Campania sì, Campania no, la terra dei fuochi ….: dal decreto alla legge di conversione

Alessio Scarcella, Campania sì, Campania no, la terra dei fuochi ….: dal decreto alla legge di conversione, in Ambiente e sviluppo, 2014, 4, p. 257

D.L. 10-12-2013, n. 136, art. 3

D.L. 10-12-2013, n. 136, art. 4

D.Lgs. 03-04-2006, n. 152, art. 3

D.Lgs. 03-04-2006, n. 152, art. 255

D.Lgs. 03-04-2006, n. 152, art. 256

D.Lgs. 03-04-2006, n. 152, art. 256-bis

D.Lgs. 03-04-2006, n. 152, art. 259

Campania sì, Campania no, la terra dei fuochi ….: dal decreto alla legge di conversione

Sommario: Le emergenze ambientali in Campania e la “clava” dell’Europa – La mappatura dei terreni agricoli in Campania e la bonifica dei siti – Il reato di combustione illecita dei rifiuti, l’utilizzo del personale delle forze armate ed il nuovo obbligo di informazione del PM – Il reato di combustione illecita dei rifiuti – L’utilizzo del personale delle FF.AA. – Un nuovo obbligo d’informazione del P.M. – Conclusioni

Le emergenze ambientali in Campania e la “clava” dell’Europa

II D.L. n. 136/2013, recentemente convertito nella legge n. 6/2014, reca disposizioni per le situazioni di emergenza ambientale in Campania e in Puglia, nonché ulteriori disposizioni riguardanti talune gestioni commissariali e la disciplina dei commissari per la difesa del suolo. Il D.L., sostanzialmente modificato nel corso dell’esame parlamentare, è stato definitivamente convertito in legge ed è in vigore dal 9 febbraio 2014. Molteplici sono le direttrici d’intervento del testo legislativo, che si sviluppano in particolare in sei direzioni operative: a) la mappatura dei terreni agricoli in Campania e la bonifica dei siti; b) il reato di combustione illecita dei rifiuti e l’utilizzo del personale delle forze armate; c) gli studi epidemiologici e i controlli sanitari; d) disposizioni riguardanti l’Ilva di Taranto; e) gestioni commissariali; f) i commissari per il dissesto idrogeologico.

Non è questa la sede per un approfondito commento al testo normativo appena varato. Proprio per tale ragione si concentrerà l’attenzione solo su quelle misure d’intervento che concernono, più specificamente, i temi ambientali stricto sensu intesi, in particolare dedicando maggiore attenzione alla nuova disciplina sanzionatoria che si è recentemente arricchita della nuova fattispecie penale di combustione illecita di rifiuti, disposizione normativa di cui, francamente, non se ne sentiva né la mancanza ed il bisogno, attesa l’esistenza di strumenti di tutela sanzionatoria penale altrettanto efficaci. Il rischio derivante dall’introduzione di norme speciali, come quella in esame, è quella di dare vita ad una norma “spot”, priva di reale efficacia sanzionatoria e/o deterrente, ma destinata unicamente a soddisfare le aspettative che la c.d. opinione pubblica si attende di fronte agli assalti mediatici che la diuturna colorazione a tinte fosche di alcuni territori, come quello della Regione Campania, produce, imponendo obtorto collo interventi normativi, come detto, non assolutamente necessari: ma allora esisteva davvero la necessità ed urgenza di provvedere con decreto?

Del resto, che si trattasse di un problema conosciuto, verrebbe da dire, da secoli, è provato dalla tendenza ormai endemica – finalizzata a fronteggiare non soltanto situazioni di emergenza in centri urbani ad elevata densità demografica, ma anche situazioni di crisi socio, economico-ambientali nel settore dei 

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rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi – all’emanazione di provvedimenti tampone aventi efficacia limitata nel tempo, la cui adozione è comunque imposta da situazioni locali insostenibili ovvero da situazioni contingenti legate ad eventi disastrosi (1). La proroga dello stato di emergenza nella regione Campania nel settore dello smaltimento dei rifiuti, è, ormai, una costante nella normazione d’urgenza italiana, essendosi susseguiti centinaia di provvedimenti finalizzati ad adottare misure straordinarie in relazione all’aggravamento dello stato di crisi nell’attività di smaltimento dei rifiuti da parte dei comuni sull’intero territorio di quella Regione che, anno dopo anno, hanno dimostrato il fallimento della strategia complessiva di gestione del problema rifiuti, affidato sovente a gestioni commissariali di dubbia utilità che, nonostante i superpoteri conferiti, non sono state in grado di risolvere l’annosa questione della gestione dei rifiuti campani, nonostante siano passati esattamente venti anni dal primo intervento emergenziale (2).

