Il sequestro preventivo di immobile abusivo già ultimato

Vicoli Daniele, Il sequestro preventivo di immobile abusivo già ultimato, in Dir. Pen. e Processo, 2004, 3, 307

Il sequestro preventivo di immobile abusivo già ultimato

Cass. pen. Sez. Unite, 29 gennaio 2003

Sommario: Sequestro preventivo ed abusivismo edilizio: un difficile connubio – Sequestro preventivo e reato consumato: un problema impostato in termini discutibili – Il caso dell’immobile abusivo ultimato – L’impraticabilità di altre strade sul versante del diritto sostanziale – Opportunità di un ripensamento di carattere generale?

La massima

Fugati, almeno per ora, i dubbi circa la vigenza delle norme sui reati edilizi e, quindi, sconfessata la tesi di segno contrario sostenuta da alcuni giudici di merito (1), la Corte di cassazione – questa volta a Sezioni Unite – interviene a rafforzare la praticabilità, in chiave preventiva, dei mezzi di coercizione reale nel campo dell’abusivismo urbanistico.

Con una sentenza dai risvolti destinati a sortire effetti ragguardevoli anche sul piano economico-sociale, i confini applicativi del sequestro preventivo vengono estesi al punto da abbracciare l’ipotesi dell’immobile non conforme agli strumenti urbanistici, benché già ultimato. A nulla rileva la circostanza che il reato debba considerarsi ormai consumato con la fine dei lavori di costruzione; gli effetti antigiuridici connessi all’uso del manufatto abusivo sopravvivono a tale momento, sicché il sequestro preventivo del corpus delicti si giustifica – secondo le Sezioni unite – quale misura cautelare atta a scongiurare il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravarne o prolungarne nel tempo le conseguenze (art. 321 comma 1 c.p.p.(2).

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Il dissidio manifestatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità viene dunque superato, smentendo quell’orientamento, in verità minoritario, che, nell’escludere il sequestro preventivo dell’immobile già portato a termine, faceva leva sull’assenza di esigenze cautelari da soddisfare, essendo il danno al corretto assetto del territorio connaturato all’esistenza del manufatto e non alla sua libera disponibilità (3).

Apparentemente limpida e coerente nel concatenarsi delle argomentazioni, la pronuncia presta il fianco a rilievi critici che gettano luce su un equivoco di fondo: la tutela del regolare assetto del territorio, in nome della quale vengono modellate le finalità del sequestro preventivo, ne esce rafforzata solo in parte.

 

Sequestro preventivo ed abusivismo edilizio: un difficile connubio

Le ragioni all’origine del contrasto che le Sezioni Unite sono state chiamate a dirimere possono essere meglio comprese alla luce di una breve premessa sui rapporti tra il sequestro come misura cautelare di tipo preventivo e i fenomeni di abusivismo edilizio.

Il dato di sintesi può essere colto in una evoluzione non del tutto lineare di tali rapporti. È singolare che alla ritenuta ammissibilità – nel vigore del codice Rocco – del sequestro a fini preventivi dell’immobile abusivo (4) abbia fatto riscontro, con la successiva legislazione speciale e la riforma processuale del 1989, una crescente contrazione delle fattispecie cautelari idonee a giustificare tale misura. Infatti, la sfera applicativa del sequestro ex art. 321 c.p.p. è risultata, in partenza, circoscritta dall’indirizzo secondo il quale al giudice penale non è consentito disporre la confisca dell’immobile nel caso delle inosservanze di cui all’art. 20 lett. a l. 28 febbraio 1985, n. 47(ora art. 44 comma 1 lett. a d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e nell’ipotesi di esecuzione di lavori edilizi senza concessione ovvero in totale difformità (art. 20 lett. b l. n. 47 del 1985, ora art. 44 comma 1 lett. b d.P.R. n. 380 del 2001(5); assunto che si basa sulla incompatibilità della confisca con la previsione di specifiche misure (in particolare l’ordine di demolizione) di competenza degli organi amministrativi (6).

Evidenti e facili da cogliere le ricadute in ordine alla portata del sequestro preventivo, vale a dire il divieto di sottoporre ad inibitoria reale l’immobile abusivo sul presupposto della sua confiscabilità, secondo il dispostodell’art. 321 comma 2 c.p.p. Solo con riferimento al reato di lottizzazione abusiva (art. 20 lett. c l. n. 47 del 1985, ora art. 44 comma 1 lett. c d.P.R. n. 380 del 2001), è praticabile il sequestro in funzione di confisca; infatti, in base all’art. 44 comma 2 del Testo unico in materia edilizia, con la sentenza definitiva che accerta il reato deve essere disposta la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite.

