare necessario riportare, in sintesi, le ragioni che hanno indotto la dottrina prevalente, la categoria forense ed alcuni giudici di merito a tacciare di incostituzionalità alcune norme del decreto, sollevando le relative questioni dinanzi alla Corte costituzionale ([12]), per constatare se possano ritenersi superate dalla pronuncia di incostituzionalità.

L’argomento principe di chi avversa la normativa, come noto, è legato proprio all’obbligatorietà del tentativo di conciliazione e alla sua configurazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale ([13]).

Nonostante il giudice delle leggi abbia affermato la compatibilità con la costituzione di <<filtri>> alla tutela giurisdizionale, se previsti per la salvaguardia di interessi generali ([14]), dottrina e giurisprudenza non hanno smesso di interrogarsi sulla legittimità costituzionale delle forme di giurisdizione condizionata ([15]).

Le proteste nei confronti di questa particolare modalità di funzionamento della mediazione nostrana hanno spaziato su più fronti:

  1. a) con riferimento alla violazione del principio di accesso alla tutela giurisdizionale ( 24 cost., art. 6 cedu e art. 47 carta di Nizza) ([16]);

  2. b) sul piano della violazione del principio di uguaglianza delle parti ( 3 cost.) ([17]);

  3. c) in relazione, infine, al vizio di eccesso di delega ( 76 e 77 cost.), stante il silenzio del legislatore delegante in punto di obbligatorietà della mediazione ([18]).

La risposta della Corte non riguarda esplicitamente le censure sostanziali indicate sub a) e b), quanto piuttosto un vizio formale del decreto legislativo, di cui sub c), per avere il governo legiferato in difetto di delega e, quindi, in violazione dell’art. 76 cost. ([19]).

La scelta di non prendere espressamente posizione in relazione ai profili sostanziali, prediligendo la tecnica dell’assorbimento, seppur discutibile ([20]), suggerisce di osservare il rapporto tra procedure obbligatorie di composizione delle liti e garanzia dell’accesso alla giustizia, attenendoci ai princìpi ricavabili dalla giurisprudenza, sinora edita, della Corte costituzionale e della Corte di giustizia europea ([21]).

Entrambe le corti giustificano limitazioni al diritto d’azione a condizione che la compressione sia, non soltanto rispondente a obiettivi di pubblico interesse, ma altresì proporzionata al perseguimento degli stessi.

L’insufficiente competenza e professionalità del mediatore, la mancata determinazione di criteri per individuare l’organismo cui proporre la domanda, la presenza di forme di coazione indiretta delle parti a concludere l’accordo ed i costi non irrilevanti del procedimento, sono i profili della normativa nazionale che, messi in correlazione con l’obbligatorietà della procedura, hanno comprensibilmente fondato i menzionati dubbi di legittimità, rendendo evidente l’eccessiva sproporzione tra la limitazione di accesso alla tutela e l’obiettivo deflazionatorio e di semplificazione perseguito dal decreto.

C’è da chiedersi se oggi, con il venir meno dell’obbligatorietà, le criticità della normativa restino, degradando a indici di probabile fallimento di qualsiasi intento promozionale rispetto all’utilizzo volontario dello strumento.

I tentativi legislativi di rimediare ad alcuni degli aspetti più critici al vaglio della Consulta, limitando le spese del procedimento e ancorando i criteri di scelta del mediatore alla sua competenza professionale (d.m. n. 145 del 2011) ([22]), nonché introducendo un sistema di sanzioni ed incentivi volti ad arginare fenomeni di diserzione della mediazione (d.l. n. 138 del 2011, convertito con modifiche in l. n. 148 del 2011) ([23]), sono stati in parte vani.

Alcune norme di nuova introduzione vengono meno in conseguenza della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 5, comma 1°, d.lgs. n. 28 del 2010, per esplicita affermazione della Corte ([24]). Altre, contenute nel regolamento attuativo, seguiranno certamente la stessa sorte qualora perdano significato a séguito della caducazione delle prime ([25]).

Le uniche innovazioni che, con certezza, restano operative sembrano essere quelle relative al contenimento dei costi ed alla garanzia di professionalità del mediatore, con quale successo lo vedremo nel proseguo.

Contrariamente alle prime impressioni ([26]), dunque, i meccanismi di raccordo tra mediazione e processo di tipo sanzionatorio o impositivo, che consentivano al giudice di valutare il comportamento delle parti e di sanzionarlo in vario modo, non restano in vigore neppure per gli altri tipi di mediazione (obbligatoria per volontà delle parti, delegata e facoltativa), e ciò potrebbe restituire all’autonomia privata un ruolo centrale nell’àmbito del sistema della mediazione.

La dichiarata incostituzionalità sembrerebbe, comunque, non chiudere la partita in àmbito nazionale; è ancora attesa, infatti, la prossima mossa da parte della Corte di giustizia europea in merito alle contestazioni alla legge nazionale sollevate pure in quella sede ([27]), che sarà capace di indirizzare i futuri interventi legislativi.

Sarà interessante osservare i prossimi movimenti del legislatore anche alla luce di un’interpretazione conforme alle fonti europee ([28]), poiché, pur volendo rinunciare all’obbligatorietà ed ai meccanismi sanzionatori annessi, egli dovrà escogitare un adeguato sistema di incentivi per non perdere il lavoro sinora compiuto ([29]). (18)Parrebbe confliggere con tale impostazione, siccome estranea alla natura regolamentare della fonte, la previsione contenuta nella lett.b) del comma 1 dell’art. 7 Regolamento, che ammette la possibilità di prevedere in seno ai singoli regolamenti di procedura che, in caso di formulazione della proposta ai sensi dell’art. 11 d.lg., la stessa possa provenire da un mediatore diverso da quello che ha condotto sino ad allora la mediazione e sulla base delle sole informazioni che le parti intendono offrire al mediatore proponente, e che la proposta medesima può essere formulata dal mediatore anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione .Ciò nella convinzione che non ci si debba limitare ad utilizzare la mediazione nell’unica prospettiva di deflazione del contenzioso, preferendo quella dell’incremento della tutela effettiva dei privati.

4. Prima di occuparci delle problematiche che la disciplina pone, con riguardo allo specifico settore della responsabilità professionale medica, è necessario avere presente il contesto giuridico.

Le cause di responsabilità medico-sanitaria ([30]) rappresentano un terreno di indagine particolarmente complesso, soprattutto da quando l’interpretazione giurisprudenziale ha determinato, in àmbito civilistico ([31]), la dilatazione dei criteri di imputazione della responsabilità ([32]).

Si tratta di una materia particolarmente delicata anche dal punto di vista della politica e della pratica sanitaria; infatti, l’elevato numero di controversie civili da malpractice medica ([33]) ha determinato, da un lato, l’aumento esponenziale dei costi delle polizze di responsabilità civile professionale, dall’altro, la modifica del comportamento stesso degli operatori sanitari, i quali sempre più spesso adottano strategie di c.d. medicina difensiva con l’adozione di misure costose ed eccessive rispetto alle reali necessità diagnostiche ([34]).

 A fronte di questo quadro va considerata la posizione dei soggetti danneggiati che vorrebbero vedere accertata la responsabilità dei medici in tempi rapidi ed a costi sostenibili, nonché ottenere il relativo risarcimento ([35]). E’ evidente, infatti, che la ricerca dell’effettività della tutela, in un’ottica di semplificazione e riduzione dei tempi processuali, rappresenti un’esigenza basilare quando è in gioco il diritto alla salute. E’ noto, poi, che l’inefficienza del sistema giudiziario italiano, che da tempo ha condotto il legislatore a ricercare soluzioni esterne ed alternative al giudizio contenzioso ([36]), abbia comportato, unitamente agli altri fattori sopraindicati, l’introduzione della mediazione anche in questo campo ([37]).

Occorre osservare il settore della responsabilità sanitaria ([38]) anche alla luce del nuovo ruolo assunto dalle regioni nel sistema sanitario nazionale, le quali non solo sono i soggetti cui fanno capo i compiti di organizzazione ed erogazione delle prestazioni sanitarie, ma sono anche le stesse che sopportano il peso economico del danno derivante dalle prestazioni stesse. Tali enti hanno, dunque, un duplice interesse a migliorare la qualità dei servizi erogati, sia per adempiere agli obblighi costituzionali di tutela del diritto alla salute, sia per contenere i costi ad essi connessi ([39]).

La difficoltà riscontrata dalle aziende sanitarie e dagli ospedali a normalizzare i costi per la copertura assicurativa ha mosso diverse regioni a cercare modalità più efficienti di gestire il contenzioso tra i pazienti ed il personale, e tale prassi risulta oggi pienamente legittimata dalla Corte costituzionale.

La soluzione non può mirare soltanto ad una mera riduzione dei costi assicurativi, che secondo le logiche del mercato comporterebbe soltanto una riduzione dei rischi coperti ([40]); al contrario, l’individuazione di un sistema di gestione stragiudiziale del contenzioso promosso e gestito dalle regioni, in quanto direttamente interessate a tutti i livelli, contribuirebbe a superare la caratteristica conflittualità di tali controversie consentendo alle stesse di adempiere, contemporaneamente, alla propria funzione istituzionale di tutela della salute ed agli obblighi derivanti dai princìpi che governano l’azione amministrativa. Non è un caso, infatti, che diverse regioni abbiano aderito a progetti finalizzati all’instaurazione di un servizio permanente di mediazione in questa materia ancor prima del d.lgs. n. 28 del 2010, prevedendo la costituzione di commissioni presso le proprie Asl volte ad una gestione innovativa del contenzioso.

L’esame di tali esperienze porta alla luce due tipologie di modelli:

  1. a) l’uno fa capo ad un’unica commissione conciliativa indipendente, nominata dalla giunta regionale, composta da un magistrato, un medico legale ed un avvocato esperto in materia, che formuli all’unanimità e per iscritto la sua proposta di conciliazione e la proponga alle parti come contenuto di una transazione stragiudiziale ([41]);

  2. b) l’altro, che presenta un’articolazione più capillare, incardina la commissione all’interno della singola struttura sanitaria, con la partecipazione del difensore civico, di rappresentanti della regione, delle associazioni di volontariato e dell’Asl interessata, lavorando in sinergia con l’ufficio relazioni con il pubblico, ed in alcuni casi, con la medicina legale, che effettua le valutazioni tecniche, nonché con le strutture interne di gestione del rischio clinico ([42]).

Il difficile rapporto con le compagnie di assicurazione ha, più di recente, indotto alcune regioni a deliberare un sistema di gestione diretta dei sinistri, attraverso la creazione di un fondo, a partecipazione obbligatoria da parte delle strutture sanitarie, che finanzia direttamente gli esborsi a fini risarcitori ([43]).

Il decreto del 2010 ha opportunamente previsto la possibilità di costituire organismi di mediazione anche presso i consigli degli ordini professionali, per le materie riservate alla propria competenza (art. 19) ([44]). Tuttavia l’invito non ha avuto ampio seguito nell’ambito degli ordini dei medici ([45]), salvo sporadiche iniziative, anche queste anteriori al d.lgs. 28 del 2010, che hanno istituito avanguardistici sistemi conciliativi ([46]).

Ciò nonostante, pare che il legislatore nell’ultimo intervento di riordino dell’Ssn si sia dimenticato di considerare le esperienze positive registrate a livello locale.

Il d.l. n. 158 del 2012 ([47]) si occupa dell’argomento all’art. 3: viene istituito un fondo unico, alimentato dalle imprese assicuratrici e dalla contribuzione volontaria dei sanitari, che garantisca la copertura assicurativa per alcune categorie di rischio professionale, individuate da un successivo decreto; si conferma, inoltre, l’obbligo della copertura assicurativa che il sanitario dovrà privatamente stipulare a copertura dei rischi ([48]), individuando i criteri guida della futura disciplina dei relativi contratti.

In sostanza, si introduce un sistema ibrido, pubblico e privato, in disarmonia con le esistenti leggi regionali in materia che hanno scelto di svincolarsi dalle logiche delle compagnie assicurative, senza neppure considerare la mediazione che, invece, come dimostrano le esperienze regionali, sembra un tassello fondamentale perché l’intero meccanismo consenta di raggiungere gli auspicati risultati di efficienza, efficacia ed economicità.

5. La presente indagine mira a vagliare il primo dei modelli precedentemente individuati, il quale, laddove applicato, ha portato dei risultati soddisfacenti, per verificare se questo sia in grado di rispondere alle esigenze specifiche derivanti dalla materia trattata ed, al contempo, sia in linea con la normativa nazionale.

Le iniziative legislative settoriali, infatti, devono trovare un necessario raccordo con le previsioni del d.lgs. n. 28 del 2010, nonostante il venir meno dell’obbligatorietà. E’ la stessa Corte a chiederlo quando, legittimandole, afferma l’ineliminabile ruolo dello Stato, quale legislatore di principio, allo scopo di assicurare la coerenza e l’unitarietà della disciplina.

