Appunti in tema di omologazione del concordato preventivo

Alberto Tedoldi, Appunti in tema di omologazione del concordato preventivo, in Riv. Dir. Proc., 2009, 3, 647

Appunti in tema di omologazione del concordato preventivo

Sommario: 1. Il concordato preventivo nell’attuale temperie. – 2. I canoni costituzionali ed ermeneutici delle nuove norme. – 3. La cognizione del tribunale in sede di omologazione. – 4. Il subprocedimento di omologa: la fase introduttiva. – 5. Segue: la comunicazione al p.m. ex art. 71, comma 2°, c.p.c. – 6. Segue: il termine (perentorio) ad opponendum. – 7. Segue: i poteri del tribunale in mancanza di opposizioni: l’art. 173 l. fall. quale “pietra angolare” della cognitio iudicis. – 8. Segue: l’esame sulla fattibilità del piano in sede di omologa. – 9. Segue: la valutazione di convenienza e la sostanziale scomparsa del cram down (con qualche cenno allaInsolvenzordnung tedesca e al Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense): profili di possibile illegittimità costituzionale. – 10. Segue: Breve schema procedurale e conclusioni sulla fase di omologa del concordato preventivo.

  1. – L’“accentuata natura privatistica del concordato preventivo”, di cui parla la Relazione al decreto correttivo n. 169 del 2007, dà il segno e la misura di un’intentio legis tutta protesa a valorizzare il profilo più schiettamente contrattuale del concordato preventivo, basato su un accordo tra debitore e maggioranza ponderale dei creditori che par destinato, a prima lettura, a prevalere su ogni forza contraria, su minoranze dissenzienti e persino sul controllo che il tribunale può esercitare.

L’intervento dei giudici per valutare la convenienza del concordato è ammesso, parrebbe, sol quando un “guastafeste” sollevi opposizione e, facendosi corifeo di una classe di creditori in preminenza dissenziente, ma pur sempre non decisiva per l’approvazione del concordato (cfr. l’art. 177, comma 1°), venga inserito a forza nel novero degli “assenzienti” (da non confondersi, s’intende, con i bevitori di assenzio del celebre quadro di Degas), perché il suo credito, secondo l’opinio ampiamente discrezionale del collegio, non potrebbe guadagnare alcunché da una diversa conclusione della crisi. Sicché egli diviene, in certo senso, capro espiatorio delcrucifige invocato da debitore e maggioranza ponderale dei creditori, la cui esecuzione è demandata a un tribunale che par privo di autentico potere interdittivo, quasi astretto a seguire la via tracciata dall’autonomia privata mediante incontro dei consensi.

Il che, vien detto, risponde a sistemi più efficienti ed economici di soluzione delle crisi d’impresa, rimessi al libero assetto voluto e concordato tra debitore e creditori forti, specialmente finanziari, in un mondo postindustriale che vuole che ragioni e metodi della finanza prevalgano su quelli industriali, asservendoli tanto nei momenti di splendore quanto in quelli di débâcle; ancorché, da ultimo e ai nostri dì, le ricadute di un governo eminentemente finanziario e speculativo dell’economia dovrebbero rendere edotti dei rischi che si corrono quando i valori dell’economia reale vengon posti in second’ordine.

Il pendolo del concordato preventivo si è allontanato vieppiù dalla concezione autoritaria che si coglieva, et pour cause considerata la temperie in cui venne forgiata, nella legge fallimentare del 1942, in cui l’istituto aveva il sapore di un premio, meglio, di una pozione meno amara per l’imprenditore “onesto ma sfortunato”, come lo qualificava la Relazione al Re, sotto evidente influsso deamicisiano.

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Tramontata ogni visione ottimistica dell’economia, in un mercato sempre più competitivo e aggressivo, in nome di una “mano invisibile” che tutto aggiusta e sistema, l’arco di oscillazione del pendolo in materia di concordato preventivo è stato percorso del tutto ed ex abrupto, ché l’inclinazione privatistica e contrattuale dell’istituto non potrebbe esser spinta oltre.

  1. – Se ci si acquetasse all’intentio legis, giusta il criterio che all’art. 12 delle preleggiassorbe in sé il metodo interpretativo letterale, il discorso potrebbe finire qui e si dovrebbe dar atto che, in sede di omologazione, al tribunale è demandata una funzione prettamente notarile e certificatoria di un quid già avvenuto sotto i suoi pur vigili occhi.

Vi è, tuttavia, l’inquietudine dell’interprete, come direbbe Irti parafrasando Pessoa, che pur incline ad accogliere benevolmente tutte le manifestazioni di autonomia e di libertà che l’ordinamento ammannisca, non può trascurare né dimenticare altri interessi e altri valori che si affiancano a quello della libertà: il valore del limite, che anche la figura dell’homme révolté cara ad Albert Camus ragionevolmente si pone, se non vuole che la libertà si risolva in puro e semplice arbitrio. Il diritto è poi questo: fissazione di limiti all’esplicarsi della libertà dei singoli o delle comunità, affinché questa non si traduca in prevaricazione del prossimo.

Il senso del limite è presente nelle norme fondamentali come in quelle che disciplinano le principali prerogative collegate alla libertà dei singoli: si pensi, solo per fare qualche esempio, alla “funzione sociale” della proprietà privata (art. 42 Cost.), all’“utilità sociale” dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), alla meritevolezza degli interessi nel caso di figure contrattuali atipiche (art. 1322 c.c.(1).

Non vi è dunque libertà, non vi è prerogativa individuale o collettiva che, in una comunità civile che voglia chiamarsi tale, non incontri limiti. Li si rinviene anche nel modello ispiratore delle recenti italiche riforme, che accentuano l’autonomia delle parti nella composizione della crisi d’impresa: nel celebrato Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense sono diuturni i richiami alla buona fede dei vari soggetti coinvolti e alla ragionevolezza equitativa delle soluzioni adottate (v., exempli gratia, il § 1129 (b), di cui si darà qualche cenno infra).

Questo discorso introduttivo, più lungo del necessario, vuol render conscî che le soluzioni giuridiche e operative che si rinverranno nel novello tessuto del concordato preventivo non possono discendere esclusivamente da letture esegetiche o sistematiche che sono, per lor natura, sempre opinabili e soggettive: esse, al contrario, debbono inserirsi in un contesto ermeneutico improntato ai canoni costituzionali della ragionevolezza, del rispetto delle posizioni giuridiche soggettive, del giusto processo. Senza tener ferma la barra su questi valori di rango sovraprimario è difficile giungere a soluzioni condivise, tanto incerte e contrastanti possono essere l’esegesi delle norme e le soluzioni da fornire ai singoli problemi, anche dopo l’intervento correttivo del 2007 che ha bensì chiarito e meglio coordinato alcune disposizioni, ma ha lasciato comunque aperto un gran numero di profili dibattuti.

  1. – Così enunciato il metodo ermeneutico che si intende seguire, sarebbe grave omissione non dire apertis verbische, nonostante alcune riduttive espressioni adoprate dal conditorin funzione di sostanziale esautoramento del ruolo del giudice, è il tribunale a dover vigilare sulla correttezza complessiva della procedura concordataria. La vigilanza e il controllo dovranno compiersi, è ovvio, secondo i modi e nelle forme disegnate dalla legge, per non divenire eccesso o abuso dei poteri per legge conferiti, ma non potrà essere, al termine del procedimento di concordato e perciò in sede di omologa, una mera e asettica certificazione notarile dell’accordo raggiunto tra debitore e maggioranza ponderale dei creditori.

Il ruolo e la funzione, a dir così, “filattica” del tribunale devono permanere né possono abdicare o rinchiudersi in una “pilatesca” indifferenza rispetto agli interessi in giuoco, soprattutto quelli della minoranza schiacciata (cramed down, verrebbe da dire, adoprando anglico gergo, quasi uno slang) dal volere della maggioranza, senza più alcun paracadute: senza il limite minimo del 40% e senza il controllo del tribunale sulla convenienza del concordato e sulle garanzie offerte che si trovavano nelle norme del 1942; senza l’unanimità delle classi (quando queste vi fossero), che era invece richiesta prima del decreto correttivo del 2007 e, secondo alcuni, senza poter neppure saggiare la fattibilità del piano.

