Il «patto di famiglia» nel diritto internazionale privato

Domenico Damascelli, Il «patto di famiglia» nel diritto internazionale privato, in Riv. dir. internaz. priv e proc., 2007, p. 619 ss., e in Studi in onore di Vincenzo Starace, Editoriale scientifica, Napoli, 2008, p. 1423 ss.

Il «PATTO DI FAMIGLIA» NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO*

di DOMENICO DAMASCELLI

NOTAIO

DOTTORE DI RICERCA IN DIRITTO INTERNAZIONALE

Sommario: 1. Premessa: le origini «internazionali» del nuovo istituto. – 2. Cenni sulla sua disciplina materiale. – 3. La qualificazione del patto di famiglia come istituto successorio e, precisamente, come patto successorio: esclusione. ­– 4. La riconduzione del patto di famiglia alla norma di conflitto sulla donazione.

  1. Alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, la Commissione europea – «constatato che ogni anno diverse migliaia di» piccole e medie imprese «sono obbligate a cessare la loro attività a causa di difficoltà insormontabili inerenti alla successione» mortis causa del loro titolare e individuate tali difficoltà, tra l’altro, nella «difficoltà per i successori» prescelti dall’imprenditore «di finanziare il compenso per gli altri coeredi» e nel «regime impositivo» della successione familiare che «pone le imprese europee in una situazione svantaggiosa rispetto alla concorrenza mondiale» – raccomandava agli Stati membri di «adottare le misure necessarie per facilitare la successione nelle piccole e medie imprese al fine di assicurare la sopravvivenza delle imprese ed il mantenimento dei posti di lavoro»1. In particolare, la Commissione invitava gli Stati membri a «provvedere affinché, nel caso del decesso di un socio di una società di persone o di un imprenditore individuale, il diritto della famiglia» e «il diritto successorio (…) non possano mettere in pericolo la continuità dell’impresa», nonché a «ridurre, purché l’attività dell’impresa prosegua in modo effettivo per un certo periodo minimo, i tributi (…) in caso di trasferimento tramite donazione o successione ereditaria»2.

L’analisi delle istituzioni comunitarie – proseguita con numerosi altri atti e iniziative3 – pareva attagliarsi in maniera peculiare alla realtà giuridica italiana, dove, da un lato, il divieto generale dei patti successorî4 e, dall’altro, il rigido sistema di tutela delle ragioni dei legittimarî5, hanno, fino a oggi, impedito la conclusione di accordi volti a realizzare in maniera stabile, durante la vita dell’imprenditore, il trapasso generazionale dell’impresa attraverso il suo trasferimento a titolo gratuito in favore del discendente dotato delle capacità, a giudizio del disponente, di garantire il mantenimento e lo sviluppo della capacità produttiva dell’«azienda».

Sono occorsi una dozzina d’anni affinché le sollecitazioni della Commissione europea fossero tradotte dal legislatore italiano in concreti atti normativi6.

Precisamente, con legge 14 febbraio 2006 n. 557 si è provveduto ad aggiungere al Titolo IV del Libro II del Codice civile un nuovo Capo V bis, rubricato “Del patto di famiglia” e composto di sette articoli (768 bis – 768 octies), nonché a modificare il tenore letterale dell’art. 458 cod. civ. che, nell’attuale stesura, fa salvo dal divieto dei patti successorî quanto disposto dalle nuove norme.

L’istituto ha, quindi, ricevuto un adeguato trattamento sotto il profilo tributario con l’art. 1, comma 78, legge 27 dicembre 2006 n. 296 che ha introdotto un comma 4 ter all’art. 3 del T.U. delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni8; secondo tale disposizione i trasferimenti in favore dei discendenti di aziende o rami di esse, nonché di quote sociali e azioni che attribuiscano il controllo della società ai sensi dell’art. 2359, 1° comma, n. 1, cod. civ., realizzati tramite patto di famiglia, non sono soggetti all’imposta, a condizione che i beneficiarî si obblighino espressamente a proseguire l’esercizio dell’impresa o, rispettivamente, a detenere il controllo della società per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento9.

[thrive_lead_lock id=’4487′]2. La disciplina del patto di famiglia solleva numerosi problemi di carattere interpretativo dipendenti dall’imprecisione tecnica della formulazione letterale delle nuove norme10.

Esula dei limiti del presente lavoro dare conto dell’ampio dibattito che si è già sviluppato nella dottrina civilistica intorno al patto di famiglia11; ai fini dell’indagine che sarà svolta nei paragrafi che seguono risulta, tuttavia, indispensabile tratteggiare almeno i caratteri essenziali del nuovo istituto.

Secondo l’art. 768 bis cod. civ., il patto di famiglia è il contratto con cui un imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda12, o il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie azioni o quote, a uno o più discendenti13; col medesimo contratto, a norma del successivo art. 768 quater, 1° e 2° comma, cod. civ., il beneficiario del trasferimento deve corrispondere a coloro che sarebbero eredi legittimarî del disponente ove al momento della stipula del patto di famiglia si aprisse la successione di quest’ultimo, il controvalore, in denaro o in natura, della quota, dell’azienda o delle partecipazioni societarie trasferite, loro spettante secondo le norme sulla successione necessaria.

Dal combinato disposto delle due disposizioni appena citate il patto di famiglia si atteggia a negozio giuridico unitario, con funzione complessa14, che prevede la necessaria partecipazione di tre parti: l’imprenditore disponente; il discendente beneficiario del trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali; i potenziali eredi legittimarî dell’imprenditore al momento della conclusione del patto.

Il legislatore non rende esplicito che il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie deve avvenire a titolo gratuito; ma che il nuovo tipo contrattuale15, pur non essendo riconducibile alla donazione16, abbia una causa liberale discende pianamente dalla disposizione di cui all’art. 768 quater, 4° comma, cod. civ., secondo cui quanto ricevuto dai contraenti del patto di famiglia non è soggetto a collazione o riduzione17.