Occorre, però, tenere presente un altro input interpretativo: la circolare ministeriale n. 9 del 2012, che fornisce le linee guida per assicurare l’omogenea attuazione del decreto nazionale da parte della p.a. ([49]), riconduce nel novero delle controversie da esso disciplinate soltanto quelle che implichino la responsabilità della p.a. per atti di natura non autoritativa, tra i quali sembra pacifico far rientrare quelli attinenti alla presa in carico dei pazienti per l’erogazione delle prestazioni sanitarie ([50]).

Ciò considerato, è possibile ipotizzare che laddove la regione non abbia predisposto una disciplina ad hoc della mediazione nell’àmbito del proprio sistema sanitario, si dovrà applicare il decreto nazionale nel rispetto di quelle linee guida, le quali, tuttavia, nulla dicono con specifico riferimento alla materia sanitaria.

Emerge, dunque, una prima contraddizione di fondo: il decreto nazionale non sembra da solo in grado di assicurare coerenza ed uniformità al sistema, valorizzando al contempo le peculiarità della materia.

La coerenza del sistema della mediazione sanitaria rischia di essere compromessa anche dalle disuguaglianze esistenti tra la normativa statale e quelle regionali con riferimento alle modalità per raggiungere l’accordo conciliativo, alla sua natura ed efficacia, nonché ai costi del procedimento, alcune delle quali, come vedremo in séguito, sembrano oggi superabili.

Nel genere di controversie che ci occupa viene in rilievo, in successione logica, un duplice accertamento: il primo è quello che attiene al titolo dell’obbligazione risarcitoria, cioè la sussistenza della responsabilità medica (errore di diagnosi, cura, ecc., ma anche il nesso causale che lo lega al danno), il secondo è quello che attiene all’esistenza e all’ammontare delle conseguenze risarcibili.

E’ necessario, pertanto, distinguere varie ipotesi prospettabili in concreto:

  1. a) le parti raggiungono un accordo amichevole su entrambi i fronti (sono i casi piuttosto rari in cui si riconosce al danneggiato un risarcimento a prescindere dalla verifica dei profili di responsabilità);

  2. b) le parti conciliano sulla base della proposta del mediatore, accordandosi sul quantum;

  3. c) le parti non raggiungono alcun accordo.

Ci si limita, per ora, a considerare che nelle prime due ipotesi, sub a) e b), l’accordo può assumere le vesti tanto di un contratto di transazione, quanto di una rinuncia o riconoscimento della pretesa, ma anche del negozio di accertamento, rinviando ad un momento successivo l’indagine sulla natura di tale accordo.

Dalle leggi regionali si ricava che l’attività della commissione consiste nell’accertamento della responsabilità e nella formulazione di una proposta. Per il decreto nazionale la proposta è solo eventuale qualora le parti non raggiungano autonomamente un accordo ([51]).

Ci troviamo di fronte ad una diversa logica di composizione della lite ([52]) riconducibile ai noti schemi della mediazione facilitativa ([53]) e di quella valutativa ([54]).

Mi sembra di poter affermare il carattere tendenzialmente valutativo del modello in esame, dal momento che ciò di cui si occupa il mediatore, secondo le leggi regionali, attiene proprio alla fondatezza delle pretese ([55]).

Ciò si comprende se si tiene conto del fatto che l’esborso risarcitorio deve essere giustificato ai fini della contabilizzazione nel bilancio dell’ente, sia che esso provenga dalla struttura sanitaria ([56]) che dall’assicurazione ([57]).

Una conferma arriva dallo schema esemplare adottato dalla legge della provincia autonoma di Bolzano ([58]), dove si disegna un procedimento che consenta alla commissione conciliativa di accertare con decisione unanime, anche avvalendosi di un consulente tecnico esterno (attraverso un procedimento analogo a quello di una c.t.u.), se il danno alla salute del paziente sia dovuto all’errore medico. Ed in caso positivo, di formulare la proposta indicando la somma da liquidare a titolo di risarcimento, in base alla valutazione sommaria della documentazione prodotta, precisando, inoltre, che le parti restano libere di modificarne di comune accordo il contenuto.

In sostanza l’oggetto della mediazione e dell’eventuale giudizio tende ad apparire quasi perfettamente sovrapponibile ([59]), e ciò deve essere letto nell’ottica di un’irrinunciabile garanzia di equità e stabilità dell’accordo raggiunto in funzione risarcitoria del danno alla salute, che deve dunque rispettare le norme civilistiche che presiedono il riparto della responsabilità ([60]).

In caso di mancato raggiungimento di un accordo (sub c), il mediatore deve formare processo verbale con indicazione della proposta, ed il relativo documento, come nel caso di verbale di accordo, dovrà essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certificherà l’autografia della sottoscrizione delle parti oppure la loro impossibilità a sottoscrivere. Ciò è quanto emerge dall’art. 11, comma 4°, del decreto nazionale che dovrà applicarsi anche all’attività della commissione, nel silenzio delle normative regionali.

Due annotazioni ulteriori vanno però compiute: la prima attiene al fatto che l’evenienza che una o entrambe le parti siano impossibilitate a sottoscrivere l’atto difficilmente potrà verificarsi davanti alla commissione conciliativa. Infatti, paziente, medico ed ente sono parti necessarie del procedimento ed il regolamento bolzanino precisa che <<Il procedimento viene archiviato se alla prima udienza di comparizione una delle parti necessarie non compare>> ([61]). In secondo luogo, quanto al contenuto del suddetto verbale negativo, sembra possibile che esso dia atto delle posizioni assunte dalle parti con riferimento all’esito negativo della lite, in quanto ciò può assumere una specifica valenza ai fini dell’eventuale applicazione da parte del giudice degli artt. 92 e 96 c.p.c., che resta oggi  l’unico possibile risvolto processuale del contegno delle parti in sede di mediazione ([62]).

6. Tra le difficoltà di maggiore rilievo che attengono il coordinamento tra le discipline in questione emergono i profili della natura e dell’efficacia esecutiva dell’accordo conciliativo.

Nell’àmbito della disciplina generale della mediazione (art. 12, d.lgs. n.28 del 2012) il legislatore ha previsto uno specifico strumento che consente al verbale di conciliazione ([63]) di acquistare efficacia esecutiva. E’ l’omologa del tribunale territorialmente competente che produce il titolo esecutivo necessario per procedere all’esecuzione forzata, all’esecuzione in forma specifica ed all’iscrizione di ipoteca giudiziale ([64]).

Nonostante le difficoltà ermeneutiche legate a tale previsione ([65]), che non possono essere qui approfondite, l’efficacia esecutiva del risultato della mediazione sembra particolarmente opportuna in chiave promozionale dello strumento conciliativo ([66]). Tuttavia, ai nostri fini, non può non rilevarsi l’evidente disarmonia con le leggi regionali, che fanno riferimento alla sola natura transattiva dell’accordo finale.

Nell’ottica della massima valorizzazione della volontarietà del procedimento di mediazione, si prevede che la commissione conciliativa regionale definisca la conciliazione, in caso di accordo fra le parti, con un atto di natura transattiva ex art. 1965 c.c. ([67]), laddove invece il decreto nazionale parla più genericamente di accordo.

Emerge con evidenza il differente meccanismo di acquisto dell’efficacia esecutiva, che per il verbale di conciliazione consiste nell’omologa, mentre per il contratto di transazione è consentito solo attraverso l’ordinario procedimento di autenticazione della scrittura privata ([68]).

Il distinguo tra transazione e conciliazione ([69]) viene comunemente ricondotto alla presenza o meno delle reciproche concessioni menzionate dall’art. 1965 c.c., alla presenza o meno di un terzo che guida il procedimento formativo dell’accordo, nonché alla presenza di un procedimento disciplinato da norme giuridiche per risolvere consensualmente una controversia, da un lato, ed al raggiungimento dell’accordo attraverso i normali meccanismi di formazione dei contratti, dall’altro ([70]).

Tali differenze sfumano se si considera che entrambe le normative, pur utilizzando una terminologia diversa, disciplinano un procedimento volto alla conclusione di un accordo. Il fatto che vi sia un procedimento legalmente regolato, infatti, non esclude il contratto di transazione, la cui struttura è perfettamente compatibile con la conduzione da parte di un terzo dell’iter che conduce a quell’accordo ([71]).

Al fine di comprendere il giusto significato delle espressioni utilizzate dalle due normative occorre, infatti, tenere distinti procedimento e accordo, ponendo l’accento su quest’ultimo: mentre il contratto di transazione indica il particolare risultato di un procedimento negoziale, la conciliazione è il generico risultato del procedimento di mediazione svolto da un terzo che può anche assumere la veste di contratto transattivo ([72]).

Quanto alla necessaria presenza delle reciproche concessioni ([73]), limite non presente nella mediazione dove la parte potrebbe anche limitarsi alla mera rinuncia alla lite ([74]), va rilevato che, pur non essendo richiesta una necessaria equivalenza né un equilibrio tra esse ([75]), la loro eventuale insussistenza implica l’esclusione di un accordo transattivo ([76]). Il dato, però, non pare insuperabile in quanto se mancano le reciproche concessioni si potrà, al massimo, configurare un atipico negozio di accertamento e non certo una figura negoziale tipizzata come <<conciliazione>> ed antitetica alla transazione ([77]).

Sembra, dunque, che il legislatore nazionale abbia volutamente adottato una terminologia generica e capace di ricomprendere tutti i possibili contenuti che in concreto quell’accordo può racchiudere; è meno scontato, invece, chiedersi se la scelta del legislatore regionale sia frutto consapevole dell’esigenza di una maggiore specificazione disciplinare derivante dalla materia trattata.

Seguendo la linea interpretativa finora adottata, giusta la valenza di normativa quadro del decreto nazionale, non potrà negarsi anche la sua attitudine a colmare le lacune della normativa speciale. Abbiamo, infatti, verificato come la transazione sia una species del genus accordo conciliativo di cui all’art. 11 del decreto; per quanto sia insolito riconoscere efficacia esecutiva ad un contratto non autenticato, il fatto che il decreto nazionale la preveda basterebbe ad attribuirla a tutti quegli accordi raggiunti attraverso procedimenti di mediazione che si ispirano a quella legge e da cui traggono legittimazione ([78]).

Tale assunto risulterà rafforzato qualora si qualificasse la commissione conciliativa regionale come organismo di mediazione riconosciuto ai sensi del decreto.

L’art. 16 del decreto nazionale rivela l’opzione del legislatore statale per una c.d. mediazione amministrata ([79]) da organismi di mediazione che possiedono i requisiti dettagliati dal regolamento attuativo ([80]), lasciando ampia autonomia regolamentare agli stessi e limitandosi a delineare una cornice entro cui gli enti chiamati a darvi concreta applicazione (che siano gli ordini professionali o le regioni) devono muoversi. Peraltro, è la stessa Corte ad affermare che la legge regionale non introduce alcuna nuova figura professionale, avvalendosi di figure già esistenti ([81]).

Sembra possibile, dunque, auspicare l’inserimento delle commissioni istituite dalle leggi regionali nel suddetto registro, affinché la loro attività venga formalmente equiparata a quella di qualsiasi altro organismo di mediazione abilitato ai sensi del decreto ([82]).

La Corte evidenzia anche il problema dei costi, legittimando leggi, come quella veneta, finalizzate al contenimento della spesa sanitaria, e delega alle regioni il compito di trovare le soluzioni.

Tale problema va, infatti, osservato sotto un duplice angolo visuale:

  1. a) Da un lato, va considerata la posizione dei pazienti che devono sostenere i costi legati alle indennità dovute all’organismo prescelto ([83]), alla redazione della perizia medico legale ed all’eventuale attività posta in essere da un consulente esterno di cui si sia avvalso il mediatore. Vanno conteggiati, inoltre, i costi per l’attività tecnico difensiva dell’avvocato, che sembra necessaria data la complessità del contenzioso ([84]).

  2. b) Dall’altro lato, si deve tenere conto del costo che grava sulla p.a., legato sia alla partecipazione al procedimento di mediazione, che ai costi per la responsabilità professionale.

A livello nazionale, attualmente, l’alleggerimento di tali oneri si gioca tutto sugli sgravi fiscali concepiti, evidentemente, con l’intento di favorire i meccanismi conciliativi ([85]). Eppure, l’incostituzionalità della c.d. mediazione obbligatoria, se risolve i dubbi di legittimità del decreto ([86]), comporta anche il venir meno dell’agevolazione prevista dall’art. 16, comma 4°, lett. d, d.m. n. 180 del 2010 ([87]) e dell’esenzione per i soggetti che si trovano nelle condizioni per l’ammissione al gratuito patrocinio ([88]), restando soltanto possibile per gli organismi privati derogare agli importi previsti dalla tabella, ex art. 16, comma 13°, del regolamento.

