Mora del creditore ed effetto liberatorio per il debitore (Nota a Cass. 19.07.2018, n. 19261)

Marco Riponi e Virginia Ratano Nota a sentenza Corte di Cassazione, Seconda Sezione, n. 19261 del 19.07.2018 – Rel. Dott. Federico Guido – Pres. Dott.ssa Matera Lina – Regano Michele (avv. Baldacci Fulvio) c. Sgaramella Michele (avv. Tota Giuseppe).

Mora del creditore – offerta – deposito – l’accettazione senza riserve dell’offerta
(Codice Civile, Libro IV, Sezione III, Della mora del creditore, artt. 1206-1217, 1220)

Massima: Il ritiro senza riserve da parte del creditore della somma depositata nell’ambito del procedimento di liberazione coattiva del debitore costituisce accettazione tacita del deposito, e determina, ai sensi dell’articolo 1210 comma 2 con efficacia ex tunc, l’effetto liberatorio per il debitore.

 

Abstract.

La sentenza annotata ha ad oggetto l’ipotesi in cui nel procedimento di liberazione coattiva del debitore, disciplinato dal codice agli artt. 1210 e ss., si innesta la accettazione del creditore.
L’elemento volontaristico, introdotto dalla collaborazione del creditore sino a quel momento negata, elide, o meglio, rende superflua, la coazione: non vi è più la necessità, per il debitore, di adoperare uno strumento capace di liberarlo a dispetto del creditore recalcitrante a ricevere l’adempimento.
La Suprema Corte deve contemperare le caratteristiche di un istituto, quello dell’accettazione, che normalmente opera in un contesto negoziale, definendo il momento dell’incontro delle volontà delle parti, con le esigenze di un procedimento alternativo (e tendenzialmente coattivo) di estinzione dell’obbligazione che presuppone la mancata collaborazione fra i contraenti.
Il ritiro senza riserve della somma depositata, qualificato proprio dall’essere inserito nel procedimento di liberazione coattiva del debitore, acquista così natura negoziale e rappresenta la volontà del creditore di collaborare.
Il fatto materiale del “nudo ritiro” equivale ad accettazione del deposito, implicando di conseguenza l’effetto della liberazione del debitore.
Proprio nel rapporto dell’atto del ritiro con il procedimento nel quale è inserito, procedimento unico ma bifasico, offerta e deposito, e nell’autonomia del secondo dalla prima, si trovano i cardini argomentativi della sentenza in commento.
La pronuncia offre quindi lo spunto per alcune annotazioni circa la mora credendi ed i rapporti tra offerta e deposito nel procedimento di liberazione coattiva del debitore.

 

Premessa.

La sentenza della Corte di Cassazione che qui si commenta definisce un giudizio intrapreso per ottenere la liberazione dall’obbligazione di pagamento della quota a saldo del prezzo di un immobile, all’adempimento della quale una precedente sentenza ex 2932 c.c. aveva subordinato il trasferimento della proprietà.

L’attore chiedeva altresì la condanna del convenuto, promittente venditore inadempiente e già soccombente nel menzionato giudizio ex art. 2932 c.c., al rilascio dell’immobile che questi ancora deteneva.

A fondamento della propria domanda, l’attore deduceva di aver effettuato l’offerta reale della somma a suo avviso dovuta, di averne effettuato il deposito ex art. 1210 c.c. all’esito del rifiuto dell’offerta ed esponeva infine che il convenuto, senza nulla rilevare od eccepire, aveva ritirato la somma depositata, così liberandolo, almeno a suo avviso, dall’obbligazione di pagamento.

Da notare che la somma oggetto dell’offerta reale e del successivo deposito non corrispondeva a quella al cui pagamento era stato subordinato il trasferimento ex art. 2932 c.c.

L’attore infatti aveva offerto e depositato una somma frutto della compensazione di alcuni crediti (tra i quali quello per gli onorari del procuratore antistatario), dei quali assumeva di essere titolare, con il proprio debito per la quota a saldo del prezzo dell’immobile.

Tale compensazione era ritenuta illegittima dal convenuto che proprio per questo aveva ritenuto l’offerta parziale e l’aveva rifiutata.

Il Giudice di prime cure, con motivazione imperniata sul difetto delle condizioni per l’operata compensazione, aveva respinto la domanda poi invece accolta in secondo grado in ragione dell’intervenuta accettazione, rilevante ex art. 1210 c.c., rappresentata dal puro e semplice ritiro della somma oggetto del deposito da parte del convenuto.

Nel dolersi di quest’ultima decisione, secondo quanto si legge nell’annotata sentenza, il convenuto, ricorrente, poneva a fondamento dell’unico motivo di impugnazione da un canto l’invalidità dell’offerta, poiché non comprensiva dell’intera somma dovuta, dall’altro l’erroneità dell’assunto secondo il quale il ritiro della somma implicherebbe accettazione del deposito anche laddove, come nel caso di specie, il creditore abbia in precedenza rifiutato l’offerta perché parziale.

Di qui la ritenuta violazione dell’art. 1210 c.c.

L’originario attore proponeva, nel costituirsi, ricorso incidentale, affidandosi a due motivi: il primo, concernente la violazione dell’art. 1243 c.c., fondato sull’erroneità della decisione di appello laddove aveva escluso la legittimità dell’operata compensazione, il secondo, concernente la violazione dell’art. 115 c.p.c. e 2967 c.c., imperniato sulla ritenuta erroneità della decisione di appello per aver ritenuto non provata la circostanza della perdurante detenzione dell’immobile da parte del ricorrente, già convenuto appellato, che mai l’aveva contestata.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso principale con assorbimento del primo dei due motivi del ricorso incidentale ed accolto il secondo di essi.

 

La mora credendi ed il deposito liberatorio – generalità.

La mora del creditore ed il deposito liberatorio nel codice civile sono collocati nella Sezione III, Capo II, Titolo I, del Libro IV-Delle obbligazioni, rubricata Della mora del creditore1.

Il fondamento della mora credendi e della possibilità attribuita al debitore di liberarsi “nonostante” la mancata collaborazione del creditore, è al centro di un non sopito dibattito dottrinale.

Da un lato, la qualificazione è quella di strumento a tutela del diritto del debitore di liberarsi dall’obbligazione2.

Dall’altro, è stato sostenuto che la funzione sia solo quella di non aggravare la prestazione del debitore3.

Quest’ultima corrente dottrinale ritiene che la liberazione dal vincolo non sia tanto il fine della mora credendi quanto uno tra i molteplici scopi “utili” che l’obbligazione persegue4.

Al di là delle diverse impostazioni e tenendo ben in conto l’esigenza di salvaguardare il debitore esposto ai “capricci” di un creditore non collaborativo, pare più convincente l’idea di uno strumento complessivamente funzionale all’esigenza di evitare il prolungarsi dei rapporti obbligatori.

 

La Mora credendi

Il presupposto della mora credendi è il rifiuto illegittimo del creditore a ricevere la prestazione offerta.