Un’ulteriore erosione delle esigenze cautelari di natura preventiva è discesa dall’art. 70 lett. b d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, con il quale si è provveduto a depenalizzare la condotta prevista dall’art. 221 T.u. leggi sanitarie (r.d. 27 luglio 1934, n. 1265), costituita dall’abitare un edificio sprovvisto del certificato di abitabilità. Quest’ultima ipotesi criminosa, infatti, era spesso richiamata in giurisprudenza per fondarvi il periculum in mora costituito dall’agevolare la commissione di ulteriori reati e, quindi, l’assoggettamento dell’immobile a vincoli reali di indisponibilità ex art. 321 comma 1 c.p.p. (7). Non è necessario dilungarsi a sottolineare le conseguenze indirette dell’intervento legislativo: mutata la natura dell’illecito descritto dal citato art. 221, è venuta meno la possibilità di farvi riferimento al fine di fondare la misura preventiva sull’asserito pericolo che l’uso dell’immobile possa favorire la commissione di altri reati.

Quasi inevitabile che, una volta confinate le esigenze cautelari ai casi in cui la libera disponibilità della res possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, abbia sollevato interrogativi l’ipotesi dell’immobile abusivo già ultimato. Infatti, a segnare i confini di ammissibilità del sequestro preventivo, è rimasta una fattispecie cautelare calibrata – almeno a prima vista – su fenomeni criminosi ancora in divenire; e ciò di fronte ad illeciti che presentano sì natura permanente ma, essendo terminati i lavori di realizzazione del manufatto, hanno già superato la soglia della consumazione (8).

Il quadro con il quale l’interprete è chiamato a confrontarsi, pertanto, è ricco di implicazioni, e con la questione centrale, riguardante la funzione del sequestro preventivo, si intrecciano problematiche di diritto sostanziale, in uno scenario, quello dei reati edilizi, in cui alle competenze del giudice penale si affiancano, fin quasi a confondersi, quelle dell’autorità amministrativa.

 

Sequestro preventivo e reato consumato: un problema impostato in termini discutibili

Punto di partenza dell’indagine deve essere l’assunto che, nel ragionamento delle Sezioni Unite, funge da premessa maggiore: l’art. 321 comma 1 c.p.p., con il richiamo alle conseguenze del reato, non si limita ad indicare il perdurare nel tempo dell’evento criminoso che caratterizza il reato permanente, ma comprende anche pregiudizi diversi, come nuovi effetti offensivi del bene tutelato, rispetto a quelli ordinari della fattispecie già perfezionata; pertanto, anche a simili ipotesi vanno riferiti il protrarsi e l’aggravamento, quali pericoli che il libero possesso del bene può determinare e che il vincolo di indisponibilità imposto con il sequestro mira a scongiurare.

Ne risulta una dilatazione della finalità cautelare che – come si vedrà – appare distonica rispetto all’impianto sistematico del sequestro preventivo.

Un dato appare innegabile: il disposto dell’art. 321 comma 1 presenta coordinate in parte ambigue che ne favoriscono letture estensive, funzionali allo scopo di sganciarne la sfera applicativa da fenomeni criminosi in fieri, le cui conseguenze – in parte già verificatesi – siano appunto suscettibili di perdurare ovvero aggravarsi nel tempo.

Il germe dell’equivocità si annida, a ben vedere, nella stessa genesi della norma in questione. Concepita essenzialmente come rimedio di chiusura per le ipotesi in cui risultasse precluso il sequestro strumentale alla confisca, la disposizione del comma 1 dell’art. 321 c.p.p. ha poi finito con l’assumere connotati di maggiore ampiezza, ben oltre quelli dell’art. 219 c.p.p. abrog. (9), sì da diventare il perno dell’intero art. 321 c.p.p., e con il risultato di far passare in secondo piano la previsione del comma 2, riguardante in modo specifico il sequestro finalizzato alla confisca.

Tuttavia, l’incidenza del sequestro volto ad evitare che la libera disponibilità delle cose pertinenti al reato possa protrarne o aggravarne le conseguenze va colta nel contesto di una lettura sistematica, che ne fissi i rapporti con quello funzionale alla confisca e che prenda le mosse, a tal fine, dalla riconosciuta natura cautelare della misura prevista dall’art. 321 c.p.p.

