Giovanni Facci, La sponsorizzazione sportiva e la violazione della buona fede: questioni vecchie e nuove, in Resp. civ. prev., 2011, p. 523.
La sponsorizzazione sportiva e la violazione della buona fede: questioni vecchie e nuove
Sommario: 1. Il contratto di sponsorizzazione e la buona fede contrattuale – 2. Ipotesi vecchie e nuove di possibili violazioni del principio di buona fede. – 3. (Segue). Il deludente risultato sportivo e la violazione della buona fede contrattuale. – 4. (Segue). I provvedimenti disciplinari della giustizia sportiva. – 5. (Segue). I comportamenti privati dello sponsee – 6. (Segue). Il fatto dell’atleta – terzo rispetto al contratto di sponsorizzazione – tesserato per la società sponsee. – 7. La buona fede ed i possibili conflitti concorrenziali tra i contratti di sponsorizzazione della società sportiva e del singolo tesserato.
1. Il contratto di sponsorizzazione e la buona fede contrattuale.
I proventi derivanti dai contratti di sponsorizzazione rappresentano una fonte economica insostituibile per qualsiasi realtà sportiva, sia a livello professionistico (1), sia a livello dilettantistico (2). Per questa ragione, le associazioni e le società sportive (ma anche le Federazioni e le Leghe) attribuiscono sempre più importanza agli accordi di sponsorizzazione, al fine di reperire risorse economiche (3). A ciò si aggiunga che i singoli atleti ricorrono spesso ad accordi di sponsorizzazione, per sfruttare meglio la popolarità acquisita nell’ordinamento sportivo. In questo modo, la prassi dei contratti di sponsorizzazione sportiva – che fino a poche decine di anni fa riguardava soltanto poche discipline (4) – rivela una gamma estremamente ampia e diversificata di contenuti, nonché l’emergere di nuove tipologie di sponsorizzazione (5). Davanti a tale progressiva diffusione del contratto di sponsorizzazione, l’interesse degli interpreti, tenuto conto della carenza normativa, si è indirizzato, prevalentemente, verso l’individuazione della disciplina applicabile alla fattispecie. Il contratto di sponsorizzazione, infatti, anche se menzionato in numerosi provvedimenti legislativi – da ultimo ad esempio il d.lgs., 15 marzo 2010, n. 44, in tema di esercizio delle attività televisive (6) – è privo di una disciplina legale tipica (7). Per questo motivo, si è tentato, talvolta, di accostare il contratto in esame a contratti tipizzati dal legislatore, con conseguente sforzo di applicare le norme previste per quei contratti al contratto di sponsorizzazione (8); così, ad esempio, si è fatto riferimento alla locatio operis, nelle due forme dell’appalto di servizi o del contratto d’opera – a seconda dell’esistenza o meno di una organizzazione imprenditoriale (9) – od ancora al contratto associativo (10).
Tali tentativi – volti a ricondurre direttamente agli accordi di sponsorizzazione la disciplina di figure contrattuali tipiche, previste dal legislatore per soddisfare funzioni economiche sociali diverse e ben determinate – non sono apparsi soddisfacenti (11). In altre parole, è indiscusso che la sponsorizzazione sia un contratto atipico ma meritevole di tutela ex art. 1322 c.c.; il contratto di sponsorizzazione, infatti, si è consolidato nella prassi per [thrive_lead_lock id=’4487′] soddisfare ineccepibili esigenze – sempre più numerose e variegate, sia della moderna comunicazione d’impresa sia, con riguardo all’ambito sportivo, dei soggetti facenti parte di detto ordinamento – rispetto alle quali, i contratti tipici mostrano talvolta la loro inadeguatezza (12). In tal modo, l’unica disciplina invocabile appare quella generale codicistica sul contratto che, proprio per l’atipicità della fattispecie in esame, potrà essere integrata da pattuizioni specifiche (13).
Per questa ragione – rappresentata dal carattere atipico del contratto di sponsorizzazione e dalla conseguente mancanza di una disciplina legale – assume un ruolo ancor più rilevante il principio di buona fede, inteso come clausola generale dalla quale nascono obblighi integrativi o limiti rispetto a quanto espressamente previsto dalle parti nel regolamento contrattuale (14). È indubbio, infatti, che l’assenza di una disciplina legale specifica comporti un maggior spazio applicativo per un integrazione del regolamento secondo il canone della buona fede (15). Senza contare, inoltre, che l’importanza del principio di buona fede è resa ancor più evidente dalla circostanza che la sponsorizzazione riguarda un rapporto di durata, contraddistinto da un significativo carattere fiduciario, in cui la considerazione dell’identità e delle qualità della controparte è determinante del consenso (16). In altri termini, il dovere delle parti di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto appare ancor più stringente nella sponsorizzazione: la sovrapposizione di immagine (minore o maggiore a seconda del tipo di accordo (17) tra sponsor e sponsorizzato non solo fa rientrare il contratto nella categoria generale caratterizzata dall’intuitus personae (18), ma rende ancor più avvertita l’esigenza che ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio agisca in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge.
Così facendo, la buona fede viene ad integrare il contratto, a norma dell’art. 1374 c.c., quale contenuto legale (19), imponendo a ciascuna parte di adeguare i propri comportamenti ad una giusta considerazione anche degli interessi dell’altra parte e di astenersi da condotte che possano rivelarsi pregiudizievoli per quest’ultima (20). Più in generale, il criterio della buona fede concorre alla formazione, in senso ampliativo o limitativo, del regolamento contrattuale e di conseguenza dei diritti e degli obblighi da esso derivanti, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi sottostanti all’esecuzione del contratto (21).
2. Ipotesi vecchie e nuove di possibili violazioni del principio di buona fede.
Il dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto di sponsorizzazione assume una particolare rilevanza nel caso in cui sia lo sponsor a lamentare un inadempimento, a causa di un comportamento che esula da quella che è – in senso proprio – la prestazione principale dello sponsee; infatti, mentre l’inadempimento dello sponsor pone minori difficoltà – tenuto conto che la prestazione dello stesso consiste prevalentemente nel pagamento di una somma di denaro – appare diverso il caso in cui sia lo sponsor a lamentare un inadempimento dello sponsee. In particolare, le prestazioni di quest’ultimo – rappresentate principalmente dal dovere di promuovere il marchio od un prodotto dello sponsor (22) – possono assumere, talvolta, un contenuto ulteriore – rispetto a quanto previsto espressamente nel regolamento contrattuale – alla luce del principio di buona fede contrattuale. Tale canone, difatti, permette di individuare obblighi ulteriori od integrativi rispetto a quelli principali, espressamente previsti, al fine di non frustrare l’operazione negoziale e compromettere l’interesse perseguito dalla parte.