Ora, spinta sì innanzi dal conditor la privatizzazione dell’istituto, non par lecito dubitare che agli inizî della procedura il controllo del Tribunale sia necessariamente estrinseco: piano asseverato dal professionista (art. 161, comma 3°), stima dell’esperto per i crediti privilegiati falcidiati (art. 160, comma 2°) si porgono come documenti, recte attestazioni giuridicamente rilevanti (anche sul versante penalistico), su cui si esercitano il sindacato e il controllo del tribunale. Un controllo eminentemente logico, o di legittimità sostanziale come a volte si è scritto (ancorché il concetto sia tutt’altro che perspicuo) che, negli effetti, si riduce a un esame di completezza e coerenza informativa delle attestazioni degli esperti sulla fattibilità del piano e sulla capienza dei beni sui quali insiste la causa di prelazione ex art. 160, comma 2°, affinché sia garantito il consenso informato dei creditori chiamati ad esprimersi sulla proposta concordataria (2). Si tratta, insomma, di una disamina assai vicina ad un controllo logico della motivazione (ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.), svincolato dal limite delle censure addotte – com’è ovvio in sede di ammissione alla procedura, non essendovi in questa fase introduttiva alcun soggetto impugnante – e che può compiersi liberamente, ma pur sempre sull’esposizione dei fatti aziendali accertati e delle valutazioni proposte dagli esperti nominati dal debitore.

Al contrario, giunti alla camera di consiglio per l’omologa al termine del procedimento per concordato preventivo, il tribunale dispone quanto meno della relazione del commissario e del di lui parere, ancorché egli non siasi costituito. L’arco del controllo “filattico” del tribunale sulla procedura dispone, a quel punto e per così dire, di un maggior numero di frecce, poiché alle relazioni iniziali degli esperti si aggiungono le verifiche intrinseche del commissario giudiziale, che ha inventariato il patrimonio, ha controllato (sia pur a campione) la correttezza dei dati aziendali e della documentazione contabile, ha saggiato la bontà dell’introduttiva expertise, ha dialogato con l’imprenditore in crisi e con gli esperti da lui nominati, indagando sulle ragioni della crisi e sulla fattibilità e sulla convenienza delle soluzioni proposte ai creditori (cfr. l’art. 172, da leggersi in combinazione con l’art. 173: sed de hoc infra).

Il commissario giudiziale possiede, insomma, un ruolo centrale anche nel nuovo concordato preventivo, quale ausiliario del tribunale con veste di pubblico ufficiale (art. 165), che conduce sul campo le verifiche del caso, al fine di darne conto ai creditori chiamati ad esprimersi sulla proposta concordataria e al tribunale per l’omologa del concordato. Non a caso egli è tenuto ancor oggi, pur nella declamata privatizzazione del concordato, a redigere anzitutto l’inventario del patrimonio del debitore e una “relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori”, da depositare tre giorni prima dell’adunanza fissata per la manifestazione del voto dei creditori (art. 172); a proposta approvata dal ceto creditorio, deve altresì esprimere il proprio parere prima che il tribunale si pronunci sull’omologa del concordato (art. 180, comma 2°, ultima frase) (3).

Perciò, anche senza opposizioni e pur a fronte di un concordato approvato, per non dire imposto, a larghissima maggioranza, non potrà il tribunale sorvolare sulla relazione e sul parere del commissario e far finta di nulla, anche se nell’art. 180, comma 3°, c’è un bivio procedurale che apparentemente riduce la cognitio iudicis nel subprocedimento di omologa, a seconda che vengano proposte o meno opposizioni.

  1. – Vediamo concisamente come si svolge la fase di omologa (art. 180).

Se il concordato ottiene il voto favorevole della maggioranza ponderale dei creditori e, se la proposta li suddivide in classi, anche nel maggior numero di classi (art. 177, comma 1°) (4), il giudice delegato – fungendo da merotrait d’union tra le fasi di approvazione e di omologa del concordato, cartesianamente distinte dal decreto correttivo dopo le anteriori confuse previsioni (cfr. il precedente art. 177, comma 2°, introdotto nel 2005) – riferisce al tribunale il quale, conformemente alla generale scelta di “cameralizzazione” delle tutele in seno alle procedure concorsuali, fissa un’udienza in camera di consiglio, disponendo che il provvedimento venga pubblicato, a norma dell’art. 17, 2° co., presso l’ufficio del registro delle imprese dove l’imprenditore ha la sede legale e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso quello corrispondente al luogo dove la procedura è stata aperta; il provvedimento va notificato, a cura del debitore, al commissario giudiziale e agli eventuali creditori dissenzienti.

Scompare in tal modo la necessità che si svolga, su impulso ex officio, una causa ordinaria a cognizione piena, come avveniva nell’originario dettato del 1942.

  1. – Manca la comunicazione dell’inizio del subprocedimento di omologa al p.m., che viceversa è imposta dall’art. 161, comma 5°, per la domanda di concordato, in un contesto di partecipazione facoltativa, e non più necessaria, del p.m. alla procedura, come risulta anche dalla significativa scomparsa dall’art. 162 dell’obbligo di sentirlo prima di dichiarare inammissibile la domanda di concordato (5).

Senonché, nel nuovo sistema che vieta al tribunale di assumere ex officio l’iniziativa per la declaratoria di fallimento, l’informativa al p.m. risulta importante anche in questa fase di omologa, soprattutto in vista dell’eventuale conversione della procedura concordataria in fallimento allorché emergano dagli accertamenti del commissario giudiziale, ex art. 173, nefandezze commesse dall’imprenditore in crisi o la non fattibilità del concordato. Il venir meno dell’obbligo di intervento del p.m. non preclude, ovviamente, che tale organo possa comunque intervenire ai sensi dell’art. 70, ult. cpv., c.p.c. ove ravvisi un interesse pubblico, che nella specie risulta confermato dalla necessità di comunicargli la domanda di concordato preventivo, ai sensi dell’art. 161, comma 5° (6).

Pare dunque opportuno integrare le comunicazioni prescritte dall’art. 180, comma 1°, l.fall. per l’inizio del subprocedimento di omologa con la comunicazione al p.m., che il tribunale potrà disporre ai sensi dell’art. 71, comma 2°, c.p.c.

  1. – Tutti possono costituirsi (“qualunque interessato”, cioè anche i “bevitori di assenzio”, ovviamente sostenendo la necessità di omologare il concordato, per non incorrere ne “la contradizion che nol consente”) almeno dieci giorni prima dell’udienza; il commissario, anche se non si costituisce, deposita il proprio parere motivato, che si aggiunge alla relazione da lui redatta prima del voto.

Il termine, soggetto a sospensione feriale (7), è da ritenersi perentorio per chi fa opposizione, se si considera la natura lato sensu impugnatoria della stessa e se si vuole che il procedimento di omologa abbia uno sviluppo ordinato e coerente, come si evince altresì dalla biforcazione procedurale, che dipende dalla proposizione o meno di opposizioni (8).

Chi non fa opposizione e vuole soltanto intervenire a sostegno dell’omologa (ad es., l’offerente l’acquisto dell’azienda o di rami aziendali dell’impresa decotta) potrà costituirsi anche all’udienza in camera di consiglio o nel corso del subprocedimento. Così anche le parti necessarie, id est il debitore (o l’assuntore) e il commissario giudiziale, nonché il p.m. interveniente volontario.

Riesumato il termine opposizione dopo breve interramento (men di un triennio), è giustamente scomparso ogni cenno ad eccezioni non rilevabili d’ufficio, qual si trovava nel testo anteriore al decreto correttivo del 2007 che l’aveva tratto, per incongrua similitudine, dal giudizio ordinario di cognizione (art. 167 c.p.c.): il riferimento alle eccezioni non rilevabili d’ufficio (exceptiones facti) risultava quanto meno inadatto all’istituto in esame, se si considera che la regola è semmai quella della rilevabilità ex officio d’ogni fatto estintivo, impeditivo o modificativo (9) e che il subprocedimento di omologa del concordato preventivo è ad impulso officioso e si svolge in camera di consiglio, con cognizione sommaria e deformalizzata che ben poco ha da spartire con formalità e barriere preclusive proprie del processo a cognizione piena.