Ciò premesso, va sottolineato come il sequestro preventivo non sempre si caratterizzi nel senso della provvisorietà e strumentalità, attributi fondamentali delle figure cautelari (10). Invero, secondo lo schema tipico ma non esclusivo (11), il provvedimento cautelare ha effetti limitati nel tempo, poiché la situazione giuridica da esso prodotta è destinata necessariamente ad estinguersi al più tardi quando diventerà definitiva la sentenza di merito (12); si tratta di un corollario del presupposto stesso delle misure cautelari penai: l’esistenza di un pericolo derivante dal ritardo della decisione finale, in un quadro (quello penale appunto) che vieta esecuzioni anticipate di pene e misure di sicurezza. A tale profilo, poi, è strettamente connesso quello della strumentalità: il provvedimento cautelare non è fine a se stesso, ma è semmai volto a render possibile l’esecuzione di quello definitivo, in vista del quale è appunto adottato e senza il quale viene a perdere il proprio scopo (13).

Ricalca perfettamente questo modello il sequestro disposto ex art. 321 comma 2 c.p.p.; in questo caso, infatti, la misura persegue il fine di anticipare, in via interinale, la futuribile situazione giuridica, cioè la confisca del bene.

Non può affermarsi altrettanto per la cautela reale diretta ad impedire il pericolo che la libera disponibilità di una cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, trattandosi di ipotesi configurata come del tutto autonoma e slegata dagli sviluppi futuri in ordine alla confisca dei beni sequestrati.

Si consideri, al riguardo, quanto prevede l’art. 323 comma 3 c.p.p.: dopo la sentenza di condanna, gli effetti del sequestro permangono solo quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate. Altrimenti, la misura cautelare, anche nell’ipotesi di accertamento del reato, perde efficacia secondo un rigido automatismo e i beni vanno restituiti all’avente diritto. Pertanto, il sequestro preventivo che cade su cose non confiscabili costituisce quanto meno un’anomalia, visto che gli effetti prodotti non sono provvisori e strumentali, bensì temporanei ed autoreferenziali.

Sulla base di queste premesse, un primo approdo sembra raggiunto: nell’ottica di estendere la tutela cautelare alle conseguenze dannose successive alla consumazione del reato, lascia perplessi la prospettiva che poggia esclusivamente sul disposto dell’art. 321 comma 1 c.p.p. Rispetto all’obiettivo perseguito, infatti, il sequestro insuscettibile di essere convertito in confisca si risolve in una misura effimera, in quanto destinata comunque a svanire persino se il processo dovesse concludersi con la condanna. L’opzione che esalta l’autonomia funzionale del sequestro previsto dall’art. 321 comma 1 c.p.p., quindi, finisce – paradossalmente – proprio per frustrare il risultato preso di mira; se il legame tra il soggetto e la cosa pertinente al reato non viene reciso in modo stabile, è certo che alla riacquistata disponibilità del bene corrisponderà il riespandersi degli effetti lesivi connessi alla condotta illecita. In quest’ottica, affiora il rischio di asservire le cautele reali al soddisfacimento di interessi estranei al processo penale, venendosi a creare le basi per interventi del giudice in chiave di supplenza rispetto a quelli dei poteri amministrativi, attraverso l’imposizione di misure che nemmeno la sentenza definitiva può prevedere.

Se questo è il quadro d’insieme, è nell’inscindibilità del binomio sequestro/confisca che va individuato lo strumento per fronteggiare le esigenze cautelari connesse al persistere, anche dopo la consumazione del reato, delle conseguenze antigiuridiche derivanti dalla condotta illecita; solo in questo caso, infatti, la misura cautelare, grazie al vincolo funzionale che la lega alla confisca, consente di anticipare l’esito del procedimento e, quindi, di garantire che, alla provvisoria indisponibilità della cosa, segua una destinazione ultima di contenuto ablatorio, tale da neutralizzare in modo definitivo gli effetti lesivi del reato (14).

A questo punto, vanno tracciati i confini della fattispecie cautelare contraddistinta dal pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravarne o prolungarne nel tempo le conseguenze.

Da quanto detto, discende che i rapporti tra il sequestro preventivo descritto dall’art. 321 comma 1 c.p.p. e quello funzionale alla confisca debbano essere configurati secondo uno schema che distingua i rispettivi ambiti di intervento sotto il profilo temporale. Se il sequestro anticipatorio della confisca è orientato ad impedire che l’offesa al bene giuridico, una volta concretizzatasi con la consumazione del reato, si prolunghi nel tempo, per le situazioni criminose ancora in atto viene prevista una tutela rafforzata, al fine di scongiurare il pericolo che gli effetti lesivi prodotti da una condotta antigiuridica in corso possano essere aggravati o prolungati, a causa della libera disponibilità della cosa (15).