Prova di questo fallimento ne sono i plurimi interventi di reprimenda della Commissione europea e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Lo stato di crisi cronica della gestione dei rifiuti nella Regione Campania aveva già determinato la competente Commissione UE ad avviare un procedimento d’infrazione contro l’Italia. La Commissione, in particolare inviava nel giugno 2007 una lettera di costituzione in mora con cui chiedeva l’invio di osservazioni entro un mese, stante l’urgenza e la gravità della situazione. Si riteneva che l’Italia fosse venuta meno agli obblighi della direttiva n. 2006/12/CE sui rifiuti in particolare per i seguenti punti: 1) mancanza di una rete di impianti di smaltimento idonea ad assicurare un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute umana; 2) gravi lacune nella raccolta dei rifiuti comunali e nella lotta allo smaltimento illegale; 3) accumulo di immondizie abbandonate per strada. La Commissione riteneva, inoltre, che non solo l’Italia dovesse risolvere in tempi rapidi l’attuale crisi, ma dovesse anche creare le premesse per una raccolta e uno smaltimento compatibile con i principi fondamentali della normativa dell’UE, soprattutto allo scopo di proteggere la salute umana e tutelare l’ambiente. Nel testo della lettera si faceva infatti riferimento allo studio condotto dall’OMS che confermava il rischio elevato di mortalità e malformazioni congenite presente nelle province di Napoli e Caserta. All’esito della procedura, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (3), ha condannato la Repubblica Italiana, ai sensi dell’art. 226 CE, per la violazione degli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 4 e 5 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, n. 2006/12/CE, relativa ai rifiuti, non avendo adottato, per la regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, non avendo creato una rete adeguata e integrata di impianti di smaltimento. Dopo la sentenza della CGUE, la Regione Campania, con il supporto dello Stato, aveva effettivamente tentato di avviare la realizzazione di una serie di misure per porre rimedio allo stato di fatto accertato dalla Corte di giustizia e per affrontare le situazioni di criticità nella gestione dei rifiuti urbani che, periodicamente, si verificano in nella Regione. Tra le varie misure adottate, vi era stato anche un nuovo Piano di gestione dei rifiuti, nel cui ambito era stata pianificata la realizzazione degli impianti in questione reputata necessaria per l’efficace chiusura del ciclo di gestione. La Commissione europea, pur non avendo espresso un giudizio negativo sul piano anzidetto, aveva però rimproverato il fatto che la situazione attuale fosse ancora caratterizzata dall’instabilità e dall’insufficienza del sistema di gestione dei rifiuti ed aveva evidenziato come non fossero state individuate soluzioni per la gestione del periodo transitorio, ossia del periodo di tempo necessario per realizzare gli impianti previsti nel nuovo piano rifiuti regionale (ciò con specifico riferimento al potenziamento della raccolta differenziata e alla realizzazione di impianti di compostaggio) (4). La Commissione, pertanto, il 30 settembre 2011, aveva inviato all’Italia una lettera di messa in mora richiedendo l’invio di ulteriori informazioni entro il 15 gennaio 2012: il termine assegnato era però scaduto e solo il giorno dopo il Governo italiano era riuscito ad inviare (il 16 gennaio, quindi) un dossier per chiarire quanto fatto e quanto posto in programma. Tra gli impegni annunciati nella lettera del 16 gennaio, vi era il Piano Regionale che mirava all’obiettivo del 65% di raccolta differenziata per fine 2012 e alla realizzazione di termovalorizzatori a Napoli est, Salerno e Giugliano oltre che a taluni impianti di compostaggio a Caserta.

L’incapacità gestionale dimostrata nell’affrontare il problema ha, però, riflessi anche sul piano degli aiuti finanziari provenienti dall’UE. Ed infatti, sul tema si registra anche una “Risoluzione del Parlamento europeo del 3 febbraio 2011” sull’emergenza rifiuti in Campania (5). In tale documento, si legge che “la Commissione sta attualmente bloccando i fondi strutturali UE destinati alla Campania, fondi che saranno sbloccati non appena il piano per la gestione dei rifiuti sarà effettivamente conforme alle norme UE”: il Parlamento, inoltre, “esorta il governo italiano ad agire in questo settore conformemente al diritto UE, in particolare a osservare le due ultime sentenze della Corte di giustizia europea, a rispettare i termini di osservanza che ne derivano, fissati dalla Commissione, rettificando tutte le già ricordate violazioni del diritto UE”. Le gravi criticità della gestione e dello smaltimento dei rifiuti perduranti nel territorio della regione Campania hanno decretato l’impossibilità di attingere alle risorse finanziarie europee per poter far fronte al problema. Tali risorse sono rappresentate dal FESR, il Fondo europeo di sviluppo regionale volto a promuovere – insieme gli altri Fondi strutturali – la coesione economica e sociale nell’Unione, correggendo i principali squilibri e partecipando allo sviluppo delle regioni. A tal proposito, con una recente sentenza (6), dopo aver esaminato la formulazione letterale e il contesto del regolamento, il Tribunale europeo ha concluso che, per rifiutare pagamenti intermedi del FESR, è sufficiente che la Commissione dimostri che l’oggetto di un procedimento d’infrazione in corso è direttamente collegato alla misura cui si riferiscono le operazioni oggetto del finanziamento, dal momento che la nozione di misura ha una portata più ampia rispetto a quella di operazione. In base a questo ragionamento, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione poteva legittimamente fondare gli atti impugnati sul regolamento n. 1260/1999 sui fondi strutturali. Il ricorso per inadempimento riguardava l’intero sistema di gestione e smaltimento dei rifiuti in Campania, compresa l’inefficacia sia del recupero che della raccolta differenziata: infatti, la Corte di Giustizia, con la sentenza del 4 marzo 2010, Commissione c/Italia (C-297/08) aveva acclarato che il tasso di raccolta differenziata dei rifiuti nella regione Campania era molto basso rispetto alla media nazionale e dell’Unione e che gli impianti esistenti e in funzione nella regione erano ben lontani dal soddisfare le esigenze reali. Alla luce di ciò appare chiaro che – all’opposto di quanto sostenuto dall’Italia – nell’oggetto del procedimento d’infrazione rientrava l’insufficienza della raccolta differenziata come un elemento a monte, che aggravava le carenze del sistema di gestione dei rifiuti nel suo complesso. Il nesso tra l’oggetto del procedimento d’infrazione e la misura era dato dal fatto che, come detto, la misura 1.7 del PO Campania comprendeva interventi per la creazione di un sistema di raccolta differenziata dei rifiuti urbani e la realizzazione di discariche per lo smaltimento dei rifiuti a valle della raccolta differenziata. Per tale motivo, il Tribunale ha respinto i due ricorsi dell’Italia.

Infine, nel solco della tradizione italica ispirata al principio che “non ci facciamo mancare nulla”, sono pure intervenute alcune sentenze di condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Strasburgo, in particolare, non solo ha spazzato (visto che stiamo parlando di rifiuti) le nostre difese, respingendo la qualificazione dello stato di crisi come situazione di forza maggiore, sostenuta dal Governo (7), ma ha anche senza mezzi termini affermato che l’incapacità protratta delle autorità italiane di assicurare un corretto funzionamento del servizio di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania ha leso il diritto dei cittadini al rispetto della loro vita privata e del loro domicilio, in violazione dell’art. 8 della Convenzione sotto il suo profilo materiale (8).

Il D.L. n. 136/2013, quindi, rappresenta l’ennesimo tentativo di intervenire su un problema ormai endemico e poco emergenziale, essendosi ormai il problema della gestione dei rifiuti nel territorio campano, purtroppo, stabilizzato. Consapevoli, dunque, della natura di ennesimo “pannicello caldo” del provvedimento normativo in esame, tenteremo di illustrarne le novità, ricordando come la prima parte del decreto reca disposizioni volte a far fronte alla grave situazione di emergenza ambientale nel territorio compreso tra le province di Napoli e Caserta, interessato dal fenomeno dei roghi di rifiuti tossici, denominato “Terra dei fuochi”, mentre, il secondo gruppo di disposizioni, modifica la disciplina degli stabilimenti di interesse strategico nazionale, e segnatamente dell’Ilva di Taranto. Ulteriori disposizioni riguardano, inoltre, la proroga di alcune gestioni commissariali e la disciplina dei commissari per la difesa del suolo. Concentreremo l’attenzione, come anticipato, esclusivamente sul primo gruppo di norme.