La scomparsa d’ogni incongruo riferimento agli schemi preclusivi della cognitio plena non fa tuttavia venir meno, né tampoco smentisce, la natura perentoria del termine per chi si faccia pugnace oppositore del concordato, anche perché, come già s’è accennato, dall’opposizione dipende una biforcazione del procedimento. Né può consentirsi, come talora si legge in dottrina (10), l’aggiunta di motivi ulteriori nel corso del procedimento di omologa, poiché ciò smentirebbe la ricostruita natura perentoria del termine nonché il principio del tantum devolutum quantum appellatum, che strettamente si lega al carattere impugnatorio delle opposizioni al concordato.

L’area della cognitio causae officiosa è circoscritto ai themata indicati dall’art. 173 (condotte fraudolente o venir meno delle condizioni di ammissibilità del concordato): oltre quella soglia il tribunale non può spingersi se a tanto non sia sollecitato dall’opponente, che non potrà, tuttavia, sindacare la convenienza del concordato (quanto meno in iure quo utimur, ché vi sono sul punto non infondate obiezioni di illegittimità costituzionale: v.infra), se non quando appartenga a una classe dissenziente, dovendo di regola limitare le proprie censure ad aspetti procedurali o a condotte fraudolente del debitore o, infine, al difetto dei presupposti di ammissione alla procedura, ivi inclusa la fattibilità del piano.

  1. – Se nessuno si oppone – neppure il commissario giudiziale che, stante il suo ruolo di pubblico ufficiale, dovrà ben farlo allorché ravvisi gli estremi di cui all’art. 173 – il 3° comma dell’art. 180 discorre soltanto di una verifica sulla “regolarità della procedura” e sull’“esito della votazione”, con susseguente omologa senza alcuna istruttoria e, a prima vista, senza approfondimento veruno.

Non è tuttavia da credere che il compito del tribunale sia soltanto notarile e certificatorio, nonostante le sembianze letterali della norma. L’omologazione, come rivela l’etimo, è pur sempre un’espressione di assenso a un determinato atto, filtrata attraverso il logos, cioè l’intelligenza, la cognizione e la parola performativa dell’organo investitone. Essa non può mai consistere in una piatta adesione alle richieste delle parti, che svuoti completamente il ruolo “filattico” del tribunale, chiamato a proteggere una minoranza schiacciata dalla maggioranza ponderale dei crediti e, più in generale, a salvaguardare l’efficienza del sistema economico, che vuole espunte le imprese e gli imprenditori inefficienti e incapaci di tener fede ai patti, se non addirittura rei di illeciti perpetrati in danno di creditori e azionisti.

Così, pur in assenza di opposizioni all’omologa da parte del commissario giudiziale (che, peraltro e come si diceva, ben avrebbe dovuto e potuto opporsi nell’esercizio dei suoi pubblicistici munera), quando egli indichi e denunci ex art. 173, nella sua relazione e nel motivato parere, che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode prima o nel corso della procedura, o manchino le condizioni per la fattibilità del piano o per la falcidia dei crediti privilegiati, nonostante le rassicurazioni degli esperti nominati dall’imprenditore proponente, il tribunale non può chiudere gli occhi, ma ha il preciso dovere di ergersi a tutela degli interessi generali sottesi al funzionamento dell’economia di mercato e alle procedure di soluzione concordata delle crisi di impresa.

Non è frutto di “dirigismo giudiziale” la lettura che si va proponendo, ma semplice e naturale conseguenza di un’impostazione coerentemente liberale, che vuole osservate le norme e realizzati gli effetti giuridici di cui le parti, nella loro libera autonomia, sono demiurgiche creatrici attraverso la disciplina dei contratti. Non regole dettate dall’alto, dunque, ma scritte e volute dalle parti in reciproca buona fede: regole che, di fronte a violazioni o tradimenti della fiducia accordata, debbono esser fatte rispettare da efficaci apparati sanzionatorî.

Baricentro anche in fase di omologa resta l’art. 173, nella sua perdurante vigenza pur dopo l’accentuata privatizzazione del concordato preventivo (11), con poteri di controllo del tribunale anche sulla fattibilità del piano, che a quel punto si giovano della relazione del commissario e del suo parere e non possono appiattirsi sul volere della maggioranza ponderale o sul difetto di opposizione di una minoranza dissenziente, che magari ha disertato il procedimento di omologa sol perché sfiduciata verso il sistema giudiziario e l’intero ceto forense.

L’art. 173 definisce, insomma, i poteri immanenti di intervento del tribunale, che possono esercitarsi appieno in sede di omologa come nel corso di tutto il procedimento di concordato preventivo (“in qualunque momento”), anche a prescindere dalla proposizione di opposizioni da parte dei creditori dissenzienti o del commissario giudiziale.

Non si può trascurare un dato semplice e banale, quasi degno di Jacques de La Palice: se il commissario segnala nella relazione o nel parere ante omologa la sussistenza di possibili azioni revocatorie o di responsabilità di organi societari o di società di revisione a fronte di manifesti atti in frode imputabili all’imprenditore e ai suoi accoliti, non è pensabile che il tribunale faccia finta di nulla sol perché mancano opposizioni. Non dovrà forse il collegio cercare di chiarire, approfondire e capire se davvero non vi sia stato un abuso dello strumento concordatario, facendosi peritus peritorum che vigili sul formarsi del consenso di tutti i creditori e sulla conformità a legge (sulla legalità, appunto, non importa se pleonasticamente definita “sostanziale”) della procedura?

Vigilare significa, ovviamente, verificare con equilibrio e senza animus inquisitorio la conformità a legge della procedura (la “regolarità”, dice, un po’ riduttivamente, la norma), affinché s’abbia un iudex peritus, non la sostituzione di esso con un peritus o con periti, per di più nominati e remunerati dall’imprenditore in crisi, che si fanno iudices e a questi vengano surrogati in tutto e per tutto. Il tribunale si gioverà, semmai, della dialettica che inevitabilmente contrapporrà il commissario giudiziale agli esperti nominati dall’imprenditore o all’imprenditore stesso, a difesa e sostegno della proposta concordataria approvata dalla maggioranza ponderale dei creditori.

Si deve allora riconoscere che la cognizione del tribunale in sede di omologa, a prescindere dalla proposizione o meno di opposizioni, è cognizione sul merito (non di legalità formale né sostanziale, salvo che con quest’ultimo termine non si intenda, al postutto, il controllo sul merito di cui si va discorrendo), su tutto ciò che emerga dagli atti e, soprattutto, dagli accertamenti svolti dal commissario giudiziale, sorta di CTU ausiliario di giustizia e pubblico ufficiale, con l’unico testuale limite all’esercizio di poteri istruttorî in caso di mancata opposizione, ma con la possibilità di chiedere alle parti costituite e a quelle necessarie del procedimento gli indispensabili chiarimenti di fronte ai rilievi svolti dal commissario.

  1. – Anche la distinzione, pur concettualmente possibile e giuridicamente legittima, tra “fattibilità” e “convenienza” del piano concordatario appare come un falso problema.

Non crediamo che si possa revocare in dubbio la possibilità per il tribunale, in sede di omologa, di tener conto dei rilievi del commissario giudiziale sulla fattibilità del concordato (12). Tra le “condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato” rientra la relazione del professionista sulla fattibilità del piano, ai sensi dell’art. 161, comma 3°, che è sottoposta alle verifiche sul campo del commissario giudiziale, tenuto a riferire al tribunale delle condotte fraudolente che rilevi nel corso delle sue operazioni, nonché dell’eventuale difetto dei requisiti per il buon esito della procedura concordataria, come si evince dall’art. 173, ult. cpv. (13).

Quella cognizione meramente estrinseca e sul versante logico che il tribunale poteva esercitare sulla fattibilità del piano in sede di ammissione al concordato, sulla esclusiva scorta della relazione dell’esperto ai sensi degli artt. 162 e 163, diviene ora, all’esito dei riscontri del commissario giudiziale e a chiusura del procedimento concordatario, mercè la relazione e il parere da lui resi, “cognizione sul merito” e, precisamente, sul contenuto degli accertamenti e delle valutazioni commissariali, da utilizzarsi alla stregua di una consulenza tecnica d’ufficio, che il tribunale sottopone a disamina sotto il fuoco incrociato dei rilievi e nell’indispensabile contraddittorio del debitore istante, del commissario giudiziale e degli eventuali altri soggetti costituiti in fase di omologa.

