Furto nei supermercati: quali le aggravanti configurabili, ed a chi spetta la denuncia?

Alfredo Montagna, Furto nei supermercati: quali le aggravanti configurabili, ed a chi spetta la denuncia?, in Rivista di Polizia, novembre-dicembre 2013, p. 1007.

REATI CONTRO IL PATRIMONIO – DELITTI – FURTO – CIRCOSTANZE AGGRAVANTI – MEZZO FRAUDOLENTO – Caratteri della condotta – Insidiosità, astuzia, scaltrezza idonee a vanificare le difese apprestate – Necessità – Fattispecie.

Nel reato di furto, l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento delinea una condotta, posta in essere nel corso dell’azione delittuosa dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la configurabilità dell’aggravante nel caso di occultamento sulla persona o nella borsa di merce esposta in un esercizio di vendita “self-service”)

REATI CONTRO IL PATRIMONIO – DELITTI – FURTO – IN GENERE – Bene giuridico protetto – Possesso inteso come relazione di fatto – Configurabilità – Conseguenze in tema di legittimazione alla querela 

  • Il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo

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    (Cod. Pen., artt. 120, 62 n.4, 624, 625)

    Cass. Sez. Unite 18 luglio 2013 (dep. 30 settembre 2013) n. 40354 – Pres. Santacroce – Rel. Blaiotta – P.M. Destro (conf.) – Ric. Sciuscio

     

    Furto nei supermercati: quali le aggravanti configurabili, ed a chi spetta la denuncia ?

     

    di Alfredo Montagna

    Sommario: 1. il caso 2. la questione 3. le ragioni delle Sezioni Unite 4. il quadro complessivo alla luce dei pregressi arresti della giurisprudenza 5. e la individuazione del soggetto legittimato a proporre la querela

    1. il caso

    Il ricorrente, condannato sia in primo che in secondo grado per il reato di furto aggravato di merce sottratta dagli scaffali di un supermercato, contestava la sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 625, comma primo, n.2, dell’uso di un mezzo fraudolento, ritenuta dai giudici di merito in quanto l’imputato aveva occultato la merce per sottrarla al controllo degli addetti alle casse.

    Tale soluzione giurisprudenziale veniva sottoposta a censura con ricorso per cassazione, con la argomentazione che l’imputata si era limitata a porre la merce nella propria borsa (merce non dotata di placche antitaccheggio) e che per la configurabilità dell’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento dovesse richiedersi un quid pluris 2.

    2. la questione

    La quarta sezione, con ordinanza 5 marzo 2013, aveva rilevato la esistenza di un contrasto nella giurisprudenza della Corte sulla specifica questione, richiedendo alle sezioni Unite di dare risposta alla questione se, in tema di furto, l’avere occultato all’interno di una borsa o sulla persona la merce prelevata dallo scaffale di un supermercato integrasse o meno la circostanza aggravante dell’essersi avvalso di un mezzo fraudolento prevista dall’art. 625 comma primo n. 2 cod. pen.

    In verità secondo l’orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità, l’azione di occultamento dei beni sulla persona dell’agente o in una borsa andava considerata quale manifestazione delle modalità di attuazione della condotta che integra il reato di furto, con conseguente esclusione dell’aggravante de qua. Tale posizione giurisprudenziale osservava che qualora il reo non abbia adottato alcuna ulteriore cautela per aggirare i sistemi di protezione, la condotta in esame rientrerebbe in quella ordinaria del furto, essendo necessaria la utilizzazione di strumenti particolari che consentano l’occultamento per potere ritenere configurabile l’aggravante del mezzo fraudolento3.

    Una diversa soluzione era rinvenibile in altre decisioni 4, per le quali nel caso di furto di merci esposte sugli appositi banchi nei supermercati ove è praticata la vendita con il sistema del self-service, era configurabile l’aggravante del mezzo fraudolento quando l’agente avesse adoperato un accorgimento malizioso per sorprendere e soverchiare la contraria volontà del soggetto passivo. In particolare era stata ritenuto mezzo fraudolento l’occultare la merce sulla propria persona o in buste per la spesa ove è riposta merce comperata altrove in modo da ingannare il personale addetto al controllo ed alla esazione del prezzo ed evitare il pagamento della merce. Il fondamento di tale aggravante era rinvenuto nel dato che un tale comportamento sarebbe improntato ad astuzia e scaltrezza, diretto ad eludere le cautele ed a rendere vani gli ordinari accorgimenti predisposti dal soggetto passivo a difesa dei propri beni.