L’art. 1206 c.c. è invero rubricato Condizioni e prevede che: “Il creditore è in mora quando, senza motivo legittimo, non riceve il pagamento offertogli nei modi indicati dagli articoli seguenti o non compie quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere l’obbligazione”.

Il semplice adempimento inesatto, laddove venga rifiutato dal creditore (motivatamente in quanto “viziato”5) è quindi destinato a rimanere, ai nostri fini, privo di rilievo: esso non giova a costituire il creditore in mora; allo stesso modo, non basta che il debitore si dichiari “pronto ad adempiere”6.

L’eventuale ammissione di “prontezza” non equivale infatti ad un’offerta.

Il debitore che si rende disponibile ad adempiere, dichiarandosi “pronto”, compie un’attività destinata, quoad effectum, a non travalicare la sua sfera giuridica mentre con l’offerta, delle cui caratteristiche si tratterà oltre, il debitore compie una azione capace di incidere su quella del creditore.

Gli effetti della mora credendi, all’epoca della redazione del codice7, sono stati ritenuti così gravi da giustificarne l’insorgenza solo a fronte di un atto, l’offerta formale, o solenne, oppure il deposito nel caso di offerta “secondo gli usi”, che ne garantisse forma e sostanza.

Chiara esplicitazione di tale preoccupazione è rinvenibile nella relazione al codice civile8.

L’esatta individuazione del momento da cui decorrono gli effetti descritti dall’art. 1207 c.c.9 è comunque importante, atteso che si tratta, anche con lo sguardo di oggi, di conseguenze forse non così gravi ma comunque di un certo rilievo per il creditore.

Al primo periodo del primo comma del menzionato articolo, viene infatti previsto il passaggio del rischio dell’impossibilità della prestazione, che si potrebbe definire l’effetto “giuridico” della mora credendi10, al secondo periodo del primo comma ed al secondo comma, vengono invece disciplinati gli effetti “patrimoniali”, economici: non decorrenza degli interessi, non maturazione dei frutti non percepiti, risarcimento del danno e spese per la custodia e la conservazione della cosa11.

Una precisazione appare a questo punto opportuna: tra gli effetti propri della mora credendi non rientra la liberazione del debitore12.

Liberazione che la legge subordina al deposito (o intimazione a ricevere) ed alla sua accettazione da parte del creditore ovvero alla dichiarazione giudiziale, passata in giudicato, della sua validità (o alla consegna del bene al sequestratario nominato dal Giudice).

Il legislatore ha quindi previsto un meccanismo di liberazione coattivo che, pur connesso all’offerta e dunque alla mora credendi, richiede una ulteriore attività del debitore.

Si tratta ora di verificare quali possono essere gli sviluppi possibili del rapporto tra le due attività richieste al debitore, offerta e deposito.

Solo in un secondo momento le esamineremo separatamente.

 

I rapporti tra offerta e deposito.

Il debitore è pronto ad adempiere ma percepisce una resistenza dall’altra parte oppure non viene concretamente messo nelle condizioni di adempiere.

A questo punto, il debitore può fare la “offerta” della prestazione.

Il creditore può accettare l’offerta ovvero rifiutarla.

Nel primo caso il debitore sarà comunque liberato e l’obbligazione estinta.

Nel secondo caso il debitore, se non intende accontentarsi degli effetti della mora credendi (nel caso abbia fatto una offerta “solenne”) ma voglia ottenere la propria liberazione, dovrà compiere un ulteriore passaggio che è il deposito (o la nomina del sequestratario e successiva consegna a costui del bene).

A questo punto il creditore avrà a sua volta due opzioni: potrà accettare il deposito, concedendo la collaborazione fino a quel momento negata e liberando così il debitore, ovvero persistere nel rifiuto di collaborare.

In questo secondo caso al debitore non resta che agire per ottenere la sentenza che convalidi il deposito e l’offerta precedente, laddove non sia stata già autonomamente convalidata, o solo il deposito, laddove l’offerta abbia già superato il vaglio giudiziale (oppure la pronuncia che nomini il sequestratario per poi procedere alla consegna della cosa).

Nello schema delineato dal legislatore, la sentenza di convalida del deposito ha una valenza eguale alla sua accettazione da parte del creditore e costituisce l’ultimo segmento di un procedimento di liberazione interamente coattivo13.

Le combinazioni possibili, come si è appena visto, sono molteplici; esse hanno in comune il loro inizio, che è sempre costituito dalla vocazione del debitore ad adempiere (offerta) ed il fine che, fermi i distinguo della dottrina, è la liberazione del debitore dal vincolo obbligatorio (accettazione o convalida del deposito – nomina del sequestratario e consegna a quest’ultimo dell’immobile).

Diversa è la progressione della fase coattiva ed il momento del suo venir meno; tre sono le macro ipotesi.

  1. Il debitore offre ed il creditore accetta.

Questa prima ipotesi si chiude all’accettazione dell’offerta e appare lo schema più simile ad un normale adempimento. Lo scostamento è costituito dal (presumibilmente) breve permanere dei soli effetti della mora credendi tra l’offerta e la successiva accettazione. La fase coattiva propriamente detta non si innesca.

  1. Il debitore offre, il creditore non accetta (rifiuta o tace), il debitore deposita (o si attiva ex 1216 c.c.) ed il creditore accetta il deposito (o riceve l’immobile).

Questa seconda ipotesi vede l’inizio del percorso di liberazione coattivo, che viene tuttavia interrotto dall’accettazione del deposito da parte del creditore non più ostile ed è quella di cui si occupa la pronuncia in commento.

  1. Il debitore offre, il creditore non accetta (rifiuta o tace), il debitore deposita (o si attiva ex 1216 c.c.), il creditore non accetta il deposito ed il debitore lo cita in giudizio al fine di ottenere la sentenza di convalida del deposito14.

Questa terza ipotesi vede compiersi l’intero procedimento di liberazione coattiva.

Il debitore è costretto a giungere sino alla convalida del deposito (oppure di entrambi laddove l’offerta non sia stata già convalidata).

È ora il momento, come anticipato, di porre la nostra attenzione sull’offerta e sul deposito.

 

L’offerta.

Il primo dei termini a dovere essere analizzato è logicamente l’offerta.

L’offerta può essere “formale” o “solenne” (1208 c.c.), “secondo gli usi” (1214 c.c) ed infine “non formale” (1220 c.c.).

L’offerta solenne può avere due forme: quella reale e quella per intimazione (1209 c.c.).

L’offerta non formale, all’opposto delle altre due, non incide sullo stato del creditore ma esclude unicamente la mora del debitore15.

La dicotomia tra l’offerta solenne e l’offerta “secondo gli usi”, basata sul diverso grado di formalità che le assiste, ha matrice storica e finalità di garanzia rispetto al decorso degli effetti della mora credendi16.

L’offerta solenne deve avere i requisiti di cui all’art. 1208 c.c.17:

Laddove non risponda ad essi, l’offerta potrà comunque corrispondere ad uno degli altri due modelli: offertasecondo gli usi”18 oppure offerta non formale19.