La mappatura dei terreni agricoli in Campania e la bonifica dei siti

Venendo, in particolare, ai contenuti del D.L. n. 136/2013, come convertito in legge n. 6/2014, converrà ricordare come i primi due articoli del testo disciplinano, anzitutto (art. 1) lo svolgimento di indagini tecniche per la mappatura, anche mediante strumenti di telerilevamento, dei terreni della regione Campania destinati all’agricoltura. In esito alle predette indagini, si prevede l’indicazione dei terreni che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare, ma esclusivamente a colture diverse, in considerazione delle capacità fitodepurative, nonché di quelli da destinare solo a determinate produzioni agroalimentari. Nel corso dell’esame parlamentare, sono stati assegnati ulteriori stanziamenti allo svolgimento delle indagini ed è stato previsto che esse sono svolte unitamente alla verifica e alla ricognizione dei dati in possesso delle autorità competenti.

Per agevolare lo svolgimento delle indagini tecniche e per garantire la tutela agro-ambientale, sono stati, altresì, incrementati gli stanziamenti in favore del Corpo forestale dello Stato. È stato, poi, disciplinata (art. 2) l’istituzione di un Comitato interministeriale e di una Commissione, con l’obiettivo di individuare e potenziare azioni e interventi di monitoraggio e di tutela ambientale nelle acque di falda, nei pozzi e nei terreni agricoli della regione Campania che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare, ma esclusivamente a colture diverse, nonché di quelli da destinare solo a determinate produzioni agroalimentari. Alla Commissione è affidato il compito di coordinare un programma straordinario e urgente d’interventi, finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei predetti territori. La Commissione deve, inoltre, prevedere, nell’ambito degli interventi di bonifica e riequilibrio dell’ecosistema, l’utilizzo di sistemi naturali rigenerativi e agro-ecologici, attraverso piante con proprietà fitodepurative previste dalla legislazione vigente. Si prevede, inoltre, che tra i soggetti attuatori degli interventi di bonifica, sono individuate anche le società partecipate della regione che operano in tali ambiti.

Nel corso dell’esame parlamentare, sono stati introdotti specifici obblighi di pubblicità dei dati, nonché è stata prevista la possibilità di costituire consigli consultivi della comunità locale. Tale disposizione è stata ulteriormente modificata nel corso dell’esame parlamentare, al fine di prevedere che la regione Campania trasmetta le deliberazioni assunte dai consigli consultivi della comunità locale alla Commissione che le valuta ai fini dell’assunzione delle iniziative di competenza da rendere pubbliche con strumenti idonei. Nel corso dell’esame parlamentare, poi, è stata riformulata la disposizione inserita dalla Commissione di merito, che prevedeva la destinazione delle somme di denaro o delle risorse oggetto di confisca agli interventi di bonifica della regione Campania. In conseguenza di tale modifica, si specifica che una quota del Fondo unico giustizia, che concorre alla realizzazione d’interventi prioritari di messa in sicurezza e bonifica della regione Campania, è determinata annualmente in funzione delle somme di denaro e dei proventi derivanti dalla vendita di beni mobili e dalle attività finanziarie confiscati a seguito dell’emanazione di sentenze definitive o dell’applicazione di misure di prevenzione nell’ambito di procedimenti penali a carico della criminalità organizzata per la repressione di talune fattispecie di reato (traffico illecito di rifiuti) commesse nel territorio della regione Campania.

Nel corso dell’esame parlamentare, è stata inserita una norma (art. 2 bis), che individua nel Prefetto di Napoli l’organo di coordinamento delle attività volte ad evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata nell’esecuzione dei contratti pubblici e nell’erogazione di provvidenze connesse all’attività di monitoraggio e bonifica delle aree inquinate della regione Campania. La norma prevede, inoltre, l’istituzione di una sezione specializzata del Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere e del Gruppo interforze per il monitoraggio e le bonifiche delle aree inquinate. Si stabilisce, inoltre, che i controlli antimafia sui contratti pubblici sono effettuati con l’osservanza delle linee guida indicate dal Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere, anche in deroga a quanto previsto dal codice antimafia.

Il Governo, stavolta, sembrerebbe fare sul serio. Ed invero, a distanza di pochi giorni dal varo del D.L. n. 136/2013, il Ministero della salute, di concerto con i Ministeri della Politiche agricole e dell’Ambiente, ha diramato apposite istruzioni (9), definendo gli indirizzi comuni per lo svolgimento di tali indagini, nominando il gruppo di lavoro per l’esame e la valutazione dei dati, e, soprattutto, definendo le priorità di intervento di tale gruppo di lavoro. Vedremo quali ne saranno gli esiti, per il momento, va al Governo il plauso di essere intervenuto rapidamente, quantomeno sulla carta.

Il reato di combustione illecita dei rifiuti, l’utilizzo del personale delle forze armate ed il nuovo obbligo di informazione del PM

Indubbiamente la più rilevante novità introdotta dal D.L. n. 136/2013 è quella dell’inserimento nel catalogo dei reati ambientali del nuovo illecito penale di combustione illecita di rifiuti. Rinviando nelle pagine che seguono l’approfondimento, è utile indicare sin d’ora i tre principali elementi innovativi dell’intervento legislativo: a) anzitutto, il comma 1 dell’art. 3 introduce nel D.Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice ambientale) una specifica figura di reato – relativa alla combustione illecita di rifiuti – attualmente assente dall’ordinamento. Il nuovo art. 256 bis prevede per i roghi illeciti la reclusione da 2 a 5 anni, specifiche ipotesi aggravate, la confisca dei mezzi usati per il trasporto dei rifiuti da bruciare nonché la confisca delle aree dove è commesso il reato. Nel corso dell’esame parlamentare, l’art. 3 è stato modificato, prevedendo l’obbligo del ripristino dello stato dei luoghi o del pagamento delle spese relative alla bonifica da parte del responsabile del reato, nonché l’aumento della pena in determinate fattispecie; b) in secondo luogo, il comma 2 dell’art. 3 prevede la possibilità che i prefetti delle province della regione Campania, nell’ambito delle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio, si avvalgano di personale militare delle forze armate (850 unità di personale); c) infine, l’art. 4 estende gli obblighi d’informazione del PM in sede di esercizio dell’azione penale anche in relazione ai reati ambientali previsti dal Codice dell’ambiente (D.Lgs. n. 152/2006) e dal codice penale.