    3. le ragioni delle Sezioni Unite

    La soluzione alla dedotta questione discendeva dalla interpretazione da dare alla espressione “si vale di qualsiasi mezzo fraudolento”, che la decisione ha ricordato essere stata interpretata come l’utilizzo di uno stratagemma diretto ad aggirare, annullare, gli ostacoli che si frappongono tra l’agente e la cosa.

    A giudizio della Corte per classificare gli artifici e raggiri volti ad ingannare la vittima del furto, di modo che sia favorita la acquisizione della cosa, occorre fare riferimento a due elementi di valutazione: la aggressività della condotta, realizzata con una artata predisposizione di mezzi, nonché la speciale gravità delle conseguenze sanzionatorie; ciò in quanto una interpretazione dell’idea di frode, con riferimento alla fattispecie di furto, deve tendere ad individuare condotte che concretino l’aggressione del bene con una marcata efficienza offensiva (nell’occasione in motivazione si affronta il rilevante tema del portato del principio di offensività).

    Le Sezioni Unite hanno osservato che il semplice nascondimento nelle tasche, o in una borsa, o sulla stessa persona dell’autore del furto, della merce prelevata dai banchi di vendita costituisce un semplice accorgimento, peraltro banale ed ordinario, in tale genere di reati, che appare privo dei connotati di una studiata e rimarchevole efficienza aggressiva che caratterizza l’aggravante del mezzo fraudolento.

    Conseguentemente la questione è stata risolta nel senso che l’aggravante dell’uso di un mezzo fraudolento, di cui all’art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen. delinea una condotta, posta in essere nel corso dell’iter criminoso, dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, volta a sorprendere la contraria volontà del detentore ed a vanificare le difese che questi ha apprestato a difesa della cosa. Tale insidiosa e rimarcata efficienza offensiva non si configura nel mero occultamento sulla persona o nella borsa di merce esposta in un esercizio di vendita a self service, trattandosi di banale, ordinario accorgimento che non vulnera in modo apprezzabile le difese apprestate a difesa del bene.

    4. il quadro complessivo alla luce dei pregressi arresti della giurisprudenza

    Sul tema della sottrazione di merce nei grandi magazzini altre questioni hanno alimentato in passato il dibattito nella giurisprudenza, anche di legittimità, e tra queste quella della configurabilità dell’aggravante della esposizione alla pubblica fede, ed al converso della ipotizzabilità della attenuante del danno di lieve entità (in particolare in caso di furto non riuscito, ma solo tentato).

    1. La attenuante del danno di speciale tenuità

    Nel corso del 2012 la seconda sezione della Corte, con ordinanza n. 44144 del 19/10/2012, aveva chiesto alla Corte di stabilire “se, nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità si applicasse o meno al delitto tentato”5.

    Una questione che presenta grande interesse per la casistica dei piccoli furti dei quali sono vittime i grandi magazzini.

    Infatti a partire dal 1990, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, pur restando ampiamente maggioritario, sotto il profilo quantitativo, nel senso di ritenere compatibile tale coesistenza, aveva presentato decisioni di segno diverso6.

    Le decisioni favorevoli alla configurabilità dell’attenuante in relazione al tentativo avevano sottolineato che il giudice dovesse avere riguardo alle concrete modalità del fatto ed all’oggetto materiale preso di mira per accertare l’entità del danno patrimoniale che il reato, ove fosse stato consumato, avrebbe cagionato alla persona offesa, ovvero “al danno ipotetico che il reato avrebbe cagionato qualora fosse stato consumato”. Inoltre si era fatto presente che la previsione dell’art. 56 cod. pen. non fa esclusivo riferimento alla figura tipica del reato, ma anche a quella del reato circostanziato; da ciò la considerazione per la quale l’estensione al tentativo delle circostanze previste per il corrispondente reato consumato comporterebbe solo un problema di semplice compatibilità logico-giuridica, senza toccare il principio di legalità.