Laddove l’offerta sia “secondo gli usi” la decorrenza della costituzione in mora del creditore è rinviata al giorno del deposito (se accettato dal creditore o se convalidato dal giudice con sentenza).

Il debitore quindi ricorrerà all’offerta “secondo gli usi” o non formale quando non avrà interesse al prodursi degli effetti della mora credendi.

In aperta critica alla formulazione dell’articolo in parola, è stato posto in evidenza come, nella pratica, la postergazione degli effetti propri della mora al momento del deposito renda l’offerta “secondo gli usi” sostanzialmente superflua, poiché tale momento finisce con il corrispondere, in sostanza, con la liberazione del debitore dal vincolo obbligatorio20 derivante dalla accettazione o dalla sentenza che dichiara valido il deposito.

È evidente quindi, che la ratio di quell’offerta sia un’altra: da un lato certamente, evitare la mora debendi, dall’altro, quello di consentire al debitore di accedere al successivo procedimento di liberazione coattiva.

Circa le conseguenze dell’offerta, l’art. 1207 c.c. detta una regola apparentemente chiara: gli effetti della mora si producono dal giorno dell’offerta, se questa è dichiarata valida con sentenza passata in giudicato ovvero se accettata dal creditore.

La lettera dell’articolo, come evidenziato in dottrina21, induce a ritenere da un canto che la validità dell’offerta sia un presupposto indispensabile ai fini del prosieguo della vicenda liberatoria, dall’altro che tale validità debba essere sancita dal giudice nel giudizio di convalida o dall’accettazione del creditore.

La norma, ai fini della costituzione in mora, non lascia spazio alla eventualità che possa aversi un’offerta che non rispetti i requisiti dettati dall’art. 1208 c.c.

Si potrebbe concludere che, a fronte di un’offerta invalida, il debitore non possa nemmeno giungere all’estinzione coattiva del rapporto.

L’offerta, se invalida, è fatalmente destinata da un lato a non incontrare, almeno di regola, la accettazione del creditore e dall’altro a non superare il vaglio giudiziale in sede di convalida.

In altre parole, invalida l’offerta, non si potrebbe dar seguito al deposito, interrompendosi in tal modo il procedimento coattivo di liberazione del debitore.

Questa ricostruzione appare tuttavia eccessivamente rigida e, a ben guardare, non supportata dal dato normativo.

L’art. 1207 c.c., infatti, si limita a fissare il termine iniziale di decorrenza degli effetti della mora, non altro.

Dunque la conclusione che la possibilità di liberarsi del debitore sia condizionata dalla validità dell’offerta non sembra normativamente supportata, né condivisibile.

Certamente non lo è nel caso dell’intervenuta accettazione espressa del creditore, costui ben può accettare un’offerta invalida, ad esempio perché parziale.

Qui la rilevanza della invalidità sembra passare in secondo piano.

Omettendo di prevedere un obbligo (postumo all’intervenuta accettazione) in capo al creditore (o al debitore) di verifica giudiziale della regolarità dell’offerta, il legislatore pare aver optato per una sorta di presunzione: se il creditore accetta, allora l’offerta è valida anche per l’ordinamento22.

Il creditore infatti, laddove si induca a collaborare, non incontra ostacoli nell’accettare “la” offerta, anche se invalida ed anche a prescindere dalla declaratoria giudiziale di quella invalidità.

La validità dell’offerta non influisce sulla possibilità del debitore di liberarsi a fronte della esplicita accettazione del creditore che acquista così una sorta di efficacia sanante rispetto agli eventuali vizi dell’offerta stessa deponendo inoltre per la autonomia di quest’ultima rispetto al deposito (tra i requisiti del secondo, previsti dall’art. 1212 c.c., non si rinviene infatti la validità della prima).

Il problema può nascere, come vedremo accadere anche per il deposito, laddove l’accettazione dell’offerta sia, per così dire, “nuda”: il creditore incassa quanto gli viene offerto senza null’altro aggiungere.

La Suprema Corte ha di recente ritenuto che simile fattispecie sia da qualificare ai sensi dell’art. 1181 c.c. come accettazione di adempimento parziale, quindi non liberatorio23.

La “nuda” apprensione dell’offerta non ne sana, al contrario dell’accettazione (espressa ed esplicita), i vizi.

Concludendo, l’incasso, la apprensione pura e semplice dell’offerta da parte del creditore, se invalida, non libera il debitore.

Si dia ora il caso di un debitore che si rivolga all’Autorità giudiziaria per ottenere la convalida dell’offerta (necessariamente formale non potendo altrimenti aversi convalida) non ottenendo, tuttavia, il risultato auspicato.

All’ipotetico debitore rimarrebbero due opzioni:

1) (ri) formulare un’offerta valida, quindi capace sia di essere validata, sia di produrre gli effetti di cui all’art. 1207 ultimo comma c.c., ovvero,

2) procedere, indipendentemente dall’assenza degli effetti della mora credendi (dovuta all’invalidità dell’offerta), con il deposito della somma offerta, non curandosi della sentenza che ha negato la convalida.

Ovviamente l’ipotesi sub 1) non genera criticità, né teoriche né pratiche; così non è per gli sviluppi dell’ipotesi sub 2).

Premesso che la seconda fattispecie ipotizzata è statisticamente poco probabile (è difficile immaginare che un debitore riproponga, o depositi, l’oggetto di un’offerta ritenuta giudizialmente invalida), occorre comunque chiedersi se, astrattamente, sia possibile.

La risposta è nel grado di autonomia che si intende accettare nel rapporto tra offerta e deposito.

Ammettere che un’offerta dichiarata invalida sia la premessa per il deposito significa aderire alla tesi dell’autonomia tra i due termini del rapporto offerta/deposito.

Negarlo implica la conseguenza contraria: la validità dell’offerta diverrebbe presupposto necessario del deposito24.

 

Il deposito e la liberazione (“coattiva”) del debitore.

Il deposito, previsto dall’art. 1210 c.c., rubricato facoltà di deposito ed effetti liberatori25, è l’atto di apertura del procedimento di liberazione coattiva del debitore ed è meramente eventuale.

La crisi originata dal creditore ostile può infatti concludersi con l’accettazione dell’offerta.

Il primo comma è il ponte naturale con l’offerta: depositare è una facoltà26 accordata al debitore che sia interessato a liberarsi.

Alla liberazione del debitore, lo si è visto, non giova la sola costituzione in mora del creditore, sono indispensabili il deposito e la sua accettazione o convalida o, per gli immobili, la nomina del sequestratario e la consegna a questi del bene27.

La procedura di liberazione coattiva è dunque diversa a seconda che si tratti di obbligazioni di dare aventi ad oggetto beni mobili o immobili28.