Il reato di combustione illecita dei rifiuti

Muovendo, anzitutto, dall’esame del nuovo illecito, l’art. 3 affronta sul piano sanzionatorio la grave situazione dei roghi illeciti nella c.d. terra dei fuochi (la nota porzione di territorio campano compreso tra le province di Napoli e Caserta) attraverso l’introduzione nel D.Lgs. n. 152/2006 di una specifica figura di reato – relativa alla combustione illecita di rifiuti – attualmente assente dall’ordinamento. Il nuovo reato si aggiunge alle già esistenti fattispecie penali di abbandono di rifiuti e gestione non autorizzata di rifiuti (artt. 255 e 256 del D.Lgs. n. 152/2006). Infatti, in base alla normativa previgente al D.L., bruciare rifiuti, anche occasionalmente integrava, nell’ambito della più ampia categoria di gestione non autorizzata di rifiuti di cui all’art. 256 del Codice dell’ambiente, il reato di smaltimento illecito che si realizza nello smaltire rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione. Si tratta, tuttavia, di un reato d’impresa (essendo sanzionabili i soli titolari d’imprese ed i responsabili di enti) punito solo in via contravvenzionale con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 2.600 a 26.000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con identica ammenda da 2.600 a 26.000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi. Il Codice dell’ambiente prevede, inoltre (art. 255, comma 1), un ulteriore illecito consistente nell’abbandono illecito di rifiuti, sanzionato per via amministrativa, solitamente preparatorio e complementare a quello di illecita combustione introdotto dall’art. 3 del D.L. n. 136/2013 (10). Lo stesso reato d’incendio, di cui all’art. 423 c.p. (punito con la reclusione da 3 a 7 anni) – come affermato dalla stessa “Relazione al D.L.” – non è applicabile nel caso degli incendi, pur pericolosi ma di modeste proporzioni nella terra dei fuochi. Giurisprudenza concorde, infatti, distingue il concetto di fuoco da quello d’incendio, ravvisando il reato di cui all’art. 423 c.p. solo in presenza di incendi di notevole proporzioni, ritenendo che la mera accensione del fuoco, dovuta, a fatto del soggetto cui si addebita l’incendio colposo (o a qualsiasi altra causa), è giuridicamente irrilevante: assume rilievo esclusivamente il perché, ad opera di quali cause, per quali comportamenti, cui risulti estraneo l’intento di provocare l’incendio, il fuoco sia divampato assumendo le caratteristiche della vastità, diffusibilità e difficoltà di estinzione (11).

Il nuovo art. 256 bis D.Lgs. n. 152/2006, introduce, quindi, nel Codice dell’ambiente la combustione illecita (ma che bisogno c’era di aggettivarla…) di rifiuti, reato doloso comune (a differenza dello smaltimento illecito, può essere commesso “da chiunque”) il cui elemento materiale consiste nell’appiccare il fuoco a rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata (12). La pena prevista per i roghi illeciti è la reclusione da 2 a 5 anni; la stessa pena è applicabile anche al reato preparatorio ovvero all’abbandono illecito di rifiuti (art. 255, comma 1), all’attività di gestione di rifiuti non autorizzata, e al traffico illecito di rifiuti, ove finalizzato alla loro combustione illecita. Stante il limite massimo di pena, per il reato di cui all’art. 256 bis è quindi ammessa, ai sensi dell’articolo 280 c.p.p. la custodia cautelare in carcere. L’art. 256 bis, nella sua originaria stesura, prevede tre circostanze aggravanti: a) se la combustione illecita riguarda rifiuti pericolosi, la pena è la reclusione da tre a sei anni (comma 1); b) se avviene nell’ambito dell’attività di un’impresa o comunque di un’attività organizzata la pena è aumentata di un terzo (comma 3); c) se è commessa in territori che, al momento del reato e comunque nei 5 anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge n. 225/1992, la pena è aumentata (comma 4). Non essendo stata originariamente determinata l’entità dell’aumento, si riteneva potesse arrivare fino ad un terzo.

Il comma 5 dell’art. 256 bis prevede, inoltre: a) analogamente a quanto avviene in relazione al traffico illecito di rifiuti (di cui all’art. 259, D.Lgs. n. 152/2006), la confisca dei mezzi di trasporto utilizzati “per la commissione dei delitti di cui al comma 1” ovvero per la combustione illecita di rifiuti abbandonati e di rifiuti pericolosi; esclude la confisca la circostanza che il mezzo appartenga a persona estranea al reato che dimostri la sua buona fede; b) la confisca dei terreni sui quali sono stati bruciati i rifiuti, se di proprietà dell’autore o compartecipe dei roghi illeciti; restano fermi a carico dell’autore del reato gli obblighi di bonifica ambientale e ripristino dello stato dei luoghi. Il comma 6 dell’art. 256 bis prevede infine che – se ad essere bruciati illecitamente sono rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, come giardini, parchi e aree cimiteriali – si applicano le sanzioni amministrative pecuniarie previste dall’art. 255 TUA per l’abbandono di rifiuti (sanzione da 300 euro a 3.000 euro).