    Altra, e minoritaria, giurisprudenza aveva negato la compatibilità dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. con il delitto tentato, basando le proprie affermazioni sulla considerazione che la diminuente in esame “presuppone la consumazione del reato e l’esistenza di un danno conseguente alla sottrazione della cosa, che, ai fini penali, deve essere valutato con riferimento alla cosa che l’agente intendeva sottrarre”.

    In proposito va ricordata la decisione della Corte Costituzionale 8-16 febbraio 1993, n. 54 che, nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell’art. 380, secondo comma, lett. e) del codice di procedura penale [nel testo originario], nella parte in cui prevede l’arresto obbligatorio in flagranza per il delitto di furto aggravato ai sensi dell’art. 625, primo comma, numero 2, prima ipotesi [violenza sulle cose], nel caso in cui ricorra la circostanza attenuante prevista dall’art. 62, numero 4 dello stesso codice, si riferisce anche all’ipotesi del tentato furto aggravato, mostrando così di ritenere compatibile la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. con il tentativo.

    La questione è stata risolta dalle sezioni Unite con la sentenza 18 marzo 2012, depositata il 28 giugno 2012, n. 28243, con la quale la Corte ha riflettuto sulla assimilabilità del delitto tentato ai reati di pura condotta o a consumazione anticipata, evidenziando come tali categorie di reati ammettano pacificamente la forma circostanziata. Infatti la natura esclusivamente dolosa del delitto tentato comporta che determinate circostanze, sia aggravanti che attenuanti, possono essere presenti nel momento ideativo e volitivo del delitto, così che l’azione diretta ad uno scopo ben può inglobare quelle che l’ordinamento considera circostanze del reato. Evidentemente deve trattarsi di circostanze riconoscibili in base a quel frammento di condotta che il soggetto ha effettivamente posto in essere.

    Né può avere pregio l’obiezione secondo la quale le circostanze avrebbero rilievo solo in campo sanzionatorio, atteso che tale assunto prova troppo, considerando che anche le norme incriminatrici base hanno rilievo sul versante sanzionatorio.

    La soluzione alla questione è stata così rinvenuta da un lato nel vagliare la compatibilità logica e giuridica della circostanza con il tentativo, ma ancor più nella sua valutazione in termini di prova. In tale occasione la Corte ha sostenuto che occorre che l’interprete verifichi la compatibilità della circostanza con la condotta concretamente posta in essere dall’agente, allo scopo di desumere se, sulla base della predetta condotta, ovvero della sua idoneità ed univocità, la predetta circostanza sia riscontabile.

    Una serie di ulteriori elementi sono stati poi valorizzati dalla Corte a conforto della soluzione adottata; fra questi il dato che la giurisprudenza si è espressa nel senso della applicabilità al tentativo della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità. Anche le modifiche al codice di rito in tema di arresto obbligatorio in flagranza sono indicate dalla decisione come riprova della bontà di quanto si è sostenuto, in quanto le circostanze aggravanti ed attenuanti debbono essere valutate ai fini dell’arresto, sia per i reati consumati che tentati.

    Il conseguente principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite è stato nel senso che nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità, di cui al n. 4 dell’art. 62 c. p., può applicarsi anche al delitto tentato, sempre che la sussistenza della attenuante in questione sia desumibile con certezza dalle modalità del fatto, in base ad un preciso giudizio ipotetico che, stimando il danno patrimoniale che sarebbe stato causato alla persona offesa, se il delitto fosse stato portato a compimento, si concluda nel senso che il danno cagionato sia stato di rilevanza minima.

    1. La aggravante della esposizione alla pubblica fede

    Non vi è dubbio che in tema di furto, per la sussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, la necessità dell’esposizione deve essere intesa non in senso assoluto, come impossibilità della custodia da parte del titolare del bene, bensì relativo, cioè in rapporto alle particolari circostanze che possono indurre il soggetto a lasciare le proprie cose incustodite. 