Con quest’ultima norma il legislatore assicura lo scopo peculiare del patto di famiglia, che è l’intangibilità post mortem dell’attribuzione dell’azienda o delle partecipazioni societarie.

Precisamente, per effetto dell’art. 768 quater, 4° comma, cod. civ., in sede di divisione del relictum, non sarà possibile chiedere la collazione dell’azienda o delle partecipazioni societarie oggetto del patto di famiglia; inoltre, detti beni non dovranno essere presi in considerazione al fine del calcolo delle quote di riserva spettanti ai legittimarî, né questi ultimi potranno esperire l’azione di riduzione nei confronti dell’attribuzione dell’azienda o delle partecipazioni societarie, in quanto che, relativamente a detti beni, i loro diritti di legittima sono stati definitivamente e pattiziamente determinati e soddisfatti al momento della conclusione del patto.

A norma dell’art. 768 sexies, 1° comma, cod. civ. è solo prevista una tutela in favore dei legittimarî «che non abbiano partecipato al contratto» i quali, all’apertura della successione dell’imprenditore, possono chiedere ai contraenti del patto di famiglia18 la liquidazione della quota loro spettante sull’azienda o sulle partecipazioni societarie trasferite, secondo il valore a queste ultime attribuito nel patto stesso (e sul quale, dunque, non possono influire in alcun modo), aumentata degli interessi legali medio tempore maturati.

L’intento del legislatore di dare stabilità alle attribuzioni realizzate col patto di famiglia è confermato dal brevissimo termine di prescrizione (appena un anno in luogo degli ordinarî cinque) dell’azione di annullamento del patto per errore, violenza o dolo, nonché dell’azione di annullamento a disposizione dei legittimarî che non abbiano partecipato al contratto in caso di violazione dell’obbligo gravante sui contraenti del patto di famiglia di liquidare il valore delle quote loro spettanti19.

Ciò detto, va subito aggiunto che il successo del nuovo istituto sembra condizionato da alcuni limiti operativi posti dalla disciplina positiva.

In primo luogo, è fortemente dubbio che la liquidazione delle ragioni dei legittimarî potenziali del disponente possa essere effettuata da quest’ultimo.

A ciò si oppone il tenore letterale dell’art. 768 quater, 2° comma, cod. civ., secondo cui sono gli assegnatarî dell’azienda o delle partecipazioni societarie che «devono liquidare gli altri partecipanti al contratto»; né sembra che l’ammissibilità della liquidazione diretta da parte dell’imprenditore possa ricavarsi dalla controversa disposizione di cui al successivo 3° comma della medesima norma, la quale appare piuttosto contemplare l’eventualità che (per i motivi più varî, magari al solo fine di favorire la conclusione del patto di famiglia), l’imprenditore stesso benefici i legittimarî non assegnatarî con attribuzioni liberali autonome – cioè, prive di funzione solutoria delle loro ragioni – le quali, pertanto, dovranno essere imputate alle quote di legittima di questi ultimi20.

Inoltre, secondo un’interpretazione prudenziale (che si impone in assenza di pronunce giurisprudenziali sul punto), al patto di famiglia devono necessariamente partecipare, a pena di nullità, tutti i legittimarî potenziali dell’imprenditore esistenti al momento della stipula del contratto. Siffatta conclusione discende, oltre che dal dettato della legge21, dalla natura lato sensu divisionale del nuovo istituto22, nonché, sul piano del concreto regolamento degli interessi, dalla considerazione che agli eventuali legittimarî potenziali esclusi non sarebbe giusto riservare il trattamento di cui all’art. 768 sexies, 1° comma, cod. civ. (ciò che li esporrebbe al rischio di manovre fraudolente da parte dei partecipanti al contratto)23.

  1. A questo punto, si è in possesso degli elementi per procedere nell’indagine diretta all’individuazione della norma di conflitto competente a disciplinare il nuovo istituto.

Come si è visto nel paragrafo precedente, con il patto di famiglia l’imprenditore realizza una sorta di successione anticipata e autonoma nei beni oggetto del contratto24.

L’innegabile connessione della sistemazione patrimoniale realizzata tramite il patto di famiglia con la complessiva vicenda ereditaria del disponente, impone di valutare se il nuovo contratto debba essere annoverato tra gli istituti squisitamente successorî; in particolare, se esso debba essere riguardato come vero e proprio atto mortis causa e, precisamente, come un patto successorio.

In caso di risposta affermativa, infatti, dal punto di vista internazionalprivatistico, esso sarebbe disciplinato dall’art. 46 della legge di riforma, concernente la successione a causa di morte25.

Invero, a noi pare che il patto di famiglia non possa essere considerato un atto mortis causa. In proposito, è sufficiente rammentare che secondo una nota dottrina nell’atto a causa di morte quest’ultima costituisce «l’evento dal quale ha origine la stessa situazione su cui l’atto è destinato ad operare, in quanto essa è appunto la situazione che verrà a sussistere, e quale verrà a sussistere, dopo la morte del soggetto», sicché l’atto è destinato a disciplinare «rapporti e situazioni che vengono a formarsi, in via originaria, con la morte del soggetto o che dalla sua morte traggono comunque una loro autonoma qualificazione»26.

Tali caratteri non ricorrono nel patto di famiglia che è fonte di attribuzioni immediate e definitive sia nei confronti degli assegnatarî dell’azienda o delle partecipazioni societarie che nei confronti degli altri eredi legittimarî del disponente. Inoltre, all’imprenditore disponente non è consentito in alcun modo di revocare le assegnazioni a cui ha proceduto con la stipula del contratto, né con disposizione testamentaria, né, tanto meno, con successivo negozio tra vivi, oneroso o donativo27.

Ne segue che, conformemente a quanto sostenuto dalla dottrina civilistica maggioritaria, il patto di famiglia, nonostante l’indicazione di segno contrario fornita dal legislatore attraverso la novella dell’art. 458 cod. civ., non costituisce propriamente un’eccezione al divieto dei patti successorî.