Nel corso dell’esame parlamentare sono state apportate alcune modifiche alla formulazione del nuovo art. 256 bis introdotto dal comma 1 dell’art. 3, D.L. n. 136/2013. In particolare, è stata prevista la sussistenza del delitto di combustione illecita di rifiuti se è appiccato il fuoco a rifiuti depositati in maniera incontrollata in qualsiasi tipo di area (sopprimendo il riferimento alle sole aree non autorizzate) ed è stato stabilito per chi commette il reato di combustione illecita di rifiuti, l’obbligo del ripristino dello stato dei luoghi o del pagamento delle spese relative alla bonifica. Le sanzioni previste dal comma 1 del citato art. 256 bis sono state estese anche alle condotte di reato di cui agli artt. 256 (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata) e 259 (traffico illecito di rifiuti) TUA, ove finalizzate alla successiva combustione illecita dei rifiuti. È stata, poi, apportata una modifica di coordinamento ai commi 3 e 4 del predetto art. 256 bis, sostituendo le parole “delitti” e “fatti” rispettivamente con le parole “delitto” e “fatto”. È stato, inoltre, modificato il comma 3 dell’art. 256 bis, prevedendo una responsabilità per omessa vigilanza (sugli autori del reato) a carico del titolare dell’impresa o del responsabile dell’attività illecita organizzata. A tali soggetti si applicano altresì sanzioni amministrative interdittive previste dal D.Lgs. n. 231/2001 (interdizione dell’esercizio dell’attività, sospensione o revoca delle autorizzazioni, divieto di contrattazione con la PA, esclusioni e revoca da finanziamenti, sussidi, ecc.). Infine, si è intervenuti sul comma 4 del nuovo art. 256 bis, prevedendo un aumento di pena di un terzo (e non fino ad un terzo come nel testo originario del decreto legge) per l’ipotesi in cui il fatto sia commesso in territori già oggetto di dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti, nonché sul comma 5 ridisciplinando l’obbligo di confisca dei mezzi di trasporto dei rifiuti oggetto dei roghi illeciti. Ancora con riferimento al comma 5 si è sostituita la locuzione compartecipe del reato con quella di concorrente nel reato.

Ciò detto, sarà utile operare qualche considerazione sulla nuova fattispecie.

Anzitutto, va rilevato che l’utilizzo del termine appicca contenuto nella nuova disposizione, è sintomatica della necessità di accertare la sussistenza del dolo intenzionale in capo all’autore del fatto. Diversamente, si concorda con chi (13) ritiene che la previsione del comma 2 (secondo cui le pene di cui al comma 1 “si applicano a colui che tiene le condotte di cui all’art. 255, comma 1 e le condotte di reato di cui agli artt. 256 e 259 in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti”) richiedendo una “funzionalizzazione della condotta alla successiva combustione illecita”, sembra richiedere la sussistenza del dolo specifico, ai fini dell’integrazione della colpevolezza per le due ipotesi di reato in questione, a differenza di quella del comma 1 (14). Altro rilievo a caldo, riguarda l’oggetto materiale del reato, precisando la norma che il fatto deve riguardare “rifiuti abbandonati, ovvero depositati in maniera incontrollata”, essendo stato soppresso in sede di esame parlamentare, l’inciso finale “in aree non autorizzate”; la ratio della soppressione va ravvisata nell’esigenza di consentire l’applicazione della fattispecie ai roghi di rifiuti depositati in qualsiasi tipo di area (15). Come osservato in dottrina, non assume rilievo, dunque, il solo dato che oggetto del rogo sia il rifiuto, essendo necessario anche che questo si trovi in una collocazione non consona (16).

Venendo, poi, ad esaminare la disciplina sanzionatoria aggravata, va subito chiarito che nel caso in cui la condotta abbia ad oggetto rifiuti pericolosi si è in presenza di una fattispecie autonoma e non di circostanza aggravante (17). La pena, poi, è aumentata se i rifiuti sui si appicca il fuoco sono “pericolosi”. E qui possono ravvisarsi problemi. Il “rifiuto” è indubbiamente un elemento normativo della fattispecie; il TUA qualifica come tale (art. 183, comma 1, lett. a) “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi”. Orbene, leggendo la nuova disposizione si evince chiaramente che affinché possa dirsi integrato il nuovo art. 256 bis, è necessario che il reo sia consapevole (visto che si parla di reato doloso) non soltanto di appiccare il fuoco ad un rifiuto, ma anche che lo stesso sia abbandonato ovvero depositato in maniera incontrollata. Ed allora, l’indagine sull’elemento psicologico sarà ancora più difficile se la combustione riguarda rifiuti pericolosi, posto che la stessa giurisprudenza della Cassazione ha affermato che, a seguito della entrata in vigore del nuovo elenco dei rifiuti pericolosi dal 1° gennaio 2002 (decisione CE 3 maggio 2000, n. 532 e succ. modd.), l’accertamento della pericolosità di un rifiuto prescinde dal riferimento alla sostanza in esso contenuta per i rifiuti contrassegnati da un asterisco, per i quali vige una presunzione assoluta di pericolosità mentre, per i rifiuti in relazione ai quali la pericolosità viene fatta derivare dalle sostanze pericolose in essi contenute, è necessaria un’analisi per accertare se tali sostanze eccedano i limiti stabiliti (18). Ed allora, sarà agevole per il reo, al fine di evitare l’applicazione della più grave sanzione, limitarsi ad affermare di non aver avuto cognizione che si trattasse di rifiuti pericolosi, tenuto conto della particolare tipologia di accertamento (codice CER o analisi) richiesta per la qualificazione del rifiuto come pericoloso, sicché l’applicazione della sanzione più elevata sembra relegata a casi davvero sporadici.

Per il resto, nel rinviare all’approfondimento operato da autorevole dottrina (19), non può non condividersi la lucida critica al testo dalla stessa operata che, sulla novità legislativa, avanzava dubbi e perplessità, denunciando come, ancora una volta, si abbia l’impressione (quasi una certezza, n.d.r.) che il diritto penale dell’Ambiente sia visto come un diritto penale simbolico e “di compromesso per essere le norme spesso redatte in maniera così sapientemente scorretta da renderle inapplicabili nel caso concreto”.

L’utilizzo del personale delle FF.AA.