Le leggi regionali parlano, invece, di gratuità della mediazione: tutti i costi vengono imputati al bilancio della regione, eccetto, ovviamente, le spese per la difesa o per la consulenza tecnica di parte che restano a carico delle parti stesse.

Per capire come ciò sia possibile, basta riferirsi alla più volte menzionata normativa di Bolzano che prevede un sistema, già operativo da alcuni anni, secondo cui il procedimento è gratuito per le parti, anche quando la commissione incarica un consulente tecnico esterno, con due eccezioni: restano a carico della parte sia le spese per la difesa e per la consulenza tecnica, che quelle relative al consulente esterno di cui si sia avvalsa la commissione qualora la parte decida, per qualsiasi ragione, di non proseguire il procedimento davanti alla commissione.

Il sistema così congegnato mi sembra in grado di far fronte alle esigenze della parte privata e di quella pubblica, garantendo al contempo un corretto equilibrio tra i costi e gli incentivi alla mediazione. Occorre, comunque, attendere i dati relativi ai nuovi sistemi regionali di auto-assicurazione per verificare il loro impatto sul piano del contenimento dei costi assicurativi.

7. La quasi totalità delle controversie in materia è caratterizzata da una pluralità di parti, in quanto, assieme alle strutture sanitarie, pubbliche o private ([89]), sono chiamate a partecipare anche le compagnie assicuratrici ([90]).

L’assicuratore potrà, infatti, essere coinvolto in qualità di garante nel procedimento di responsabilità contro il sanitario (medico o struttura) attraverso una chiamata in garanzia da parte di quest’ultimo, il quale proporrà nei confronti del primo una domanda nuova, ma condizionata all’accoglimento di quella principale ([91]).

Si tratta di una chiamata in garanzia impropria ([92]) attraverso la quale l’assicurato, avvalendosi della facoltà concessagli dall’art. 1917, comma 4°, c.c., realizza un’ipotesi di simultaneus processus ([93]).

In realtà nella prassi non sono infrequenti le ipotesi in cui l’assicuratore stesso gestisce la vertenza,  sia nella fase stragiudiziale che nell’eventuale successivo giudizio, in forza di uno specifico obbligo, che si aggiunge a quello (principale) di tenere indenne il proprio assicurato dalle conseguenze patrimoniali del sinistro ([94]).

La prassi ora descritta non può, tuttavia, considerarsi la regola poiché, da un lato, la stipulazione di una clausola in tal senso rientra nell’autonomia delle parti, dall’altro, potrebbe accadere che l’assicurazione dopo aver assunto l’obbligo di gestione della lite, eccepisca l’inoperatività o invalidità della polizza ([95]).

Analizzando l’ipotesi che normalmente si verifica in questo tipo di controversie, è dunque molto probabile che l’accertamento dell’an e del quantum del risarcimento sia affrontato in contraddittorio tra una molteplicità di soggetti e ciò si ripercuote necessariamente sulle modalità di svolgimento della mediazione.

Sul punto il decreto nazionale tace, tralasciando di considerare l’eventualità che la mediazione si svolga in contraddittorio tra più soggetti ([96]).

Sembra corretto ritenere che laddove l’attore intenda coinvolgere una pluralità di soggetti, l’istanza di mediazione dovrà interessare tutti ([97]). E’ più complesso, invece, valutare la modalità di svolgimento della mediazione nell’ipotesi in cui uno o più convenuti intendano chiamare in causa un terzo.

E’ evidente come l’efficacia della mediazione dipenda dal coinvolgimento delle compagnie assicurative ([98]), le quali, potendo manifestare già in quella sede la disponibilità a risarcire il danno subìto dal paziente, inevitabilmente assumono un ruolo determinante per l’esito del procedimento ([99]).

Altre considerazioni determinanti l’opportunità di una concentrazione nell’àmbito dello stesso procedimento di tutte le parti dell’eventuale successivo giudizio sono legate sia al contenimento dei costi, per evitare la vanificazione delle spese di difesa e consulenza ([100]), che ad esigenze deflattive, in quanto il sanitario convenuto dovrebbe altrimenti esperire un giudizio nei confronti dell’assicuratore che si rifiuti di manlevarlo.

Secondo una certa ricostruzione l’esigenza di ottimizzare le possibilità di successo della mediazione, mirando al contempo ad un’economia di spesa, giustificherebbe l’applicazione di un facsimile dell’istituto processuale della chiamata in causa del terzo, consentendo al mediatore di invitare il convenuto ad estendere il contraddittorio alle compagnie assicurative ([101]).

Tale opzione, che ha trovato sbocco anche in recenti approdi della giurisprudenza di merito ([102]), presenta degli aspetti problematici difficilmente superabili, ponendosi in contrasto con l’essenza stessa della mediazione, strumento non giurisdizionale per definizione, oltre ad essere priva di un fondamento normativo ([103]).

Secondo la normativa regionale le compagnie assicuratrici sono intervenienti facoltativi, a fianco delle parti necessarie ([104]); dunque, il mediatore non ha strumenti per imporre la partecipazione delle assicurazioni, costringendole all’intervento o bloccando il procedimento, ma in caso di loro assenza la mediazione sarà probabilmente destinata all’insuccesso ([105]).

Questa scelta, se da un lato è coerente con la natura non giurisdizionale del procedimento, dall’altro è contraddetta da quelle previsioni che consentono al mediatore di effettuare delle valutazioni giuridiche normalmente riservate al giudice, come quelle relative alla prescrizione o alla litispendenza ([106]).

L’intervento delle assicurazioni nella mediazione può essere, dunque, solo spontaneo, ed in tal caso il coinvolgimento di una pluralità di soggetti, portatori di interessi diversi, rende più complessa l’opera del mediatore, che dovrà condurre una transazione sulla base di risultanze di esami, perizie ed accertamenti ([107]).

In quest’ottica è comprensibile che l’art. 8, d.lgs. n. 28 del 2010, abbia previsto la possibilità per gli organismi di mediazione di nominare <<uno o più mediatori ausiliari>> nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, prevedendo altresì che il mediatore possa <<avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali>> ([108]).

Sul punto un passo ulteriore è compiuto dalla normativa locale: l’istruttoria condotta dalla commissione ai fini dell’accertamento, anche quando quest’ultima si avvale di consulenti specialisti, è svolta in contraddittorio di tutte le parti coinvolte, compresa la possibilità per le stesse di interloquire con il consulente tecnico e di presentare osservazioni, memorie, documenti, ecc., consentendo una valutazione congiunta su tutti gli elementi emersi, per pervenire ad una decisione condivisa circa l’accoglimento o meno della richiesta di risarcimento ([109]).

8. Tra i noti aspetti critici della mediazione spicca il problema di come assicurare la garanzia di imparzialità e professionalità di organismi e mediatori. Questi profili, che si fondono con i problemi legati alla lacuna normativa circa i criteri di individuazione della competenza territoriale dell’organismo ([110]), mi sembrano decisivi per cogliere l’effettiva utilità del modello proposto dalle leggi regionali.

L’unica regola rinvenibile nel decreto ai fini dell’individuazione della competenza è quella della prevenzione, quindi la competenza dell’organismo viene determinata da chi presenta la domanda di mediazione ([111]).

Il criterio della prevenzione opera nell’ipotesi in cui più domande relative alla medesima controversia siano presentate davanti ad organismi diversi. Le norme di riferimento sono l’art. 4, comma 1°, e l’art. 5, comma 6°, del decreto, da cui sembra potersi ricavare che, ai fini della corretta individuazione del dies a quo della pendenza della domanda di mediazione, occorre fare riferimento alla data di comunicazione all’altra parte ([112]).

Tale scelta, condivisibile sotto il profilo della compatibilità con la natura non giurisdizionale del procedimento di mediazione ([113]), ha tuttavia indotto la dottrina a rilevare come la possibilità di scelta dell’organismo possa pregiudicarne la professionalità e l’imparzialità ([114]).

Il criterio della prevenzione è, infatti, concretamente in grado di dare luogo a due tipologie di problemi, di tipo logistico e di tipo soggettivo ([115]), da esaminare in riferimento alla materia sanitaria.

  1. a) Quanto ai primi, si pensi alle ipotesi di abuso della parte che, volendo agire in prevenzione, si rivolge ad un organismo con sede lontana dai luoghi di residenza o di domicilio dell’altra parte.

Al fine di ovviare ai problemi logistici, certa dottrina ha proposto l’applicazione analogica dei generali criteri di competenza per territorio previsti dal c.p.c. ([116]). In realtà la soluzione non sembra convincente per il suo difficile accostamento con i requisiti di professionalità e specializzazione degli organismi e dei mediatori, necessari per il successo della mediazione. In materia sanitaria, infatti, è difficile che il livello di competenza specialistica richiesto possa essere posseduto da un numero di soggetti tale da garantire una diffusione sul territorio analoga a quella degli uffici giudiziari ([117]).

Inoltre, l’eliminazione dei meccanismi sanzionatori di cui all’art. 8, comma 5°, del decreto ([118]) comporta che questo genere di comportamenti non possa più nuocere sul piano processuale alla parte che ha effettuato la scelta, neppure quando si tratti di un comportamento abusivo perché non sorretto da valide ragioni per la scelta dell’organismo. In sostanza, il decreto non fornisce più alcuna soluzione a queste tipologie di abuso, lasciando aperta la possibilità di innesti interpretativi della disciplina del giudizio contenzioso.

A livello regionale, invece, si eliminano in radice tali questioni: vi è un’unica commissione competente per le controversie sulla responsabilità civile derivanti da prestazioni sanitarie erogate dalle aziende regionali e dalle strutture private accreditate ([119]).

  1. b) La seconda tipologia di problemi (c.d. soggettivi) riguarda l’ipotesi in cui la mediazione sia attivata, ai primi sintomi dell’insorgere della controversia, dal sanitario (al quale nell’ottica del processo compete normalmente il ruolo di convenuto) al fine di radicare la competenza territoriale presso l’organismo di mediazione preferito o più vicino all’ordine professionale di riferimento ([120]).

Tale abuso sarebbe certamente in grado di compromettere l’imparzialità del mediatore, soprattutto nell’eventualità in cui la scelta ricada sull’organismo costituito dall’ordine professionale dei medici cui appartiene il presunto responsabile del danno ([121]), ed il decreto nazionale non sembra farsene carico.

Considerata l’imprescindibilità delle garanzie d’imparzialità ed indipendenza dei mediatori nell’intero arco procedimentale ([122]), la disciplina nazionale di fonte primaria e secondaria si preoccupa di assicurarle attraverso una serie di prescrizioni ([123]), la cui violazione comporta soltanto la sostituzione del mediatore, su istanza di parte, ad opera del responsabile dell’organismo (art. 14, comma 3°, d.lgs. n. 28 del 2010).

Nonostante le conseguenze della violazione da parte del mediatore degli obblighi che la legge pone a suo carico non siano espressamente disciplinate, è comunque evidente che egli risponderà personalmente, in via solidale con l’organismo interessato, delle conseguenze dannose del proprio operato in applicazione dei princìpi generali in tema di responsabilità ([124]).

La commissione regionale, che è nominata dalla giunta per la durata di tre anni, è composta da un magistrato a riposo, con funzioni di presidente, da un medico legale e da un avvocato con documentata esperienza in materia, che non possono essere scelti tra i dipendenti delle strutture regionali pubbliche e private. I consulenti di cui la stessa si può avvalere devono essere scelti da un elenco proposto dall’ordine regionale dei medici chirurghi e odontoiatri, che non risultino comunque dipendenti delle strutture sanitarie coinvolte nella controversia, oppure da elenchi dei consulenti tecnici medico-legali presso i tribunali della regione. L’unico problema sorge riguardo alla possibile appartenenza di mediatori e consulenti al medesimo ordine professionale dei medici coinvolti, rimediabile però attraverso altre specifiche disposizioni poste a presidio dell’imparzialità ([125]).

Nonostante l’indubbia utilità che rivestirebbero sul punto le indicazioni contenute nella direttiva sull’a.d.r. per i consumatori ([126]) di nuovissimo conio, che impone peculiari disposizioni a garanzia dell’imparzialità del mediatore, queste, per espressa esclusione, non si applicano alla materia sanitaria ([127]).

La soluzione proposta dal modello regionale in esame, anche in questo caso, cerca una sintesi ai problemi evidenziati, creando un sistema che sembra in grado di far fronte agli inconvenienti sopra descritti, garantendo al contempo degli adeguati standard di professionalità ed imparzialità.

9. Con il presente contributo si è voluto verificare se, nonostante l’incostituzionalità intervenuta a meno di due anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 28 del 2010, il diritto positivo e la prassi confermino l’opportunità di rilanciare iniziative promozionali della mediazione in materia sanitaria.