Segnatamente, il patto di famiglia non può essere considerato un patto successorio istitutivo in quanto, in primo luogo, esso produce effetti traslativi immediati (cioè non collegati alla morte dell’imprenditore); secondariamente, l’oggetto del contratto è determinato con riferimento al momento della stipula del contratto (mentre il patto successorio istitutivo ha a oggetto l’id quod superest al momento dell’apertura della successione); infine, i beneficiarî delle attribuzioni patrimoniali sono individuati con riguardo al momento in cui il patto si perfeziona.

Ancora, il patto di famiglia non può essere considerato un patto successorio dispositivo, in quanto i familiari dell’imprenditore non dispongono di alcun diritto facente parte della futura successione di quest’ultimo.

Né il patto di famiglia può essere considerato un patto successorio rinunciativo, perché i legittimarî potranno liberamente accettare l’eredità dell’imprenditore o rinunciarvi quando si aprirà la sua successione; inoltre, la tacitazione dei diritti degli altri legittimarî mediante il non assoggettamento delle attribuzioni effettuate con il patto di famiglia a collazione o riduzione è bensì un effetto di tipo rinunciativo, ma è un effetto legale del contratto e non già pattizio28.

Sicché la salvezza delle nuove norme dal divieto dei patti successorî, di cui al testo vigente dell’art. 458 cod. civ., non appare dotata di un reale contenuto precettivo e tradisce piuttosto l’«entusiasmo del legislatore per l’assoluta novità introdotta nell’ordinamento» e l’ingenuo «intento (…) di dare ad essa immediata risonanza»29.

Vale la pena di aggiungere, infine, che la norma di conflitto sulla successione a causa di morte risulta funzionalmente inadeguata a regolare il patto di famiglia perché i criterî di collegamento dalla medesima contemplati sono temporalmente riferiti al momento dell’apertura della successione; pertanto, la legge applicabile al contratto potrebbe conoscersi con certezza soltanto dopo la morte dell’imprenditore disponente, mentre è di tutta evidenza la necessità di conoscere la legge regolatrice del patto di famiglia fin dal momento della sua stipula30.

  1. La circostanza che il patto di famiglia sia un atto inter vivos e non un atto mortis causa, avvicina la nuova figura alla divisione di ascendente fatta «per atto di donazione» disciplinata dagli articoli 1044 ss. del codice civile del 1865, in cui, al pari del nuovo istituto, il trasferimento da parte del genitore o dell’avo ai figli o discendenti spiegava piena efficacia sin dal momento della conclusione dell’atto31 e, ancor più, alle figure consimili dotate dei medesimi effetti previste da taluni ordinamenti stranieri, quali la donation-partage di diritto francese, la cui disciplina, inoltre, tende a favorire la stabilità delle attribuzioni patrimoniali con essa realizzate32.

Non sembra azzardato, pertanto, sostenere che la norma di conflitto appropriata per disciplinare il patto di famiglia sia quella concernente il contratto di donazione. La costatazione che, come sopra si è accennato, il patto di famiglia non possa essere tout court ricondotto al contratto di donazione, ma debba essere più esattamente qualificato come una liberalità non donativa, non influisce sulla proposizione appena fatta, in quanto è affermazione comune e condivisibile quella che avverte che le categorie astratte contemplate dalle norme di conflitto devono essere interpretate in maniera ampia ed elastica, in modo da ricomprendervi non solo le fattispecie nominativamente indicate ma anche quelle a esse riconducibili in via analogica o per estensione.

Quanto precede solleva, tuttavia, un delicato problema.

Com’è noto, il legislatore italiano della riforma, ponendosi nel solco della tradizione internazionalprivatistica italiana, ha distinto la disciplina di conflitto del contratto di donazione, affidata all’art. 56, da quella dei contratti in generale, rimessa, in virtù del rinvio operato dall’art. 57, alla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.

Ma, a differenza del progetto preliminare del 197233, il testo definitivo della Convenzione non eccettua – e, dunque, include – il contratto di donazione nella sfera di operatività delle norme uniformi34.

Ora, pare assodato in dottrina che tra la disciplina posta autonomamente dal legislatore italiano e quella contenuta nella Convezione di Roma sia quest’ultima a prevalere, se non altro in forza dell’art. 2 n. 1 della legge di riforma secondo cui «le disposizioni della presente legge non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia»35.

Ciò ha fatto ritenere che l’art. 56 della legge di riforma resti privo, in concreto, di un àmbito materiale di applicazione e non svolga nemmeno la funzione residuale di disciplinare le donazioni eccettuate dall’àmbito di applicazione della Convenzione di Roma36.

Infatti, neanche la donazione obnuziale e la donazione mortis causa (che, in quanto concernenti i regimi matrimoniali e, rispettivamente, il diritto delle successioni sono escluse dal campo di applicazione delle norme uniformi in virtù dell’art. 1 n. 2, lett. b, della Convenzione), trovano disciplina nell’art. 56 della legge di riforma, perché deve ritenersi che, in conformità all’orientamento della dottrina prevalente nel vigore delle preleggi, tali donazioni sono sottratte alla disciplina della donazione in generale per essere sottoposte alle norme di conflitto concernenti i rapporti patrimoniali tra coniugi e, rispettivamente, le successioni37.

Tuttavia, a nostro avviso, l’art. 56 della legge di riforma recupera una sua sicura autonoma sfera di operatività proprio con riferimento al patto di famiglia.

Infatti, se, sulla scorta dell’indagine che precede, è certo che il patto di famiglia deve essere qualificato come un contratto inter vivos caratterizzato da una causa liberale, è altrettanto vero che l’indubitabile finalità di sistemazione patrimoniale endofamiliare di determinati cespiti (che emerge inequivocabilmente dai soggetti – i più stretti familiari dell’imprenditore disponente – che possono essere parti del patto) porta a ritenerlo non riconducibile al campo di applicazione della Convenzione di Roma dal quale sono, inoltre, eccettuate le «donazioni contrattuali contemplate dal diritto di famiglia»38.