Nel caso di specie, l’interesse perseguito dallo sponsor è volto a realizzare – attraverso la diffusione dell’immagine dell’azienda ai terzi, nell’ambito dell’attività dello sponsee – il ritorno promozionale auspicato, così da ottenere un apprezzamento favorevole da parte del pubblico (23). Per questa ragione, facendo applicazione del principio di buona fede, si è ravvisato un inadempimento contrattuale del soggetto sponsorizzato che non aveva mantenuto la riservatezza, fino alla scadenza naturale del contratto in essere, circa la conclusione di un altro accordo con un nuovo sponsor tecnico, concorrente rispetto a quello attuale (24). In tal modo, l’annuncio anticipato – rispetto alla cessazione degli effetti del precedente contratto – del nuovo sponsor tecnico aveva di fatto depotenziato il messaggio promozionale della sponsorizzazione ancora in corso; contestualmente, l’operazione negoziale in essere era stata frustrata e soprattutto era stato compromesso il ritorno promozionale auspicato dallo sponsor, conseguibile attraverso la divulgazione del nome e dei segni distintivi dell’azienda, secondo le modalità convenute.
Si è ravvisata, invece, non solo una violazione del dovere di buona fede, tale da legittimare la risoluzione del contratto, ma anche un vero e proprio illecito – tale da legittimare un provvedimento d’urgenza volto ad inibire l’uso della denominazione o del marchio dello sponsor nelle successive manifestazioni e iniziative – allorché lo “sponsee” abbia reso agli organi di stampa e televisivi dichiarazioni fortemente lesive del buon nome e dell’immagine dello sponsor, così da mettere in pericolo per quest’ultimo il ritorno commerciale sperato al momento della stipulazione del contratto (25).
Oltre a questi precedenti giurisprudenziali, sussiste una casistica ulteriore di possibili inadempimenti dello sponsee, a prescindere da quella che è la prestazione principale a carico dello stesso soggetto sponsorizzato. In particolare, occorre soffermarsi sulle ipotesi in cui la doglianza dello sponsor sia collegata direttamente all’insuccesso od alla deludente partecipazione ad una competizione sportiva, per la quale il contratto di sponsorizzazione era stato stipulato. Al riguardo, è quanto mai rilevante un precedente arbitrale, in cui lo sponsor, che aveva abbinato il proprio nome ad una squadra di pallacanestro di serie A, ha poi agito nei confronti del club per risolvere il contratto e per chiedere il risarcimento dei danni, in conseguenza della disastrosa stagione sportiva (caso Aurora Basket Desio) (26). Allo stesso modo, si segnala un recente caso di recesso unilaterale dello sponsor dal contratto in essere, con conseguente inibizione al club professionistico di pallacanestro di continuare ad utilizzare il nome dell’azienda (27), a causa della pessima gestione del club (28). Ancor più clamorosa – guardando ciò che accade oltre i confini nazionali – appare la notizia relativa alla richiesta di risarcimento dei danni che gli sponsor della nazionale francese di calcio avrebbero inoltrato alla Federazione francese dopo la recente e deludente partecipazione al Mondiale di calcio in Sudafrica. In particolare, si tratterebbe dei lamentati danni all’immagine subiti da alcuni sponsor nonché del danno patrimoniale patito dallo sponsor tecnico per l’abbigliamento, a causa di circa 200.000 mila repliche della maglia da gioco rimaste invendute (29).
Altrettanto rilevanti sono le ipotesi in cui sul rapporto contrattuale vengano ad incidere severi provvedimenti disciplinari irrogati dalla giustizia sportiva. A tal proposito, si segnala un precedente del Collegio Arbitrale della Federciclismo nazionale del marzo 2010 che ha condannato un noto ciclista, trovato positivo al doping nella prima tappa del Tour de France 2008, a risarcire i danni d’immagine causati alla squadra in cui militava all’epoca del fatto (30). Nel caso di specie, i danni all’immagine sono stati richiesti e di conseguenza riconosciuti soltanto al team; alla stregua di tale ratio, tuttavia, può porsi la questione se il danno non patrimoniale avrebbe potuto essere accordato anche allo sponsor il cui nome era abbinato alla squadra. In virtù di tale tipologia di sponsorizzazione (31), infatti, vi è una forte immedesimazione tra sponsee e sponsor, così che una compromissione dell’immagine del primo potrebbe determinare conseguenze negative anche sul secondo.
Significativo è anche il caso della Juventus calcio, retrocessa in serie B nel 2006 dalla giustizia sportiva in seguito allo scandalo ed agli illeciti di “calciopoli”: dopo il recesso comunicato dall’azienda sponsor di maglia, vi è stata una rinegoziazione del contratto, che ha comportato – stando ai dati ufficiali della società per la stagione successiva alla retrocessione (32) – un impatto economico, in termini di minori ricavi, di circa otto milioni di euro per il club. Tale vicenda, anche se non ha determinato una richiesta risarcitoria, testimonia la rilevanza dei provvedimenti della giustizia sportiva sull’efficacia dei contratti di sponsorizzazione.
Allo stesso modo, i fatti attinenti alla vita privata dello sponsee possono incidere sul contratto di sponsorizzazione; in particolare, meritano di essere segnalati i casi in cui la condotta contestata susciti, in negativo, l’interesse dell’opinione pubblica. Davanti a fatti di questo genere, normalmente, gli sponsor recedono dal contratto di c.d. testimonial in essere con lo sponsee (33): questo, ad esempio, è accaduto di recente al noto campione di golf travolto dallo scandalo circa le molteplici relazioni extraconiugali (34), oppure al noto campione di calcio brasiliano fotografato in compagnia equivoca (35). Non si può escludere, tuttavia, che tali eventi, oltre che incidere sull’efficacia dei contratti, possano indurre l’azienda sponsor a proporre una domanda di risarcimento dei danni, allorché sia particolarmente forte l’immedesimazione tra lo sponsee e la stessa azienda. Nel caso di specie, infatti, quest’ultima potrebbe lamentare un pregiudizio non patrimoniale in termini di danni all’immagine nonché di danno patrimoniale a causa ad esempio di mancate vendite dei prodotti dedicati allo sponsee, relativi al c.d. personality merchandising (36).
3. (Segue). Il deludente risultato sportivo e la violazione della buona fede contrattuale.
Il deludente risultato nella prestazione sportiva – alla quale il contratto di sponsorizzazione è inerente – può rappresentare un valido banco di prova per valutare la rilevanza del dovere di buona fede nella sponsorizzazione e, contestualmente, i confini della tutela contrattuale dello sponsor. La questione si pone allorché lo sponsor lamenti che la debacle sportiva ha provocato un minor ritorno promozionale, rispetto a quanto atteso con il contratto di sponsorizzazione o, peggio ancora, un danno all’immagine dell’azienda sponsor. In altre parole, l’insuccesso nella competizione sportiva permette di valutare fino a che punto lo sponsor possa invocare, nei confronti dello sponsee, l’inadempimento dell’obbligo di buona fede, inteso come dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra parte, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di legge.
A tal proposito, è indubbio che il buon esito nella performance sportiva del soggetto sponsorizzato non rientri nell’ambito dell’obbligazione cui è tenuto lo stesso sponsee: la prestazione dello sponsee non è rivolta al conseguimento di un risultato sportivo specifico (vincita del campionato o buon punteggio nello stesso), ma solo alla divulgazione del marchio dello sponsor attraverso l’espletamento della propria attività nel contesto sportivo (37). Eventualmente, può essere riconosciuto contrattualmente un corrispettivo aggiuntivo nell’ipotesi di conseguimento di un determinato obiettivo nella competizione sportiva oppure la facoltà di recedere dal contratto per lo sponsor nel caso di esito negativo nella competizione.