Il recente successo dell’istituto in tale settore, seppur legato alla spinta dell’obbligatorietà, deve rendere omaggio alle regioni, che hanno giocato un ruolo vincente nel perfezionamento della lacunosa disciplina nazionale.

L’indagine condotta, infatti, ha mostrato che soltanto laddove la regione abbia predisposto una disciplina speciale, il quadro legislativo è in grado di fornire idonei strumenti stragiudiziali per la risoluzione di tali controversie, valorizzando le specificità della materia. All’opposto, in quelle regioni (attualmente la maggioranza) in cui non sia stata prevista una disciplina specifica, si è visto che gli strumenti offerti dal solo decreto non sembrano in grado di fornire adeguati incentivi per ricorrere alla mediazione.

Deve darsi atto, infine, della particolare efficacia del modello regionale esaminato nonostante vi siano ancora alcuni aspetti da migliorare. Infatti, la procedimentalizzazione dell’attività della commissione conciliativa, accentuata al punto di farla somigliare all’attività di accertamento del giudice, non deve essere intesa come una limitazione dell’autonomia privata, ma, al contrario, come una maggiore garanzia di equità del contenuto dell’accordo, e si giustifica in ragione della tutela del diritto fondamentale alla salute.

           ([1]) Corte cost., 14 maggio 2010, n. 178, in Giur. cost., 2010, p. 2134, che respinge le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dal presidente del Consiglio dei ministri contro la legge della regione Veneto n. 15 del 2009, recante norme in materia di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario; Corte cost., 6 dicembre 2012, n. 272, in www.cortecostituzionale.it, che ha dichiarato l’incostituzionalità del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione.

           ([2]) Anche per merito della dir. Ce, 21 maggio 2008, n. 52, in Gazz. uff. Un. eur., 24 maggio 2008,  n. 136, v. Minervini, La direttiva europea sulla conciliazione in materia civile e commerciale, in Contr. e impr., 2009, p. 41; sul tema generale v. PUNZI, Mediazione e conciliazione, in Riv. dir. proc., 2009, p. 845 ss.; cfr. Colombo, Guida alla mediazione, normativa, tecniche e procedura, in Guida dir., 2011, p. 143.

            ([3]) Si procederà comparando modelli analoghi, in particolare quello proposto dalla legge veneta che ha superato il vaglio della consulta (v. nota 1), di cui non risultano ancora emanati i decreti attuativi, e quello in vigore da alcuni anni nella provincia autonoma di Bolzano, cui si è ispirata la stessa legge veneta; v. infra nota 41.

            ([4]) Tra i primissimi commentatori v. Russo, Mediazione civile – i paralipomeni alla batracomiomachia. Proposte per una nuova conciliazione, in www.judicium.it.

           ([5]) Corte cost., 14 maggio 2010, n. 178, cit., v. nota 1.

           ([6]) In controtendenza rispetto ai precedenti con cui la Corte ha cancellato leggi regionali che predisponevano strumenti conciliativi ad hoc in materia familiare v. Corte. cost., 15 aprile 2010, n. 131, in Fam. e dir., 2011, p. 31, con nota di Fantetti.

           ([7]) Sul tema v. Benedetti, <<Malasanità>> e procedure conciliative non obbligatorie: il ruolo delle Regioni, in Danno e resp., 2010, p. 675.

           ([8]) Si pone, in primis, un problema di diritto privato regionale in quanto l’art. 3 della legge veneta definisce l’eventuale esito del procedimento di mediazione quale contratto di transazione; sul punto v. Alpa, Il limite del diritto privato alla potestà normativa regionale, in Contr. e impr., 2002, p. 597; Roppo, Diritto dei contratti, ordinamento civile, competenza legislativa delle Regioni. Un lavoro complicato per la Corte costituzionale, in Corr. giur., 2005, p. 1301; sulla necessità di distinguere le norme regionali che sembrano di diritto privato, ma che ad una più attenta analisi si rivelano di diritto amministrativo o pubblico, Benedetti, op. cit., p. 680, il quale evidenzia l’approccio avanguardistico della Corte e innovativo anche rispetto ai precedenti in materia; sulle problematiche prettamente processuali v. Buffone, Diritto processuale della mediazione, in Giur. merito, 2011, p. 2346 ss.; SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, in Foro it., 2010, V, c. 146; Di Rocco, L’introduzione della mediazione nei settori assicurativo e della responsabilità medica, in  Corr. trib., 2011, p. 812; v. infra  n. 7.

          ([9]) Per una ricognizione della normativa v. Alpa-Izzo, Il modello italiano di mediazione: le ragioni di un insuccesso, in www.judicium.it; Marinaro, La designazione del mediatore tra legislazione e prassi ministeriale, in www.judicium.it.

          ([10]) Atteggiamento radicalmente opposto ha invece assunto in relazione alla mediazione familiare, sulla già menzionata Corte. cost., 15 aprile 2010, n. 131; v. Proto, Sulla legittimità costituzionale della legge della regione Lazio in tema di mediazione familiare, in Fam. pers. succ., 2010, p. 584.

         ([11])  Sapientemente evidenziato da Di Rocco,  L’introduzione, cit., p. 819.

         ([12]) Tra i rimettenti il più noto e commentato è il Tar Lazio, (ord.) 12 aprile 2011, n. 3202, in Riv. arb., 2011, p. 99 ss., con nota di Corbi, il quale, chiamato a pronunciarsi sul regolamento attuativo della mediazione e conciliazione obbligatoria (d.m. n. 180 del 2010), ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010, in relazione agli artt. 24, 76 e 77 cost., avanzata dall’organismo unitario dell’avvocatura, da diversi consigli dell’ordine degli avvocati e da varie associazioni forensi; la questione di costituzionalità ha investito anche l’art. 16: sul punto v. Pagni, La mediazione dinanzi alla Corte costituzionale dopo l’ordinanza del Tar Lazio n. 3202/2011, in Corr. giur., p. 1001 ss. Successivamente le medesime questioni sono state ripetute da numerose corti di merito, le più note sono: G.d.p. Parma, (ord.) 1° agosto 2011, in Guida dir., 2011, p. 10; G.d.p. Catnzaro, (ord.) 1° settembre 2011, in Guida dir., 2011, p. 10; Trib. Genova, (ord.) 18 novembre 2011, in Arch. locazioni, 2012, p. 186. Il giudizio di non manifesta infondatezza della legittimità costituzionale dell’istituto non è però condiviso da tutti i giudici di merito: cfr. Trib. Lamezia Terme, 1° agosto 2011, in www.ilcaso.it.

             ([13]) Tra i tanti v. Proto Pisani, Appunti su mediazione e conciliazione, in Foro it., 2010, V, c. 142; sulla critica alla mediazione obbligatoria nella responsabilità medica v. Bona, R.C. medica e <<mediazione obbligatoria>>: critiche al modello governativo, in Riv. it. med. leg., 2011, p. 595 ss.; Comandè, La mediazione in responsabilità sanitaria: dal <<pacco avvelenato>> alla <<giustizia alta>>, in Riv. it. med. leg., 2011, p. 309 ss.

                     ([14])  V. Corte. cost., 13 luglio 2000, n. 276, in Giur. cost., 2000, p. 2148, che ha riconosciuto la legittimità costituzionale del tentativo obbligatorio di conciliazione nel rito del lavoro, individuando gli «interessi generali» sia nell’esigenza di alleggerimento del carico di lavoro degli uffici giudiziari sia nel favorire una maggiore effettività e celerità di tutela. Vari aa. ricordano come, in effetti, la Corte in più occasioni abbia affermato la legittimità dei c.d. a.d.r. methods: cfr. Masoni, Il nuovo istituto della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, in Giur. merito, 2010, p. 1223; Viotti, La mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, quale misura normativa a valenza strategica, in Giur. merito, 2010, p. 1242.

                     ([15]) Si tratta di fattispecie caratterizzate <<dalla subordinazione della proponibilità della domanda giudiziale all’espletamento di determinate formalità previste dalla legge in contemplazione di un interesse (generale) che si reputa in qualche modo danneggiato da un’intempestiva azione>>: così Tommaseo, Appunti di diritto processuale civile, Torino, 2000, p. 186. Sui vari profili concernenti la costituzionalità della nuova disciplina cfr. Scarselli, L’incostituzionalità della mediazione di cui al d. lgs. 28/10, in Foro it., 2011, V, c. 54; Caponi La mediazione obbligatoria a pagamento: profili di costituzionalità, in www.judicium.it, che reputa utile la mediazione in chiave deflazionatoria, soltanto in quei sistemi giuridici dove la giustizia ordinaria è in grado di offrire una risposta sanzionatoria in tempi brevi; Proto Pisani, op. cit., p. 142; altri hanno affermato l’inadeguatezza della mediazione quale rimedio alla crisi della giustizia: v. Biavati, Conciliazione strutturata e politiche della giustizia, in questa rivista, 2005, p. 447 ss.; anche chi era più ottimista sulla legittimità del decreto ne poneva in risalto i punti critici, Viotti, le questioni di legittimità costituzionale sulla mediazione civile e commerciale, in Giur. merito, 2011, p. 1944 ss.

              ([16]) Serges, La <<mediazione civile>> e la Costituzione (riflessioni a margine dell’ordinanza Tar Lazio, sezione prima, n. 3202 del 2011), in Dir. e soc., 2011, p. 569 ss.; Scarselli, L’incostituzionalità, cit., loc. cit.; già prima della rimessione della questione alla Corte v. Canale, Il decreto legislativo in materia di mediazione, in Riv. dir. proc., 2010, p. 621; Bove, La riforma in materia di conciliazione, tra delega e decreto legislativo, in www.judicium.it; Punzi, voce <<Conciliazione e tentativo di conciliazione>>, in Enc. dir., IV, Milano, 2000, p. 339 ss.; Dittrich, Il procedimento di mediazione nel d.lg. n. 28 del 4 marzo 2010, in www.judicium.it; Monteleone, La mediazione «forzata», in www.judicum.it; Zingales, La fase di mediazione obbligatoria nel quadro delle garanzie costituzionali, in www.judicium.it. In senso contrario v. Califano, Procedura della mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali, Padova, 2010, p. 1 ss.

             ([17]) Evidenziato dal G.d.p. Catanzaro, (ord.) 1° settembre 2011, cit., in relazione al profilo dei costi della mediazione, oggi però il problema può dirsi superato a séguito delle modifiche introdotte dal d.m. n. 145 del 2011 all’art. 16, d.m. n. 180 del 2010; il profilo dei costi è stato più correttamente correlato alla violazione dell’art. 24 cost. da Serges, op. cit., p. 590 ss.; Scarselli, L’incostituzionalità, cit., c. 55.

             ([18]) BOVE, La riforma, cit., loc. cit.; Arieta, La domanda di mediazione e le regole di instaurazione del procedimento, in Corr. giur., 2011, p. 565 ss.; in senso contrario v. Dosi, La mediazione civile come condizione di procedibilità della domanda giudiziale (ma non più nel rito del lavoro), in Fam. pers. succ., 2011, p. 330 ss.; Caponi, Delega in materia di conciliazione delle controversie, in Foro it., 2009, V, c. 354; Viotti, Le questioni, cit., p. 1944; Califano, Procedura, cit., p. 12.

             ([19]) In realtà, leggendo le motivazioni della sentenza possono trarsi delle conclusioni circa il fatto che non solo la legge delega, ma neppure la normativa europea legittima un sistema di mediazione obbligatoria come quello congegnato dal d.lgs. n. 28 del 2010.

            ([20]) V. Lisena, Nota a margine della sentenza n. 293 del 2010 della Corte costituzionale, in Giur. merito, 2011, p. 204 ss.

            ([21]) Corte giust., 18 marzo 2010, n. 317: v. Besso, Obbligatorietà del tentativo di conciliazione e diritto all’effettività della tutela giurisdizionale, in Giur. it., 2010, XII, p. 2585 ss.; per la giurisprudenza costituzionale sulla legittimità della giurisdizione condizionata v. Dosi, op. loc. ultt. citt.; cfr. nota 14.

            ([22]) Una valorizzazione della professionalità del mediatore è presente nel nuovo art. 7, comma 5°, lett. e, d.m. n. 180 del 2010, e nell’art. 4, comma 3°, lett. b; quanto al contenimento dei costi, significativa è l’aggiunta, all’art. 16, comma 14°, della possibilità di derogare agli importi minimi delle indennità previste dallo stesso decreto.

             ([23]) Con la c.d. manovra di ferragosto si è intervenuti sull’art 8, comma 5°, d.lgs. n. 28 del 2010 e sull’art. 16, comma 4°, lett. e, d.m. n. 180 del 2010; cfr. nota 17.