Né ­– una volta escluso che la norma di conflitto dedicata alle successioni a causa di morte sia idonea a disciplinare il patto di famiglia ­– sembrano esservi, oltre all’art. 56, altre disposizioni della legge di riforma che mostrano vocazione a regolare il nuovo istituto39.

La conclusione di affidare al più volte citato art. 56 l’individuazione della legge applicabile al patto di famiglia presenta, inoltre, alcuni non trascurabili vantaggi operativi.

Vale la pena di osservare, in proposito, che la vera «riuscita» del patto di famiglia si avrà se i suoi effetti sulla successione ereditaria dell’imprenditore saranno, per così dire, «riconosciuti» dalla lex successionis.

Infatti, considerato che la disciplina della collazione e della riduzione è rimessa a quest’ultima legge40, il mancato assoggettamento a detti istituti delle attribuzioni realizzate col patto di famiglia (ciò che costituisce il punto nevralgico della nuova figura e la fonte di stabilità del trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie) rischierebbe di essere messo in dubbio se alla successione mortis causa dell’imprenditore si applicasse una legge diversa dalla legge italiana.

Ora, l’art. 56 e l’art. 46 della legge di riforma contemplano i medesimi criterî di collegamento, sebbene temporalmente correlati a momenti diversi. Precisamente, entrambe le norme adottano il criterio di collegamento oggettivo della nazionalità (del donante e del defunto, rispettivamente al momento della donazione e al momento della morte) e permettono al donante e al de cuius di scegliere, in alternativa alla legge nazionale, la legge della propria residenza (anche in questo caso al momento della stipula dell’atto e, rispettivamente, dell’apertura della successione).

Ciò consente di giungere in maniera piuttosto agevole al coordinamento delle due disposizioni e alla verifica dell’applicabilità della legge italiana a entrambe le fattispecie.

Precisamente, in applicazione dell’art. 56 della legge di riforma, al patto di famiglia sarà applicabile la legge italiana, a prescindere dal luogo di situazione dell’azienda o dalla «nazionalità» della società41 le cui partecipazioni sono trasferite, se l’imprenditore disponente è cittadino italiano ovvero se, pur essendo cittadino straniero, egli sia residente in Italia e renda la professio iuris in favore della nostra legge. Inoltre, a’ termini dell’art. 13 n. 1, lett. a, della legge di riforma, la legge regolatrice del patto di famiglia sarà la legge italiana nel caso in cui la pertinente norma di conflitto della legge nazionale straniera disponga un rinvio indietro alla legge italiana (a esempio, in quanto attribuisca competenza alla lex rei sitae e l’azienda oggetto del patto sia situata in Italia ovvero consenta la scelta di legge e, nel caso concreto, essa si diriga verso la nostra legge42).

Sarà, quindi, compito del notaio rogante porre in essere gli accorgimenti occorrenti a realizzare il necessario collegamento tra legge applicabile al patto di famiglia e legge regolatrice della successione.

A tal fine, il notaio potrà suggerire all’imprenditore (straniero) di procedere, contestualmente alla stipula del patto di famiglia, alla stesura di un testamento con cui, nel caso in cui ciò sia consentito dal nostro sistema di conflitto, egli provveda a scegliere la legge italiana quale legge regolatrice della successione.

Non è inopportuno, infine, che le disposizioni testamentarie siano sottoposte alla condizione sospensiva dell’accettazione, da parte degli eredi legittimarî, della giurisdizione italiana per le controversie nascenti dalla successione43 e che analoga clausola di accettazione della giurisdizione sia inserita nel patto di famiglia con riferimento alle liti da quest’ultimo derivanti.

Infatti, solo costringendo i contraenti del patto, coincidenti in ipotesi con i futuri eredi legittimarî dell’imprenditore, a sottoporre al giudice italiano tanto le controversie relative al patto di famiglia in sé considerato quanto quelle nascenti dalla successione ereditaria, sarà assicurata l’applicazione a entrambe le fattispecie della legge italiana e, per questa via, la complessiva sistemazione di interessi secondo la volontà dell’imprenditore: non è detto, infatti, che il giudice straniero, dinanzi al quale, in base alle norme sulla competenza giurisdizionale del suo ordinamento, sia eventualmente radicata la controversia, giunga a risolvere il caso secondo la legge italiana, in quanto le norme di diritto internazionale privato dell’ordinamento straniero ben potrebbero condurlo ad applicare una legge diversa.

1* Testo in lingua italiana, riveduto e completato con l’apparato delle note, della relazione svolta il 5 marzo 2007 in occazione della Giornata di studio su Nouveautés en matière de pactes successoraux en droit français, italien et espagnol, organizzata dal Centre de droit comparé, de droit européen et de législations étrangères (CDCE) della Faculté de droit dell’Université de Lousanne (UNIL)._ Così, il settimo, l’undicesimo e il diciottesimo considerando della Raccomandazione 94/1069/CEE della Commissione del 7 dicembre 1994 sulla successione nelle piccole e medie imprese, in G.U.C.E. n. L 385 del 31 dicembre 1994, p. 14 ss.


2 V. gli articoli 5, lett. c), e 6, lett. a), della Raccomandazione citata alla nota che precede.Sull’azione comunitaria a salvaguardia delle piccole e medie imprese, dalla loro nascita fino alla dissoluzione, v. CalÒ E., Le piccole e medie imprese: cavallo di Troia di un diritto comunitario delle successioni?, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, p. 217 ss.


3_ Tra cui si segnalano, in particolare, la Comunicazione 98/C 93/02 della Commissione relativa alla trasmissione delle piccole e medie imprese, in G.U.C.E. n. C 93 del 28 marzo 1998, p. 2 ss. e la comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull’attuazione del programma comunitario di Lisbona per la crescita e l’occupazione: “Il trasferimento di proprietà delle imprese – La continuità grazie a un nuovo avvio” [COM (2006) 117 def. del 14 marzo 2006].