Il secondo intervento, prevede la possibilità che i prefetti delle province della regione Campania, nell’ambito delle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio finalizzate alla prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale e nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili di cui all’art. 1, comma 264, della legge di stabilità per il 2014, si avvalgano di personale militare delle forze armate – nel numero massimo di 850 unità- posto a loro disposizione dalle competenti autorità militari ai sensi dell’art. 13 della legge n. 121/1981 (20). Il comma 2 bis specifica che, nel corso delle predette operazioni, i militari delle Forze armate agiscono con le funzioni di agenti di pubblica sicurezza. Il comma 2 ter, stabilisce che il richiamato personale militare è posto a disposizione dei prefetti interessati fino al 31 dicembre 2014. Il comma 2 quater, riconosce agli ufficiali, sottufficiali e militari di truppa delle Forze armate compresi nei contingenti di cui sopra, una indennità onnicomprensiva, aggiuntiva al trattamento stipendiale o alla paga giornaliera, determinata con decreto nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili di cui al comma 2, che non può superare il trattamento economico accessorio previsto per il personale delle Forze di polizia. Il comma 2 quater.1, introdotto anch’esso in sede di conversione, stabilisce che ai fini dell’attuazione del comma 2, venga trasmesso dal Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero della difesa, al Ministero dell’economia e delle finanze un programma per l’utilizzo delle risorse finanziarie recate dalla legge di stabilità per il 2014 per l’impiego delle FFAA e di polizia nel controllo del territorio, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. Sempre in sede di conversione, è stato aggiunto all’art. 3 il comma 2 quinquies, aumentando di 2,5 milioni di euro, a partire dal 2014, lo stanziamento annuo per il Programma “Interventi per soccorsi” della flotta aerea del Corpo forestale dello Stato, al fine di agevolare le indagini tecniche da parte degli enti indicati dal comma 2 dell’art. 1 del D.L. in esame, nonché di garantire livelli adeguati di tutela agro-ambientale, anche attraverso il monitoraggio del territorio rurale e la lotta alla combustione dei rifiuti in aree a vocazione agricola.

Meritoria, senza dubbio, ma non è certo con quali risultati, visti i precedenti, la decisione di ricorrere, ancora una volta, alle Forze Armate per ragioni di tutela ambientale (21). La possibilità di fare ricorso alle Forze armate, per lo svolgimento di compiti di sorveglianza e vigilanza del territorio, era stata, infatti, prevista in diversi provvedimenti d’urgenza. In particolare, la possibilità di fare ricorso alle Forze armate per lo svolgimento di compiti di sorveglianza e vigilanza del territorio, con particolare riferimento alle aree d’interesse strategico nazionale destinate alla raccolta e al trasporto dei rifiuti nella Regione Campania, era stata prevista dall’art. 2 del D.L. 23 maggio 2008, n. 90, per l’approntamento dei cantieri e dei siti, per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti, ed era stato altresì previsto il concorso delle Forze armate stesse unitamente alle Forze di polizia, per la vigilanza e la protezione dei suddetti cantieri e siti. L’art. 7 bis del D.L. n. 92/2008, aveva consentito l’utilizzo da parte dei prefetti, per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, di un contingente massimo di 3.000 militari per una durata massima di sei mesi, rinnovabile una sola volta. Successivamente, l’art. 2 del D.L. n. 151/2008, aveva autorizzato l’impiego, fino al 31 dicembre 2008 di ulteriori 500 unità nelle aree ove si ritenesse necessario assicurare, in presenza di fenomeni di emergenza criminale, un più efficace controllo del territorio. In seguito, l’art. 24, comma 74, del D.L. n. 78/2009 aveva autorizzato la proroga, dal 4 agosto 2009, del piano di impiego delle Forze armate nel controllo del territorio in concorso con le Forze di polizia; la proroga, nello specifico, poteva essere disposta per ulteriori due semestri, con incremento del contingente di 1.250 militari, per un totale complessivo di 4.250 unità. Da ultimo, il D.L. n. 95/2012 (c.d. spending review) aveva consentito di prorogare, a decorrere dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2013, gli interventi di impiego del personale delle Forze armate impiegate nelle operazioni di controllo del territorio. Inoltre, il comma 11 ter dell’art. 12 del D.L. n. 16 del 2012 (c.d. semplificazioni tributarie), al fine di evitare interruzioni o turbamenti alla regolarità della gestione del termovalorizzatore di Acerra, aveva previsto la possibilità di mantenere, su richiesta della Regione Campania, per la durata di 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (29 aprile 2012), il presidio militare di cui all’art. 5 del D.L. n. 195/2009, con oneri quantificati in oltre un milione di euro, a carico della quota, spettante alla regione Campania, dai ricavi derivanti dalla vendita dell’energia. In tempi più remoti, gli artt. 18 e 19, legge 26 marzo 2001, n. 128, avevano attribuito alle Forze armate impegnate nel controllo degli obiettivi fissi alcune funzioni proprie delle autorità di pubblica sicurezza, in casi eccezionali di necessità ed urgenza.

Il fatto stesso che si sia reso, ancora una volta, necessario il ricorso alle Forze Armate, dimostra però l’incapacità di assicurare, ordinariamente, il controllo di quei territori, costituendo ciò motivo di ulteriore preoccupazione sulle possibilità di successo di quest’ennesimo intervento normativo “emergenziale”.

Un nuovo obbligo d’informazione del P.M.

Terzo elemento di novità, è rappresentato dalla previsione, introdotta dall’art. 4 del D.L. n. 136/2013, che integra con un comma 3 ter l’art. 129 disp. att. c.p.p. Tale disposizione, nella formulazione previgente prevedeva che, quando esercita l’azione penale nei confronti di un dipendente pubblico, il pubblico ministero informa dell’imputazione l’autorità presso cui l’impiegato presta servizio (22). Il pubblico ministero invia l’informazione contenente l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate anche quando taluno dei soggetti per i quali è previsto il predetto obbligo di comunicazione è stato arrestato o fermato ovvero si trova in stato di custodia cautelare (comma 3 bis). Il comma 3 ter in questione stabilisce che il PM, quando esercita l’azione penale per reati ambientali ai sensi dell’articolo 405 c.p.c.: a) debba informare, con il Ministero dell’ambiente, anche la regione interessata dal reato ambientale se quest’ultimo è tra quelli contemplati dal relativo Codice ovvero arrechi un pericolo o un pregiudizio per l’ambiente; b) debba informare, nella stessa ipotesi, anche il Ministero della salute o il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali se l’azione penale riguarda un reato che comporti, rispettivamente, un concreto pericolo alla tutela della salute o alla sicurezza agroalimentare; c) il terzo periodo del comma 3 ter prevede che il PM, nell’informare l’autorità amministrativa, indichi le norme di legge che si ritengono violate anche quando l’indagato per i reati in questione sia stato arrestato o fermato ovvero si trova in stato di custodia cautelare.