             ([24]) In via consequenziale alla decisione adottata, la Corte dichiara l’illegittimità di una serie di incisi e richiami all’art. 5, comma 1°, per i quali si rinvia al testo della sentenza, tra questi si evidenzia la cancellazione dell’art. 8, comma 5°, dell’intero art. 13 escluso il periodo «resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile», dell’art. 17, comma 4°, lett. d, e comma 5°.

             ([25]) Ciò accadrà, comunque, ad opera del giudice amministrativo, il solo competente ad annullare gli atti non aventi forza di legge, come il d.m. n. 180 del 2010, peraltro, trattandosi di atto amministrativo di portata generare ed inscindibile, l’effetto dell’annullamento si produrrà erga omnes; sul tema una panoramica della giurisprudenza è offerta da Vantaggiato, Sì del g.a. alla immediata efficacia <<erga omnes>> della sentenza di annullamento di un atto generale avente carattere inscindibile ed al risarcimento del danno in caso di annullamento di un diniego di concessione edilizia per difetto di motivazione, in Foro amm., 2006, p. 1402 ss.

             ([26]) Gasperini, Rapporti tra mediazione e giudizio contenzioso nel d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, in www.judicium.it.

             ([27]) In relazione ad alcune disposizioni della dir. Ce n. 52 del 2008, cit. In ordine cronologico, si segnala l’ordinanza di rimessione del Trib. Palermo, sez. Bagheria, (ord.) 16 agosto 2011, in Guida dir., 2011, p. 12, e del G.d.p. Mercato San Severino, (ord.) 21 settembre 2011, in Guida dir., 2011, p. 12; tra le questioni rinviate alla Corte vi è quella di aver previsto una mediazione obbligatoria particolarmente costosa, evidenziato in uno dei primi commenti post consulta da Gasperini, op. loc. ultt. citt., ma la posizione che questa assumerà in merito non è affatto scontata se si tiene conto dei costi reali, non valga a fondare una differente opinione Corte giust., 18 marzo 2010, n. 317, in Giur. it., 2010, XII, p. 12, con nota di Besso, che valuta positivamente la normativa italiana che impone la conciliazione nel settore delle telecomunicazioni, essendo questa totalmente gratuita.

           ([28] ) A tal proposito, una prima indicazione interpretativa è stata già fornita dalla Commissione europea nel parere del 2 aprile 2012 (in www.ilcaso.it), la quale ha ritenuto che la dir. Ce n. 52 del 2008, letta alla luce dell’art. 47 cedu, sia ostativa ad una mediazione di tipo obbligatorio caratterizzata da costi eccessivi e da sanzioni economiche in grado di incidere, in maniera sproporzionata, sull’effettività della tutela. Per un raffronto fra la disciplina europea della conciliazione ed il decreto delegato italiano v. Zucconi Galli Fonseca, La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, in questa rivista, 2010, p. 657; Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo civile riformato, Bologna, 2011, passim.

             ([29]) Il quinto rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia dell’Isdaci (in www.isdaci.it) fornisce la prima rappresentazione scientifica dell’impatto della mediazione nel primo anno di entrata in vigore degli strumenti introdotti dal d.lgs. n. 28 del 2010. La ricerca si occupa ancora di un momento di passaggio, poiché il d.lgs. n. 28 del 2010 risale a marzo e il d.m. n. 180 del 2010 è dell’ottobre dello stesso anno, ed i  dati sono solo parzialmente rappresentativi dell’impatto della mediazione obbligatoria, ma consentono di trarre qualche conclusione: v. Luiso, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contemporanea, in www.isdaci.it, p. 158; significativa l’opinione della Bonsignore, La diffusione della giustizia alternativa in Italia nel 2010: i risultati di una ricerca, in www.isdaci.it, p. 41, dove afferma che <<tutte le ipotesi di modifica della normativa che sono state ventilate, tra le quali l’eliminazione del tentativo obbligatorio, andrebbero valutate con estrema attenzione, sia perché al momento la mediazione non sembra ancora essere riuscita a sviluppare i suoi effetti e pare aver bisogno di alcuni anni per potervi riuscire, sia per l’immane attività di formazione e di creazione di enti che si è sviluppata in questi primi periodi e che certo non può essere lasciata cadere>>.

          ([30]) Questa terminologia rispecchia il duplice sistema di imputazione della responsabilità per i danni subìti dai pazienti, sia in capo al medico che alla struttura sanitaria: cfr. Paradiso, La responsabilità medica tra conferme giurisprudenziali e nuove aperture, in Danno e resp., 2009, p. 703; la giurisprudenza ha delineato un sistema per cui le strutture sanitarie (pubbliche o private) sono responsabili in solido con i singoli professionisti nei confronti dei pazienti danneggiati, in applicazione degli artt. 32 cost., 1218 e 1228 c.c.: cfr. Cass., 14 luglio 2004, n. 13066, in Mass. Giust. civ., 2004, p. 7; Cass., 2 febbraio 2005, n. 2042, in Mass. Giust. civ., 2005, p. 2; Cass., 19 aprile 2006, n. 9085, in Mass. Giust. civ., 2006, p. 5; princìpi di recente confermati da Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577, in Resp. civ. e  prev., 2009, p. 221, con nota di Miriello; per una ricostruzione storica v. Miriello, Questioni attuali in punto di responsabilità medico-sanitaria (parte prima), in Resp. civ., 2010, p. 531 ss.; cfr. nota 90.

            ([31]) In àmbito penalistico si è assistito, invece, alla tendenza opposta a partire dalla sentenza Franzese, nella quale le sez. un. chiariscono che, se nel processo penale vige la regola della prova oltre ogni ragionevole dubbio, in quello civile domina la regola del più probabile che non: cfr. Iannone, Nesso causale: alla ricerca di un modello unitario (rilievi critici), in Resp. civ., 2010, p. 610 ss.

                    ([32]) Oggi azionabile ex art. 1218 c.c., e quindi rientrante nel paradigma della responsabilità contrattuale: v. Alpa, Gli incerti confini della responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 2006, p. 1805 ss.; Facci, Violazione del dovere di informazione da parte del sanitario e risarcimento del danno, in Resp. civ. e prev., 2006, p. 3 ss.; Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577, in Foro it., 2008, I, c. 455, che capovolge un orientamento risalente e consolidato, ovvero quello secondo cui in tema di responsabilità del medico spetta all’attore l’onere di provare l’inadempimento (ex multis Cass., 18 aprile 2005, n. 7997, in Dir. e giust., 2005, p. 25, con nota di Puliatti; Cass., 23 febbraio 2000, n. 2044, in Giur. it., 2000, XI, p. 2015, con nota di Zuccaro), il presupposto logico della decisione è la negazione della validità della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato con riferimento al riparto dell’onere della prova,  già affermata da Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Giust. civ., 2002, I, p. 1934.

                  ([33]) Una delle prime segnalazioni proviene da Introna, Un paradosso: con il progresso della medicina aumentano i processi contro i medici, in Riv. it. med. leg., 2001, p. 879; più recentemente v. www.aiom.it.

                  ([34]) Corte. cost., 14 maggio 2010, n. 178, cit., usa i termini di overcompensation, per indicare l’aumento dell’entità dei risarcimenti e del contenzioso, e di overdeterrence, riferendosi ai comportamenti difensivi assunti sia dai medici che dalle compagnie di assicurazione; in una logica storico evolutiva si rimanda a Comandè-Turchetti, La responsabilità sanitaria. Valutazione del rischio e assicurazione, Padova, 2004, passim; cfr. anche Hazan-Zorzit, Responsabilità sanitaria e assicurazione, Milano, 2012, pp. 18 e  439.

         ([35]) Sul conflitto medico-paziente v. Fascia, La mediazione e la responsabilità medica, in Contratti, 2011, p. 425.

         ([36]) Tale scelta legislativa risulta supportata dallo studio dei c.d. sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, v. Caponi, La conciliazione stragiudiziale come metodo di ADR Alternative Dispute Resolution»), in Foro it., 2003, V, c. 165. La collocazione della mediazione tra le a.d.r. ha valore meramente convenzionale in quanto non v’è concordia sui loro confini e sugli istituti che vi rientrano; per le differenze tra mediazione e arbitrato v. Zucconi Galli Fonseca, op. cit., p. 653; per l’opinione secondo cui la mediazione, a differenza dell’arbitrato, non sarebbe uno strumento alternativo al giudizio v. Caponi, La giustizia civile alla prova della mediazione (a proposito del d.leg. 4 marzo 2010, n. 28), in Foro it., 2010, V, c. 89; per le differenze tra mediazione e transazione v. Aa. Vv., Mediazione e conciliazione. Diritto interno, comparato e internazionale, a cura di Pera-Riccio, Milano, 2011, p. 24 ss. (v. infra n 6); tende invece a ricondurre conciliazione, transazione e arbitrato nell’ambito dei c.d. equivalenti del processo civile Troisi, La mediazione obbligatoria alla luce del d.lgs. 28/2010, in Comparazione e dir. civ., 2010, p. 23; sulle questioni definitorie v. anche Giovannucci Orlandi, La conciliazione consensuale extragiudiziale: il quadro normativo internazionale, comunitario e nazionale, in Istituz. fed., 2008, p. 741 ss.

                 ([37]) Fino ad alcuni anni fa l’arbitrato era considerato via maestra per la soluzione del problema della crescita del contenzioso sanitario, cfr. Quadri, Profili della responsabilità medica con particolare riguardo alla ginecologia e all’ostretricia, in Resp. civ. e prev., 2004, p. 319 ss.; solo recentemente il legislatore ha ampliato il ricorso a forme di conciliazione obbligatoria con finalità deflattive, ma il nostro ordinamento conosce ormai da tempo numerose e variegate ipotesi di mediazione amministrata da enti pubblici o privati su base consensuale: presso le camere di commercio (art. 2, comma 4°, l. n. 580 del 1993); in materia societaria (artt. 38 e 40, d.lgs. n. 5 del 2003); di franchising (art. 7, l. n. 129 del 2004); di patti di famiglia (l. n. 55 del 2006) oggi abrogati e trasfusi, con taluni adattamenti, nel d.lgs. n. 28 del 2010; presso la camera di conciliazione e di arbitrato presso la Consob (d.lgs. n. 179 del 2007); in materia bancaria e creditizia (art. 128-bis, d.lgs. n. 385 del 1993).

                ([38]) Termine ritenuto più appropriato alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale in materia, che ha determinato lo spostamento dalla responsabilità del medico a quella della struttura, v. Breda, Responsabilità del medico e della struttura sanitaria, in danno e resp., 2006, p. 953 ss.; cfr. nota 30.

                ([39]) Comandè, Dalla responsabilità sanitaria al no-blame regionale tra conciliazione e risarcimento, in danno e resp., 2010, p. 979. Per un’analisi dei possibili significati del diritto alla salute v. De Matteis, Responsabilità e servizi sanitari. Modelli e funzioni, Padova, 2007, p. 12 ss.

       ([40]) Hazan-Zorzit, op. cit., p. 289 ss.

       ([41]) Questo è il modello seguìto dalla legge veneta (v. retro n. 2), che ricalca quello da tempo adottato dalla provincia autonoma di Bolzano (l. n. 7 del 2001 e relativo regolamento di attuazione, d.p.p. n. 11 del 2007). Quest’ultimo impianto normativo delinea un sistema così strutturato: la commissione conciliativa è competente a trovare un accordo tra paziente e medico nel caso in cui quest’ultimo lamenti un danno causato da un errore nella diagnosi o terapia, o per violazione del consenso informato, attraverso l’accertamento dei profili medico-legali e l’eventuale conseguente proposta di un risarcimento al paziente. Il procedimento si svolge in contraddittorio tra paziente, medico e struttura sanitaria, e possono essere coinvolte anche le compagnie di assicurazione. La procedura si basa sul consenso delle parti, dunque, se il medico o l’ente non compaiono, il caso viene archiviato. L’iter procedimentale è modulato sulla falsariga del processo, nel quale sono riconosciuti ampi poteri istruttori alla commissione. Interessanti dati sul funzionamento di questa commissione sono raccolti nei vari rapporti sull’attività suddivisi per anno in www.provincia.bz.it; cfr. anche Di Rocco,  L’introduzione, cit., p. 817.