4_ Consacrato in termini perentorî all’art. 458 cod. civ., secondo cui, com’è noto, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione, ovvero dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi.


5 Imperniato sull’azione di riduzione delle liberalità lesive della c.d quota di legittima o riserva, disciplinata agli articoli 553 ss. cod. civ.


6_ Invero, le raccomandazioni della Commissione europea furono raccolte dal Consiglio Nazionale delle Ricerche che costituì un Gruppo di ricerca sulla successione ereditaria dei beni produttivi, composto dai professori Antonio Masi, Pietro Rescigno (chiamati anche a curarne il coordinamento), Guido Alpa, Andrea Fedele, Giuseppe B. Portale, Salvatore Tondo, Mario Stella Richter jr. e Andrea Zoppini, dai notai Marco Ieva e Nicola Raiti, nonché dal dottor Paolo Puri. Dal lavoro del Gruppo di ricerca scaturì un articolato [su cui v. Ieva M., Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto d’impresa. Profili generali di revisione del divieto dei patti successori, in Riv. not., 1997, p. 1371 ss., Stella Richter jr M., Il “patto di impresa” nella successione nei beni produttivi, in Riv. dir. priv., 1998, p. 267 ss., Zoppini A., Il patto di famiglia (linee per la riforma dei patti sulle successioni future), ivi, p. 255 ss.] che venne presentato e illustrato in un convegno di studio sul tema “Successione nell’impresa e società a base familiare”, tenutosi a Macerata il 24 marzo 1997. I risultati di questo convegno offrirono lo spunto per la presentazione di un disegno di legge da parte del Senatore Andrea Pastore. Si tratta, precisamente, del disegno di legge S-2799 presentato il 2 ottobre 1997, che non fu approvato nel corso della XIII legislatura, ma fu ripresentato nell’identico contenuto durante la successiva e costituì la base dei lavori parlamentari che condussero all’approvazione della legge di séguito citata nel testo: su tale disegno di legge, v. Bolano A., I patti successori e l’impresa alla luce di una recente proposta di legge, in I contratti, 2006, p. 89 ss.


7_ Recante «Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia», pubblicata in G.U.R.I. n. 50 del 1° marzo 2006, in vigore dal 16 dello stesso mese.


8_ Si tratta, precisamente, del d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, la cui vigenza è stata (ri)attivata con l’art. 2, comma 47, del d.l. 3 ottobre 2006 recante «Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria», convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2006 n. 286.


9_ Per una prima analisi del trattamento fiscale del patto di famiglia, v. Basilavecchia M., Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari. Le implicazioni del Patto di famiglia. Aspetti sistematici, in Patti di famiglia per l’impresa, Atti dei Convegni di studî organizzati dalla Fondazione Italiana per il Notariato, svoltisi a Milano (31 marzo 2006), Napoli (12 maggio 2006) e Palermo (16 giugno 2006), Milano, 2006, p. 194 ss., D’Imperio R., Pezzetta M., Siciliotti C., La valutazione dell’azienda e delle partecipazioni nella nuova disciplina dei Patti di famiglia, ivi, p. 214 ss., Friedmann U., Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari. Prime riflessioni sul trattamento del Patto di famiglia ai fini delle imposte indirette, ivi, p. 185 ss., Puri P., Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari. Profili dell’imposizione diretta del Patto di famiglia, ivi, p. 202 ss.


10_ Di tale imprecisione lo stesso legislatore si è mostrato consapevole ma, lungi dal porvi rimedio e forse preoccupato di riuscire a licenziare la nuova legge prima della fine della XIV legislatura, ha affidato all’opera degli interpreti la ricostruzione sistematica dell’istituto: v. l’intervento del Senatore Semeraro nel corso della Seduta n. 552 della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica in data 26 gennaio 2006, secondo cui «le importanti questioni» sollevate dai rappresentanti del Consiglio Nazionale del Notariato con riferimento all’articolato approvato dalla Camera dei Deputati «possono essere risolte in via interpretativa».


11_ La letteratura civilistica sul patto di famiglia è già copiosa: v. i numerosi scritti raccolti in Patti di famiglia per l’impresa, cit., nonché Amadio G., Patto di famiglia e funzione divisionale, in Riv. not., 2006, p. 867 ss., Balestra L., Prime osservazioni sul patto di famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2006, p. 369 ss., Beghin M., Il patto di famiglia tra profili strutturali e aspetti problematici, in Corr. trib., 2006, p. 3543 ss., Bolognesi C., La continuità generazionale dell’impresa: codificazione del patto di famiglia, in Impresa, 2006, p. 5 ss.; Bonafini A. L., Il Patto di famiglia tra diritto commerciale e diritto successorio, in Contratto e impresa, 2006, p. 1191 ss., Capolupo S., I nuovi patti di famiglia, in Fisco, 2006, p. 3647 ss., Cognolato M., La nuova disciplina dei “patti di famiglia”: tratti essenziali e principali problemi, in Studium juris, 2006, p. 774 ss., Delfini F., Il patto di famiglia introdotto dalla legge n. 55/2006. Il commento, in I contratti, 2006, 512 ss., Delle Monache S., Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. not., 2006, p. 889 ss., Di Bitonto C., Patto di famiglia: un nuovo strumento per la trasmissione dei beni d’impresa, in Società, 2006, p. 797 ss., Gazzoni F., Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, reperibile sul web all’indirizzo www.judicium.it, Ianniello B., Patti di famiglia: successione «anticipata» in aziende e partecipazioni sociali, in Corr. trib., 2006, p. 1572 ss., Landini S., Il patto di famiglia: patto successorio o liberalità, in Famiglia, 2006, p. 839 ss., Lombardi G., Maisto G., Il patto di famiglia: l’imprenditore sceglie il proprio successore, in Corr. giur., 2006, p. 717 ss., Manes P., Prime considerazioni sul patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza familiare, in Contratto e impresa, 2006, p. 539 ss., Oberto G., Lineamenti essenziali del patto di famiglia, in Fam. e dir., 2006, p. 407 ss., Oppo G., Patto di famiglia e «diritti della famiglia», in Riv. dir. civ., 2006, p. 439 ss., Petrelli G., La nuova disciplina del “patto di famiglia”, in Riv. not., 2006, p. 401 ss., Tassinari F., Il Patto di famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali. Il Patto di famiglia per l’impresa e la tutela dei legittimari, in Giur. comm., 2006, p. 808 ss., Vitucci P., Ipotesi sul patto di famiglia, in Riv. dir. civ., 2006, p. 447 ss.