Tali ipotesi ricorrono, in primo luogo, quando vengono commessi illeciti di durata come il reato permanente e quello abituale. Nel primo caso, il momento consumativo non si esaurisce con la realizzazione di tutti gli elementi della fattispecie incriminatrice, ma si protrae nel tempo (16); nel secondo, la struttura del reato è caratterizzata dalla reiterazione di più condotte omogenee legate da un nesso di costante frequenza (17). Ulteriori spazi operativi, poi, potrebbero essere individuati con riguardo a quei delitti definiti dalla giurisprudenza a condotta frazionata o a consumazione prolungata (18).

Sembra evidente che alla finalità cautelare di interrompere condotte criminose in divenire non si attagli il sequestro strumentale alla confisca, essendo i beni assoggettabili a tale misura di sicurezza individuati, almeno nelle ipotesi tipiche, sulla base del rapporto eziologico che li collega a reati già consumati, sia sul piano della loro commissione (mezzi, prodotto, profitto) sia su quello del processo motivazionale (prezzo) (19). Di qui, la previsione del pericolo che la libera disponibilità della res possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato come esigenza cautelare distinta da quella incentrata sulla natura confiscabile dell’oggetto del sequestro e che impone, non solo facoltizza come nel caso del comma 2 dell’art. 321 c.p.p., il ricorso alla misura reale di tipo preventivo. Tuttavia, resta ferma l’anomalia segnalata; e cioè l’eventualità che all’esito del procedimento non segua la definitiva sottrazione del bene al titolare, essendo tale risultato possibile solo se oggetto del sequestro sia una cosa confiscabile.

 

Il caso dell’immobile abusivo ultimato

I rilievi svolti permettono di inquadrare il caso deciso dalle Sezioni Unite con la consapevolezza sufficiente ad una fondata critica. Dei passaggi argomentativi lungo i quali si snoda il ragionamento, l’anello debole non risiede tanto nell’affermazione secondo cui le conseguenze del reato, in vista delle quali è consentito disporre il sequestro, possono essere anche diverse rispetto a quelle ordinarie del reato già perfezionatosi; sorprende piuttosto la proposizione successiva, là dove – per dimostrare che sarebbe assurdo circoscrivere la portata del sequestro preventivo ai soli casi di condotta criminosa ancora in atto – si sostiene che il nesso tra tali effetti pregiudizievoli del reato e la repressione dello stesso è tale da comportare necessariamente l’idoneità dell’accertamento irrevocabile ad impedire in via definitiva il verificarsi delle conseguenze antigiuridiche.

Infatti, se, da un lato, sembra ineccepibile sostenere che il perdurare nel tempo dell’offesa al bene giuridico protetto è circostanza comune a tutti i reati, anche a quelli istantanei, e che quindi non avrebbe senso sottrarre alla tutela cautelare l’ipotesi del reato già consumato; dall’altro, è illogico individuare il rimedio capace di prevenire tali effetti pregiudizievoli, definiti «spesso prolungati e più o meno irreparabili», nel disposto dell’art. 321 comma 1 c.p.p. La ragione è quella già evidenziata: il sequestro volto ad impedire che l’uso della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato è di per sé una misura a tempo; solo la sua successiva «metamorfosi» in un provvedimento definitivo è capace di garantire la completa neutralizzazione degli effetti lesivi del reato.

Nel tentativo di salvare la coerenza della tesi prospettata, le Sezioni unite si spingono a compiere un ulteriore passo in avanti, rilevando come, per le opere abusive, il risultato finale venga conseguito con l’ordine di demolizione, che il giudice adotta – in caso di inerzia degli organi amministrativi – con la sentenza di condanna (art. 7 ult. comma l. n. 47 del 1985, ora art. 31 ult. comma d.P.R. n. 380 del 2001).

Tuttavia, anziché rinsaldare le argomentazioni svolte, la chiosa finisce per colpire alle fondamenta l’impianto concettuale della sentenza. È frutto di una palese svista sostenere che l’ordine di demolizione disposto dal giudice, essendo potenzialmente idoneo ad eliminare in via definitiva il vulnus arrecato dall’immobile abusivo al regolare assetto del territorio, si ponga rispetto al sequestro, in termini analoghi alla confisca, come provvedimento finale che consolida gli effetti della misura cautelare.