           ([42]) Il punto di partenza è dato dalla carta dei servizi pubblici sanitari (d.l. 19 maggio 1995), dapprima, con la costituzione presso le strutture del Ssn dell’urp, chiamato in prima istanza alla gestione dei reclami, successivamente, attraverso la costituzione di una commissione mista conciliativa, concepita, in origine, con competenza limitata agli aspetti relazionali e organizzativi, progressivamente ampliata all’accertamento della responsabilità professionale; cfr. Favale, Procedura estesa alla responsabilità medica, in Guida dir., 2010, p. 84 ss.; ne è nato un sistema adottato da varie regioni: la regione Abruzzo (l. n. 65 del 1990, e delibera n. 648 del 2011), la regione Toscana (delibera n. 538 del 1996 e delibera n. 57 del 1997), la regione Emilia Romagna (con il progetto per la gestione extragiudiziale del contenzioso nelle organizzazioni sanitarie, ex art 12-bis, d.lgs. n. 229 del 1999 ha introdotto un sistema improntato sulla mediazione transformativa, con l’attivazione di un parallelo progetto di formazione assieme all’associazione me.dia.re); v. Di Rocco, L’introduzione, cit., loc. ult. cit.; De Palma-Quattroccolo, La mediazione tra medico e paziente: un intervento imparziale sul fenomeno crescente del contenzioso per responsabilità professionale medica, Modena, 2009, p. 171 ss.; secondo tale schema la legittimazione a presentare osservazioni e reclami all’urp è allargata ai parenti e alle associazioni. L’ufficio dopo aver effettuato un’istruttoria, qualora ravvisi profili di responsabilità, trasmette la documentazione all’ufficio affari legali e/o all’ufficio gestione del rischio clinico ed alla commissione. Quest’ultima ha il compito di riesaminare i casi in cui l’utente sia insoddisfatto della definizione del reclamo e di tentare la conciliazione, emettendo un parere di merito che sarà trasmesso al direttore generale, il quale potrà discostarsene con motivazione scritta, non dando seguito al risarcimento.

           ([43]) La regione Toscana, con delibera n. 1203 del 2009, ha optato per l’assunzione diretta del rischio; su questo esempio, che ha portato una riduzione dei costi per l’azienda del 30%, è intervenuta anche l’Emilia Romagna con l. n. 13 del 2012. Di questa tendenza si dà conto nel quinto rapporto Isdaci: v. Bonsignore, La diffusione della giustizia alternativa in Toscana nel 2010, in www.isdaci.it, p. 248 ss.; per la situazione in altre regioni v. anche Todaro, Ombrello Rc, Toscana avanti, in il sole 24 ore-sanità, 2011, p. 40; anche la regione Veneto ha previsto la creazione di un fondo regionale per risarcire i danni da responsabilità civile, il quale, tuttavia, ad oggi non risulta ancora attuato.

                  ([44]) Di Rocco, Organismi presso i consigli degli ordini professionali e presso le camere di commercio, in La mediazione per la composizione delle controversie commerciali, a cura di Bove, Padova, 2011, p. 367 ss.

         ([45]) I dati raccolti da Isdaci (Bonsignore, La diffusione della giustizia alternativa in Italia, cit., p. 22) attestano che nel 2010 l’incremento di tali organismi è stato del 2% rispetto al 2009 e che si tratta degli ordini professionali degli avvocati, commercialisti, ingegneri e notai: v. Soldati, La nuova mediazione e conciliazione, Milano, 2010, p. 226 ss.; De Palma-Quattroccolo, op. loc. citt.

                   ([46]) Nel quadro descritto si collocano le esperienze maturate a Roma e Salerno: cfr. Marinaro, Malpractice: nell’attesa di un riordino normativo la conciliazione riduce il rapporto medico paziente, in Guida. dir., 2010, p. 100 ss.; Di Rocco,  L’introduzione, cit., p. 817.

          ([47]) Il c.d. decreto Balduzzi (d.l. n. 158 del 2012, in Gazz. Uff., n. 214 del 2013, convertito con modificazioni dalla l. n. 189 del 2012) ha ad oggetto <<Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del paese mediante un più alto livello di tutela della salute>>.

          ([48]) L’obbligo assicurativo è previsto ora per tutti gli esercenti le professioni regolamentate, ai sensi dell’art. 3, comma 5°, lett. e, d.l. n. 138 del 2011 (c.d. decreto di stabilizzazione finanziaria), convertito nella l. n. 148 del 2011, ed attuato dal d.p.r.  n. 137 del 2012 (c.d. riforma delle professioni); la scadenza del termine per la piena operatività dell’obbligo, originariamente prevista per il 13 agosto 2012 (d.l. n. 201 del 2011 – c.d. decreto salva Italia – convertito nella l. n. 214 del 2011), è stata prorogata al 13 agosto 2013 dal d.l. n. 89 del 2012.

           ([49]) La circolare n. 9 del 2012 (in www.funzionepubblica.gov.it) è rivolta a tutte le pubbliche amministrazioni individuate dall’art. 1, comma 2°, d.lgs. n. 165 del 2001.

           ([50]) Come già osservato (v. retro nota 32), la responsabilità della struttura sanitaria, così come quella del medico, ha senza dubbio natura contrattuale in quanto esiste un titolo negoziale alla base del rapporto con il paziente, il contratto di spedalità in un caso ed il c.d. contatto sociale nell’altro; può quindi senza dubbio affermarsi la natura non provvedimentale, dunque non autoritativa, del titolo giustificativo della pretesa del paziente nei confronti della p.a., che agisce, appunto, iure privatorum.

        ([51]) Dalla relazione al decreto emerge che <<l’accordo amichevole>> dell’art. 11, d.lgs. n. 28 del 2010, è agevolato dal mediatore nell’àmbito di una mediazione facilitativa, in contrapposizione a quella valutativa che comporta la formulazione di una proposta: cfr. Caponi, Un nuovo titolo esecutivo nella disciplina della mediazione/conciliazione, in www.judicium.it; Viotti, Le questioni, cit., p. 1950; Punzi, Il processo civile, sistema e problematiche, i procedimenti speciali e l’arbitrato, Torino, 2010, p. 169; Giovannucci Orlandi, op. cit., p. 745; Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in questa rivista, 2004, p. 1216 ss.; sotto questo profilo si rileva una quasi completa sovrapposizione tra le normative regionali ed il decreto nazionale; cfr. nota 41.

          ([52]) Che non va confusa con la classificazione delle forme di mediazione in relazione alla diversa fonte da cui origina il procedimento (obbligatoria, facoltativa, delegata e concordata): per una classificazione della fenomenologia conciliativa v. Chiarloni, I meccanismi conciliativi, in www.judicium.it.

         ([53]) In tali casi il mediatore non si occupa della fondatezza delle pretese, v. Fabiani, La <<mediazione finalizzata alla conciliazione nelle controversie civili e commerciali>> di cui al d.lgs. n. 28/2010 nell’ambito degli strumenti alternativi alla giurisdizione dello stato, in Manuale della mediazione civile e commerciale. Il contributo del notariato, a cura di Cenni-Fabiani-Leo, Roma, 2012, p. 5 ss.; Bona, R.C. medica, cit., p. 597; Caponi, La conciliazione, cit., p. 67 ss.

                  ([54]) Qui il mediatore è chiamato a valutare la fondatezza dei diritti vantati dalle stesse al fine di formulare una proposta: Matera, La proposta del mediatore, in Mediazione e conciliazione. Diritto interno, comparato e internazionale, a cura di Pera-Riccio, Milano, 2011, p. 235 ss.; così il confine rispetto agli altri strumenti a.d.r. è affievolito, tanto è vero che in dottrina ancora si discute in ordine alla sua natura di vera e propria mediazione, da taluni affermata e da altri negata argomentando dall’incompatibilità del ruolo valutativo del mediatore con l’autonomia delle parti; il dibattito è ricostruito da Besso, La mediazione civile e commerciale, a cura di Besso, Torino, 2010, p. 34; Alpa-Izzo, op. loc. citt., evidenzia come la preferenza nei confronti del modello valutativo emerga anche dal d.m. n. 180 del 2010, in quanto più incisivamente utilizzabile a fini deflattivi.

          ([55]) Il danneggiato tenterà di provare il danno subìto a causa dell’inadempienza del sanitario, spesso depositando una perizia medico-legale, il danneggiante, ente o persona fisica, si adopererà per dimostrare la non imputabilità alla propria attività di quel danno e/o la sua scarsa rilevanza. Cosicché il mediatore, se vuole uscire dall’impasse, non può certo limitarsi a prendere atto delle rispettive posizioni, ma dovrà effettuare un’indagine circa l’an ed il quantum della responsabilità per formulare una proposta; per Bona, La contro-mediazione nella r.c. medica e nella r.c. auto, Rimini, 2012, pp. 114 e 115, nei casi di responsabilità civile per danni alla persona deve parlarsi di c.d. mediazione aggiudicativa.

           ([56]) Ad esempio dal fondo regionale, v. nota 43.

           ([57]) V. infra  n. 7.

           ([58]) V. art. 21 del regolamento bolzanino (d.p.p. n. 11 del 2007); v. nota 41.

            ([59]) Il regolamento bolzanino prevede che la commissione decida secondo la legge, salvo che le parti si rimettano all’equità; sembra, dunque, che il mediatore possa seguire un criterio analogo a quello che utilizzerà il giudice nell’àmbito del processo; parte della dottrina ha sempre affermato che la proposta debba essere pronunciata secondo diritto: v. Delfino, La mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali ed il ruolo dell’avvocatura, in Riv. dir. priv., 2010, p. 131 ss.; contra Buzio, La proposta del mediatore, in Manuale, cit., p. 263 ss., che evidenzia la distinzione tra attività del giudice e del mediatore, ma l’a. deve ammettere che nella mediazione valutativa si avrebbe un caso di giudizio privo di forza vincolante.

           ([60]) Evitando anche l’eventualità di una impugnativa dell’accordo per contrarietà a norme imperative.

         ([61]) Così gli artt. 19 e 21 d.p.p. n. 11 del 2007; v. nota 41.

          ([62]) Alla luce dell’eliminazione da parte della Corte cost. dell’art. 8, comma 5°, e dell’intero art. 13 con esclusione dell’inciso <<resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile>>; v. retro n. 3.

          ([63]) Per la distinzione documentale o sostanziale tra processo verbale e accordo raggiunto in sede di mediazione si rinvia a Buzio-leo, Il processo verbale e la certificazione dell’autografia delle sottoscrizioni, in Manuale, cit., p. 310 ss.; Caponi, Un nuovo titolo esecutivo, cit., loc. cit.

         ([64]) Previsione alquanto singolare se si tiene conto dell’art. 2818 c.c.; sul principio di tassatività dei provvedimenti idonei all’iscrizione di ipoteca giudiziale v. Cass., 20 novembre 1991, n. 12428, in Nuova giur. civ., 1992, p. 231; sulla tassatività dei titoli esecutivi v. Caponi, Un nuovo titolo esecutivo, cit., loc. cit., che pone in luce l’assoluta singolarità di un <<titolo di formazione convenzionale stragiudiziale che, quanto all’efficacia, sposa appieno il regime di quello giudiziale>>.

         ([65]) Oltre a quanto detto nelle note precedenti, si rinvia a Consolo, in Comm. c.p.c., diretto da Consolo, 2010, sub art. 474, p. 1658, per il dibattito dottrinale sul problema della corretta collocazione del verbale di accordo di conciliazione nel numerus clausus dell’art. 474 c.p.c.

         ([66]) La scelta rientra in un intento promozionale della mediazione e va letta come volontà del legislatore di offrire un’efficace alternativa al provvedimento giudiziale; va anche detto che sul punto il decreto nazionale si pone in linea con le indicazioni della dir. Ce. n. 52 del 2008: cfr. Zucconi Galli Fonseca, op. cit., p. 672.

          ([67]) Art. 3, l. veneta; v. nota 8.

        ([68]) Per il raffronto tra controllo del giudice in sede di omologa e controllo del pubblico ufficiale in sede di autenticazione della scrittura privata v. Gasbarrini, Esecutività dell’accordo, in Manuale, cit., p. 347, che ricerca anche le ragioni per cui si è scelto di funzionalizzare l’omologazione del verbale all’attribuzione di una speciale efficacia, solitamente riservata ai soli procedimenti giudiziari; Fabiani-Leo, Prime riflessioni sulla <<mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali>> di cui al d.lgs. n. 28/2010, in Riv. not., 2010, p. 933 ss.; Caponi, Un nuovo titolo esecutivo, cit., loc. cit.; secondo parte della dottrina l’art. 11, comma 4°, non sarebbe in grado di assicurare quel controllo di legalità sostanziale che solo un pubblico ufficiale può fornire e che non è surrogabile con la semplice omologa del tribunale; da quella stessa norma emerge, infatti, anche la differenza tra certificazione dell’autografia delle sottoscrizioni effettuata dal mediatore e l’autenticazione delle stesse effettuata dal pubblico ufficiale: v. Matera, Omologa ed efficacia esecutiva del verbale di conciliazione, in Mediazione e conciliazione, cit., p. 262; Santagada, La conciliazione delle controversie civili, Bari, 2008, p. 327. Il fatto che il mediatore sia privo dei poteri del pubblico ufficiale emerge dal dato letterale della norma che usa il verbo <<certifica>> e non autentica, da ciò consegue che l’atto non ha valenza erga omnes, ma ha valore essenzialmente endoprocedimentale: v. Aguglia, Il verbale nel procedimento di mediazione, in Mediazione e conciliazione, cit., p. 256.