    Ciò premesso, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto configurabile il reato di furto aggravato dall’esposizione della cosa per necessità o per destinazione alla pubblica fede in varie fattispecie.

    Fra queste il caso in cui il soggetto attivo si impossessi della merce sottratta dagli scaffali di un esercizio commerciale, in presenza di una sorveglianza soltanto saltuaria da parte del detentore della res o di altri per conto di quest’ultimo (nella specie gli addetti alle vendite, incaricati anche di servire i clienti)7. Ciò in quanto si è precisato che al fine dell’esclusione dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede non è sufficiente che il fatto avvenga occasionalmente, ma è necessario che la situazione sia tale per cui, salvo imprevisti, detta situazione sia pressoché inevitabile.

    O ancora nel caso di sottrazione, all’interno di un esercizio commerciale, di un prodotto dotato di placca antitaccheggio, con orientamento maggioritario si è ritenuta la aggravante sul rilievo che tale dispositivo, consistendo nella mera rilevazione acustica della merce occultata al passaggio alle casse, non consente il controllo del percorso della merce dal banco di esposizione alla cassa e, quindi, non comporta il controllo a distanza che esclude l’esposizione della merce alla pubblica fede 8.

    In merito alla stessa fattispecie è stato anche affermato il contrario, sostenendo che dispositivo “antitaccheggio” assicurerebbe un controllo costante e diretto incompatibile con la situazione di affidamento alla pubblica fede di avventori e clienti9, ma tale posizione è rimasta minoritaria.

    Ma più in generale l’aggravante nella ipotesi del furto nel grande magazzino viene contestata e ritenuta, come dimostra la sua affermazione nel caso in cui il fatto avvenga in luogo ove sia presente un sistema di videoregistrazione, che non è stato giudicato equivalente alla presenza di una diretta e continua custodia da parte del proprietario o di altra persona addetta alla vigilanza10.

       

    5. e la individuazione del soggetto legittimato a proporre la querela

    Alle Sezioni Unite in commento era stata sottoposta una ulteriore questione, che si incentrava sul dubbio se, una volta avvenuto il furto in un supermercato, il responsabile dell’esercizio commerciale che non ne fosse anche rappresentante legale potesse essere considerato persona offesa ai fini della legittimazione ad esercitare il diritto di querela11.

    La soluzione di questa seconda questione ha richiesto la puntualizzazione sull’interesse protetto dalla norma incriminatrice e sul soggetto che ne è titolare. Per fare ciò la Corte ha ricostruito il concetto penalistico di possesso (e di detenzione), come signoria di fatto che consente di fruire e disporre della cosa in modo indipendente, al di fuori della sfera di vigilanza e controllo di colui che abbia su di essa un potere giuridico maggiore, individuando l’interesse protetto in una qualificata relazione di fatto con il bene, e nella persona offesa il soggetto che può vantare tale posizione.

    La Corte ha così affermato che la fattispecie di furto protegge ad un tempo la detenzione qualificata e la proprietà; una duplicità che viene in evidenza quando situazioni giuridiche soggettive e situazioni fattuali fanno capo a persone diverse.

    Pertanto le Sezioni Unite hanno precisato che il bene giuridico protetto dal reato di furto è costituto non solo dalla proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche dal possesso, inteso nella peculiare accezione propria della fattispecie, costituita da una detenzione qualificata, cioè da una autonoma relazione di fatto con la cosa, che implica il potere di utilizzarla, gestirla e disporne. Tale relazione di fatto con il bene non ne richiede necessariamente la diretta, fisica disponibilità e si può configurare anche in assenza di un titolo giuridico.

    Da ciò è discesa la condivisibile affermazione (che ha sgombrato il campo da un ricorrente motivo difensivo incentrato sulla mancanza di legittimazione del denunciante a proporre la querela, con conseguenti pronunce di non procedibilità per difetto di una “valida” querela) che, in caso di furto di una cosa esistente in un esercizio commerciale, persona offesa legittimata alla proposizione della querela è anche il responsabile dell’esercizio stesso, quando abbia autonomo potere di custodire, gestire, alienare la merce.