Attribuito in prima battuta al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale e – in via surrogatoria – alla regione, il potere di ordinare la demolizione del manufatto spetta al giudice penale solo in caso di inerzia degli organi amministrativi, cioè qualora la misura ripristinatoria non sia stata altrimenti eseguita (20). Pertanto, pur conseguendo in termini obbligatori alla pronuncia di condanna, l’ordine di demolizione resta una sanzione amministrativa, applicata dal giudice penale nel ruolo di supplente dei soggetti titolari del relativo potere. Da queste premesse discende un importante corollario: il sequestro preventivo non può essere assorbito, analogamente a quanto avviene in caso di confisca, dall’ordine di demolizione e il bene, secondo quanto previsto dall’art. 323 comma 3 c.p.p., deve essere restituito a chi ne abbia diritto (21). Non potendo configurarsi un rapporto strumentale tra misura cautelare e sanzione amministrativa, viene comunque a mancare la continuità – che solo la progressione sequestro/confisca è in grado di tradurre in pratica – del vincolo reale finalizzato a rendere indisponibile la cosa; nonostante l’accertamento del reato e l’ordine di demolizione, quindi, il destino dell’immobile abusivo non può che essere quello della riconsegna al proprietario, con le ovvie ricadute sul piano della tutela del bene giuridico, esposto in modo ineluttabile al pericolo di una rinnovata offesa.

Spinte dalle preclusioni in punto di esigenze cautelari specifiche del settore edilizio a leggere in chiave estensiva la norma dell’art. 321 comma 1 c.p.p., le Sezioni unite, impegnate nello sforzo di far quadrare il cerchio, sembrano cadere in un infortunio, nel momento in cui colgono quell’equazione, tra confisca e ordine di demolizione, che non regge.

 

L’impraticabilità di altre strade sul versante del diritto sostanziale

Resta da verificare se possa configurarsi un percorso alternativo utile a ricondurre nell’alveo della coercizione reale a fini preventivi l’ipotesi dell’opera abusiva portata a termine.

Allo scopo di sottolineare la persistenza degli effetti lesivi prodotti dai reati edilizi oltre lo stadio di consumazione degli stessi, le Sezioni Unite richiamano l’interesse di rango finale rispetto a quello tutelato in via diretta dalle fattispecie incriminatici in materia di abusivismo. Se quest’ultime formalmente presentano come oggettività giuridica quella del previo controllo pubblico sulle trasformazioni del territorio, riguardo al quale il momento consumativo dell’illecito esaurisce l’offesa, il valore sostanziale da salvaguardare consiste nell’equilibrio urbanistico del territorio, che può essere alterato dall’uso dell’immobile abusivo a causa, in particolare, della crescita del carico incidente sulle infrastrutture (22).

La centralità dell’assunto è ribadita in un altro passaggio della sentenza. Al fine di accertare la sussistenza del periculum in mora in termini attuali e concreti, il giudice – sottolineano le Sezioni unite – deve assumere come termine di riferimento proprio il regolare assetto del territorio, tanto che potrebbero ritenersi svanite le esigenze cautelari nel caso di sanatoria di costruzioni non autorizzate e tuttavia conformi agli strumenti urbanistici.

Sullo sfondo di questa impostazione, si intravedono delle insidie dalle quali è necessario liberare il campo. Accolta la tesi che circoscrive il protrarsi e l’aggravamento delle conseguenze del reato alle situazioni criminose in atto, il risultato di estendere la tutela reale al manufatto abusivo già costruito potrebbe essere raggiunto sulla base di un percorso inverso; cioè, facendo definitivamente slittare il bene giuridico tutelato dai reati edilizi verso l’equilibrio urbanistico del territorio, in modo da dilatare la permanenza del reato fino a ricomprendervi gli effetti lesivi che si manifestano dopo l’ultimazione dei lavori. In quest’ottica, solo la demolizione sarebbe idonea ad interrompere la fase consumativa dell’illecito.

Sembrano sufficienti poche battute per evidenziare gli ostacoli che si frappongono a simili ricostruzioni della struttura oggettiva dei reati edilizi.

Nei delitti permanenti, all’aspetto cronologico, relativo al prolungarsi in modo ininterrotto dell’evento lesivo, deve costantemente accompagnarsi la presenza di tutti gli elementi costitutivi del fatto tipico, non essendo possibile scindere il nesso tra quest’ultimo e l’offesa (23); in caso contrario, quindi, il reato permanente deve ritenersi cessato (24).