Il codice non contiene invece indicazioni circa il modo in cui liberarsi da un’obbligazione di fare29. L’unica norma che, latamente, se ne occupa è l’art. 1217 c.c.30. Certo è che l’ipotesi a cui il legislatore dedica la maggiore attenzione, che pertanto risulta essere, per così dire, la procedura “di riferimento”, è quella che si realizza attraverso il deposito di cose mobili, in specie danaro, di cui agli artt. 1210, 1212 c.c. e artt. 76 e 78 disp. Att. 31.

Al pari della disciplina sull’offerta, anche quella sul deposito liberatorio appare caratterizzata da un rigido formalismo.

I requisiti di validità dell’istituto sono previsti dall’art. 1212 c.c.32, che scandisce anche i passaggi che l’oblato deve seguire: i) il debitore deve aver offerto e l’offerta deve essere stata rifiutata; ii) il debitore deve intimare al creditore che sta per procedere con il deposito; iii) deve essere redatto un verbale dell’operazione da parte di un pubblico ufficiale.

Si ripete il meccanismo già descritto per l’offerta: una volta che il debitore ha compiuto questi passaggi, è il comportamento del creditore a determinare la natura ablativa o meno della fase successiva.

Anche rispetto al deposito, quindi, possono aprirsi differenti scenari a seconda del comportamento del creditore: la liberazione del debitore può infatti avvenire o nella totale assenza di partecipazione del primo e culminare nella sentenza di convalida del deposito, o con la sua cooperazione che interromperà, con l’accettazione, il procedimento coattivo33.

Nella prima ipotesi l’effetto liberatorio si realizza con il passaggio in giudicato della sentenza ma gli effetti retroagiscono alla data di esecuzione del deposito.

La sentenza di convalida e l’accettazione del deposito hanno un eguale effetto confermativo della regolarità (o almeno accettabilità) della procedura seguita dal debitore ed estintivo dell’obbligazione34.

Nella seconda ipotesi, che approfondiremo nel prossimo paragrafo, il debitore consegue la liberazione per effetto immediato dell’accettazione con effetti analoghi a quelli di una datio in solutum35.

 

L’accettazione del deposito da parte del creditore nel procedimento di liberazione coattiva del debitore.

La accettazione del deposito da parte del creditore manifesta, come quella dell’offerta, il mutare del suo atteggiamento da ostile a collaborativo ed elide il connotato coattivo della procedura.

L’accettazione di cui tratta l’art. 1210 c.c. si colloca al di fuori della procedura di liberazione coattiva.

Non vi è costrizione dove c’è accettazione.

L’accettazione espressa, o esplicita, del deposito ha ovviamente effetto liberatorio.

Più difficile, invece, è qualificare e valutare gli effetti di un atto, quale il ritiro del deposito, laddove “nudo”, ossia non circostanziata da una manifestazione esplicita del creditore.

Tale interpretazione, soprattutto in caso di deposito invalido, può svolgersi secondo due prospettive.

La prima, facente riferimento allo statuto delle obbligazioni, induce a ritenere il ritiro di un deposito (anche) invalido ex art. 1212 c.c., quale accettazione di un adempimento parziale, dunque con gli effetti cui all’art. 1181 c.c.

La seconda, attenta alle peculiarità del procedimento di liberazione coattiva del debitore, depone per ritenere il “nudo” ritiro del deposito l’espressione di una volontà del creditore di liberare il debitore.

L’atto del deposito, “finalizzato” perché effettuato nel contesto del procedimento di liberazione coattiva del debitore, evoca una sorta di proposta, ed il suo ritiro, in assenza di eccezioni, una accettazione di quella proposta.

Il tema è di notevole rilevanza pratica: optare per l’una o l’altra delle prospettive, infatti, ha significativi risvolti pratici per entrambi i protagonisti del rapporto obbligatorio, primo fra tutti il venir meno od il permanere del rapporto stesso.

La soluzione accolta dalla sentenza in commento adotta la seconda delle prospettive; questo il passaggio della motivazione: “Se infatti, nel caso di accettazione di un pagamento parziale, o di una prestazione parziale o ritardata, il silenzio del creditore non può essere inteso come adesione alla volontà del debitore, quando pure quest’ultimo lo effettui a titolo di saldo del maggior importo preteso dal primo (in tal senso, Cass. 5363/1997), ben diversa è la rilevanza del ritiro da parte del creditore, della somma depositata ai sensi dell’art. 1210 c.c.: in tal caso il ritiro della somma non configura, infatti, mera accettazione di una prestazione parziale, ma accettazione del deposito, con i conseguenti effetti liberatori di cui all’art. 1210 comma 2 c.c.36.

Concludendo, il ritiro puro e semplice del deposito, anche se invalido, da parte del creditore libera il debitore37.

 

Rilievi conclusivi

La tesi che considera il puro e semplice ritiro del deposito quale accettazione, ritenendolo quindi idoneo a liberare il debitore, pare preferibile perché coerente ad una generale esigenza di certezza, semplificazione e rapidità del sistema nel suo complesso.

Essa consente di evitare inutili appesantimenti a carico del debitore che non si vedrà costretto, a fronte di un comportamento di per sé eloquente del creditore, a porre in essere ulteriori adempimenti.

Infatti, appare francamente inutile un controllo di validità esterno ed ulteriore all’espressione della volontà del creditore che, nulla rilevando, ritiri quanto depositato con ciò dimostrando che, a quel punto, lo soddisfa.

Certo è inevitabile notare quella che si può definire una dissonanza tra la soluzione adottata dalla Suprema Corte riguardo all’offerta ed al deposito: la “nuda” apprensione dell’offerta non è stata considerata accettazione e, il “nudo” ritiro del deposito invece si. Così alla prima si è negata la capacità di liberare il debitore che si è attribuita al secondo.

Da condividersi pare anche la tesi della autonomia tra offerta e deposito, quantomeno quando il procedimento di liberazione non abbia uno sviluppo interamente coattivo.

Viceversa, laddove il procedimento di liberazione sia interamente coattivo, ipotesi n. 3) del paragrafo 2, la ipotizzata autonomia sembra sfumare.

L’intervento dell’Autorità giudiziaria infatti, dovendo verificare la validità dell’offerta e del deposito (anche se in momenti diversi), finisce con accomunarle pur nella diversità dei criteri ai quali l’una e l’altro devono rispondere.

Se pare ammissibile che l’accettazione del deposito, effettuato nonostante una sentenza che abbia dichiarata invalida quell’offerta, liberi il debitore, non è possibile che, dichiarata l’invalidità di un’offerta, il giudice possa poi dichiararne valido il successivo deposito, così liberando il debitore.

Il mutare del grado di autonomia tra offerta e deposito in funzione dello svolgersi, integrale o meno, del procedimento di liberazione coattiva del debitore è forse spiegabile e giustificabile alla luce della disomogeneità tra le due situazioni.

Un conto è pervenire alla liberazione coattiva del debitore a dispetto del creditore che si mantiene ostile, altro è ottenere lo stesso risultato grazie al mutare dell’atteggiamento di quest’ultimo.

La coazione infatti impone, a tutela del creditore ed in generale del sistema, che ogni elemento della sequenza sia conforme al modello legale.