          ([69]) Intesa in questo caso come accordo, senza rifiutare però l’impostazione prevalente che considera i termini conciliazione e mediazione quali sinonimi; v. la condivisibile prospettiva adottata da Cuomo Ulloa, La conciliazione. Modelli di composizione dei conflitti, Padova, 2008, pp. 5 e 9, che ritiene di poter superare il distinguo adottando una nozione ampia di conciliazione; la differenziazione tra conciliazione e mediazione, incentrata sul ruolo direttivo-propositivo o meno del terzo (v. PUNZI, Mediazione, cit., p. 849 ss.) è priva, infatti, di un fondamento normativo.

            ([70]) Cfr. Fabiani, La mediazione, in Manuale, cit., p. 9; Troisi, op. cit., p. 23 ss.;  Peduto, Mediazione, arbitrato e transazione, in Mediazione e conciliazione, cit., p. 28 ss.

            ([71]) Cfr. Colangeli, La transazione, Milano, 2012, p. 10.

            ([72]) Fabiani, La mediazione, in Manuale, cit., p. 8 ss.; Fabiani-Leo, L’accordo di conciliazione, in Manuale, cit., p. 294, precisa infatti che il distinguo tra conciliazione e transazione ha un senso solo se il raffronto venga effettuato con la conciliazione nel suo complesso, comprensiva anche del suo iter procedimentale, mentre, al contrario, la distinzione sfuma se si intende la conciliazione quale risultato del procedimento, cioè quale semplice accordo; così anche Zucconi Galli Fonseca, op. cit., p. 654, che evidenzia come pur volendo distinguere tra procedimento e accordo, quest’ultimo rientrerebbe nell’àmbito degli schemi negoziali tipici, come la transazione, o atipici, come il negozio di accertamento.

          ([73]) In quanto tradizionalmente si ritiene che la transazione sia un contratto a prestazioni corrispettive e oneroso, v. Pugliatti, Della transazione,  in Comm. c.c., diretto da D’amelio-Finzi, Firenze, 1949, p. 463.

          ([74]) Cfr. Troisi, op. cit., p. 23 ss.; Lancellotti, voce Conciliazione delle parti, in Enc. dir.,VII, Milano, 1961, p. 398; PUNZI, Mediazione, cit., p. 848.

          ([75]) Colangeli, op. cit., p. 37 ss.; così si argomenta anche alla luce della giurisprudenza: v. Cass., 15 maggio 2003, n. 7548, in Mass. Giust. civ., 2003, p. 121.

          ([76]) V. Colangeli, op. cit., p. 41, per alcuni riferimenti giurisprudenziali; cfr. Balestra, Della transazione, in Comm. c.c., diretto da Gabrielli, V, Torino, 2011, p. 687 ss.

          ([77]) Per la ricostruzione del dibattito relativo al problema di stabilire se la conciliazione costituisca una figura negoziale a se stante (con una autonoma causa) o solo un modo di componimento della lite che può sfociare in uno o più negozi, tipici o atipici, a seconda che si tratti di modificare (transazione, rinuncia, riconoscimento) o accertare (negozio di accertamento), v. Fabiani-Leo, L’accordo di conciliazione, in Manuale, cit., p. 287 ss.; per la dottrina più risalente v. Santoro Passarelli, La transazione, Napoli, 1975, p. 46 ss. Le reciproche concessioni non costituiscono tanto l’oggetto del contratto di transazione, che è rappresentato dal rapporto preesistente, fonte di contestazione tra le parti, quanto lo strumento che consente di realizzare la funzione del contratto, cioè di estinguere la litigiosità: cfr. Ruperto, Gli atti con funzione transattiva, Milano, 2002, p. 221 ss., secondo cui le reciproche concessioni sono gli effetti del negozio estintivi della litigiosità; contra Palmieri, Transazione e rapporti etero determinati, Milano, 2000, p. 50, secondo cui si tratta di elementi strutturali che non assumono alcun rilievo sotto il profilo degli effetti del negozio; su questa ricostruzione di causa del contratto di transazione v. Balestra, op. cit., pp. 686 e 687, il quale precisa anche che alla luce dell’art. 1965, comma 2°, c.c., il contenuto delle concessioni può essere assai ampio; anche la giurisprudenza prevalente è orientata nel senso che l’oggetto della transazione non siano le reciproche concessioni, ma la lite, e che, pertanto, esse debbano essere considerate rispetto alle posizioni assunte nella lite e non in relazione ai diritti effettivamente spettanti alle parti: cfr. Cass., 6 ottobre 1999, n. 11117, in MassGiust. civ., 2000, p. 432; Cass., 14 luglio 1981, n. 4612, in MassGiust. civ., 1981, p. 798; Cass., 9 marzo 1995, n. 2730, in Giust. civ., 1995, I, p. 2078. La transazione costituisce dunque solo uno dei possibili sbocchi del componimento della lite all’esito della mediazione, di fatto molto probabile anche per le evidenti analogie sul piano funzionale, potendo venire in rilievo, in assenza delle reciproche concessioni, il negozio di accertamento (Salvatore, Della transazione, in Comm. c.c., diretto da Galgano, Piacenza, 2006, p. 1725 ss.; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2010, p. 101) oppure la rinuncia e il riconoscimento della pretesa (Santoro Passarelli, op. cit., p. 46 ss.; Lancellotti, op. cit., p. 398).

          ([78]) Naturalmente, le modalità di acquisto di quell’efficacia dovranno essere le stesse previste dall’art. 12, d.lgs. n. 28 del 2010.

          ([79]) Galletto, Profili di responsabilità degli organismi di mediazione e dei mediatori, in Riv. arbitrato, 2011, p. 233.

          ([80]) Il d.m. n. 180 del 2010, da molti criticato per essere eccessivamente blando nei requisiti richiesti per l’accesso alla funzione di mediatore: v. Marinaro, La designazione, cit., loc. cit.

          ([81]) V. retro n. 2.

          ([82]) Non dovrebbero esservi particolari ostacoli alla luce dei criteri previsti dal d.m. 180 del 2010; cfr. Manna-Mastroiacovo, Gli enti di formazione ed i formatori, in Manuale, cit., p. 486 ss.; Porreca, Enti di formazione e formatore, in www.judicium.it; non mi risulta però che l’iscrizione di tali commissioni conciliative sia ancora avvenuta.

         ([83]) V. tabella allegata al d.m. n. 180 del 2010 che fissa una serie di regole per modularle.

          ([84]) Chiarloni, Prime riflessioni sullo schema di d.lgs. di attuazione della delega in materia di mediazione ex art. 60 l. n. 69/2009, in www.ilcaso.it.

          ([85]) Legati ad esenzioni di bollo e di registro ed al credito d’imposta per i compensi pagati ai mediatori; v. Giannone, Agevolazioni fiscali, in Mediazione e conciliazione, cit., p. 175 ss.

          ([86]) Sull’incostituzionalità di una mediazione obbligatoria a pagamento v. Scarselli, Trilogia (in senso proprio, ovvero tre tragedie) sulla giustizia civile, in www.judicium.it; Caponi, La mediazione, cit., p. 6 ss.; contra Armone-Porreca, Costi della mediazione tra dubbi di costituzionalità e giustizia coesistenziale, in Foro it., 2011, V,  c. 205.

         ([87]) Tale norma prevedeva la riduzione di un terzo dell’indennità per i casi di mediazione obbligatoria; v.  note 24 e 25.

         ([88]) Per la conseguente abrogazione dell’art. 17, comma 5°, d.lgs. n. 28 del 2010; v. nota 24.

          ([89]) Il rapporto tra la struttura sanitaria e il paziente, qualificabile come un contratto atipico di spedalità, è considerato in termini autonomi rispetto a quello tra medico e paziente. In precedenza, si tendeva ad escludere la responsabilità della casa di cura privata in mancanza di un rapporto diretto tra paziente e struttura. Soltanto successivamente la giurisprudenza ha riconosciuto la responsabilità della struttura privata, in solido con il medico, attraverso l’individuazione di un’unica obbligazione soggettivamente complessa caratterizzata dall’unitarietà del risultato finale; cfr. Miriello, La responsabilità medica nello specchio della responsabilità civile, in La responsabilità nei servizi sanitari, diretto da Franzoni, Torino, 2011, p. 45 ss.; Bertocchi, La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle strutture sanitarie, pubbliche e private, in La responsabilità medica, a cura di Ruffolo, Milano, 2004, p. 97 ss. Dunque, sia il sanitario che l’ente ospedaliero verranno chiamati come condebitori solidali, in quanto tenuti entrambi alla medesima prestazione (di cura) nonostante il titolo sia parzialmente diverso (contatto sociale per il primo e contratto di spedalità per il secondo), e quindi sussiste una connessione forte per coincidenza dell’oggetto: Hazan-Zorzit, op. cit., p. 428.

                 ([90]) Per una ricognizione critica dei dati relativi, da un lato, alle richieste di risarcimento per errore medico, e, dall’altro, alle polizze assicurative per responsabilità medica a livello nazionale e regionale v. Amaral Garcia-Grembi, Economia della malpractice medica: elementi teorici ed evidenze empiriche, in La responsabilità, cit., p. 4 ss.; Hazan-Zorzit,  op. cit., p. 225 ss.; Tita, L’assicurazione della responsabilità professionale sanitaria, in  Manuale di diritto sanitario a cura di Castiello-Tenore, Milano, 2012, p. 357 ss.; la recente comparsa in alcune regioni di nuovi sistemi di finanziamento dei risarcimenti, attraverso un progressivo trasferimento del rischio clinico dalle compagnie assicurative alle aziende sanitarie o alle regioni e l’istituzione di fondi che garantiscano la copertura assicurativa a tutte le strutture operanti nella regione (v. nota 43), comporterà, probabilmente la sostituzione di tali fondi alle assicurazioni (private) anche nell’àmbito delle procedure stragiudiziali: sul tema v. Bona, R.c. medica, cit., p. 603 ss.

        ([91]) Questi i termini del discorso almeno finché non sarà approvato il d.d.l. <<Nuove norme in materia di responsabilità professionale del personale sanitario>> in giacenza alla commissione igiene e sanità del Senato dal 2008, che prevede all’art. 5 l’azione diretta del danneggiato per il risarcimento del danno nei confronti dell’assicuratore.

                 ([92]) In quanto non vi è identità tra il rapporto principale e il rapporto di garanzia; per la giurisprudenza, infatti, la chiamata in garanzia impropria si differenzia da quella propria per il fatto che con la prima il convenuto propone una domanda basata su un titolo autonomo ed indipendente da quello su cui è fondata la domanda principale: in tal senso v. Cass., 5 giugno 2006, n. 13178, in Mass. Giust. civ., 2006, p. 6; di conseguenza il danneggiato non ha azione diretta nei confronti dell’assicuratore: v. Cass., 14 aprile 2010, n. 8885, in Mass. Giust. civ., 2010, p. 538; quindi non vi è un litisconsorzio necessario tra assicurato e assicuratore rispetto alla domanda del danneggiato, salvo le eccezioni previste dalla legge, ad esempio in caso di r.c. auto: v. Cass., 20 aprile 2007, n. 9516, in Mass. Giust. civ., 2007, p. 345. Va rilevato comunque il contrasto in dottrina sul discrimen tra garanzia propria e impropria: nel senso tradizionale ora esposto v. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1960, p. 111; Monteleone, voce Chiamata in garanzia, in Enc. giur. Treccani, XIV, Roma, 1989, p. 1; attenta dottrina ha però osservato, in senso critico, che il discrimen non dovrebbe essere fondato sulla diversità del titolo quanto, piuttosto, sul rapporto di pregiudizialità dipendenza: v. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Padova, 2010, p. 375 ss.; Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2011, I, p. 333 ss. Stabilire se si rientri nell’una o nell’altra categoria ha una certa importanza posto che ad essa la giurisprudenza assegna rilievo al fine di ammettere o negare l’operatività di alcune norme processuali, ad esempio gli artt. 32 e 108 c.p.c.

                   ([93]) Luiso, Diritto, cit., p. 290 ss.; laddove, invece, l’assicurato decida di promuovere un giudizio autonomo nei confronti dell’assicuratore, in contemporanea pendenza del giudizio tra assicurato e danneggiato, qualora non vi sia riunione, il giudice della causa in garanzia deve sospendere il procedimento, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa dell’accertamento della responsabilità dell’assicurato nell’altro giudizio; così Cass., 21 settembre 2007, n. 19525, in Mass. Giust. civ., 2007, p. 321.