Ora, i reati a tutela del territorio sono costruiti sul piano dell’inosservanza delle procedure e dei controlli amministrativi e colpiscono l’esecuzione di lavori secondo modalità in contrasto con la legge, i regolamenti edilizi o gli strumenti urbanistici o il permesso ovvero senza quest’ultimo o in totale difformità da esso e la lottizzazione abusiva; di conseguenza, la fattispecie incriminatrice è sempre basata su una condotta volta a trasformare il territorio. Parallelamente, quindi, una volta terminata o comunque interrotta l’attività diretta a questo fine, viene a mancare l’elemento essenziale del reato con immediate ricadute sotto il profilo della permanenza e della consumazione, dovendosi ritenere la prima cessata e la seconda esaurita. È la tipicità dei reati edilizi, dalla cui sfera resta esclusa la condotta di chi tramite la realizzazione di opere altera l’equilibrio urbanistico ed ambientale, ad impedire interventi di cosmesi finalizzati a prolungare la permanenza oltre il momento terminale dei lavori. In questo senso, emerge come l’assetto del territorio sia tutelato solo in via mediata dalle norme penali, che si preoccupano di garantire il rispetto del complesso delle disposizioni amministrative, alle quali è demandato il compito di proteggere direttamente il bene finale (25).

 

Opportunità di un ripensamento di carattere generale?

La vicenda relativa alla legittimità del sequestro ex art. 321 c.p.p. del manufatto abusivo portato a termine costituisce sintomo delle contraddizioni che attraversano il sistema sanzionatorio degli illeciti edilizi. Quest’ultimo presenta un tratto peculiare: sotto molteplici profili, l’intervento di natura amministrativa è configurato e ritenuto prioritario rispetto a quello penale e si presenta, quindi, più temibile.

Ne è segno palese la limitata operatività della confisca, in quanto ritenuta incompatibile con i provvedimenti di competenza degli organi amministrativi; ed è significativo che il contrasto risolto dalle Sezioni unite affondi le proprie radici proprio nei diversi destini riservati al sequestro in chiave preventiva e alla confisca.

In questo contesto, è inevitabile che, in caso di inerzie o ritardi dell’autorità amministrativa, il giudice penale sviluppi un ruolo di supplenza, con il rischio, però, di generare ulteriori distonie (26); se questa è la diagnosi d’insieme, non sembra fuori luogo interrogarsi sulla opportunità di ripensare l’assetto complessivo della materia. Nel caso di specie, lo sguardo andrebbe rivolto alla disciplina della confisca, la cui praticabilità solo con riguardo al reato di lottizzazione e, quindi, in termini selettivi potrebbe rivelarsi non del tutto ragionevole.

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(1) La vicenda cui si allude nasce dalla travagliata sorte del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), che ha contestualmente abrogato l’art. 20 l. 28 febbraio 1985, n. 47 e riprodotto all’art. 44, con alcune variazioni lessicali, gli illeciti edilizi di rilevanza penale. La tesi del vuoto normativo, sposata da alcuni giudici di merito e poi smentita dalla Corte di cassazione, poggia sul fatto che l’entrata in vigore del citato Testo unico è stata prorogata per ben due volte e, in particolare, sull’anomala circostanza per cui la prima proroga è intervenuta quando il Testo unico era già vigente da nove giorni. Su tali problematiche, dai contenuti per certi aspetti paradossali, v. S. Corbetta, Reati edilizi: quali gli effetti della «proroga» del Testo unico?, in questa Rivista, 2003, 465 s.

(2) In senso analogo, si erano in precedenza espresse Cass., Sez. III, 11 gennaio 2002, Luongo, in Cass. pen., 2002, 2708, con nota di P. Tanda, È possibile il sequestro preventivo di un immobile abusivo?; Cass., Sez. II, 12 giugno, 2001, D’Amora, in Arch. n. proc. pen., 2001, 525; Cass., Sez. III., 10 aprile 2000, Cice, ibidem, 217; Cass., Sez. III, 15 febbraio 2000, Scritturale, in C.E.D. Cass., n. 216341;Cass., Sez. III, 8 luglio 1999, Nisticò, in Cass. pen., 2001, 244; Cass., Sez. VI, 22 ottobre 1998, Acquaro, ivi, 2000, 1027; Cass., Sez. III, 15 gennaio 1997, Messina, in Arch. n. proc. pen., 1998, 120; Cass., Sez. III, 10 ottobre 1996, Donato, in Cass. pen., 1998, 1184; Cass., Sez. III, 7 luglio 1995, Imerito, in Riv. pen., 1996, 907; Cass., Sez. III, 23 febbraio 1995, Forti, ibidem, 394; Cass., Sez. V, 15 aprile 1992, Marsiglia, in Cass. pen., 1993, 142.