12 Il legislatore dichiara che il trasferimento dell’azienda deve avvenire «compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare» di cui all’art. 230 bis cod. civ.: pertanto, nel caso di cessazione dell’attività di impresa da parte del disponente, e conseguente cessazione della collaborazione dei familiari, sorge in favore di questi ultimi il diritto alla liquidazione del diritto di partecipazione previsto dal 1° comma dell’art. 230 bis cod. civ.


13_ Il trasferimento delle partecipazioni societarie è subordinato al «rispetto delle differenti tipologie societarie» e, quindi, all’osservanza della disciplina, legale o convenzionale, che subordina il trasferimento a determinati presupposti (si pensi, a esempio, al consenso di tutti i soci richiesto, salvo patto contrario, per il trasferimento della partecipazione del socio illimitatamente responsabile di società di persone o alle clausole di gradimento e di prelazione contenute negli statuti sociali delle società di capitale).È invece controverso se la partecipazione societaria debba essere una partecipazione societaria qualificata, tale intendendosi la partecipazione che attribuisce al suo titolare un potere di gestione, in senso lato, della società: in senso affermativo, argomentando sulla ratio del nuovo istituto, ravvisabile nell’esigenza di assicurare la continuità gestionale delle piccole e medie imprese nel momento del trapasso generazionale, si esprimono Baralis G., Attribuzione ai legittimari non assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni sociali. Il Patto di famiglia: un delicato equilibrio fra “ragioni” dell’impresa e “ragioni” dei legittimari, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., p. 218 ss., a p. 224 ss., Lupetti M.C., Il finanziamento dell’operazione: family buy out, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., p. 354 ss., a p. 361 ss., Gazzoni F., op. cit., a p. 3 della stampa, Petrelli G., op. cit., a p. 416; contra, sulla base della lettera dell’art. 768 bis cod. civ., che non opera distinzioni, Caccavale C., Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. Appunti per uno studio sul Patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., p. 32 ss., a p. 34 s., Tassinari F., op. cit., a p. 814 ss., Mascheroni A., Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. L’ordinamento successorio italiano dopo la legge 14 febbraio 2006 n. 55, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., p. 19 ss., a p. 28, De Rosa G., Il Patto di famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e formali. Il Patto di famiglia e il suo ambito di applicazione, ivi, p. 177 ss., a p. 179 ss.

È unanimemente escluso, invece, che il patto di famiglia possa avere a oggetto partecipazioni in società di godimento, giacché quest’ultima non ha alcun connotato di impresa: v. Gazzoni F., op. loc. ult. cit., Petrelli G., op. cit., a p. 421, Tassinari F., op. cit., a p. 816.


14_ Sulla causa complessa del patto di famiglia, derivante dalla necessaria compresenza del trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie a uno o più discendenti e delle attribuzioni patrimoniali in favore dei legittimarî con finalità liquidative e tacitative dei loro diritti di legittima, pongono l’accento Mascheroni A., op. cit., a p. 21, Lupetti M.C., op. cit., a p. 361, Petrelli G., op. cit., a p. 407.


15 V. Petrelli G., op. loc. ult. cit., secondo cui il patto di famiglia non può essere incasellato «in uno degli schemi tipici preesistenti alla novella: semplicemente si tratta di un ulteriore contratto, avente una sua funzione tipica di natura complessa, irriducibile a quella dei tipi contrattuali precedentemente disciplinati dal codice civile».


16_ Che il patto di famiglia non sia tout court una donazione si ricava dall’art. 768 ter, 1° comma, cod. civ. che, a pena di nullità, impone il requisito formale dell’atto pubblico: infatti, se il patto di famiglia fosse propriamente una donazione quest’ultima disposizione sarebbe superflua, stante il tenore dell’art. 782, 1° comma, cod. civ.


17_ Infatti, a norma degli articoli 737, 1° comma, 555, 1° comma, e 809, 1° comma, cod. civ. sono soggette a collazione e riduzione solo le liberalità, dirette o indirette, disposte dal defunto.


18_ Cioè, sia ai beneficiarî del trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie che agli altri legittimarî partecipanti al patto di famiglia.


19 V. gli articoli 768 quinquies, 2° comma, e 768 sexies, 2° comma, cod. civ.


20 Sebbene al – presumibilmente più vantaggioso – valore concordato in contratto e non, come invece accadrebbe in applicazione della disciplina generale, al valore che esse avrebbero al momento dell’apertura della successione: così, Gazzoni F., op. cit., a p. 6 ss. della stampa.


21 A’ termini dell’art. 768 quater, 1° comma, cod. civ., infatti, «al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore» (corsivo aggiunto).