Si noti che, in sede di esame parlamentare, sono state apportate diverse modifiche all’art. 4. In particolare è stato modificato il nuovo comma 3 ter del citato art. 129, al fine di precisare, che il PM è tenuto alla comunicazione al Ministero dell’ambiente e alla Regione non solo quando l’esercizio dell’azione penale riguardi reati previsti dal Codice dell’ambiente o dal codice penale, ma anche quando si tratti di reati previsti da leggi speciali, sempre che gli stessi comportino un pericolo o un pregiudizio per l’ambiente. Un’ulteriore modifica è intervenuta sul terzo periodo del citato comma 3 ter, sopprimendo il richiamo alla possibile custodia cautelare dell’indagato (23). Infine, è stato aggiunto un ultimo periodo al comma 3 ter, per specificare che, nelle more del processo penale, i procedimenti di competenza dei Ministeri dell’ambiente, della salute o delle politiche agricole e alimentari, o delle Regioni, che abbiano ad oggetto, in tutto o in parte, fatti per i quali procede l’autorità giudiziaria, possono essere avviati o proseguiti. Per le infrazioni di maggiore gravità, sanzionate con la revoca di autorizzazioni o la chiusura d’impianti, l’ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell’accertamento dei fatti addebitati, può sospendere il procedimento amministrativo fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare strumenti cautelari.

Conclusioni

Al termine di questo sintetico commento alle novità introdotte dal D.L. “Terra dei fuochi” e dalla sua legge di conversione, il lettore avrà chiaramente compreso della diffidenza di chi scrive rispetto a disposizioni emergenziali che tali non sono, inserendosi in una strategia normativa poco comprensibile, dopo venti anni di inutili interventi di analogo tenore per risolvere il problema della gestione illecita dei rifiuti. C’è, in particolare, la definizione del reato di incendio di rifiuti, che qualche problemino applicativo, come visto, sicuramente lo darà, ma soprattutto ciò che è singolare nella strategia di contrasto attuata dal legislatore, è che vengono ad essere colpiti gli esecutori, restando però tutto come prima quanto ai controlli sulla filiera e, quindi, sulle aziende che smaltiscono illecitamente i rifiuti. Lo stesso ennesimo ricorso alle Forze Armate, poi, lascia adito a più di qualche dubbio. L’uso dei militari dovrebbe essere finalizzato solo a liberare altre forze dell’ordine da altre mansioni per poterle più efficacemente utilizzare sul territorio ad eseguire controlli. Ma proprio in quei territori, nel settore delle attività di contrasto ambientale delle forze dell’ordine, v’è sempre stata una carenza di risorse umane che, con gli attuali ranghi, pur compiendo sforzi sovraumani, non riescono a garantire adeguatamente il servizio: ed allora è chiaro che l’uso delle FF.AA., in realtà, non riuscirà a liberare nessuno (o pochissime risorse) da altri compiti. Infine, ciò appare anche sotto certi aspetti mortificante per la professionalità dei militari, chiamati a controllare armati fino ai denti il cumulo di rifiuti per impedire che qualcuno gli appicchi il fuoco. Immagine ad effetto certamente, ma è dubbio che serva davvero a risolvere i veri problemi di una bellissima terra che non vorremmo più sentire etichettare come “dei fuochi”, espressione che troppo assonante al celebre, ma dissacrante, “terra dei cachi” di una canzoncina (pur di successo) di qualche tempo fa.

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(1) Si pensi, da ultimo, al luttuoso evento sismico che ha interessato nell’aprile 2009 la regione Abruzzo. Con il D.L. 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modd. in legge 24 giugno 2009, n. 77, sono state infatti introdotte deroghe per lo stoccaggio, il trasporto e lo smaltimento dei materiali provenienti da demolizioni. Ancora, si pensi alle analoghe disposizioni dettate in occasione dell’ulteriore evento sismico che ha interessato nel maggio 2012 la regione Emilia Romagna, con il D.L. n. 74 del 6 giugno 2012.

(2) Lo stato di emergenza nel “settore dello smaltimento dei rifiuti solidi-urbani ed assimilabili, speciali, tossico nocivi nella Regione Campania” fu, infatti, dichiarato per la prima volta con D.P.C.M. dell’11 febbraio 1994.

(3) Sentenza in causa C- 297/08, pubblicata il 4 marzo 2010.

(4) Sui richiami della Commissione, vedi anche la Dichiarazione del Commissario per l’Ambiente Janez Potocnik sulla crisi dei rifiuti in corso in Campania (Italia): MEMO/10/622 Brussels, 26 November 2010.

(5) In GUUE 22 giugno 2012, C 182.

(6) Tribunale UE (sez. I), sentenza 19 aprile 2013 (cause riunite T-99/09 e T-308/09), Italia c/ Commissione.

(7) Ricordano i giudici di Strasburgo che l’art. 23 degli articoli della Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite sulla responsabilità dello Stato per atto internazionalmente illecito, definisce la forza maggiore come forza irresistibile o avvenimento imprevedibile, fuori dal controllo dello Stato, che rende materialmente impossibile, nelle circostanze, agire in conformità all’obbligo.

(8) Il riferimento è al noto caso Di Sarno c. Italia deciso il 10 gennaio 2012 dalla sez. II della Corte di Strasburgo (Requ. n. 30765/08). Si noti, peraltro, che la Corte europea ha altresì constatato la violazione dell’art. 13 della Convenzione, stante la mancanza di vie di ricorso utili ed effettive che permettano di sollevare, innanzi alle autorità nazionali, motivi di ricorso che attengono alle conseguenze pregiudizievoli per i ricorrenti della cattiva gestione del servizio di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti.

(9) Direttiva Ministeriale recante “Indicazioni per lo svolgimento delle indagini tecniche per la mappatura dei terreni della Regione Campania destinati all’agricoltura di cui all’art. 1, comma 1, del D.L. 10 dicembre 2013, n. 136“, su http://www.salute.gov.it/imgs/C17notizie1394listaFileitemName0file.pdf.

(10) L’illecito punisce chiunque abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee con la sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 3.000 euro. Se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio.