La stessa esigenza degrada di fronte ad un creditore che, sua sponte, si decide ad accettare quanto sino ad allora rifiutato.

 

Marco Riponi (Avvocato)

Virginia Ratano (Dottore in Giurisprudenza)

 

1 In dottrina, A. Falzea, L’offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Giuffrè, Pavia 1947; G. Cattaneo, La cooperazione del creditore all’adempimento, in Studi di diritto privato, Giuffrè, Milano, 1964; Scialoja, Branca, Commentario del codice civile, Bologna – Roma, 1972; A. Cicu, F. Messineo, Trattato di diritto civile e commerciale, L’attuazione del rapporto obbligatorio: il comportamento del creditore, Volume XVI, Tomo I, Giuffrè, Milano 1674; U. Natoli, L. Bigliazzi Geri, Mora accipiendi e mora debendi, in Appunti alle lezioni, Giuffrè, Milano, 1975; P. Rescigno, Trattato di diritto privato, Obbligazioni e contratti, Tomo I, II Ed., UTET, Torino, 1999; G. D’Amico, Obbligazioni I: Il rapporto obbligatorio, in Diritto Civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, vol. III, UTET, Torino 2009; P. Cendon, Trattario di diritto civile, Obbligazioni: l’adempimento delle obbligazioni, Giuffrè, Milano 2015.

2 “I mezzi che la legge pone a presidio dell’interesse del debitore nel meccanismo del rapporto obbligatorio sono: la costituzione del debitore in mora accipiendi e la procedura di liberazione invito creditore. L’una assolve la funzione, essenzialmente provvisoria e preliminare, di circoscrivere il pregiudizio che la illegittima permanenza del vincolo oltre i prefissati limiti di tempo arreca al debitore. L’altra risponde all’ufficio di sciogliere definitivamente costui dal legame giuridico dell’obbligazione, restituendolo alla situazione di libertà” Falzea, L’offerta reale, p. 103. Che il fine della mora credendi sia da rinvenire nell’interesse all’estinzione del rapporto obbligatorio è opinione confermata anche da coloro che, analizzando le differenze tra mora debendi e mora accipiendi, nella formulazione odierna, ne hanno evidenziato la diversità funzionale: “D’altra parte, il parallelismo tra i due istituti potrebbe essere ben diversamente significativo, se poi dovesse darsi atto che le due parallele, sul piano funzionale, si muovono in senso esattamente opposto. E che questo sia, in effetti, sembra dimostrare inequivocabilmente il fatto che, mentre la seconda (id est la mora debendi) tende alla perpetuatio obligationis (art. 1221 c.c.), con tutte le relative conseguenze, la prima (id est la mora credendi) è preordinata in ultima analisi alla liberazione del debitore e alla estinzione della pretesa del creditore nei confronti di questo (cfr. art. 1210 e s.)”; così Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Commentario di Diritto Civile e Commerciale, diretto da Cicu-Messineo, Giuffrè, Milano 1974, p. 66. “La mora credendi comporta inoltre il diritto del debitore di liberarsi coattivamente dall’obbligazione.”, in Bianca, Petti, Petti, Lessico di Diritto Civile, sub. Mora del Creditore, Giuffrè, Milano 2001, p. 471.

3 In tale chiave interpretativa si è osservato che “Sebbene le norme degli art. 1206 c.c. e seguenti non diano indicazioni precise, dirò subito che a mio avviso l’interesse ad eseguire la prestazione non è tutelato da queste norme: esse hanno una diversa funzione, quella cioè di evitare al debitore ogni aggravamento della prestazione dovuta. Pertanto la tutela ad eseguire la prestazione non è sempre presente in ogni rapporto obbligatorio, bensì è un fenomeno limitato a certi tipi di rapporti. […] La questione, a ben vedere, va posta in questi termini: è corretto affermare che l’obbligazione abbia tra i suoi scopi tipici e costanti, oltre a quello di procurare un risultato utile al creditore, anche la produzione di un altro risultato, sia pure accessorio e secondario utile al debitore? […] Ciò non si può dire se è vero, come qui si sostiene, che l’istituto della mora accipiendi tutela solo l’interesse del debitore a non subire una prestazione più gravosa di quella prevista.”, così Cattaneo, La cooperazione, 1964, p. 36 e ss.

4 “In effetti la protezione del debitore contro il rischio che la prestazione divenga più gravosa, quando la causa di ciò possa farsi risalire al creditore, è un’esigenza di ragione, di giustizia: tanto da far pensare, fra l’altro, che l’applicazione delle norme sul deposito liberatorio non possa essere esclusa a tempo indeterminato dall’autonomia privata, poiché altrimenti si avrebbe un obbligo potenzialmente perpetuo.”, Cattaneo, La cooperazione, 1964, p 39.

5 “con la formula “mancanza di motivo legittimo” devono intendersi richiamate (sinteticamente) le diverse fattispecie in cui la legge, esplicitamente o implicitamente, faculta il creditore a rifiutare la prestazione che il creditore intenda effettuare.” G. D’Amico, Il comportamento del creditore. Mora accipiendi, in Trattato di diritto civile, Obbligazioni: il rapporto obbligatorio, vol. III, t. I, di N. Lipari e P. Rescigno, p. 224.

6 Questa tesi è invero stata sostenuta sotto la vigenza del vecchio codice. “Sarebbe però erroneo qualificare senz’altro, come a volte si fa, quale mora del creditore questa pura e semplice situazione, sia pur ponendo l’accento sul mancato ricevimento della prestazione offerta o sulla mancata diversa “cooperazione necessaria” ai fini dell’esecuzione di questa. E ritenere, in conseguenza, che a costituire in mora il creditore sia sufficiente una qualsiasi offerta della prestazione dovuta a parte debitoris (o più genericamente la dimostrazione della sua così detta prontezza ad adempiere […]) seguita, si intende, dal rifiuto o più genericamente da un atteggiamento puramente negativo del creditore.” U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Appunti alle Lezioni, ed. IV, Giuffrè, Milano 1964, pp. 22-25.

7 Proprio il contesto storico spiega quella che oggi appare, o può apparire, una sostanziale “sopravalutazione” di tali effetti, soprattutto in chiave pratica. L’ipotesi di un debitore che voglia limitarsi ad ottenere gli effetti della mora ma non la propria liberazione è ai giorni nostri quasi scolastica.

8 “Si intende il motivo della postergazione della mora del creditore nel caso di offerta non solenne: la mora medesima provoca effetti giuridici di tale gravità (art. 1207, primo e secondo comma), che la determinazione del tempo a cui essa deve rimontare non può affidarsi alle incertezze di una malfida prova testimoniale, come sarebbe avvenuto se anche l’offerta secondo gli usi fosse stata in tutto parificata all’offerta solenne.” In Relazione al Codice Civile: Della Mora del creditore e del debitore, p. 119.