Detto in altri termini, nel caso di specie, l’obbligazione non è di risultato (38), se con tale espressione si intende che il debitore – sponsee debba realizzare una determinata performance nella competizione sportiva, al fine di tutelare l’interesse perseguito dallo sponsor con il contratto di sponsorizzazione (39): anche se il ritorno promozionale (interesse perseguito dallo sponsor) è normalmente influenzato dall’esito della prestazione sportiva, lo sponsee è contrattualmente obbligato soltanto a divulgare il nome dello sponsor nei modi e nei tempi convenuti. Per questa ragione, a livello generale, si deve affermare che non sussiste un inadempimento dello sponsor ogni qualvolta la debacle sportiva abbia vanificato l’interesse perseguito dall’azienda sponsor con il contratto. Solo in casi del tutto particolari possono sussistere gli estremi affinché lo sponsor possa invocare, a protezione della propria immagine ed ancor prima del ritorno promozionale, la tutela della risoluzione contrattuale per inadempimento ovvero per inesatto adempimento con eventuale richiesta di risarcimento danni (40).
A questo riguardo, è del tutto significativo il precedente rappresentato dal lodo arbitrale – già ricordato in precedenza – che ha accertato l’inadempimento di un club professionistico di pallacanestro nei confronti dello sponsor, a causa del campionato disastroso disputato nella massima serie, in cui tutte le partite erano state perse (41). Nel caso di specie, era accaduto che a fronte del risultato sportivo fortemente deludente, lo sponsor – a stagione in corso – avesse interrotto i pagamenti del corrispettivo previsto, promuovendo poi il procedimento arbitrale e richiedendo tra l’altro il risarcimento dei danni per gli esborsi inutilmente già sostenuti in esecuzione del contratto, nonché per la perdita d’immagine subita. Davanti a tali domande, il Collegio arbitrale ha dichiarato l’inadempimento della società sportiva (42). La motivazione verte sulla circostanza che la società sportiva, al termine della prima stagione di contratto (di durata biennale), aveva smantellato la squadra, senza reinvestire in quest’ultima quanto ricavato dalla vendita dei giocatori migliori. Di conseguenza, la “debacle” sportiva si era verificata a causa della mancanza di atleti adeguati per disputare un campionato nella massima serie.
Per questa ragione, la ratio decidendi deve essere rinvenuta nella imprudente gestione tecnica della squadra che ha determinato risultati sportivi eccezionalmente negativi, alla luce del vero e proprio record di sconfitte realizzato. In altre parole, l’inadempimento dello sponsee non è il deludente risultato sportivo bensì la “scorretta” gestione della società da cui è derivato il risultato sportivo eccezionalmente negativo. Sotto questo profilo può essere apprezzata la violazione da parte del club del principio di buona fede. Nel caso di specie, è indubbio che la pessima gestione societaria – che di fatto, durante la vigenza del contratto in essere, ha smantellato la prima squadra senza alcuna sostituzione dei giocatori ceduti con atleti dello stesso livello – sia un comportamento che ha alterato l’equilibrio contrattuale e pregiudicato gli interessi dello sponsor. Quest’ultimo, infatti, quando sceglie un determinato team per concludere una sponsorizzazione – specie se si tratta di un contratto di abbinamento (43) – compie normalmente una valutazione anche dello standard tecnico dello sponsee. Dal livello qualitativo della squadra, infatti, è possibile prevedere (fatti salvi comunque eventi indipendenti dalla volontà delle parti, riconducibili alla normale alea dell’attività sportiva) il risultato sportivo che potrà essere raggiunto e quindi anche il ritorno pubblicitario che lo sponsor legittimamente può attendersi. Per questa ragione, il corrispettivo per i diritti di sponsorizzazione viene determinato anche sulla base dello standard tecnico della squadra sponsorizzata.
Appare evidente, pertanto, che il contratto può divenire privo di utilità per l’azienda sponsor, se il messaggio promozionale è veicolato mediante l’abbinamento con una squadra che poi perde tutte le partite; anzi, il contratto non solo non consente il ritorno pubblicitario auspicato al momento della conclusione dell’accordo ma rischia di trasmettere un messaggio fortemente negativo circa l’immagine dell’azienda sponsor. In questo contesto, di conseguenza, il canone della buona fede permette di valutare e sanzionare una scelta discrezionale del contraente – esterna rispetto al contratto, tenuto conto che la gestione tecnica del team non riguarda il regolamento contrattuale – la quale, tuttavia, va ad incidere su di una ragionevole aspettativa dell’altro contraente, perseguita attraverso il contratto (44). In altri termini, lo sponsor, se non può interferire nella gestione tecnica del team (o più in generale nella direzione dell’attività sportiva) (45), può indubbiamente invocare la violazione del dovere di buona fede allorché i propri interessi, sottostanti all’esecuzione del contratto (ritorno promozionale) siano stati pregiudicati dal comportamento gravemente colposo se non doloso della controparte. La società ha il diritto, durante l’esecuzione del contratto, di mutare l’assetto tecnico del team quando è stato concluso l’accordo; tuttavia, lo stesso sponsee ha il dovere di veicolare il messaggio promozionale dello sponsor in modo adeguato: ciò non avviene se il livello tecnico del team viene del tutto stravolto rispetto a quello esistente nel momento in cui si è perfezionato l’accordo. La buona fede quindi si pone, nell’ambito considerato, come limite alla discrezionalità nell’esecuzione del contratto, nel senso che opera sul piano della selezione delle scelte discrezionali dei contraenti, assicurando che l’esecuzione del contratto avvenga in armonia con quanto emerge dalla ricostruzione dell’operazione economica che le parti avevano inteso porre in essere (46).
A testimonianza che l’inadempimento non è rappresentato dall’insuccesso sportivo ma dalla scorretta ed imprudente gestione tecnica della società, si può rilevare l’insussistenza di un inadempimento, se lo stesso risultato sportivo negativo fosse stato determinato – anziché da un comportamento contrario a buona fede dello sponsee – da altri eventi che rappresentano l’alea inerente l’attività sportiva; così ad esempio, si faccia l’ipotesi in cui la debacle sportiva sia stata provocata da una serie di infortuni a catena che abbiano impedito al team di schierare gli atleti migliori oppure al caso in cui gli atleti – chiamati a sostituire quelli il cui contratto è stato ceduto a terzi – si siano rivelati, ex post, del tutto inadeguati rispetto alle aspettative tecniche legittimamente riposte in loro ex ante. È evidente che, nelle ipotesi sopra considerate, non sarebbe ravvisabile alcun inadempimento dello sponsee. Si trae conferma così che anche se il deludente risultato sportivo può determinare un effetto negativo per l’interesse dello sponsor, soltanto in casi eccezionali può ravvisarsi un inadempimento. In particolare, la responsabilità dello sponsee può sussistere soltanto ogni qualvolta nella gestione dell’intero evento sportivo per il quale il contratto era stato concluso, la parte sponsorizzata – al di là di specifici obblighi contrattuali – abbia agito, in modo gravemente imprudente, senza tenere in considerazione gli interessi dello sponsor ed in particolare il ritorno promozionale atteso da quest’ultimo. La buona fede, pertanto, impone allo sponsorizzato di assumere comportamenti che non mettano in pericolo e pregiudichino il ritorno atteso dallo sponsor, l’immagine e la reputazione economica dello stesso; così facendo, il principio di buona fede viene ad integrare il contratto, introducendo doveri e regole di condotta, che le parti avevano omesso di prevedere, ma che è necessario adempiere o rispettare per consentire la piena attuazione dell’accordo (47). In caso contrario, la violazione della buona fede determina l’applicazione dei rimedi esperibili in caso di inadempimento, quali in primis la risoluzione del contratto e la condanna al risarcimento dell’eventuale danno che sia stato cagionato (48).