Tra le disamine demandate al tribunale non può non rientrare quella sulla “fattibilità” del piano concordatario, alla luce (s’intende) di ciò che scrive il commissario giudiziale, chiamato a testare la tenuta della proposta e a riferirne ai creditori prima del voto e al tribunale in sede di omologa, con completezza, serietà e professionalità.

L’ultima frase dell’art. 173 (“se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato”) non si presta ad interpretazioni riduttive, che espungano dall’area della giuridica rilevanza ogni valutazione inerente alla fattibilità del piano, sol perché per l’ammissione al concordato basta annettere alla domanda la relazione di un esperto qualificato: ciò sarà sufficiente agli albori del procedimento, in fase di ammissione appunto, ma non può valere al termine della procedura concordataria, quando il tribunale è chiamato a dare il suo avallo al piano approvato dalla maggioranza dei creditori, alla luce dei rilievi svolti dal suo ausiliario, il commissario giudiziale, e pur nel deserto d’ogni opposizione o, financo, d’ogni costituzione delle parti, ché l’impulso officioso del subprocedimento d’omologa è fuori discussione (14).

Non possono, dunque, riprodursi in seno al giudizio di omologa quelle perplessità, per vero più dottrinali che giurisprudenziali, che tuttora connotano i varî indirizzi sui poteri del tribunale di sindacare la fattibilità del piano in sede di ammissione alla procedura concordataria (15): par chiaro che all’incipit del procedimento il tribunale non disponga che della relazione dell’esperto prescelto dal proponente sulla fattibilità del piano e alla relazione debba riportarsi, saggiandone ab extra la coerenza e l’attendibilità logiche sotto il profilo dell’esposizione svolta e delle motivazioni addotte. Dopo le verifiche del commissario giudiziale il tribunale disporrà di un ventaglio ben più ampio di conoscenze ab intra sui dati oggettivi e sulle valutazioni di fattibilità del piano, sì da poter esprimere il proprio ragionato convincimento sulla proposta, approvata dalla maggioranza ponderale dei creditori e numerica delle classi, con equilibrio e senza pigli inquisitorî, ma nell’orizzonte della tutela degli interessi dell’intero ceto creditorio e dell’efficienza generale del sistema.

  1. – Quanto alla “convenienza” del piano, certamente essa è stata di regola espunta dall’area della cognitio iudicis in sede di omologa (v. l’art. 181, n. 1, l. fall.nel testo del 1942), onde lasciare i creditori arbitri del proprio destino, secondo un metodo maggioritario che presta, tuttavia, il fianco a censure pel rischio che si trasformi in “dittatura della maggioranza” ponderale e, specie, finanziaria dei crediti.

Va pur tuttavia soggiunto che quando emergano, mercè gli accertamenti del commissario giudiziale ed anche in sede di omologa, le gravi condotte fraudolente di cui all’art. 173, il tribunale non potrà non tener conto degli effetti che ne conseguono in termini di azioni penali e civili, specie revocatorie e di risarcimento dei danni, dovendo – all’esito di specifico subprocedimento (art. 173, comma 2°, che richiama la disciplina procedurale, peculiarmente formalizzata, di cui all’art. 15) – revocare l’ammissione al concordato e far luogo a declaratoria di fallimento (non d’ufficio, s’intende, ma su istanza di un creditore o del p.m.).

La valutazione di convenienza è circoscritta oggidì, dopo il decreto correttivo del 2007, al caso di opposizione proposta da un creditore dissenziente, corifeo di una classe dissenziente ma non decisiva per l’approvazione del concordato. Prima dell’ultima novella non bastava la maggioranza numerica delle classi, ma occorreva che la maggioranza dei crediti fosse raggiunta in ciascuna classe sì che, nel concordato per classi, tutte dovevano esprimersi a favore della proposta mediante maggioranze ponderali formatesi all’interno di ciascuna (v. l’ante vigente art. 177, comma 1°) (16).

Ora occorre sempre e comunque l’approvazione della maggioranza numerica delle classi, non potendo, in mancanza, omologarsi il concordato (v. l’art. 179, nonché l’art. 180, comma 1°), neppure attraverso il c.d. cram down, cioè l’ingresso a forza della classe dissenziente affinché l’approvazione sia comunque conseguita per vim (come avveniva nel precedente art. 177, comma 2°) (17).

La netta distinzione tra approvazione (da parte dei creditori) e omologazione (da parte del tribunale) del concordato, quale fissata dal decreto correttivo, pur risolvendo ogni possibile confusione concettuale, riduce a un nonnulla e abroga nei fatti il cram down, divenuto insignificante strumento per respingere le doglianze di un riottoso e implacabile “guastafeste” che, nonostante la pacifica approvazione del piano da parte della maggioranza dei creditori, voglia porsi in mezzo a ostacolarne l’omologa, irrispettoso dell’Obstruktionsverbot di matrice teutonica e, prima ancora, statunitense che stava al fondo delle ispirazioni del nostro conditor, ormai ridotte a vuoto simulacro degli originari modelli.

Invero, nel celeberrimo Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense (§ 1129(b)) (18), citato in guise ormai oleografiche e iterative, come nella Insolvenzordnung del 5 ottobre 1994 (§ 245) (19), l’ingresso forzato di un gruppo di creditori dissenziente, ma pur necessario per l’approvazione del piano (v. il § 244 della Insolvenzordnung), può avvenire solo facendo riferimento alla convenienza della proposta concordataria per tutti i creditori appartenenti al gruppo dissenziente. In Germania sono altresì previsti meccanismi di tutela della minoranza (Minderheitenschutz: § 251), e persino del debitore (§ 247), che consentono all’Insolvenzgericht, a seguito di opposizione, di negare l’omologa quando il piano riservi all’opponente un trattamento da presumersi deteriore rispetto a quello che riceverebbe in assenza di piano (“durch den Plan voraussichtlich schlechter gestellt wird, als er ohne einen Plan stünde”), sempre che ne venga data specifica prova, a pena di inammissibilità dell’opposizione (cfr. il § 251, Abs. 2).

Nel nostro sistema, invece, la più recente scelta del patrio legislatore è stata quanto di più riduttivo si possa immaginare.

Si è anzitutto consentita l’approvazione del concordato con la semplice maggioranza numerica delle classi, in aggiunta alla maggioranza ponderale dei crediti, senza esigere che tale ultimo quorum venga raggiunto in ciascuna classe, come era richiesto nel testo introdotto nel 2005: si ha in tal modo un meccanismo che rischia di favorire alcune categorie di creditori rispetto ad altre e che presta il fianco ad abusi discriminatorî lasciati alla mercè del proponente il concordato, salvo una residuale vigilanza estrinseca del tribunale sulla correttezza nei criterî di formazione delle classi (art. 163, comma 1°, ultima frase). Il quorum deliberativo per maggioranza numerica delle classi par, dunque, censurabile ex art. 3 Cost. per violazione del principio d’eguaglianza e irragionevolezza discriminatoria, poiché potranno essere formate classi (ad es., per crediti di natura finanziaria) che conteranno più di altre, al di là di ogni apparente ossequio a corretti criterî di appostazione in ciascuna.

In secondo luogo, togliendolo dall’alveo della fase di approvazione e spostandolo in sede di omologa (promoveatur ut amoveatur?), si è trasformato il cram down in anodino singular cram down, come è stato definito(20), testualmente riferibile al solo creditore che, appartenendo a classe dissenziente, si opponga all’omologa del concordato perché reputi più conveniente il fallimento: invero, ai sensi dell’art. 180, comma 4°, ultima frase, il tribunale potrà omologare il concordato, già approvato da maggioranza ponderale dei crediti e numerica delle classi, “qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili”. Stando al pensiero del conditor, non si può insomma far cadere il concordato per un solo renitente guastafeste, sulla cui singola posizione, in guise minimaliste, deve concentrarsi codesto giudizio di convenienza eccezionalmente affidato al tribunale: anche se, con correzione, a dir così, di ortopedia ermeneutica, la provocatio ad cognoscendum di solistico corifeo non fa altro che offrire ai giudici il destro per esaminare la convenienza del concordato alla luce delle obiezioni sollevate dall’opponente e nel contesto dell’intera classe di cui egli si rende portavoce, come avviene nei modelli tedesco e statunitense e come dovrebbe essere nella logica e nello spirito dell’Obstruktionsverbot.