22_ V. Gazzoni F., op. cit., passim, il quale attribuisce al patto di famiglia natura funzionalmente divisoria; nello stesso ordine di idee, Tassinari F., op. cit., a p. 822 (il quale, tra l’altro, richiama l’attenzione sulla collocazione del nuovo istituto nel Titolo IV del Libro II del Codice civile, dedicato alla divisione ereditaria), Mascheroni A., op. cit., a p. 21, Amadio G., Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., p. 69 ss., p. 75 ss.Contra Petrelli G., op. cit., a p. 429 ss., secondo cui l’espressione «devono partecipare» di cui all’art. 768 quater, 1° comma, cod. civ. va intesa «non già come norma imperativa a pena di nullità del patto, bensì come “condizione” o “presupposto” di “vincolatività” del patto nei confronti dei legittimari esistenti al momento della sua stipula» con la conseguenza che i legittimarî che non vi abbiano partecipato potrebbero avvalersi, al momento dell’apertura della successione del disponente, della collazione e dell’azione di riduzione anche riguardo ai beni aziendali e alle partecipazioni societarie trasferite col patto di famiglia. Per Caccavale C., op. cit., p. 40 ss., sussiste un mero «obbligo alle parti dello stipulando contratto di chiamare a intervenire nel contratto stesso gli ulteriori legittimari»; solo in caso di omessa convocazione, poi, i legittimarî esclusi potrebbero attivare, all’apertura della successione del disponente, la collazione e la riduzione rispetto ai beni oggetto del patto di famiglia.


23_ Si faccia il caso, a esempio, del patto di famiglia concluso dall’imprenditore, da un figlio (beneficiario del trasferimento dell’azienda) e dal coniuge, ma con esclusione di un altro figlio: ebbene, ove i contraenti attribuissero all’azienda un valore particolarmente basso, all’apertura della successione il beneficiario potrebbe liquidare d’autorità il fratello escluso in base a quel valore, oltre agli interessi legali. Sicché, come sostiene Gazzoni F., op. cit., a p. 4 s. della stampa, il beneficiario «non avrebbe alcun interesse ad allargare il patto a tutti i legittimari, se non vi fosse la nullità»; coerentemente, a giudizio di questo autore, la norma citata nel testo avrebbe riguardo solo ai legittimarî sopravvenuti alla stipula del contratto (a esempio, figlio nato o riconosciuto successivamente alla stipula, discendente di un figlio nel frattempo deceduto, coniuge in caso di nuovo matrimonio del disponente). Conformi, Mascheroni A., op. loc. ult. cit., Lupetti M.C., op. cit., p. 359.


24 V. la ricostruzione, riccamente argomentata sul piano dogmatico e della valutazione degli interessi in gioco, di Tassinari F., op. cit., a p. 819 ss.


25_ Così, Petrelli G., op. cit., a p. 410 ss., CalÒ E., Patto di famiglia e norme di conflitto, in Fam., Pers. e Succ., 2006, p. 629 ss.


26_ V. Giampiccolo G., Il contenuto atipico del testamento, Milano, 1954, p. 40 ss., Id., Atto mortis causa, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, a p. 232.


27_ Si noti che la revocabilità è la caratteristica peculiare dei contratti mortis causa conosciuti da altri ordinamenti giuridici. Così, nell’Erbvertrag di diritto tedesco, se risulta consumato il potere del beneficiante di disporre ulteriormente a causa di morte dei beni oggetto della convenzione, non è impedita la loro alienazione con atto tra vivi. Sul punto, v. le perspicue osservazioni di Caccavale C., op. cit., p. 36 ss.


28_ Va soggiunto che, a norma dell’art. 768 quater, 2° comma, cod. civ., gli eredi legittimarî dell’imprenditore possono rinunciare alla liquidazione di quanto loro spetta. Neanche tale rinuncia realizza un patto successorio, in quanto, come è stato acutamente osservato, con essa «ci si priva di un diritto che l’ordinamento riconosce (…) immediatamente, quale effetto necessario» del patto di famiglia (così, Tassinari F., op. cit., a p. 811).


29 Così, Caccavale C., op. cit., p. 33.


30_ Invero, la medesima esigenza si pone anche con riferimento ai patti successorî, tant’è che il mancato inserimento nella disposizione in commento di un’apposita norma relativa a tali figure ha suscitato le critiche della dottrina: v. Picone P., La legge applicabile alle successioni, in La riforma italiana del diritto internazionale privato, Padova, 1998, p. 55 ss., spec. p. 95 ss.


31_ L’assimilazione, tuttavia, non è completa; le attribuzioni realizzate col vecchio istituto, infatti, si ritenevano impugnabili per lesione della quota legittima: v. Dusi B., Istituzioni di diritto civile, Torino, 1937, p. 363 s.


32_ Il diritto civile francese, a esempio, fissa al giorno della stipula la valutazione dei beni che sono oggetto della donation-partage e pone un termine di prescrizione quinquennale decorrente dalla morte del disponente per l’esercizio dell’azione di riduzione: v. Paulin C., Partage d’ascendant, in Répertoire de droit civil (Dalloz), VIII, 1998. Inoltre, a séguito della legge 23 giugno 2006 n. 728, gli eredi legittimarî possono procedere alla rinuncia all’azione di riduzione in vita del de cuius (v. i novellati articoli 929 e 930 cod. civ.).


33_ V. l’art. 1, 2° comma, lett. a), dell’Avant-projet de Convention sur la loi applicable aux obligations contractuelles et non contractuelles, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1973, p. 189 ss.


34_ Sulle ragioni che hanno indotto i negoziatori a tale modifica, v. Relazione sulla Convenzione relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, redatta da Giuliano M. e lagarde P., in G.U.C.E. 31 ottobre 1980, n. C 282, p. 1 ss., a p. 10.La sottoposizione della donazione alle norme di conflitto uniformi è pacifica nella dottrina italiana: v. Fumagalli L., La Convenzione di Roma e la legge regolatrice delle donazioni, in Riv. dir. int. priv. proc., 1993, p. 589 ss., a p. 592, Ballarino T., Bonomi A., Sulla disciplina delle materie escluse dal campo di applicazione della Convenzione di Roma, in Riv. dir. int., 1994, p. 939 ss., a p. 961, Villani U., Le successioni e le donazioni (artt. 46-51 e 56), in Corr. giur., 1995, p. 1249 ss., a p. 1251, Id., La Convenzione di Roma sulla legge applicabile ai contratti², Bari, 2002, p. 41, Damascelli D., Il rinvio «in ogni caso» a convenzioni internazionali nella nuova legge sul diritto internazionale privato, in Riv. dir. int., 1997, p. 78 ss., a p. 93 ss., Bonomi A., Donazione (dir. internaz. priv.), in Enc. dir., Agg. II, Milano, 1998, p. 306 ss., a p. 307 s.