4. (Segue). I provvedimenti disciplinari della giustizia sportiva.
Un provvedimento della giustizia sportiva, sanzionatorio nei confronti dello sponsee, può incidere – allo stesso modo di una debacle sportiva ed in alcuni casi con ancor più veemenza – sul ritorno promozionale atteso dallo sponsor. A conferma di ciò è significativo il fatto che si tende a riconoscere anche allo sponsor la legittimazione ad impugnare, davanti agli Organi della Federazione sportiva, un provvedimento federale sanzionatorio (come ad esempio una retrocessione) nei confronti dello sponsee. La questione è di tutta rilevanza, tenuto conto che lo sponsor è estraneo all’Ordinamento sportivo; di conseguenza, dovrebbe essergli preclusa la possibilità di ricorrere alla giustizia sportiva, la quale ha giurisdizione soltanto sui soggetti che sono parte dell’Ordinamento sportivo. D’altro canto, però, è indubbio che lo sponsor possa subire un pregiudizio, a causa di un provvedimento Federale sanzionatorio nei confronti della parte sponsorizzata; tale provvedimento, infatti, può incidere sulla capacità attrattiva dello sponsee nei confronti del pubblico e frustrare di conseguenza l’interesse perseguito con il contratto di sponsorizzazione (49). Per queste ragioni, nelle Carte Federali, si riscontrano segnali di apertura sempre più marcati rispetto alla legittimazione dello sponsee, tanto che, ad esempio, l’art. 29 del Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C., dopo aver conferito la legittimazione ad agire esclusivamente ai soggetti affiliati o tesserati (co. 1 e 2), riconosce detta legittimazione, nei casi di illecito sportivo, anche ai “terzi portatori di interessi indiretti, compreso l’interesse in classifica” (co. III) (50). Tali previsioni e più in generale il dibattito, anche giurisprudenziale in atto circa la legittimazione dello sponsor ad impugnare davanti alla giustizia sportiva, non fanno altro che confermare la rilevanza anche “esterna” delle decisioni disciplinari assunte dagli Organi federali, che possono coinvolgere, pertanto, gli interessi dello sponsor. Si consideri che negli ultimi anni, le decisioni della Giustizia sportiva, talvolta, hanno inciso in modo considerevole sul risultato e più in generale sull’intero assetto delle manifestazioni sportive: in alcuni casi, sono state determinate a carico di singoli atleti sospensioni temporanee dall’attività agonistica oppure la radiazione; in altre ipotesi, sono state sancite retrocessioni in Campionati di serie inferiore o mancate promozioni in categorie superiori od addirittura la vincita nel Campionato, a prescindere dal risultato maturato sul campo. Del tutto significativo, è il caso già sottolineato in precedenza relativo alla retrocessione in serie B della Juventus, in seguito alla decisione della Giustizia sportiva nel 2006: tale provvedimento ha indotto il club ad una rinegoziazione del contratto con lo sponsor di maglia, con conseguenti minori ricavi, per la stagione successiva, di circa otto milioni di euro (51).
In ogni caso, a prescindere dalla legittimazione o meno dell’azienda sponsor ad impugnare il provvedimento disciplinare davanti agli organi della Giustizia sportiva, si pone la questione se lo sponsor, a causa di un provvedimento della Federazione sanzionatorio nei confronti della società, possa lamentare un inadempimento dello sponsee, con tutte le conseguenze del caso in termini di risoluzione ed eventualmente di risarcimento dei danni che l’azienda sponsor eventualmente riuscisse a dimostrare di aver subito.
Per queste ragioni, nei contratti di sponsorizzazione, è generalmente prevista la facoltà per lo sponsor di recedere dal contratto, allorché si verifichino fatti come quelli in precedenza descritti. Tralasciando questa ipotesi, in cui le parti hanno già disciplinato, ex ante, le conseguenze derivanti da una sanzione disciplinare della Giustizia sportiva, appare evidente che se il provvedimento disciplinare incide definitivamente sulla partecipazione dello sponsee all’evento sportivo, in vista del quale è stato concluso il contratto, vi è una impossibilità – da parte dello sponsee – di esecuzione della prestazione a favore dello sponsor (52); tale prestazione, infatti, consiste nella diffusione dell’immagine dell’azienda sponsor nell’ambito del contesto sportivo, che viene utilizzato come veicolo per valorizzare ed accrescere la conoscenza del marchio. In questo caso, pertanto, si pone la questione se l’impossibilità di eseguire la prestazione sia non imputabile allo sponsee debitore, ex art. 1218 c.c. oppure se sia invocabile un inadempimento da parte dello sponsee che giustifichi non solo una risoluzione del contratto ma anche un eventuale risarcimento dei danni conseguenti a detto inadempimento.
Allo stesso modo, si deve verificare se sussista un inadempimento dello sponsee, allorché i provvedimenti Federali disciplinari, senza impedire la partecipazione alla competizione sportiva dello sponsee, incidano sulla stessa, pregiudicando l’interesse perseguito dallo sponsor (come ad esempio, in caso di retrocessione, di mancata promozione o di penalizzazione). A tal proposito, si può rilevare che normalmente tali provvedimenti disciplinari – che soltanto se di una certa gravità possono pregiudicare gli interessi dello sponsor – sono originati da un comportamento della parte sponsorizzata, quanto meno contrario “ai principi di lealtà, correttezza e probità”. Tali principi, espressamente prescritti nel Codice di Comportamento Sportivo, di cui all’art. 13 bis dello Statuto del Coni (53) oltre che in tutti i Regolamenti delle singole Federazioni Sportive, sono intesi come canone di condotta a cui il tesserato, l’affiliato e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo si devono attenere “in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva” (54). Nei casi più gravi, inoltre, siffatte sanzioni derivano da “illeciti sportivi” (55) o da “atti di frode sportiva” (56), che talvolta possono integrare anche la fattispecie penalmente rilevante, di cui alla l. n. 401 del 1989 (57). Allo stesso modo, l’utilizzo di sostanze dopanti da parte dell’atleta sponsee – da cui derivano provvedimenti sanzionatori – si contrappone all’etica dello sport ed ai suoi principi di lealtà e correttezza oltre che essere un illecito penale, ai sensi della l. 14 dicembre 2000, n. 376.