(3) Di questo avviso è Cass., Sez. III, 3 luglio 2001, Minopoli, in Cass. pen., 2002, 2718; sulla stessa linea si erano attestate Cass., Sez. I, 28 gennaio 1994, Gentile, in Giust. pen., 1995, 1, II, 42; Cass, Sez. III, 18 novembre 1993, in C.E.D. Cass., n. 196471;Cass., Sez. I, 8 febbraio 1993, P.m. in c. Costantini, in Arch. n. proc. pen., 1993, 645; Cass., Sez. III, 4 aprile 1991, Veri, in Cass. pen., 1991, 757.

(4) Cass., Sez. Un., 24 novembre 1984, Messina, in Cass. pen., 1985, 1040. La pronuncia si collocava sulla scia di quella giurisprudenza creativa, in particolare dei pretori, che aveva prima plasmato e poi utilizzato, spesso secondo prassi devianti, un nuovo istituto: il sequestro con finalità di prevenzione dei reati, il cui fondamento era individuato nel disposto dell’art. 219 c.p.p. abr. Per una ampia panoramica di tali indirizzi, v. E. Amodio, Dal sequestro in funzione probatoria al sequestro preventivo: nuove dimensioni della «coercizione reale» nella prassi e nella giurisprudenza, in Cass. pen., 1982, 1072 s.

(5) Formatosi nel corso degli anni settanta, tale orientamento ha poi trovato una significativa conferma in Cass, Sez. Un., 30 aprile 1983, Manno, in Giur. it., 1984, II, 60 e, anche dopo l’entrata in vigore della l. n. 47 del 1985, non è stato più messo in discussione.

(6) V. più ampiamente, anche per una sintesi delle diverse posizioni, M. Barbuto, Confisca e sequestro, Reati edilizi e urbanistici, in AA.VV., Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da F. Bricola-V. Zagrebelsky, Torino, 1995, 585 s.

(7) Paradigmatica in tal senso è Cass., Sez. III, 3 novembre 1994, Baruti, in Riv. giur. ed., 1995, 528, con nota di M. Milone, Sul sequestro preventivo di una costruzione abusiva ultimata.

(8) Sulla permanenza dei reati edilizi e sulla cessazione della stessa con la fine dei lavori, v., tra le pronunce più recenti, Cass., Sez. III, 23 luglio 1994, Cesaro, in C.E.D. Cass., n. 198703;Cass., Sez. VI, 11 maggio 1989, Lucarelli, ivi, n. 182274; Cass., Sez. III, 11 aprile 1989, Nicoletti, in Cass. pen., 1991, 298; Cass., Sez. III, 7 ottobre 1988, Vacca, in Riv. pen., 1989, 701.

(9) Sottolineano questo aspetto P. Balducci, Il sequestro preventivo nel processo penale, Milano, 1991, 152; N. Galantini, sub Art. 321 c.p.p., in AA.VV., Commentario del nuovo codice di procedura penale, a cura di E. Amodio-O. Dominioni, III, 2ª ed., Milano, 1990, 268.

(10) G. Foschini, Sistema del diritto processuale penale, I, 2ª ed., Milano, 1965, 501.

(11) È opportuno segnalare che, con riferimento al profilo della strumentalità, sono riscontrabili significative deviazioni rispetto al modello cautelare descritto nel testo. Oltre al caso, come si vedrà, del sequestro preventivo exart. 321 comma 1 c.p.p., l’ipotesi di maggiore rilievo è offerta dalla misura disposta sulla base dell’esigenza cautelare fissata dall’art. 274 lett. c c.p.p., che risulta animata da una finalità di tipo «sostanziale», intesa come neutralizzazione della pericolosità del soggetto, e quindi sganciata dall’emanazione del provvedimento definitivo.

(12) V. P. Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, 11 e 15.

(13) V. P. Calamandrei, op. cit., 21; G. De Luca, Lineamenti della tutela cautelare penale. La carcerazione preventiva, Padova, 1953, 6 s. e 18 s.