Si noti, infine, che una valutazione di convenienza demandata al tribunale soltanto se il concordato sia organizzato in classi suscita problemi di irragionevole disparità di trattamento rispetto ai casi di concordato senza classi, nei quali è sempre impedita, nonostante l’opposizione dei creditori dissenzienti, una cognitio sulla convenienza del concordato alla stregua delle doglianze avanzate dagli opponenti. L’impostazione minimalista prescelta dal nostro legislatore, oltre a risultare contraria ai modelli tedesco e statunitense ai quali genericamente si ispira, urta contro il principio di eguaglianza e di ragionevolezza e par destinata, pertanto, a cadere sotto le cesoie della Consulta, che non dovrebbe aver difficoltà ad estendere, con pronuncia additiva, la valutazione di convenienza del piano concordatario prevista nell’attuale 4° comma (ultima frase) dell’art. 180 a qualsivoglia ipotesi di opposizione dei creditori dissenzienti, anche nel concordato senza formazione di classi, quando l’opponente deduca il deteriore trattamento dei crediti rispetto alle prospettive di un fallimento dell’imprenditore decotto.

La valutazione di convenienza, espulsa prepotentemente dalle porte del giudizio di omologa del concordato, rischia di rientrare dagli spiragli della procedura, inavvertite crepe in un edificio per ben due volte restaurato nel breve volger di un biennio (2005-2007).

  1. – In conclusione, sul piano schiettamente procedurale le prospettive potrebbero essere tre.

  2. a) Non vi sono opposizioni, né dalla relazione e dal parere del commissario giudiziale emergono fatti rilevanti ex  173: in tal caso non si fa luogo ad alcuna istruttoria e il tribunale emette un decreto motivato non soggetto a gravame, ma solo a ricorso straordinario exart. 111 Cost., stante la natura decisoria che discende dagli effetti esdebitatorî del concordato preventivo di cui favella l’art. 184.

  3. b) Non vi sono opposizioni, ma dalla relazione o dal parere del commissario emergono fatti rilevanti ex 173, ivi inclusa la non fattibilità del piano come s’è detto poc’anzi (v. supraal § 4.4): si deve aprire, in tal caso, il subprocedimento compiutamente disciplinato dagli artt. 173 e 15 che, tra l’altro, rimedia alla “strozzatura istruttoria” connessa al difetto di opposizioni (21).

  4. c) Se vi sono opposizioni, il tribunale assume le prove richieste dalle parti o disposte ex officio, anche delegando un componente del collegio, e provvede con decreto motivato, reclamabile in corte d’appello ex 183 (norma, incredibile dictu, breviloquente e quasi afasica).

Quale schema procedurale si applica per tale forma di reclamo?

Se accanto al diniego di omologazione del concordato c’è una contestuale sentenza di fallimento, si applicherà la disciplina di cui all’art. 18, con assorbimento dei motivi attinenti al concordato entro l’alveo del mezzo di impugnazione specificamente previsto per la sentenza di fallimento (22).

Se una declaratoria di fallimento manchi (ciò che può avvenire anche in caso di diniego di omologa, stante il possibile iato tra chiusura del concordato e fallimento, non più dichiarabile ex officio: donde la già ricordata necessità di trasmettere gli atti al p.m. ex art. 71, comma 2°, c.p.c., salvo che questi non sia intervenuto nel procedimento), lo schema procedurale che pare preferibile applicare in via analogica, poiché più prossimo alla fattispecie in esame, è quello dettato per il concordato fallimentare nell’art. 131, limitando peraltro la legittimazione al debitore, agli opponenti (ivi incluso il commissario che abbia formalizzato la propria opposizione), oltre al p.m. anche se non era in precedenza intervenuto.

Altri preferiscono seguire comunque lo schema procedurale di cui all’art. 18, ma questo amplia troppo e senza necessità il novero dei legittimati, includendo ogni interessato, laddove qui i soggetti interessati ben potevano e dovevano intervenire già in prime cure, nella fase di omologa innanzi al tribunale (23).

Il provvedimento reso dalla corte d’appello in camera di consiglio sarà poi impugnabile dinanzi alla Corte di cassazione entro trenta giorni dalla comunicazione (cfr. l’art. 131, ult. cpv.).

In conclusione, il Tribunale in sede di omologa deve esercitare il suo controllo sul pieno rispetto della legge: lo si può anche chiamare controllo di legalità sostanziale, ma esso attinge pur sempre al merito del piano concordatario, ovunque il tribunale colga o ravvisi abusi del debitore, magari in collusione con la maggioranza ponderale o con alcune classi di creditori, che meritino di essere repressi, non potendo certamente apporre il proprio sigillo su un’operazione fraudolenta, in danno del ceto creditorio e circonvenendo le leggi (24).

Gli indizî non potranno essere, è ovvio, il fazzoletto di Desdemona nelle mani di Cassio, nel mendace racconto che Iago faceva al Moro: come diceva Otello – finché il suo intelletto restava ancor compos sui, ben presto però violando la regola che pur declamava di voler osservare – “I’ll see before I doubt; when I doubt, prove” (III, 3, 190): il tribunale non seguirà metodi e criterî da Grande Inquisitore, ma l’equilibrata saggezza di chi conosce le cose del mondo e non condanna a priori i suoi simili per un semplice e opinabile sospetto (25).

(*) Questo scritto è dedicato al Prof. Modestino Acone e verrà inserito nella raccolta di Studi in suo onore.

(1) Sul rapporto tra autonomia privata e limitazioni imposte dall’ordinamento giuridico v., classicamente, E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino 1950, 38 ss., nonché F. Galgano, voce Negozio giuridico (dottr. gen.), in Enc. dir., XXVII, Milano 1977, 932 ss.

(2) Cfr. A. Patti, Il sindacato dell’autorità giudiziaria nella fase di ammissione, in Fall. 2007, 1025. Sul problema v. altresì, dopo il decreto correttivo e con varietà di opinioni, Jorio, Il concordato preventivo. I poteri del tribunale in sede di ammissione, in Comm. Jorio-Fabiani, Agg., Bologna 2007, 54; Bonfatti, Censoni, Manuale di diritto fallimentare. Appendice. Le disposizioni correttive ed integrative della riforma della legge fallimentare, Padova 2008, 79 ss.; Lo Cascio, L’intervento correttivo ed integrativo del decreto legislativo 5/2006, in Fall. 2007, 871; M. Fabiani, Il decreto correttivo della riforma fallimentare, inForo it. 2007, 232; Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato Cottino, Padova 2007, 71; Allegritti, Il concordato preventivo rivisitato, in Dir. fall. 2006, I, 877; Azzaro, Concordato preventivo e autonomia privata, in Fall. 2007, 1271 s.In giurisprudenza v., ex plurimis, Trib. Milano 9 febbraio 2007, in Fall. 2007, 1218, con nota di L. Mandrioli; Trib. Torino 17 novembre 2005, Trib. Milano 7 novembre 2005, Trib. Pescara 21 ottobre 2005, Trib. Treviso 22 luglio 2005, tutte in Foro it. 2006, I, 919 ss., con note di I. Pagni, L’accentuazione privatistica del concordato preventivo e i riflessi sul giudizio di omologazione e di M. Ferro, Stato di crisi, relazione di fattibilità del piano e sindacato del giudice nel concordato preventivo.

(3) Si aderisce qui alla tesi che serba intatte le prerogative del commissario giudiziale anche nel nuovo concordato preventivo, essendovi la schietta e ineludibile esigenza di informare adeguatamente i creditori chiamati al voto su tutti gli aspetti rilevanti della proposta formulata, alla stregua della situazione aziendale e delle vicende e degli atti che hanno condotto l’imprenditore allo stato di crisi, nonché ai fini della formazione di una volontà consapevole ed anche per l’eventualità di dichiarare il fallimento ex art. 173, allorché il debitore abbia occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode: cfr. Guglielmucci, Diritto fallimentare. La nuova disciplina delle procedure concorsuali giudiziali, Torino 2006, 334 in nota; Caffi, Il concordato preventivo, in G. Schiano di Pepe (a cura di), Il diritto fallimentare riformato, Padova 2007, 643; Arato, Fallimento: le nuove norme introdotte con la L. 80/2005, in Dir. fall. 2006, I, 169; Caiafa, Nuovo diritto delle procedure concorsuali, Padova 2006, 562 s.; M. Ferro, Il nuovo concordato preventivo: la privatizzazione delle procedure riorganizzative nelle prime esperienze, in Giur. merito 2006, 676 e 686; V. Vitalone, Il nuovo concordato preventivo. Commento alle novità introdotte dal decreto “competitività”, Milano 2005, 81. In giurisprudenza v. Trib. Pescara, 28 dicembre 2006, in Giur. merito 2007, 2279, con nota di D’Aquino; Trib. Milano, 20 ottobre 2005, in Fall. 2006, 578, con nota di Lo Cascio e in Giur. merito 2006, 652, con la citata nota di M. Ferro.Esprimono invece opinioni più restrittive sulla portata della relazione del commissario giudiziale nel nuovo concordato preventivo G.U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova 2006, 559; G. Canale, Le nuove norme sul concordato preventivo e sugli accordi di ristrutturazione, in Punzi, E.F. Ricci (a cura di), Le nuove norme processuali e fallimentariCommento del d.l. 14 marzo 2005 n. 35 e della legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80, Padova 2005, 207.