Davanti a condotte di questo genere, lo sponsor può lamentare la violazione della buona fede, essendo indubbio che lo sponsee debba astenersi da comportamenti così gravi (violazione dei “principi di lealtà, correttezza e probità”, illecito sportivo, frode sportiva, uso di sostanze dopanti), che indubbiamente possono compromettere gli interessi promozionali dell’azienda sponsor. Di conseguenza, nei casi sopra esaminati, la violazione della buona fede determina l’applicazione dei rimedi normalmente esperibili in caso di inadempimento. In ogni caso, non ogni provvedimento disciplinare che incida sugli interessi dello sponsor può considerarsi necessariamente inadempimento dello sponsee ai propri doveri nei confronti dell’azienda. Questo può essere il caso in cui il provvedimento federale sanzionatorio – che determini un minor ritorno promozionale per l’azienda (si faccia ad esempio l’ipotesi dell’obbligo di far svolgere l’evento sportivo senza la presenza di pubblico, oppure l’ipotesi della retrocessione, della mancata promozione o della squalifica del campo di gioco) – sia cagionato da un fatto non direttamente imputabile al comportamento della parte sponsorizzata, come nel caso di fatti violenti dei sostenitori. In ipotesi di questo genere, anche se il provvedimento incide negativamente sull’interesse dello sponsor, appare difficile individuare un inadempimento nei confronti dello sponsor, allorché la parte sponsorizzata dimostri – nonostante quanto accaduto – di essersi comportata con diligenza e con professionalità nella gestione dell’evento sportivo (58). In tali ipotesi, infatti, il provvedimento non sembra conseguenza della violazione della buona fede quanto del rischio insito nell’organizzazione di una manifestazione sportiva. In altre parole, è indubbio che il dovere di buona fede, quale fonte di integrazione del contratto, imponga allo sponsee una corretta gestione dell’evento sportivo, al fine di non pregiudicare l’interesse dello sponsor; tuttavia, non appare ravvisabile alcuna violazione del precetto generale, se il provvedimento sanzionatorio deriva da un fatto (come nel caso di episodi violenti dei sostenitori) di cui la società è chiamata a rispondere a titolo oggettivo, in virtù di quanto espressamente previsto dai Regolamenti delle Federazioni (59), a prescindere dal riscontro dell’elemento soggettivo della colpa.
5. (Segue). I comportamenti privati dello sponsee.
Questioni particolari possono porsi allorché l’interesse perseguito dallo sponsor, con il contratto, sia pregiudicato da fatti attinenti alla vita privata dello sponsee. Se vi è, infatti, uno stretto collegamento tra l’immagine dello sponsee e quella dello sponsor, una caduta dell’immagine del primo indubbiamente si ripercuote in negativo anche su quella del secondo. In tal modo, il ritorno promozionale auspicato dallo sponsor viene a risentire sfavorevolmente dei fatti che offuscano l’immagine del soggetto sponsorizzato, allo stesso modo in cui l’interesse dello sponsor può essere pregiudicato da un deludente risultato sportivo oppure da un provvedimento disciplinare sanzionatorio. Anche in questa ipotesi, tuttavia, appare difficoltoso individuare il limite della tutela per lo sponsor, tenuto conto che siffatta tutela non può spingersi fino a sacrificare il diritto di autodeterminazione del soggetto sponsorizzato. Così, l’aver concluso un contratto di sponsorizzazione non può comportare per lo sponsee la rinuncia a scelte di vita che, pur essendo del tutto legittime, potrebbero provocare un offuscamento della propria immagine davanti al pubblico, come ad esempio nel caso di una relazione sentimentale non approvata dal pubblico oppure nel caso di una separazione matrimoniale oppure nel caso di professione di un’ideologia controcorrente. Tali comportamenti non possono considerarsi certo inadempimenti di obblighi nascenti dal contratto di sponsorizzazione, in quanto sono espressione del diritto di autodeterminazione del singolo (60). Al contempo, l’assunzione da parte dello sponsee, al momento della conclusione del contratto, dell’obbligazione di astenersi da condotte di tal genere sarebbe nulla, perché in contrasto con i principi generali – anche costituzionalmente previsti – in tema di diritti della personalità (61).
È indubbio, tuttavia, che la commissione di fatti penalmente rilevanti oppure oggettivamente riprovevoli, secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale, possono rappresentare un inadempimento rispetto al dovere di comportarsi secondo buona fede e pertanto giustificare una domanda di risoluzione del contratto; tali azioni, infatti, anche se attinenti alla vita privata dello sportivo sponsee, non solo pregiudicano la capacità dello stesso di captare l’attenzione del pubblico ma possono trasmettere un messaggio negativo ai terzi. Per questa ragione, il dovere di buona fede contrattuale impone alla parte, durante l’esecuzione del contratto, di astenersi dall’assumere condotte di tal genere, in quanto possono compromettere l’interesse perseguito dallo sponsor con il contratto od, ancor peggio, veicolare un messaggio del tutto negativo per l’azienda. In altri termini, lo sponsor ha diritto di pretendere un contegno complessivo da parte dello sponsee consono con gli impegni contrattuali assunti, anche una volta che la parte abbia osservato tutti quelli espressamente indicati nel contratto (62). Nella prassi contrattuale, comunque, si assiste sempre più all’inserimento nel regolamento contrattuale di cd. morality clauses (63), in forza delle quali lo sponsor si riserva il diritto di risolvere il contratto, nell’eventualità in cui lo sponsee sia coinvolto non solo in scandali sportivi, come ad esempio, il doping ma anche quando rilasci dichiarazioni o compia fatti che siano obiettivamente lesivi della propria reputazione e della propria immagine e di conseguenza anche solo potenzialmente pregiudizievoli per gli interessi dello sponsor. A prescindere da tali clausole, comunque, lo sponsor legittimamente può lamentare l’inadempimento dello sponsee quando, durante la vigenza del contratto, la condotta obiettivamente riprovevole di quest’ultimo abbia pregiudicato gli interessi dell’azienda sponsor. In tal modo, quest’ultima può risolvere il contratto che associava la propria immagine a quella, ormai compromessa, dello sponsee, fatto salvo l’eventuale risarcimento dei danni che possano essere stati arrecati.