                  ([94]) Sulla natura della clausola denominata <<patto di gestione della lite>>, la giurisprudenza risulta essere divisa tra chi la ritiene assimilabile ad un mandato in rem propriam (Cass., 28 novembre 1994, n. 12302, in Mass. Giust. civ., 1995, p. 1241) e chi, invece, è più propenso a rinvenirvi un contratto atipico (Cass., 17 novembre 1994, n. 9744, in Giur. it., 1995, VII, c. 1202, con nota di Cavaliere). Si è discusso, peraltro, se il potere dell’assicuratore di transigere la controversia per conto del proprio assicurato sia insito nella clausola (App. Milano, 30 novembre 1984, in Resp. civ. e prev., 1985, p. 255), o se, al contrario, abbisogni di uno specifico e separato atto di conferimento (Cass., 21 luglio 1979, n. 4383, in Mass. Giust. civ., 1979, p. 7).

                    ([95]) In tale ultima circostanza si registrano due opposti orientamenti: Cass., 3 luglio 1997, n. 5997, in Mass. Giust. civ., 1997, p. 1129, ritiene che la gestione della lite da parte dell’assicuratore non importa in via automatica rinunzia alle eccezioni relative all’operatività o validità della garanzia; il contrario sostiene Cass., 7 ottobre 1982, n. 5142, in Assic., 1983, p. 79.

           ([96]) Per il precedente dibattito sulla lacuna relativa all’estensione della condizione di procedibilità anche alle domande diverse da quelle introduttive del giudizio, Ronco, Appunti sulla domanda proposta da un convenuto contro l’altro, in Giur. it., 1999, XII, passim.

           ([97]) Buffone, Diritto, cit., p. 2347; tale assunto è ricavato dall’a. attraverso una generalizzazione dei princìpi enunciati dalla Cassazione in materia di contratti agrari (Cass., 18 gennaio 2006, n. 830, in Mass. Giur. it., 2006,  p. 1342), poiché nonostante la diversità della materia sostanziale, è identica la materia processuale.

           ([98]) Il medico e l’assicuratore non possono autonomamente pervenire ad alcun accordo compositivo della lite, posto che il fatto su cui dovrebbe fondarsi la mediazione (la condanna del medico) non è ancora divenuto attuale, mancando l’accoglimento della domanda del paziente.

           ([99]) Per un riscontro v. i dati sul funzionamento della commissione di Bolzano, raccolti nei vari rapporti sull’attività suddivisi per anno (in www.provincia.bz.it), v. nota 41; tra questi il rapporto del 2007 riporta dei significativi casi in cui l’assicuratore ha contestato in partenza ogni responsabilità, rifiutandosi di partecipare al procedimento di mediazione. Tale posizione ha, conseguentemente, impedito ai coordinatori amministrativi di partecipare a loro volta, poichè senza copertura assicurativa non potrebbero impegnare l’azienda sanitaria a pagare alcun risarcimento.

           ([100]) Si potrebbe però ipotizzare l’utilizzo in mediazione della consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi, ex art. 696-bis c.p.c., capace di evitare la rinnovazione con risparmio dei costi: v. Biavati, Conciliazione strutturata e politica di giustizia, in questa rivista, 2005, p. 785 ss.; Serpetti-Ferrario-Mariotti, Medicina difensiva: una nuova ipotesi di colpa medica, in Med. e dir., 2009, p. 54 ss.

           ([101]) V. Nela, Il procedimento. A) le regole, in, La mediazione, cit., p. 289; Buffone, Diritto, cit., p. 2352, che, pur non affermando espressamente l’applicabilità dell’istituto alla mediazione, considera i riflessi che il processo cumulato ha rispetto alla fase conciliativa; Maniori, La mediazione con uno sguardo all’assicurazione, in Ass., 2010, p. 429; l’assenza di strumenti procedurali idonei a disciplinare ipotesi di riconvenzionali, chiamata di terzo, interventi volontari, ecc. è lamentata, ad esempio, dall’Unione regionale degli ordini degli avvocati del Piemonte e della Valle d’Aosta, in C.n.f., Il d.lgs. n. 28/2010, la mediazione e l’Avvocatura. Problemi e prospettive. Dossier di documentazione, Roma, 2010, p. 112.

            ([102]) Trib. Palermo, 11 luglio 2011, in Giur. merito, 2012, p. 343, con nota di Petta.

            ([103]) V. Bona, La contro-mediazione, cit., pp. 214-219.

             ([104]) V. art. 4 legge veneta e art. 14 legge bolzanina, dove, tra l’altro sono previste delle opportune disposizioni per garantire adeguata rappresentatività delle parti; interessante la norma che sembra l’esatta trasposizione dell’art. 75 c.p.c.

             ([105]) V. nota 99; questo problema è evidenziato anche da Bona, La contro-mediazione, cit., pp. 214-219, il quale osserva che in mancanza di un’azione diretta, qualora il paziente proponga un’istanza di mediazione nei confronti dell’assicurazione, non potrà recuperare le relative spese nell’eventuale successivo giudizio.

             ([106]) Anche con riferimento alla disciplina generalista vi era chi già lo sostenesse proprio con riferimento alle controversie di responsabilità medica: Caputo- Mistò, Mediazione delle controversie civili e commerciali, Torino, 2010, p. 197; Buffone, Mediazione e conciliazione, Milano, 2010, p. 25; il regolamento di Bolzano, mostrando ancora una volta il suo virtuosismo, lo prevede opportunamente all’art. 18.

             ([107]) La prima trattativa verte, infatti, sulle risultanze di perizie già esperite ed in caso di mancato accordo segue la proposta, oggi pacificamente ammissibile anche in assenza di una o più parti (d.m. n. 180 del 2010); la  dottrina aveva già risolto positivamente la questione: cfr. Zucconi Galli Fonseca, op. cit., p. 669; Bove, La mancata comparizione innanzi al mediatore, in www.judicium.it.

             ([108]) Occorre differenziare tra il mediatore ausiliario, che rimane un collaboratore del mediatore e fa parte a tutti gli effetti dell’organismo di conciliazione, e l’esperto che, invece, è equiparabile ad un c.t.u. e non ha funzioni di composizione della lite: sul tema v. Ghignone, La mediazione nella responsabilità medica, in La responsabilità, cit., p. 547 ss; è plausibile sostenere, dunque, che la presenza di un co-mediatore sia più efficace di un consulente, in quanto solo il primo contribuisce ad aiutare le parti a trovare un accordo utilizzando gli elementi di fatto da lui accertati: v. Colombo, op. cit., p.167.

             ([109]) V. legge veneta (art. 2, commi 5°,11° e 12°) e regolamento di Bolzano, che entra ancora più nel dettaglio (artt. 10 e 11, sull’attività dei consulenti, artt. 17 e 20 sull’attività della segreteria, che consente il flusso di informazioni); per la Toscana v. Bonsignore, La diffusione della giustizia alternativa in Toscana, cit., p. 248 ss.

             ([110]) La scelta di non fissare criteri di competenza degli organismi di mediazione emerge chiaramente dalla relazione al d.lgs. n. 28 del 2010; v. Maniori, op. cit., p. 1000; cfr. Minelli, Commento sub art. 4 (accesso alla mediazione), in La mediazione, cit., p. 115 ss.; Impagnatiello, La domanda di mediazione: forma, contenuto, effetti, in www.judicium.it; Zingales, op. loc. citt.; Tiscini, Il procedimento per la conciliazione delle controversie civili e commerciali, in Riv. arbitrato, 2010, p. 585; Arieta,  op. cit., p. 565; Zucconi Galli Fonseca, op. cit., p. 660.

             ([111]) Durante l’iter di approvazione del decreto furono avanzate ben due proposte di regolamentazione della competenza per territorio degli o.d.m. (il parere della II Commissione giustizia della Camera dei deputati approvato il 20 gennaio 2010, e il parere della II Commissione giustizia del Senato approvato il 27 gennaio 2010), entrambe disattese dal legislatore in sede di approvazione definitiva per le ragioni illustrate nella relazione al decreto.

             ([112]) Non invece alla data di presentazione dell’istanza all’organismo: v. Arieta, op. cit., p. 575; contra Tiscini, op. cit., p. 595; a quest’ultima si rinvia anche per il diverso problema relativo all’individuazione della sede del procedimento; sulla diversità intercorrente tra la sede dell’organismo e la sede di svolgimento della procedura di mediazione v. Zucconi Galli Fonseca, op. cit.,  p. 664.

            ([113])  Arieta,  op. cit., p. 573.

            ([114]) Sul punto cfr. Sanna, La competenza per territorio nel procedimento di mediazione ex d.lgs. n. 28/2010: spunti per una riflessione, in www.judicium.it;  Chiarloni, Prime riflessioni, cit., p. 5; nello stesso senso si è espresso il parere del Csm approvato con delibera del 4 febbraio 2011; in senso contrario, invece, Maniori, op. cit., p. 1000, ritiene che la rigidità della competenza territoriale non favorisca la competenza intesa come professionalità; contra anche Dittrich, op. cit., p. 586.

          ([115]) Tali espressioni sono usate da Sanna, op. cit., p. 3.

          ([116])Buffone, Mediazione, cit., p. 26.

          ([117]) Maniori, op. loc. ultt. citt.; Dinacci, Il ruolo del mediatore nella conciliazione assistita, in Materiali e commenti sulla mediazione civile e commerciale, a cura di Martino, Bari, 2011, p. 108.

          ([118]) V. nota 24.

          ([119]) Con la possibilità di costituire sezioni istruttorie territoriali (v. art. 2, comma 14°, l. veneto).

          ([120]) Vaccà, Il procedimento, in Vaccà- Martello, La mediazione delle controversie, Milano, 2010, p. 285 ss.

          ([121]) Ciò potrà accadere nei casi di creazione di organismi presso gli ordini dei medici, ma anche in quei sistemi locali che affidano la gestione stragiudiziale del contenzioso alle stesse strutture ospedaliere, v. retro n. 4.

           ([122]) Sanna, op. loc. cit.; Verdicchio, L’autonomia regolamentare degli organismi di mediazione, in Obbl. e contr., 2011, p. 607; Parente, La mediazione conciliativa: dalla struttura della fattispecie all’architettura del regime e degli effetti, in Riv. not., 2011, p. 763.

          ([123]) Al momento dell’iscrizione dell’organismo nell’apposito registro, spetta al Ministero della giustizia verificarne le garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza (art. 4, comma 2°, lett. e, d.m. n. 180 del 2010); il regolamento dell’organismo deve garantire modalità di nomina del mediatore che ne assicurino l’imparzialità (art. 3, comma 2°, d. lgs. n. 28 del 2010); lo stesso deve prevedere, inoltre, le cause di incompatibilità allo svolgimento dell’incarico (art. 7, comma 3°, d.m. n. 180 del 2010); al mediatore designato è fatto obbligo di sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità (art. 14, comma 2°, lett. a, d.lgs. n. 28 del 2010), nonché di informare immediatamente l’organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all’imparzialità (art. 14, comma 2°, lett. b, d.lgs. n. 28 del 2010); v. Peduto, op. loc. citt.; va segnalata anche l’ aggiunta dell’art. 7, comma 5°, lett. e, d.m. n. 180 del 2010, ad opera del d.m. n. 145 del 2011, che impone agli organismi di mediazione  <<criteri inderogabili per l’assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi della specifica competenza professionale del mediatore designato>>; v. nota 22.

          ([124]) Galletto, op. loc. citt., chiarisce che il perimetro di responsabilità del mediatore è destinato a variare a seconda della qualificazione che si intende assegnare al rapporto tra il mediatore e le parti, a seconda che si tratti di un contratto d’opera intellettuale o di un mandato ovvero si sia al di fuori dall’àmbito contrattuale; la moderna teoria del c.d. contatto sociale consente di applicare in ogni caso l’art. 1218 (v. retro n. 4): cfr. Buffone, Diritto, cit., p. 2348.

          ([125]) La legge veneta prevede una serie di casi di obbligo o facoltà di astensione; la legge bolzanina, a conferma dell’impronta ben più processualizzata, parla di incompatibilità e ricusazione (art. 5).

          ([126]) La dir. Ue, approvata dal Consiglio il 12 marzo 2013 ed in attesa di approvazione del Parlamento (in www.europarl.europa.eu), sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, si muove verso una pluralità di direzioni, prevedendo che gli organismi soddisfino criteri di qualità tali da assicurare l’efficacia, l’equità, l’indipendenza, la trasparenza e l’imparzialità, anche consentendo che siano espressione delle parti contrapposte.

          ([127]) V. da un lato, l’esplicita esclusione delle prestazioni sanitarie dall’àmbito applicativo della direttiva contenuta nell’art. 2, comma 2°, lett. h, dall’altro: v. Cass., 2 aprile 2009, n. 8093, con nota di Chindemi, Il paziente di una struttura sanitaria pubblica non è <<consumatore>> e l’azienda non è <<professionista>>, in Resp. civ. e prev., 2009, p. 1291 ss. [/thrive_lead_lock]

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