(4) In precedenza nel concordato per classi era richiesto il conseguimento della maggioranza ponderale dei crediti in tutte le classi, salvo cram down per quelle classi, minoritarie per numero, il cui dissenso avesse impedito l’approvazione della proposta concordataria, previa valutazione del tribunale sulle alternative concretamente praticabili.

(5) Sulla modifica v. Jorio, op. cit., 54; Lo Cascio, op. cit., 871; Bonfatti, Censoni, op. cit., 81; Ambrosini, op. cit., 73.

(6) Cfr. C. Esposito, L’intervento “obbligatorio” del pubblico ministero nel procedimento di concordato preventivo alla luce del decreto correttivo, in Fall. 2007, 1404 ss.; v. anche Filocamo, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169. Disposizioni integrative e correttive, Padova 2008, 348 (§§ 10 e 11).

(7) Cfr., dopo la riforma, Trib. Pescara 13 ottobre 2005, in Giur. merito 2006, 654, con nota di M. Ferro; v. anche, sia pure in tema di omologa di accordi stragiudiziali, Trib. Enna 27 settembre 2006, in Fall. 2007, 195. La questione, nell’ante vigente regime, era dibattuta: a favore della sospensione feriale v. Cass. 17 aprile 1993, n. 4541, in Fall. 1993, 1113 e Cass. 13 febbraio 1993, n. 1811, in Fall. 1993, 1008; contra Cass. 26 gennaio 1995, n. 970, in Fall. 995, 847 e in Giur. it., 1995, I, 1, 1846; Cass. 4 marzo 1994, n. 2139, in Fall. 1994, 714, in Giust. civ. 1994, I, 1487 e in Dir. fall. 1994, II, 906, con nota di Di Domenico.Ora che fallimento e concordato preventivo rispondono a presupposti oggettivi non coincidenti (l’insolvenza nell’uno, lo stato di crisi nell’altro) e che occorre uno specifico accertamento dell’insolvenza per passare dal concordato preventivo al fallimento, non è possibile alcuna analogia, peraltro già in precedenza vietata dal carattere eccezionale della norma che deroga pianamente alla regola della sospensione feriale dei termini processuali (cfr., in motivazione, Cass., sez. un., 10 dicembre 1993, n. 12156, in Fall. 1994, 575), e deve ritenersi applicabile alla procedura di concordato preventivo la sospensione feriale dei termini.

(8) La giurisprudenza è, invero, incline ad attribuire natura perentoria ad un termine, specie in materia di impugnazioni ed anche in assenza di testuali previsioni di legge, ovunque scopo e funzione che esso persegue si offrano all’interprete quali (sicuri?) indici di esigenze di tutela del contraddittorio, di certezza dei rapporti giuridici, anche processuali, e di ordinato svolgersi del procedimento: cfr. Cass. 8 febbraio 2006, n. 2787;Cass. 5 marzo 2004, n. 4530. Per tesi contrapposte v., classicamente, da un canto quella di Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano 1966, 533, assai vicina alla giurisprudenza e, dall’altro canto, quella di Andrioli,Commento al codice di procedura civile, I, Napoli 1957, 408, secondo cui è sempre necessaria una previsione espressa e formale di perentorietà.

(9) Cfr. Cass., sez. un., 27 luglio 2005, n. 15661, in Foro it. 2005, I, 2659, con nota di Oriani.

(10) Cfr. Filocamo, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 cit., 349 s.

(11) V. ora Bozza, Il vecchio, l’attuale e il (forse) prossimo art. 173, ult. parte, della legge fallimentare, in Fall. 2007, 689. Sul dibattito intorno alla vigenza dell’art. 173 prima del decreto correttivo cfr., riassuntivamente, Filocamo, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova 2007, 1296 s., ove ulteriori richiami dottrinali e giurisprudenziali.In giurisprudenza, a favore dell’applicabilità dell’art. 173 anche in sede di omologa v., ex plurimis, Trib. Modena 18 ottobre 2005, in Dir. fall. 2006, II, 661, con nota di Jachia; Trib. Torino 12 dicembre 2006, e Trib. Milano 9 marzo 2007, ambedue in Fall. 2007, 684, con la citata nota critica di G. Bozza, Il vecchio, l’attuale e il (forse) prossimo art. 173, ult. parte, della legge fallimentare; Trib. Monza 16 ottobre 2005, in Fall. 2005, 1402, con nota di De Matteis.

(12) Cfr. Trib. Roma 1 febbraio 2006, in Dir. fall. 2007, II, 95, secondo cui, “in sede di omologazione del concordato preventivo ex art. 180 l.fall., come modificato dal d.l. 14 marzo 2005 n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005 n. 80, oggetto dell’indagine del tribunale non sarà solamente la verifica del raggiungimento della maggioranza dei voti, ma anche il riscontro della sussistenza delle condizioni della domanda, costituite dalla natura di impresa commerciale della preponente, dalla sussistenza della crisi, dalla presentazione di un piano fattibile rispondente a dati veritieri ed infine dal mancato compimento di atti fraudolenti”; Trib. Roma 30 luglio 2005, in Dir. fall. 2006, II, 98, con nota di Nuzzo; Trib. Milano 24 aprile 2007, in Fall. 2007, 1441, con nota di P. Bosticco, La “resurrezione giurisprudenziale” dell’art. 173 l. fall. e la difficile distinzione tra atti in frode e sopravvenienze inattese; Trib. Milano 8 giugno 2006, in Fall. 2006, 1420, con nota di Lo Cascio; Trib. Torino 12 dicembre 2006, cit., in Fall. 2007, 685, con nota di Bozza cit.; Trib. Pescara 28 dicembre 2006, in P.Q.M. 2007, fasc. 1, 57, con nota di D’Orazio e in Giur. merito 2007, 2279, con nota di D’Aquino; Trib. Pescara 13 ottobre 2005, in Giur. merito 2006, 654, con nota di M. Ferro; Trib. Prato 5 dicembre 2005, in Fall. 2006, 942; Trib. Bari 11 novembre 2005, in Fall. 2006, 52 e in Dir. fall. 2006, II, 99, con nota di Nuzzo e in Dir. e giustizia, 2006, fasc. 10, 35, con nota di Di Marzio; Trib. Palermo 18 maggio 2007, inFall. 2008, 75, con nota di Penta; Trib. Bari 25 febbraio 2008, in Fall. 2008, 682, con nota di Genoviva. Contra Trib. Taranto 28 settembre 2005, in Dir. fall. 2006, II, 99, con nota di Nuzzo, secondo cui, “ai sensi del novellato art. 180 l. fall., il tribunale, in sede di omologazione, è tenuto ad una mera verifica delle maggioranze di cui al precedente art. 177; essendo pertanto venuta meno ogni valutazione dei requisiti della convenienza della soluzione concordataria per i creditori, della concreta fattibilità ed idoneità del concordato a soddisfare nella percentuale minima del quaranta per cento i chirografi, della meritevolezza del beneficio da parte dell’imprenditore, al tribunale non è consentito nessun altro sindacato di merito”.Sul tema v., da ultimo, L. Abete, Il ruolo del giudice ed il principio maggioritario nel novello concordato preventivo: brevi note, inFall. 2008, 253 ss. e, soprattutto, G. Rago, I poteri del tribunale sul controllo della fattibilità del piano nel concordato preventivo dopo il decreto correttivo, ivi, 264 ss., secondo cui “la procedura di concordato, nonostante si continui a ripetere che è stata ‘privatizzata’, è rimasta una procedura improntata a principi di natura pubblicistica in quanto né il debitore può permettersi di fare quello che ritiene senza alcun controllo, né il Tribunale (e, comunque, gli organi pubblici che partecipano alla procedura e cioè il commissario giudiziale ed il pubblico ministero) sono ridotti a meri spettatori e ratificatori di accordi presi fra il debitore e i creditori (…) In altri termini, se proprio si vuole parlare di privatizzazione della procedura, si può solo affermare che è stato ‘privatizzato’ il requisito della convenienza nel senso che, ora, la suddetta valutazione rientra (ma neppure sempre: si ricordi l’art. 180 quarto comma) nella sola discrezionalità del ceto creditorio che la esprime attraverso la votazione. Non è stato, invece, privatizzato il requisito del controllo della fattibilità del piano: sotto tale profilo, la funzione pubblicistica (cioè di ordine pubblico) va ravvisata nel fatto che i creditori devono essere messi nelle condizioni di votare in modo informato sulla proposta e tale obiettivo non può raggiungersi che consentendo al tribunale un vaglio della fattibilità”. Nonché, già prima del decreto correttivo, D. Galletti, Il nuovo concordato preventivo: contenuto del piano e sindacato del giudice, in Giur. comm. 2006, II, 913, secondo cui, poggiando il nuovo concordato sulla votazione come titolo di legittimazione, non può consentirsi che gli aventi diritto non siano garantiti della fattibilità della proposta, che potrebbe prestarsi a frodi e abusi in danno dei creditori (di minoranza).