6. Il fatto dell’atleta – terzo rispetto al contratto di sponsorizzazione – tesserato per la società sponsee.
È possibile domandarsi se lo sponsor di una società possa legittimamente lamentare danni a causa della condotta di un atleta che presta la propria attività sportiva a favore della società sponsee. In particolare, la questione si pone nell’eventualità in cui un provvedimento disciplinare sanzionatorio od un fatto attinente alla vita privata, fortemente disdicevole, riguardi un atleta che non ha in essere alcun rapporto contrattuale con lo sponsor, il quale tuttavia lamenta una ricaduta d’immagine a causa di tale fatto. Nell’ipotesi considerata, il rapporto di sponsorizzazione intercorre soltanto tra l’azienda sponsor e la società per la quale l’atleta, responsabile della condotta in questione, è tesserato (64). Con riguardo a quest’ultimo rapporto (tra società sportiva e tesserato), negli accordi collettivi – richiamati espressamente dall’art. 4 della legge, n. 91 del 1981, al fine di disciplinare il rapporto di lavoro subordinato che lega lo sportivo professionista alla società – sono espressamente previste disposizioni volte ad imporre un particolare comportamento all’atleta, sia all’interno che all’esterno dell’ambito in cui deve svolgersi la prestazione sportiva oggetto del contratto (65). A tal proposito, nella giurisprudenza sportiva si riscontrano precedenti, anche clamorosi, in cui un atleta, ad esempio, trovato positivo al doping è incorso non solo in provvedimenti della Federazione di squalifica ma è stato costretto anche a risarcire il danno alla società. In particolare, si è già ricordato il precedente riguardante un ciclista positivo al doping al tour de France e poi condannato a risarcire i danni all’immagine alla propria squadra (caso Liquigas). Ancor più eclatante il precedente del Tribunale Arbitrale dello Sport (66) che ha disposto, a carico di un noto giocatore di calcio, il risarcimento di circa 17 milioni di euro, a favore di un team inglese presso il quale era tesserato al momento del riscontro della positività alla cocaina (caso Mutu). Tale pronuncia è alquanto significativa e può essere spiegata tenendo conto che una società sportiva può subire un ingente pregiudizio economico a causa di un provvedimento di tal genere; infatti, anche se la società può risolvere il contratto con l’atleta, la stessa può lamentare la perdita della somma eventualmente corrisposta in precedenza ad un altro club per ottenere i diritti alle prestazioni sportive del tesserato oppure la perdita di un corrispettivo per un’eventuale futura cessione del contratto, ai sensi dell’art. 5 l. n. 91 del 1981 (67). Allo stesso modo, il risarcimento del danno non patrimoniale a favore della società, in seguito al riscontro della positività al doping di un atleta tesserato, può essere compreso, allorché un fatto tanto grave screditi l’immagine del team e getti un ombra sinistra sullo stesso.
Appare più difficoltoso, invece, individuare una responsabilità dell’atleta nei confronti dello sponsor del team ed un conseguente obbligo di risarcire il danno. Nel caso di specie, infatti, non vi è alcun rapporto negoziale tra tesserato dello sponsee e sponsor. La conclusione, pertanto, dovrebbe essere quella di escludere ogni responsabilità dell’atleta nei confronti dello sponsor. Una soluzione diversa, invece, presupporrebbe che dal rapporto contrattuale di lavoro tra atleta e società sponsee, oppure più in generale dal fatto del tesseramento, sorgano obblighi (di protezione) dei tesserati anche nei confronti dello sponsor della società sponsorizzata. In altre parole, lo sponsor potrebbe lamentare che il rapporto tra società sponsee ed atleta sia fonte di obbligazioni anche a favore della stessa azienda che sponsorizza, considerando che il messaggio promozionale viene divulgato tramite l’attività dei tesserati dello sponsee. Una ricostruzione di questo genere, se per certi versi suggestiva, potrebbe trovare riscontro nell’ipotesi in cui vi sia una forte immedesimazione tra società sponsee ed azienda sponsor, così che l’immagine della seconda potrebbe essere lesa dal comportamento dell’atleta tesserato per la prima. In tal modo, il tesserato – pur se estraneo al contratto di sponsorizzazione – sarebbe comunque obbligato – in virtù anche del dovere di buona fede nell’esecuzione del rapporto in essere con la società sportiva – ad una condotta non pregiudizievole degli interessi dello sponsor, tenuto conto che quest’ultimo si identifica con la società sportiva per cui lo stesso atleta è tesserato. Così facendo, pertanto, in caso di condotta del tesserato pregiudizievole anche nei confronti dello sponsor, la stessa azienda sponsor potrebbe invocare la violazione di obblighi di condotta – cui il tesserato era tenuto, in virtù del rapporto in essere con società sponsee – forieri di conseguenze negative nei suoi confronti. Detto in termini ancora diversi, la condotta del tesserato che ponga in essere una condotta lesiva dell’immagine della società e di conseguenza dello sponsor con cui vi è una forte immedesimazione, può configurare un illecito plurioffensivo (68), lesivo di interessi meritevoli di tutela sia della società sportiva sia dello sponsor. È indubbio, infatti, che anche quest’ultimo possa lamentare la lesione di una posizione giuridicamente protetta se dimostra che dal fatto dell’atleta – in violazione del rapporto in essere con la società sponsee – ha subito un pregiudizio in termini ad esempio di lesione della propria immagine, con conseguente diminuzione della considerazione da parte dei terzi.
7. La buona fede ed i possibili conflitti concorrenziali tra i contratti di sponsorizzazione della società sportiva e del singolo tesserato.
La buona fede è il criterio normalmente deputato a prevenire e risolvere ogni possibile contrasto concorrenziale circa i contratti di sponsorizzazione, posti in essere rispettivamente dalla società sportiva e dal singolo tesserato. Il diritto del singolo atleta di stipulare contratti promo pubblicitari, infatti, può determinare una situazione di conflitto concorrenziale, allorché lo stesso sia testimonial di un’azienda concorrente rispetto allo sponsor della società sportiva per la quale è in atto il tesseramento (69). A tal proposito, è senza dubbio significativo il contenuto della Convenzione stipulata tra la Lega Nazionale Professionisti e l’Associazione Italiana Calciatori (A.I.C.) in data 23 luglio 1981 (70), relativa alla regolamentazione delle attività promozionali e pubblicitarie delle società calcistiche e dei calciatori loro tesserati (71). In particolare, detta Convenzione ribadisce il diritto per i singoli calciatori di utilizzare in qualsiasi forma lecita e decorosa la propria immagine anche “a scopo di lucro, purché non associata a nomi, colori, maglie, simboli o contrassegni della Società di appartenenza o di altre Società” (72). In altre parole, gli atti di disposizione della propria immagine, da parte del singolo atleta, sono leciti purché l’immagine ceduta si riferisca alla sfera privata del disponente e non sia associata a quella della società per la quale è in essere il tesseramento. Appare evidente, però, il rischio di una sovrapposizioni tra l’immagine riguardante l’ambito privato e quella riferita all’attività professionale del singolo. Per questa ragione la suddetta Convenzione si premura espressamente di prevenire e risolvere situazioni di contrasto o di incompatibilità tra i contratti di sponsorizzazione stipulati dalla società e quelli sottoscritti dall’atleta. Nello specifico, si tende a risolvere i possibili contrasti, affidandosi prevalentemente alla reciproca buona fede ed al massimo spirito collaborativo per comporre sul nascere ogni possibile contrasto concorrenziale, anche se una maggior tutela appare formalmente riservata ai contratti delle società (art. 11). Si consideri, comunque, che la Convenzione è stata sottoscritta (1981) in un’epoca in cui lo sfruttamento commerciale dell’immagine degli sportivi professionisti nonché delle società era soltanto agli albori, senza che fossero immaginabili il rilievo economico e le punte di sviluppo attuali. Per questa ragione, quanto previsto dalla stessa Convenzione, è applicato con notevole elasticità, così che diventa ancor più importante il ruolo della buona fede. In particolare, in questo contesto, la clausola generale di buona fede impone a ciascuna delle parti non solo di non utilizzare la propria libertà negoziale a danno dell’altra parte ma anzi di cooperare al fine di “elidere o minimizzare” le conseguenze derivanti dalle inevitabili situazioni di conflitto concorrenziale che sovente si presentano tra sponsor del singolo atleta e quelli della società.