9 Che recita:” Quando il creditore è in mora [1206], è a suo carico l’impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore. Non sono più dovuti gli interessi né i frutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore. Il creditore è pure tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora e a sostenere le spese per la custodia [1211] e la conservazione della cosa dovuta. Gli effetti della mora si verificano dal giorno dell’offerta [1208, 1216, 1217], se questa è successivamente dichiarata valida con sentenza passata in giudicato o se è accettata dal creditore”.

10 “Il primo effetto riguarda il rischio che la prestazione del debitore resti ineseguita, ossia che il risultato utile atteso dal creditore resti inattuato. È un danno che colpisce direttamente il creditore, e come tale non avrebbe bisogno di una norma per essere trasferito nel suo patrimonio, se non vi fosse una prestazione corrispettiva, cui di regola il debitore ha diritto solo in quanto esegua a sua volta la propria. La norma mantiene appunto in vita l’obbligo di controprestazione, che senza la mora del creditore dovrebbe estinguersi per irrisoluzione del contratto ogni qual volta la prestazione del debitore divenisse impossibile per causa a lui non imputabile (1463 c.c.)”, Cattaneo, La Cooperazione, 1964, p. 29.

11 “A questo proposito va rilevata una analogia fra gli effetti della mora accipiendi e quelli di una particolare figura di recesso. Com’è noto, in certe obbligazioni di fare, come quelle derivanti dai contratti di appalto, di opera, di trasporto di cose, di mandato oneroso, la legge autorizza il creditore a recedere senza giustificazione, purché tenga il debitore indenne da ogni perdita. Gli art. 1671 e 2227 c.c. impongono precisamente che al creditore di tenere indenne il debitore <<delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno>>, mentre gli art. 1685 e 1725 parlano più genericamente di risarcimento. Naturalmente, il recesso non può classificarsi come un’ipotesi di mora del creditore, giacché consiste in una dichiarazione negoziale anziché nell’omissione di un atto di cooperazione: esso ha inoltre un effetto risolutivo, che la legge non ricollega invece alla mora accipiendi. Ma l’identità degli obblighi, che i due comportamenti fanno sorgere a carico del loro autore, rivela che la legge si è ispirata nei due casi a valutazioni molto simili, accollando al creditore ogni conseguenza dannosa dal suo agire”. Cattaneo, La cooperazione, 1964, p. 30-31.

12 “tra gli effetti della mora del creditore non vi è la liberazione del debitore, subordinata dalla legge, all’esecuzione del deposito accettato dal creditore o dichiarato valido, con sentenza passata in giudicato” Cass. Civ. 4 marzo 1974, n. 1790, p. 9. “La costituzione in mora del creditore non estingue il rapporto obbligatorio, ma determina tuttavia un mutamento del regime del vincolo (mutamento che peraltro non tocca la struttura fondamentale del rapporto obbligatorio)”, tra gli altri, v. D’Amico, Il comportamento, p. 232. ”Si tenga però sin d’ora presente come mora accipiendi e liberazione del debitore non coincidano, tra gli effetti della mora non essendovi la liberazione del debitore: fintanto che il debitore non è liberato dall’obbligazione con l’esecuzione del deposito accettato dal creditore o dichiarato con sentenza passata in giudicato, il creditore sarà pertanto sempre legittimato all’azione esecutiva, anche se dichiarato in mora credendi (Cass. Civ. Sez. III, 29 aprile 2015, n. 8711)” Cendon, L’adempimento, p. 86.

13 Tuttavia si osserva che: “neanche la liberazione coattiva del debitore può dunque esser vista come una specie di esecuzione forzata in forma specifica degli obblighi di fare. Le norme ad essa relativa non tendono a procurare una ulteriore prestazione al debitore, ma determinano i confini della prestazione che può essere pretesa dal creditore”. Cattaneo, La cooperazione, 1964, p. 52

14 In questa ipotesi si perde il parallelismo con la consegna dell’immobile; in quest’ultimo caso, infatti, il debitore per liberarsi, una volta ottenuta dal giudice la nomina di un sequestratario, non deve far altro che consegnare il bene al sequestratario.

15 Così recita l’art. 1220 c.c.: “Il debitore non può essere considerato in mora se, tempestivamente ha fatto offerta della prestazione dovuta [1460], anche senza osservare le forme indicate nella sezione III del precedente capo [art. 1208], a meno che il creditore non l’abbia rifiutata per motivo legittimo”.

16 “L’offerta legale non è però necessariamente un’offerta formale. Mantenuta l’offerta solenne (1208) si sono infatti riconosciute conseguenze giuridiche all’offerta secondo gli usi (1214). Tuttavia mentre l’offerta solenne fa sorgere la mora del creditore dal giorno in cui è fatta (art. 1207, terzo comma) e soltanto la liberazione è rinviata al momento del deposito (art. 1210, secondo comma), l’offerta secondo gli usi e più generalmente quella che sia stata fatta senza l’osservanza delle forme previste per l’offerta solenne, produce immediatamente la sola conseguenza di evitare la mora del debitore (art. 1220), e rinvia al tempo al tempo del deposito la costituzione in mora del debitore (art. 1214): sicché il debitore ricorrerà all’offerta secondo gli sui quando non avrà interesse a vedere anticipata la mora credendi”. In Relazione al Codice Civile: Della Mora del creditore e del debitore, p. 119 e ss.

17 Secondo l’art. 1208 c.c. “Affinché l’offerta sia valida è necessario: 1) che sia fatta al creditore capace di ricevere o a chi ha la facoltà di ricevere per lui; 2) che sia fatta da persona che può validamene adempiere; 3) che comprenda la totalità della somma o delle cose dovute, dei frutti o degli interessi e delle spese liquide, e una somma per le spese non liquide, con riserva di supplemento, se è necessario; 4) che il termine sia scaduto, se stipulato in favore del creditore; 5) che si sia verificata la condizione dalla quale dipende l’obbligazione; 6) che l’offerta sia fatta alla persona del creditore o nel suo domicilio; 7) che l’offerta sia fatta da un ufficiale pubblico a ciò autorizzato.”. Incidentalmente può rilevarsi che la previsione di cui al n. 3 sembra riferibile alle sole ipotesi di certezza e liquidità della somma dovuta o, se si preferisce, alle sole ipotesi in cui la somma non sia oggetto di contestazione.

18 A rigore, l’art, 1214 c.c. si rivolge solo alle prestazioni di dare in quanto parla di “cosa dovuta”, per tale motivo si ritiene che per le restanti obbligazioni faccia fede l’art. 1220, relativo all’offerta c.d. “non formale”.

19 La formulazione dell’art. 1214 c.c. è stata definita “tutt’altro che lineare” dalla Dottrina; per una analisi critica, anche della giurisprudenza formatasi in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, si veda G. D’Amico, Il Rapporto obbligatorio, pp. 229-230.