(13) Cfr. G. Rago, I poteri del tribunale cit., 268 s.

(14) Sulla superfluità di eccezioni o di esplicite opposizioni cfr. Trib. Milano 8 giugno 2006, in Fall. 2006, 1420, con nota di Lo Cascio; Trib. Pescara 13 ottobre 2005, in Giur. merito 2006, 654, con nota di M. Ferro.

(15) La giurisprudenza di merito sinora formatasi è tendenzialmente unita nel consentire al tribunale una valutazione di fattibilità del piano concordatario già in sede di ammissione, naturalmente alla luce di quanto espone l’esperto nella propria relazione, senza poteri di verificarne in concreto e nel merito l’attendibilità, ma soltanto sul piano logico delle motivazioni addotte, allo scopo di tutelare la corretta formazione del consenso dei creditori in seno alla procedura: v., ex plurimis, Trib. Milano 9 febbraio 2007, in Fall. 2007, 1218, con nota di L. Mandrioli, secondo cui “in sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo, al tribunale compete, nell’ambito di un controllo di legalità coerente con le funzioni di garanzia che gli sono state assegnate dal legislatore, la verifica della completezza argomentativa e della coerenza motivazionale delle attestazioni contenute nella relazione ex art. 161, 3° comma, l. fall., nonché della congruenza fra i dati esposti nel ricorso e la valutazione di fattibilità del piano concordatario, in modo che tale relazione sfoci, sulla scorta di premesse metodologiche di carattere tecnico, in una prognosi in ordine alle prospettive poste a fondamento del piano medesimo”; v. anche Trib. Roma 8 marzo 2006, in Dir. e pratica fallim. 2006, fasc. 4, 54, con nota di Casale, secondo cui “il controllo di completezza e regolarità della documentazione assegnato al tribunale nel nuovo concordato preventivo non deve intendersi in senso meramente formale ma anche e soprattutto come verifica sostanziale della idoneità del contenuto di detta documentazione allo scopo cui essa è destinata, cioè informare in maniera corretta e completa i creditori che dovranno votare sull’ammissione al concordato; nell’ambito di questo controllo rientra anche la valutazione demandata al tribunale della effettiva fattibilità del piano concordatario – quale condizione di ammissibilità alla procedura – da intendersi come credibilità del progetto di ristrutturazione dei debiti e soddisfacimento dei creditori, i cui obiettivi devono tendere alla concreta realizzazione in termini non di mera possibilità ma di probabilità di successo”; nonché Trib. Firenze 23 novembre 2005, in Foro toscano-Toscana giur. 2006, 59, con nota di Pacini: “il tribunale non reputa che il proprio compito debba essere limitato ad una mera attività notarile di certificazione delle condizioni formali ed esteriori richieste per la presentazione della domanda di concordato poiché, quanto meno con riferimento al controllo sulla completezza e sulla regolarità della documentazione, il controllo giudiziario mantiene margini d’incisività, in quanto nell’ambito della verifica, sia pure di sola legittimità, possono essere valutate le condizioni di fattibilità, quale giudizio prognostico circa la concreta realizzabilità, ed i criteri di formazione delle classi di creditori”; contra, tuttavia, lo stesso Trib. Firenze 8 febbraio 2006, in Foro toscano-Toscana giur. 2006, 180, con nota di Pacini, che parla di un mero controllo di “legittimità formale”. Cfr. altresì App. Torino 19 giugno 2007, in Fall. 2007, 1315, con nota di Vacchiano, secondo cui, in sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo, il controllo del tribunale deve vertere: a) sotto il profilo della regolarità, sull’accertamento della rispondenza dei dati considerati ed attestati dal professionista qualificato ai sensi dell’art. 161, terzo comma, l. fall., alla documentazione di supporto o degli elementi comunque acquisiti; b) sotto il profilo della completezza, sull’accertamento dell’offerta di un’informazione, esauriente ed argomentata, dell’effettiva situazione economica e finanziaria del debitore richiedente, in relazione al piano proposto ai creditori, in modo che esso sia davvero spiegato sulla base di un’indicazione, critica e ragionata, dei mezzi offerti rispetto agli obiettivi perseguiti.In dottrina, Lo Cascio, L’intervento, cit., 871 ritiene che, non essendo intervenuti chiarimenti con il decreto correttivo, si possano perpetuare gli orientamenti non univoci della giurisprudenza sull’accertamento della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano; per Azzaro, Concordato preventivo e autonomia privata, in Fall. 2007, 1267 e 1271 s., la fattibilità è compresa tra i requisiti di ammissibilità del piano concordatario e la persistenza ne è condicio iuris di perdurante efficacia; contra Ambrosini, op. cit., 71 s., che esclude, in sede di ammissione, qualsiasi controllo di merito, riconoscendo soltanto un sindacato in termini di chiarezza della proposta e di idoneità certificativa della relazione ex art. 161; analogamente Jorio, Il concordato preventivo, cit., 54.

(16) Sui contrasti interpretativi in tema di maggioranze nel concordato per classi dopo la riforma del 2005 e prima del decreto correttivo del 2007 v., riassuntivamente, Filocamo, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, cit., 1331 s. (§ 4), ove ulteriori richiami.

(17) V., sulla norma precedente, Trib. Modena 18 ottobre 2005, e App. Bologna, 27 gennaio 2006, in Dir. fall. 2006, II, 664, con nota di Jachia; Trib. Milano 16 febbraio 2007, in Fall. 2007, 548, con nota di Lo Cascio; Trib. Pescara 28-12-2006, in P.Q.M. 2007, fasc. 1, 57, con nota di D’Orazio e in Giur. merito 2007, 2279, con nota di D’Aquino. E v., in particolare, Trib. Milano 12 dicembre 2005, in Fall. 2006, 576, con nota di Lo Cascio e in Dir. e pratica fallim. 2006, fasc. 1, 59, con nota di Nisivoccia, secondo cui “nel concordato preventivo nel quale la proposta non prevede la suddivisione dei creditori in classi, il giudizio che il tribunale è chiamato a compiere in sede di omologazione consiste nella verifica del conseguimento dell’unica maggioranza prescritta e dell’intervenuta accettazione da parte dei creditori e nella valutazione della fattibilità del piano, mentre in quello in cui sia stata prevista la suddivisione dei creditori e sussistano classi dissenzienti, occorre svolgere un giudizio di convenienza per queste ultime della soluzione concordataria rispetto a quella del fallimento; pertanto non può essere presa in considerazione, anche in presenza di un’opposizione da parte di un creditore dissenziente, qualsiasi accertamento diretto a stabilire la proponibilità di eventuali azioni revocatorie e giudizi di responsabilità degli organi di amministrazione e di controllo della società concordataria, o la riferibilità di determinati crediti a commesse eseguite in favore di terzi”.