1
() A tal proposito è significativo il dato relativo alla squadra di calcio della Juventus, come indicato a pag. 90 del Prospetto informativo di offerta in opzione ai soci e ammissione a quotazione di azioni ordinarie Juventus Football Club s.p.a., del 24 maggio 2007, pubblicato, in http://www.consob.it/main/emittenti/prospetti/prospetti.html?firstres=150&hits=500&viewres=1&search=1&resultmethod=prospetti&queryid=prospetti&maxres=500: «i ricavi da sponsorizzazioni e pubblicità per il semestre chiuso al 31 dicembre 2006 hanno rappresentato il 24% circa del totale ricavi (al netto dei proventi da gestione dei calciatori) (dato tratto dalla relazione semestrale redatta in conformità con lo IAS 34). I ricavi da sponsorizzazioni e pubblicità per l’esercizio chiuso al 30 giugno 2006 hanno rappresentato il 22% circa del totale valore della produzione (dato tratto dal bilancio redatto in conformità ai criteri di rilevazione e valutazione previsti dai Principi Contabili Italiani)».
2
() Al riguardo, Colantuoni, La sponsorizzazione sportiva, in I Contratti, 2006, f. 11, 1106.
3
() Sul punto, già, De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche, in Riv. dir. sport., 1983, 115.
4
() Un indubbio impulso al fenomeno delle sponsorizzazione, si è avuto nella stagione sportiva calcistica 1981-1982, quando la F.I.G.C. ha reso possibile la sponsorizzazione delle squadre di calcio da parte di aziende estranee all’ordinamento sportivo mediante l’apposizione del marchio aziendale sulle maglie dei calciatori. Sull’origine storica del fenomeno della sponsorizzazione, M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990, 12; Franceschelli, I contratti di sponsorizzazione, in Giur. comm., 1987, I, 289; Vidiri, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, in Giust. civ., 2001, II, 5.
5
() Al riguardo, Liotta, Santoro, Lezioni di diritto sportivo, Milano, 2009, 147; De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, Padova, 1988, 3.
6
() D.lgs., 15 marzo 2010, n. 44 di attuazione della direttiva 2007/65/Ce, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive, prevede all’art. 4, la seguente definizione di sponsorizzazione: «ogni contributo di un’impresa pubblica o privata o di una persona fisica, non impegnata nella fornitura di servizi di media audiovisivi o nella produzione di opere audiovisive, al finanziamento di servizi o programmi di media audiovisivi al fine di promuovere il proprio nome, il proprio marchio, la propria immagine, le proprie attività o i propri prodotti».
7
() Sulla circostanza che la legge 6 agosto 1990, n. 223, in tema di «disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato» non fosse in grado di trasformare il contratto di sponsorizzazione in un tipo legale, disciplinando essa non tanto il contratto in sé e per sé considerato, quanto l’effetto pubblicitario, Giacobbe, Atipicità del contratto e sponsorizzazione, in Riv. dir. civ., 1991, 402.
8
() Sul punto, Cantamessa, Merchandising, sponsorizzazioni e diritti di immagine, in Lineamenti di diritto sportivo, a cura di Cantamessa, Riccio, Sciancalepore, Milano, 2008, 512; Vidiri, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, cit., 8. Sui vari tentativi della dottrina di tipizzare il contratto di sponsorizzazione, si sofferma ampiamente M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, cit., 119.
9
() De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, cit., 97; Aniceti, Lo sfruttamento pubblicitario della notorietà tra concessione di vendita e contratto di sponsorizzazione, in Giust. civ., 1998, 1061.
10
() Dal Lago, Aspetti giuridici nella sponsorizzazione dello Sport, in Riv. dir. sport., 1983, 199.
11
() Briante, Savorani, Il fenomeno «sponsorizzazione» nella dottrina, nella giurisprudenza e nella contrattualistica, in Dir. informazione e informatica, 1990, 645; Giacobbe, Atipicità del contratto e sponsorizzazione, cit., 430; M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, cit., 127.
12
() Franceschelli, I contratti di sponsorizzazione, cit., 288; Briante, Savorani, Il fenomeno «sponsorizzazione» nella dottrina, nella giurisprudenza e nella contrattualistica, cit., 645; Vidiri, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, cit., 10; Inizitari, Sponsorizzazione, in Contratto e impr., 1985, 255.
13
() M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, cit., 128; Briante, Savorani, Il fenomeno «sponsorizzazione» nella dottrina, nella giurisprudenza e nella contrattualistica, cit., 645; Cantamessa, Merchandising, sponsorizzazioni e diritti di immagine, cit., 513. Al riguardo, M. Bianca, voce Sponsorizzazione, cit., 141, evidenzia come senza svuotare di significato la nozione dell’autonomia contrattuale espressa dall’art. 1322 c.c., al contratto di sponsorizzazione si debba applicare oltre che la disciplina generale del contratto anche l’analogia, la quale può servire per colmare le lacune che riguardano singole tipologie di sponsorizzazione. Sul ricorso al procedimento analogico, anche Giacobbe, Atipicità del contratto e sponsorizzazione, cit., 430, la quale svolge un parallelismo tra il contratto di sponsorizzazione ed il contratto d’opera.
14
() Sulla buona fede come clausola generale, Nanni, La clausola generale di buona fede, in Clausole e principi generali nell’argomentazione giurisprudenziale degli anni novanta, a cura di Cabella Pisu e Nanni, Padova, 1998, 331; C.M. Bianca, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, I, 206.
15
() Franzoni, Degli effetti del contratto, in Il codice civile commentario, in Comm. cod. civ. Schlesinger, Milano, 1999, 204; Capobianco, La determinazione del regolamento, in Trattato del contratto, diretto da Roppo, Regolamento, II, a cura di Vettori, Milano, 2006, 419.
16
() In giurisprudenza sulla rilevanza del dovere di buona fede nel contratto di sponsorizzazione, Cass., 29 maggio 2006, n. 12801, in Resp. civ., 2007, f. 3, 554; Lodo arbitrale Milano 25 maggio 1990, in Dir. informazione e informatica, 1991, 635. Sui doveri di correttezza e buona fede nel contratto di sponsorizzazione, anche De Giorgi, Contratti di sponsorizzazione e doveri di correttezza, in Dir. informazione e informatica, 1994, 1020; Giacobbe, Atipicità del contratto e sponsorizzazione, cit., 418.
17
() Sui vari tipi di sponsorizzazione riscontrabili nella casistica, M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, cit., 65; De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche, cit., 120; Franceschelli, I contratti di sponsorizzazione, cit., 295; Colantuoni, La sponsorizzazione sportiva, cit.; Cavandoli, Le sponsorizzazioni, in Manuale di diritto dello sport, a cura di Di Nella, Napoli, 2010, 232.