20 “La conclusione non può che essere una: e cioè che, in caso di “offerta secondo gli usi”, non si producono gli effetti della mora credendi (neanche quando all’offerta segua il deposito) ad eccezione di uno (che non è peraltro – a rigore di termini – un “effetto”), vale a dire della possibilità (per il debitore) di “accedere” all’(ulteriore) procedura che potrà condurlo alla liberazione dal vincolo obbligatorio. In breve: il senso dell’art. 1214 c.c. è semplicemente quello di equiparare l’offerta che sia stata fatta (quantomeno) nelle forme d’uso all’offerta reale o per intimazione sul terreno dei presupposti necessari per azionare la procedura di liberazione c.d. coattiva del debitore”, v. D’Amico, Il comportamento, p. 232.

21 “E’ dunque indispensabile che la regolarità dell’offerta formale sia opportunamente controllata ed accertata in modo da non lasciare alcun dubbio. Il che significa che il relativo accertamento deve essere compiuto in confronti del creditore oppure deve provenire da questo stesso. Dal primo punto di vista viene in considerazione il c.d. << giudizio di convalida >> dell’offerta instaurato ad iniziativa del debitore; e dal secondo l’eventuale successiva accettazione del creditore, intervenuta, cioè, non nel momento in cui è eseguita l’offerta ma dopo un certo tempo. Sentenza di convalida e accettazione del creditore appaiono così come momenti della situazione complessiva di mora e, più precisamente, come elementi al cui intervento è subordinata l’efficacia della stessa, cioè come condiciones iuris sospensive dei suoi effetti. E in senso alternativo, essendo necessaria e sufficiente l’una ovvero l’altra”. Natoli, Appunti, 1964, p. 81-82.

22 Si è infatti osservato che “(…) si suppone che il creditore, re melius propensa, abbia trovato più conveniente desistere dal suo atteggiamento negativo, prendere l’iniziativa e ricevere la prestazione offertagli, in modo da evitare le ulteriori conseguenze che il mancato ricevimento di essa avrebbe potuto fargli subire. Tale fatto è considerato equivalente alla sentenza di convalida giacché importa riconoscimento più o meno implicito della regolarità ed esattezza dell’offerta. Sempreché, s’intende, avvenga senza riserve”, Natoli, Appunti, p. 82 e ss.

23 “Come affermato ripetutamente da questa Corte, l’art. 1208 c.c., comma 1, n. 3, richiede, ai fini della validità dell’offerta reale, che la stessa corrisponda alla totalità della somma o delle cose dovute, là dove l’accettazione di una offerta non corrispondente alla totalità della somma, ove non accompagnata da una quietanza a saldo o da particolari elementi di fatto, che evidenzino una volontà abdicativa del percipiente, non può che comportare una liberazione soltanto parziale del debitore, allo stesso modo di qualunque altro pagamento non integrale (ex plurimis, Cass. Sez. 3, sentenze n. 4996 del 1996 e n. 933 del 1995)” Cass. Civ. Sez. II, 1° settembre 2014, n. 18483, p. 5.

24 Tale orientamento ha trovato conferma in una recente pronuncia della Corte d’Appello di Bologna, Sez. I Civile, 28/04/2015, n. 824. Il Collegio felsineo ha dichiarato invalido il deposito a causa dell’invalidità dell’offerta reale. La Corte ha affermato che “L’esaustività e la completezza della somma offerta, ossia la piena corrispondenza alla totalità del credito, sia requisito essenziale perché la sua accettazione, o in caso di rifiuto, il successivo deposito, se ritualmente eseguito, comporta ipso iure la liberazione del debitore”. Dichiarata l’invalidità dell’offerta, in quanto incompleta, o comunque incongrua, la Corte ha ritenuto di non poter dichiarare valido il successivo deposito effettuato dal convenuto. In altri termini, il Collegio felsineo pare aderire alla tesi della “dipendenza” tra i due istituti in parola, offerta e deposito: la invalidità della prima è destinata a precludere la declaratoria di validità del secondo.

25 Che recita:” Se il creditore rifiuta di accettare l’offerta reale o non si presenta per ricevere le cose offertegli mediante intimazione, il debitore può eseguire il deposito [1211 ss.; 77, 78 disp. att.] Eseguito il deposito, quando questo è accettato dal creditore o è dichiarato valido con sentenza passata in giudicato [324], il debitore non può più ritirarlo ed è liberato dalla sua obbligazione”.

26 La scelta terminologica non è casuale: se è vero che mora credendi e procedimento liberatorio sono istituti diversi ed autonomi allora deve concludersi che l’uno non possa essere l’effetto dell’altra. Deve piuttosto ritenersi che il loro rapporto sia nell’essere l’una il presupposto dell’altro. Il deposito diventa possibile quando l’offerta che fonda la mora credendi viene rifiutata. D’altro canto, il dato letterale codicistico induce a propendere per questa soluzione: tra gli effetti diretti della mora, di cui all’art. 1207 c.c., non vi è il deposito; tra i requisiti di validità del deposito, di cui all’art. 1212 c.c., non figura l’offerta in generale né la validità dell’offerta. L’unico punto in cui i due istituti sono trattati congiuntamente è l’art. 1210 c.c., il quale al primo comma indica la procedura che il debitore deve eseguire in caso il creditore rifiuti l’offerta. Sulla non coincidenza tra mora del creditore e liberazione del debitore: Cass. Civ. 17-6-1974, n. 1790.

27 Si veda Visintini, L’adempimento delle obbligazioni, p. 201 e ss.

28 Ove l’oggetto della prestazione di dare sia un bene immobile si dovrà procedere nelle forme del c.d. sequestro liberatorio, disciplinato dall’art. 1216 c.c. In questa evenienza l’obbligato dovrà chiedere al Presidente del Tribunale di nominare un sequestratario al quale poi il bene dovrà essere consegnato. Occorrerà altresì redigere un verbale dell’operazione da parte di un pubblico ufficiale che dovrà essere sottoscritto anche dal creditore che non abbia partecipato alla consegna. La natura di questo tipo di sequestro è al centro di un animato dibattito dottrinale. L’impostazione dottrinale maggioritaria rifiuta la lettura del sequestro ex 1216 c.c. come una specie del sequestro conservativo o giudiziario ex art. 649 c.p.c. per ricondurlo alla categoria degli atti negoziali, evidenziando come il sequestro liberatorio non abbia nulla del procedimento cautelare e conservativo omonimo. Sul punto si veda, D’Amico, Il rapporto obbligatorio, p. 236 e ss.

29 “Il codice non prevede una procedura di liberazione coattiva del debitore delle obbligazioni di fare. Al riguardo, maggiormente fondata appare la tesi che afferma l’applicabilità della regola sull’impossibilità temporanea non imputabile al debitore, e che deduce pertanto l’estinzione del vincolo quando in relazione al titolo dell’obbligazione o della natura dell’oggetto il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla (art. 1256 c. 2 cod. civ.).”, così, Bianca, Patti, Patti, Lessico di diritto civile, voce mora del creditore, 2001, p. 471.