Alla medesima conclusione arriva la dottrina straniera: v. Lagarde P., Le noveau droit international privé des contrats après l’entrée en vigueur de la Convention de Rome du 19 juin 1980, in Rec. cr. dr. int. pr., 1991, p. 287 ss., a p. 295, Plender R., The European Contracts Convention. The Rome Convention on the Choice of Law for Contracts, Londra, 1991, p. 51, Dicey and Morris, Private international law, II, Londra, 1993, p. 1197.


35 V. gli autori italiani citati alla nota che precede.


36 V. Boschiero N., Donazione nel diritto internazionale privato, in Dig. civ., VII, Torino, 1991, p. 185 ss., a p. 206, Villani U., Le successioni e le donazioni, cit., a p. 1251, secondo cui «appare difficile scorgere quale ambito di applicazione possa residuare per l’art. 56»; lo stesso autore aggiunge che quest’ultima norma potrebbe «riguardare soltanto ipotesi residuali di donazioni “unilaterali”, come tali estranee alla Convenzione di Roma: v. La Convenzione di Roma, cit., p. 41 (in quest’ultimo senso, v. già Fumagalli L., op. loc. cit.).


37 La ricomprensione della donazione obnuziale nella sfera applicativa della norma di conflitto relativa ai rapporti patrimoniali tra coniugi è basata sulla natura del negozio (intimamente connesso con il matrimonio, che non viene in rilievo come semplice condizione sospensiva ma ne caratterizza la causa al punto da determinarne la nullità in caso di mancata celebrazione o annullamento dello stesso) e sulla sua funzione (essendo la donazione diretta a regolare l’organizzazione della società coniugale sotto l’aspetto patrimoniale): così, nel vigore delle preleggi, ziccardi Capaldo G., La donazione propter nuptias e la sua disciplina nel diritto internazionale privato italiano, in Riv. dir. int. priv. proc., 1973, p. 601 ss., spec. p. 613 ss., Vitta E., Diritto internazionale privato, III, Torino, 1975, p. 22, Ballarino T., Diritto internazionale privato¹, Padova, 1982, p. 822, boschiero N., op. cit., p. 194 e, nel sistema attuale, Damascelli D., op. cit., p. 95.Inoltre, la sottoposizione della donazione mortis causa alla legge regolatrice delle disposizioni testamentarie deriva dalla sua natura di negozio squisitamente successorio, connessa alla libera revocabilità a opera del donante (carattere incompatibile con la natura contrattuale) e all’efficacia solo al momento della morte di quest’ultimo: v., nel vecchio sistema, Betti E., Problematica del diritto internazionale, Milano, 1956, p. 458, Vitta E., op. cit., p. 211, Leoncini Bartoli A., Le donazioni nel diritto internazionale privato, Milano, 1978, p. 71 e, in quello ora vigente, Damascelli D., op. loc. ult. cit., Bonomi A., op. cit., p. 310 s.

Va segnalato che, contrariamente a quanto affermato nello scritto citato alla nota 36, secondo Boschiero N., Articolo 56, in Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato: legge 31 maggio 1995 n. 218 – Commentario, in Riv. dir. int. priv. proc., 1995, p. 1167 ss., a p. 1172, la legge regolatrice delle donazioni escluse dal campo di applicazione della Convenzione di Roma sarebbe sempre indicata dall’art. 56 della legge di riforma, perché, altrimenti, «si svuoterebbe completamente di significato la previsione di una autonoma disciplina ad hoc per le donazioni»; l’applicazione dell’art. 56 è sostenuta, inoltre, limitatamente alla donazione obnuziale, da Bonomi A., op. cit., p. 311 s.


38 Così, espressamente, la Relazione sulla Convenzione, loc. cit.Contra, Ockl D., Patto di famiglia e diritto internazionale privato, in Patti di famiglia per l’impresa, cit., p. 374 ss., spec. p. 379 ss., che ritiene applicabile al nuovo istituto la Convenzione di Roma, sebbene con talune limitazioni all’operatività del criterio di collegamento della volontà delle parti.


39 Ciò non vuol dire, naturalmente, che in virtù del depeçage, altre norme della legge di riforma possano venire in considerazione per regolare aspetti determinati del rapporto: si pensi, a esempio, al ruolo attribuito dall’art. 51 alla lex rei sitae in tema di effetti reali del contratto o al rilievo della lex societatis, designata dall’art. 25, per ciò che concerne la disciplina, legale o convenzionale, del trasferimento delle partecipazioni azionarie.


40 Sul punto sia consentito rinviare a Damascelli D., La legge applicabile alla successione per causa di morte secondo il diritto internazionale privato italiano, in Riv. dir. int. priv. proc., 2003, p. 85 ss., a p. 98 e 103 s.


41 Sul significato da attribuire alla nozione di «nazionalità» delle società alla luce della norma di conflitto di cui all’art. 25 della legge di riforma, v. Damascelli D., I conflitti di legge in materia di società, Bari, 2004, p. 34 s.


42 Sugli effetti nel nostro ordinamento della scelta di legge esercitata in conformità con le norme di diritto internazionale privato dell’ordinamento straniero designato dal criterio di collegamento oggettivo della norma di conflitto italiana, sia consentito rinviare a Damascelli D., Testamenti redatti all’estero. Successione di cittadini stranieri e beni siti in Italia, ne I quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Atti del Convegno di studî su Gli atti provenienti dall’estero, tenutosi a Verona il 20 gennaio 2007, Milano, 2007, p. 133 ss.


43 Naturalmente, una tale previsione dovrà tenere conto dell’art. 549 cod. civ. che vieta l’imposizione di pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari: pertanto, si avrà cura di condizionare all’accettazione della giurisdizione italiana solo le disposizioni testamentarie da prelevare sulla disponibile.[/thrive_lead_lock]

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