(11) Si veda, ad es., Cass, sez. IV, 6 dicembre 1988, n. 2805 – dep. 20 febbraio 1989, B., in CED Cass., n. 180588 che ravvisa il reato di incendio “solo quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone”; nello stesso senso, Cass., sez. I, 14 gennaio 2009, n. 4417 – dep. 2 febbraio 2009, R.B., in CED Cass., n. 242794. Si noti, inoltre, che Cass., sez. I, 27 marzo 1995, n. 1802 – dep. 2 maggio 1995, P.M. in proc. D., in CED Cass., n. 201619 e Cass., sez. IV, 5 dicembre 2003, n. 4981 – dep. 6 febbraio 2004, P.G. in proc. L. ed altri, in CED Cass., n. 229670, precisano che il delitto di incendio “deve essere caratterizzato dalla vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento…”.

(12) All’opportunità dell’inserimento nel D.Lgs. n. 152/2006 di una nuova specifica fattispecie di reato volta a reprimere i roghi illeciti nella terra dei fuochi ha fatto esplicito riferimento il Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti, sentito in audizione il 12 novembre 2013 dalla Commissione Giustizia della Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva in merito all’esame delle proposte di legge C. 957 (Micillo) e C. 342 (Realacci), recanti disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente e l’azione di risarcimento del danno ambientale, nonché delega al governo per il coordinamento delle disposizioni riguardanti gli illeciti in materia ambientale.

(13) Si veda A. Corbo, Commento alla legge di conversione n. 6/2014 del d.l. terra dei fuochi, Rel. n. III/02/2014, 17 febbraio 2014, in www.cortedicassazione.it.

(14) Interessante, peraltro, quanto sostenuto da A. Alberico (Il nuovo reato di “combustione illecita di rifiuti“, in www.penalecontemporaneo.it) che manifesta perplessità circa l’equiparazione sanzionatoria tra l’ipotesi del comma 2 e quella del comma 1, scelta che “sembra ridare lustro alla voce dei seguaci dell’ultima versione della dottrina finalistica dell’azione (del personales Unrecht), i quali, concentrando l’attenzione sul disvalore di azione, finirono per affermare l’identità tra delitto tentato e delitto consumato”.

(15) Si veda scheda dei lavori preparatori al d.d.l. A.C. 1885-A in relazione agli emendamenti approvati dalla VII Commissione.

(16) Così, C. Ruga Riva, Il decreto “Terra dei fuochi”: un commento a caldo…, in www.lexambiente.it.

(17) Così anche A. Corbo, Decreto “Terra dei fuochi” – Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario, Relazione n. III/04/2013 del 18 dicembre 2013.

(18) Così, Cass., sez. III, 11 marzo 2009, n. 19882 – dep. 11 maggio 2009, C., in CED Cass., n. 243718.

(19) Si rinvia, per un più approfondito commento, alle riflessioni A.L. Vergine, Tanto tuonò….che piovve! A proposito dell’art. 3, D.L. n. 136/2013, in questa Rivista, 2014, 1, 7 ss.

(20) L’art. 13 della legge n. 121/1981 stabilisce che il prefetto è l’autorità provinciale di pubblica sicurezza e ne definisce i compiti stabilendo, tra l’altro, che questi “dispone della forza pubblica e delle altre forze eventualmente poste a sua disposizione in base alle leggi vigenti e ne coordina le attività”.

(21) Va ricordato che il principale riferimento normativo in merito alle possibilità di impiego delle Forze armate in compiti di ordine pubblico, già contenuto nell’art. 1 della legge 11 luglio 1978, n. 382 è ora rappresentato dall’art. 89, D.Lgs. n. 66/2010, recante il c.d. Codice dell’ordinamento militare, il quale include tra i compiti delle Forze Armate, oltre alla difesa della patria, il concorso alla “salvaguardia delle libere istituzioni“. Le funzioni attribuite ai militari sono analoghe a quelle già riconosciute alle Forze armate, nell’ambito dell’operazione “Vespri siciliani“, dal D.L. 25 luglio 1992, n. 349, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 settembre 1992, n. 386, e successivamente estese alla Calabria, al comune di Napoli ed al Friuli Venezia-Giulia, e reiterate nel tempo da una serie di decreti legge.

(22) Analoga comunicazione va data al comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato in relazione a loro dipendenti (comma 1). Quando l’azione penale è esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico, l’informazione è inviata all’Ordinario della diocesi a cui appartiene l’imputato (comma 2). Se l’azione penale è esercitata per un reato che ha cagionato un danno erariale, il PM informa il procuratore generale presso la Corte dei conti (comma 3).

(23) Come correttamente evidenziato in dottrina, in questo modo, sono state eliminate anche le perplessità interpretative, che sorgevano dalla pertinente previsione contenuta nel testo originario dell’art. 4 del D.L. n. 136/2013 e che avevano riguardo all’esatta individuazione delle situazioni in cui sarebbe venuto in essere l’obbligo informativo gravante sul pubblico ministero (si veda A. Corbo, Commento alla legge di conversione n. 6/2014 del D.L. terra dei fuochi, Rel. n. III/02/2014, 17 febbraio 2014, in www.cortedicassazione.it).

 

Magistrato ordinario dal 1993, è attualmente Consigliere della Corte Suprema di Cassazione, assegnato alla Sezione III penale, competente tabellarmente per la trattazione dei reati ambientali. Docente presso le Scuola di Specializzazione per le professioni legali presso le Università degli Studi di Firenze e Siena, è docente nei corsi di formazione organizzati dalla Scuola Superiore della Magistratura nelle tematiche dell’ambiente e della disciplina in materia di prevenzione infortuni. Tra le sue pubblicazioni: Le armi e gli esplosivi nella legislazione vigente: esposizione coordinata e sistematica dei principali testi di legge in materia, di Cantagalli – Baglione – Scarcella, Laurus Robuffo, 2002; L’autorizzazione integrata ambientale: il nuovo sistema unitario di prevenzione e controllo delle fonti inquinanti dell’ambiente - principi, procedure e sistema sanzionatorio, Giuffrè, 2005; Codice dell'ambiente: aggiornato ai decreti correttivi del 2010, Laurus, 2011; Banca dati nazionale del DNA e prelievo di materiale biologico, di Tonini - Felicioni – Scarcella, Ipsoa, 2009; Prelievo del DNA e banca dati nazionale: il processo penale tra accertamento del fatto e cooperazione internazionale (Legge 30 giugno 2009, n. 85), a cura di Scarcella, CEDAM, 2009; La tutela penale del territorio e del paesaggio: condono edilizio ed ambientale, Buzzegoli – Scarcella, Giuffrè, 2009.

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