(14) La necessità di considerare sequestro in chiave preventiva e confisca come segmenti di un unico continuum, caratterizzato dal fine di rendere indisponibili le cose pertinenti al reato, è stata sostenuta, in relazione alla disciplina dettata dal codice Rocco, da A.A. Dalia, Una prospettiva da recuperare: il sequestro penale in funzione della confisca, in Cass. pen., 1982, 1878 s. In un’ottica diversa, incentrata sull’analisi dei rapporti tra misure cautelari reali e presunzione di non colpevolezza, G. Illuminati, La presunzione di innocenza dell’imputato, Bologna, 1979, 62 sottolinea come «di prevenzione si [possa] parlare solo in quanto il sequestro si renda necessario per consentire la confisca, per evitare cioè che a causa del passar del tempo l’accertamento processuale [si riveli] inutile». Di segno contrario la posizione di E. Amodio, op. cit., 1080, ad avviso del quale il sequestro preventivo, a condizione che non esorbiti dalla cornice dell’imputazione, deve ritenersi consentito anche se non strumentalmente collegato alla confisca.

(15) Circoscrive la portata applicativa dell’art. 321 comma 1 c.p.p. ai casi in cui si debba impedire il fatto storico nel suo immediato divenire P. Balducci, op. cit., 127 e 145.; v., anche, Ead., Finalità processuali e non preventive del sequestro di polizia giudiziaria, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1979, 840 s. Sembra di diverso avviso N. Galantini, op. cit., 269, secondo la quale il sequestro preventivo può essere legittimamente disposto sia a fronte di fattispecie criminose in atto che quando gli effetti del reato continuano a manifestarsi nel corso dell’iter procedimentale.

(16) V. F. Coppi, voce Reato permanente, in Dig. disc. pen., XI, 1996, 318; R. Rampioni, voce Reato permanente, in Enc. dir., XXXVIII, 1987, 856.

(17) M. Petrone, voce Reato abituale, in Dig. disc. pen., XI, 1996, 194 e 202.

(18) In materia di usura, prospetta tale linea interpretativa Cass., Sez. I, 22 ottobre 1998, D’Agata, in questa Rivista, 1999, 86.

(19) A. Alessandri, voce Confisca, in Dig. disc. pen., III, 1989, 51.

(20) Sui presupposti che legittimano l’esercizio da parte del giudice penale del potere di ordinare la demolizione dell’opera abusiva, v. M. Barbuto, Ordine di demolizione delle opere abusive, Reati edilizi e urbanistici, in AA.VV., Giurisprudenza sistematica di diritto penale, cit., 526 e 536.

(21) Così Cass., Sez. III, 27 settembre 2000, Cimaglia, in C.E.D. Cass., n. 218007;Cass., Sez. III, 18 febbraio 1999, Parisi, ivi, n. 213278; Cass., Sez. III, 13 gennaio 1995, Sansuini, ivi, n. 201961; Cass., Sez. IV, 16 luglio 1993, D’Antuono, in Arch. n. proc. pen., 1994, 131. V. anche Cass., Sez. III, 11 marzo 2003, Di Ferdinando, in questa Rivista, 2003, 7, 820.

(22) Al riguardo, le Sezioni Unite insistono sull’aumento del carico urbanistico, inteso quale effetto che viene prodotto dall’insediamento c.d. primario (abitazioni, uffici, ecc.) sulla domanda di quello secondario (uffici pubblici, strade, servizio idrico, ecc.).

(23) V. R. Rampioni, Contributo alla teoria del reato permanente, Padova, 1988, 25.

(24) G. De Francesco, Profili strutturali e processuali del reato permanente, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1977, 575.

(25) V. C.F. Grosso, Reati edilizi ed urbanistici e riforma del sistema penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, 744-745. In generale, sulle problematiche legate ai rapporti tra bene oggetto e bene scopo, v. M. Donini, Teoria del reato. Una introduzione, Padova, 1996, 146 s.

(26) In questo senso, v. C.F. Grosso, op. cit., 743.

Autore: Prof. avv. Daniele Vicoli

Professore associato di Diritto processuale penale nell'Università di Bologna, dove insegna Procedura penale e Diritto dell'esecuzione penale. Nel 2002 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in procedura penale. Successivamente è stato assegnista di ricerca. Ricercatore di procedura penale dal 2006, nel 2013 ha conseguito l'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di seconda fascia nel settore concorsuale 12/G2. Svolge l'attività professionale di avvocato. Ha partecipato a progetti di ricerca di rilevanza nazionale e internazionale. E' autore di numerose pubblicazioni (tra le quali uno studio monografico sui rapporti tra completezza e limiti cronologici delle indagini e il trattato "Procedura penale dell'esecuzione") nonché di saggi su molteplici istituti del sistema processuale penale.

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