    1 magistrato

    2 In dottrina sull’argomento in generale GARGIULO, Furto commesso in un supermercato,nota a Cass., Sez. 5, n.1069, del 7 febbraio 2000, Campana, in Studium Juris, 2000, 9, 1016; V. FERRONE, Ancora sull’inquadramento penale della sottrazione di merce esposta in vendita nei supermercati, in Giust. Pen., 1974, II, 17; GERONAZZO, Il disvalore penale e sociale del furto nei supermercati, in Giust. Pen., 2006, 385.

    3 Cass. Sez. VI, n. 40283 del 28 settembre 2012, Diaji, in Ced Cass. 253776; Cass., Sez. 4, n. 24232 del 27 aprile 2006, ivi, 234516.

    4 Cassa Sez. V 13 dicembre 2006, n. 10997/2007, Rada; Cass., Sez. 4, n. 25871 dell’1 luglio 2010, inedita; in precedenza Cass. 27 settembre 1990 in Riv. Pen., 1992, 249

    5 In dottrina MANCINI, Il furto nei supermercati: la linea di confine tra tentativo e consumazione. Sulla consumazione nel reato di furto: Cass., Sez. 5, n. 7086 del 19 gennaio 2011, dep. 23/02/2011, Marin, in Ced cass 249842; Cass., Sez. 4, n. 38534 del 22 settembre 2010, dep. 02/11/2010, Bonora e altri, ivi, 248863; Cass., Sez. 5, n. 37242 del 13 luglio 2010, dep. 19/10/2010, Nasi e altro, ivi, 248650; Cass., Sez. 5, n. 27631 dell’8 giugno 2010, dep. 15/07/2010, Piccolo, ivi, 248388; Cass., Sez. 5, n. 21937 del 6 maggio 2010, dep. 08/06/2010, P.G. in proc. Lazaar, ivi, 247410; Cass., Sez. 5, n. 11592 del 28 gennaio 2010, dep. 25/03/2010, Finizio, ivi, 246893.

    6 In senso conforme alla soluzione poi adottata dalle sezioni unite. Cass. n.313/1968, in Ced Cass107662; n. 6825/1977, ivi, 136015; 12742/1978, ivi 140244;n. 8586/1979, ivi, 143165; n. 7686/1982, ivi, 154881; n. 1315/1985, ivi, 167797;n. 55/1989, ivi, 180074;n. 8413/1992, ivi, 191491;n.10355/1992, ivi, 192098; n.2063/1994, ivi, 197273;n. 2335/1994, ivi, 197278; n. 648/1999, ivi, 214875; n. 44153/2008, ivi, 241688;n.39837/2009, ivi, 245258; n. 35827/2010, ivi, 248500; n. 43268/2011,ivi,251711. In senso difforme Cassa n. 2177/1976, ivi, 132351; n. 14204/1990, ivi, 185566; n. 11142/2006, ivi, 233885; n. 11923/2010, ivi, 246556.

    7 Cass Sez V 22 gennaio 2010, dep. 26 febbraio 2010, n, 8019, in Ced Cass 246159

    8 Cass Sez V 25 febbraio 2011, dep.21 giugno 2011, n, 24862, Leopoldo, in Ced Cass 250914. In dottrina Ferrato Sui furti nei supermercati ed i congegni antifurto, in Riv.Pen., 1986, 6, 561;

    9 Cass Sez. II 25 settembre 2009, dep. 6 ottobre 2009, n, 38716, Lo cascio, in Ced Cass. 245300

    10 Cass Sez. V 20 maggio 2010, dep. 1 ottobre 2010, n. 35473, canonica, in Ced Cass 248168.

    11 Sul diritto di proporre querela si veda Cass. Sez. 6, n. 1037 del 15 giugno 2012 dep. il 9 gennaio 2013, Vignoli, in ced cass., 253888; Cass., Sez. 4, n. 44842 del 27 ottobre 2010, Pm. in proc. Febbi, ivi, 249068; Cass., Sez. 5, n. 45329 del 24 ottobre 2005, Abdelli, ivi, 232738; Cass., Sez. 2, n. 37214 del 19 ottobre 2006, Tinniriello, ivi, 235105.