(18) Ivi si prevede, in sostanza, che “when any impaired class of creditors or equity security holders does not accept the plan (…) the plan may nevertheless be confirmed by the court if (i) the proponent of the plan requests confirmation, and (ii) the court finds that the plan is fair and equitable as to the dissenting class (…)”, con l’avvertenza che “fair and equitable (…) includes the following requirements with respect to a class of unsecured claims: The court must find either that the plan provides the holders of a class of unsecured claims or that no class junior to the dissenting class will receive any distribution under the plan”: cfr. Mark Roe, Corporate Reorganization and Bankruptcy. Legal and Financial Materials, New York 2000, 373 s.; Douglas, Langston, Bankruptcy law digest, Boston 1993, 7-85 ss.Sulla diffusione del cram down al di fuori degli Stati Uniti e in America latina v. l’interessante monografia di G. G. Mosso, El cramdown y otras novedades concursales, Buenos Aires 1998.

(19) La traduzione del § 245 della Insolvenzordnung si trova in L. Guglielmucci (a cura di), La legge tedesca sull’insolvenza (Insolvenzordnung), Milano 2000, 164. Sull’Obstruktionsverbot v. Hess, Weis, Wienberg,Kommentar zur Insolvenzordnung mit EGInsO, 1, Heidelberg 2001, 2140 ss.; Eickmann, Flessner, Irschlinger, Kirchhof, Kreft, Landfermann, Marotzke, Heidelberger Kommentar zur Insolvenzordnung, Heidelberg 2003, 880 ss.; Kirchhof, Lwowski, Stürner, Münchener Kommentar zur Insolvenzordnung, 2, München 2002, 1724 ss.

(20) Cfr. P.G. Demarchi, Prime considerazioni in materia di concordato preventivo. Sullo schema di riforma della riforma. Quale voto per i creditori privilegiati non soddisfatti integralmente?, in Q. giur. nn. 8/6/2007 e 11/6/2007, 7 s.

(21) Si è giustamente rilevato che un conto è sindacare la prestazione promessa, rispetto alla valutazione di convenienza che, avuto riguardo ai propri interessi, solo i contraenti potranno effettuare, un altro – ed è il controllo che il tribunale quale soggetto terzo deve effettuare – è stabilire se quanto promesso sia effettivamente realizzabile, a tutela dei creditori “deboli”: così Azzaro, Concordato preventivo e autonomia privata, in Fall. 2007, 1276 in nota 56. V. anche Filocamo, in M. Ferro, La legge fallimentare. Decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 cit., 354 ss., che adombra, con qualche evidente forzatura, una possibile fattispecie di nullità dell’accordo formatosi sul piano concordatario per impossibilità dell’oggetto, quando il piano non risulti fattibile (ivi, a pag. 352 sub 22 ulteriori richiami alla dottrina in tema di limiti ai poteri di cognizione del tribunale in mancanza di opposizioni).Contra, parzialmente, G. Rago, I poteri del tribunale cit., 271, che subordina alla proposizione di opposizioni sullo specifico tema della fattibilità il sindacato del tribunale sul difetto dei presupposti, che emergesse già dalla relazione dell’esperto e del commissario giudiziale prima della votazione; questo perché “vi è la presunzione che i creditori i suddetti fatti li abbiano conosciuti e valutati: quindi, siccome hanno votato favorevolmente, il tribunale non può sovrapporre il proprio giudizio a quello dei creditori”. Anche G. Bozza, Il vecchio, l’attuale e il (forse) prossimo art. 173, ult. parte, della legge fallimentare, in Fall.2007, 694 ss. ammette un intervento del tribunale in sede di omologa solo allorché la non fattibilità del piano emerga da circostanze conosciute dopo la votazione dei creditori. Queste letture si risolvono, tuttavia, in unainterpretatio abrogans del disposto dell’art. 173, comma 3°, che consente “in qualunque momento” della procedura di concordato di rilevare il venir meno delle condizioni di ammissibilità: cfr., infatti, in tal senso Trib. Milano 9 marzo 2007 (“ai sensi dell’art. 173 l. fall., il tribunale deve dichiarare il fallimento del debitore se risulti, in qualsiasi momento, la mancanza delle condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato, tra cui anche l’attuabilità della proposta nei termini prospettati, in presenza di circostanze, preesistenti o sopravvenute al decreto di apertura, che facciano ritenere che non vi sia alcuna possibilità di soddisfacimento, neppure in una percentuale minima, dei creditori chirografari”), e Trib. Torino 12 dicembre 2006 (“seppure non espressamente previsto dall’art. 180 l. fall. – secondo cui il concordato deve essere omologata solamente allorquando siano state raggiunte, come nella fattispecie, le maggioranze previste dall’art. 177 l. fall. – permane in capo al tribunale il potere di verificare la fattibilità attuale della proposta concordataria anche in sede di omologazione, atteso che tale requisito rientra fra le condizioni di ammissibilità previste dal legislatore, in mancanza delle quali deve essere pronunciata, ai sensi dell’art. 173 l. fall., la dichiarazione di fallimento del proponente”), ambedue in Fall.2007, 684 ss., con la citata nota critica di G. Bozza; nonché Trib. Ancona 31 dicembre 2007, in Fall. 2008, 360.

(22) Conf. Ambrosini, op. cit., 135 s.; P.G. Demarchi, Prime considerazioni in materia di concordato preventivo. Sullo schema di riforma della riforma. Quale voto per i creditori privilegiati non soddisfatti integralmente?, in Q. Giur., nn. 8/6/2007 e 11/6/2007, 14.

(23) Cfr., anche per riferimenti, Filocamo, in M. Ferro, op. ult. cit., 378 ss.

(24) “(…) non è il giudice chiamato a dichiarare della obbligatorietà nei confronti di detta minoranza, ma è chiamato a riconoscere ispirandosi ad un pubblico interesse l’esistenza di determinate condizioni perché questa obbligatorietà sia operativa così nei confronti della minoranza come in quelli della maggioranza”: così, sia pur in diverso contesto normativo, autorevolmente T. Ascarelli, Sulla natura dell’attività del giudice nell’omologazione del concordato, in Riv. dir. proc. civ. 1928, I, 228 e, ancor prima, F. Carnelutti, Sui poteri del tribunale in sede di omologazione del concordato preventivo, in Riv. dir. proc. civ. 1924, I, 65: “il concordato è sostanzialmente un contratto conchiuso tra il debitore e una determinata maggioranza dei creditori, con effetti obbligatori anche per i creditori dissenzienti. In vista di questa sua efficacia anomala e pericolosa, la legge vuole che codesti effetti non si dispieghino se alcuni requisiti non sono stati controllati dal Tribunale”.

(25) Sulle insidie delle prove indiziarie v. il gustoso saggio di B. Cavallone, Iago e la teoria della circumstantial evidence (secondo atto di una comparazione atipica), in Riv. dir. proc. 1999, 1101.

Autore: Prof. avv. Alberto Maria Tedoldi

Professore associato di Diritto processuale civile presso l’Università degli Studi di Verona, presso cui tiene i corsi di Diritto processuale civile, Diritto dell’esecuzione civile, Diritto fallimentare. Nelle medesime materie, è autore di numerosi scritti. È stato Responsabile d’area Diritto processuale civile della Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università di Verona, consorziata con l’Università di Trento, e componente della Commissione per le riforme del processo civile, istituita presso il Ministero della Giustizia e presieduta dal Prof. Romano Vaccarella. Ha conseguito nel 1996, presso l’Università “La Sapienza” di Roma, il titolo di dottore di ricerca in Diritto processuale civile. Nel 2002 ha superato il concorso di ricercatore di ruolo presso l’Università degli Studi di Milano. Ha partecipato ai convegni dell’Associazione italiana fra gli studiosi di diritto processuale civile, alla quale è iscritto, e a numerosi convegni di diritto processuale civile e di diritto fallimentare. Dal 1998 è docente di Diritto processuale civile presso la Scuola forense dell’Ordine degli avvocati di Milano. Relatore a convegni e master organizzati dal CSM e dalla Scuola superiore di Magistratura, in sede distrettuale, interdistrettuale e nazionale, dagli ordini professionali e da enti privati su argomenti di diritto processuale civile e di diritto fallimentare.

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