30 Che recita: “Se la prestazione consiste in un fare, il creditore è costituito in mora mediante l’intimazione di ricevere la prestazione o di compiere gli atti che sono da parte sua necessari per renderla possibile. L’intimazione può essere fatta nelle forme d’uso [80 disp. att.]”. Si è osservato che, a ben guardare, la norma si riferisce solo alle obbligazioni fare in senso stretto, con esclusione di quelle fattispecie in cui la prestazione consiste nella produzione di un bene che viene consegnato al creditore, come ad esempio, nel contratto d’opera o nel contratto d’appalto. La legge tuttavia non prevede un’apposita procedura di liberazione che consenta al debitore di liberarsi coattivamente dall’obbligazione di facere e pertanto la stessa deve essere ricavata in via sistematica guardando alle norme dettate per le prestazioni di dare. Sul punto Cantillo, in Giurisprudenza Sistematica, p. 649 e ss.

31 La natura giuridica del deposito liberatorio è discussa. Dapprima orientata verso l’ipotesi che il deposito ex art. 1210 c.c. fosse un contratto a favore di terzo, la Dottrina ha poi ritenuto che il deposito sia una combinazione di due negozi, un deposito ed un accollo, ai quali è affidata la costituzione dell’effetto liberatorio finale. Per una sintesi G. D’Amico, Il rapporto obbligatorio, p. 237 e ss.

32 Che dispone: “Per la validità del deposito è necessario [73 disp. att.]: 1) che sia stato preceduto da un’intimazione notificata [137 c.p.c.] al creditore e contenente l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo in cui la cosa offerta sarà depositata [74 disp. att.];2) che il debitore abbia consegnato la cosa, con gli interessi [1224, 1284] e i frutti dovuti fino al giorno dell’offerta [1207], nel luogo indicato dalla legge o, in mancanza, dal giudice; 3) che sia redatto dal pubblico ufficiale un processo verbale da cui risulti la natura delle cose offerte, il rifiuto di riceverle da parte del creditore o la sua mancata comparizione, e infine il fatto del deposito [78 disp. att.; 126 c.p.c.]; 4) che, in caso di non comparizione del creditore, il processo verbale di deposito gli sia notificato [137 c.p.c.] con l’invito a ritirare la cosa depositata. Il deposito che ha per oggetto somme di denaro può eseguirsi anche presso un istituto di credito [73, 76, 251 disp. att. ].

33 In specie si è osservato che, “Va precisato anzitutto che nel seno della procedura di liberazione coattiva di liberazione rientra unicamente la sentenza di convalida, e non anche, come potrebbe far pensare una affrettata lettura dell’art. 1210 cpv. C.C. l’accettazione del creditore. Nel rimedio giuridico predisposto per l’attuazione dell’interesse del debitore non si può far conto di pentimenti tardivi dall’altra parte, ma soltanto di mezzi che prescindano da quella collaborazione che è già mancata nella fase ordinaria dell’adempimento. La sentenza di convalida rappresenta, nonché mezzo supplementare destinato a sostituire l’adesione del titolare del credito, l’unico strumento cui la legge affida il compito di produrre la liberazione dell’obbligo invito creditore. Ciò è tanto vero che l’adesione di cui all’art. 1210 c.c. è capace di condurre alla liberazione del debitore ancorché la procedura, per essere viziata in qualche elemento di forma o di sostanza non possa aspirare ad una convalida giudiziari.”, Falzea, L’offerta reale, 1947, p. 297.

34 Si veda, quanto alla sentenza di convalida, Tribunale di Torre Annunziata, sentenza del 19-09-2013, ove si afferma che: ”nel merito deve preliminarmente evidenziarsi che il procedimento di convalida dell’offerta reale e del successivo deposito, relativi ad obbligazioni aventi ad oggetto una somma di denaro, è un giudizio di liberazione coattiva del debitore essendo la sentenza che lo definisce volta ad estinguere, con efficacia costitutiva, il debito, accertando la validità del deposito, ai sensi dell’art. 76 e ss. disp. att. c.c. a favore del creditore; oggetto di tale procedimento è la verifica della ritualità di tutte le modalità, formali e temporali, prescritte dalla relativa disciplina normativa, affinché il debitore si liberi della sua obbligazione e, pertanto, parti necessarie del detto procedimento sono soltanto il debitore e il creditore.”; si veda anche Cass. Civ. Sez. III, 13-05-2008, n. 23844 che, al termine della verifica sulla correttezza della procedura, conclude:” pertanto va confermata la validità della procedura dell’offerta reale e del deposito della somma con conseguente effetto liberatorio per i debitori-ritraenti”.

35 “In mancanza di accettazione del creditore il procedimento in esame si conclude con la sentenza di convalida del deposito. se poi vi è accettazione può dirsi che il debitore consegue la liberazione dal vincolo in virtù di un accordo con il creditore, con effetti analoghi a quelli che verificano di fronte a una datio in solutum.”, Visintini, L’adempimento delle obbligazioni, p. 203. Di questo avviso anche il relatore dell’annotata sentenza, il quale in un passaggio specifica: “Nel caso del procedimento di liberazione coattiva del debitore, al contrario, l’accettazione del deposito, secondo l’espressa previsione dell’art. 1210 c.c., ha effetto liberatorio, con efficacia retroattiva (alla data del deposito stesso) e determina l’estinzione dell’obbligazione, con effetto assimilabile a quello della datio in solutum.”.

36 “La sentenza impugnata (pag 10 e 15), con motivazione corretta, ancorché sintetica, afferma che non risulta l’accettazione a saldo e che la riscossione non costituisce un comportamento univoco, da cui possa desumersi una rinunzia. Nella specie, invero, il silenzio non può considerarsi “circostanziato”. Non sussisteva nessuna consuetudine, pratica o accordo, secondo i quali il silenzio dovesse interpretarsi come accettazione della metà della somma rispetto a quella riconosciuta dal giudice di primo grado potesse considerarsi alla stregua di una remissione del debito o di una rinunzia al credito.” Cass. Civ., Sez. II, 14 giugno 1997, n. 5363, rep. Online: http://pluris-cedam.utetgiuridica.it/main.html

37 La conclusione qui esposta trova conferma anche in un altro, risalente, precedente della Corte di Cassazione. Con la pronuncia del 21 giugno 1982, n. 743, il giudice di legittimità ha rigettato il ricorso di un debitore il quale rivendicava che l’avvenuto ritiro da parte del creditore della somma offerta e depositata comportasse la conseguente liberazione dello stesso dall’obbligazione. Il Collegio ha osservato che il debitore non era stato liberato dal debito nonostante il creditore avesse ritirato la somma offerta e depositata, poiché il creditore aveva osservato che l’ammontare era inferiore all’importo dovuto (p. 4 parte motiva). La detta sentenza rileva, ai fini che qui interessano, sotto un duplice profilo: da un canto ammette che l’accettazione possa avvenire per fatti concludenti, anche attraverso il ritiro della somma depositata, dall’altro conferma che tale ritiro, per produrre gli effetti propri dell’accettazione ex 1210 c.c., deve essere “mero”, “nudo”, senza riserve.

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