18
() Al riguardo, Giacobbe, Atipicità del contratto e sponsorizzazione, cit., 418.
19
() Sull’art. 1375 c.c., quale ipotesi nella quale la legge, ai sensi del precedente art. 1374 c.c., integra il contratto, si segnala, Franzoni, Degli effetti del contratto, cit., 166; Capobianco, La determinazione del regolamento, cit., 414. Il tema è ampiamente trattato da Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, 117; Galgano, Degli effetti del contratto, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, sub. art. 1375 c.c., Bologna-Roma, 1993, 117. In senso diverso, invece, C. Scognamiglio, L’integrazione, in I Contratti in generale, II, a cura di Gabrielli, in Trattato dei contratti, diretto da Rescigno e Gabrielli, Torino, 2006, 1173.
20
() Al riguardo, A. D’Angelo, Buona fede – correttezza nell’esecuzione del contratto, cit., 118; Franzoni, Degli effetti del contratto, cit., 213; Nanni, La clausola generale di buona fede, cit., 332; C. M. Bianca, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, cit., 205; Riccio, La clausola generale di buona fede è, dunque, un limite generale all’autonomia contrattuale, in Contr. impresa, 1999, 21.
21
() Su recenti applicazioni giurisprudenziali del dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto, si segnalano, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2010, n. 22819; Cass., 31 maggio 2010, n. 13208, in Mass. Giust. civ., 2010, 5, 839; Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Mass. Giust. civ., 2009, 1331.
22
() Nella definizione accolta in giurisprudenza circa il contratto di sponsorizzazione, si fa generalmente riferimento ad una serie indeterminata di ipotesi nelle quali un soggetto (detto sponsee) si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad altri (sponsor) l’uso della propria immagine pubblica ed il proprio nome per promuovere un marchio od un prodotto specificamente denominato (Cass., 29 maggio 2006, n. 12801, in Resp. civ., 2007, 554, con nota di Felletti, Un leading case della Cassazione in materia di sponsorizzazione: l’importanza della correttezza dello sponsee; Cass., 28 marzo 2006, n. 7083, in Mass. Giust. civ., 2006, 3; Cass., 21 maggio 1998, n. 5086, in Mass. Giust. civ., 1998, 1095).
23
() Sul punto, M. Bianca, voce Sponsorizzazione, in Digesto civ., cit., 149; Valori, Il diritto nello sport, Torino, 2009, 230. Sulla causa del contratto di sponsorizzazione, ampiamente, M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990, 133. Sulla sponsorizzazione come forma autonoma di comunicazione aziendale, inquadrabile nell’ambio degli strumenti utilizzati dall’impresa per realizzare i propri obiettivi commerciali, Briante, Savorani, Il fenomeno «sponsorizzazione» nella dottrina, nella giurisprudenza e nella contrattualistica, in Dir. informazione e informatica, 1990, 637.
24
() Cass., 29 maggio 2006, n. 12801, cit.; Lodo arbitrale Milano 25 maggio 1990, in Dir. informazione e informatica, 1991, 635.
25
() Trib. Rieti, 19 marzo 1994, in Giur. it., 1994, I, 2, 983.
26
() Coll. Arbitrale 17 luglio 1990, in Giur. it., 1991, 1, 2, 824, con nota adesiva di M. Bianca, Cattivo ritorno pubblicitario ed in Dir. informazione e informatica, 1991, 640, con nota di De Giorgi, Scorrettezze dello sponsee e diritti dello sponsor.
27
() La notizia del recesso dello sponsor e dell’inibizione all’utilizzo del nome dell’azienda è pubblicata sul sito http://www.basketime.it/?p=1145. Sulla facoltà di recesso unilaterale dello sponsor, fondata su di un rilevante inadempimento degli obblighi di buona fede, De Giorgi, Contratti di sponsorizzazione e doveri di correttezza, in Dir. informazione e informatica, 1994, 1023.
28
() La Federazione Italiana di Pallacanestro, con provvedimento del 13 aprile 2010 (pubblicato sul sito della Lega Basket lo stesso giorno) ha decretato l’esclusione immediata della squadra dal Campionato di serie A ancora in corso, con conseguente annullamento di tutte le gare nel frattempo disputate.
29
() La notizia può essere letta in http://www.repubblica.it/sport/calcio/calciomercato/2010/07/29/news/sponsor_contro_nazionale_francese-5924838/; http://sport.sky.it/sport/calcio_estero/2010/07/24/francia_sponsor_chiedono_danni_alla_nazionale.html; http://www.ilgiornale.it/sport/francia_sponsor_vogliono_indietro_soldi_dopo_flop_mondiale/calcio_estero-attualit-sncia_sponsor/25 luglio 2010/articolo-id=463355-page=0-comments=1.
30
() La notizia è pubblicata anche in http://www.sportpro.it/doping/news/2010/03.htm#IMMAGINE; http://www.teamliquigasdoimo.com/2010/ita/popup_comunicati.php?id=73.
31
() Sui vari tipi di sponsorizzazione riscontrabili nella casistica, M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, cit., 65; De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche, cit., 120; Franceschelli, I contratti di sponsorizzazione, cit., 295; Cavandoli, Le sponsorizzazioni, in Manuale di diritto dello sport, a cura di Di Nella, Napoli, 2010, 232.
32
() Questi dati sono pubblicati a pag. 72 del Prospetto informativo di offerta in opzione ai soci e ammissione a quotazione di azioni ordinarie Juventus Football Club s.p.a., del 24 maggio 2007, pubblicato, in http://www.consob.it/main/emittenti/prospetti/prospetti.html?firstres=150&hits=500&viewres=1&search=1&resultmethod=prospetti&queryid=prospetti&maxres=500.
33
() Sui contratti di cessione del diritto all’immagine da parte del singolo sportivo, si segnala di recente, Colantuoni, Il diritto di immagine in ambito sportivo, I Contratti, 2010, 508.
34
() Al riguardo, la notizia in http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo475104.shtml; http://sport.sky.it/sport/gossip/2009/12/09/tiger_woods_minacce_sponsor.html; http://www.blitzquotidiano.it/sport/tiger-woods-sponsor-in-fuga-via-gillette-e-tag-heuer-180797/.
35
() La notizia è in http://www.tgcom.mediaset.it/gossip/articoli/articolo411907.shtml; http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/sport/calcio/ronaldo-travestiti/ronaldo-si-pente/ronaldo-si-pente.html.
36
() Sul c.d. personality merchandising, tra gli altri, Ricolfi, I segni distintivi dello sport, in AIDA, 1993, 116; Id., Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi, Milano, 1991, 434; Di Cataldo, I contratti di merchandising nella nuova legge marchi, in La riforma della legge marchi, a cura di Ghidini, Padova, 1995, 74.
37
() M. Bianca, «Cattivo» ritorno pubblicitario per lo sponsor: sfortuna o inadempimento del soggetto sponsorizzato per negligente gestione dell’evento?, in Giur. it., 1991, 11; Amato, voce Sponsorizzazione, in Enc. giur. Treccani, 4; Inzitari, Sponsorizzazione, in Contratto e impr., 1985, 249.
38
() Sulla distinzione tra obbligazioni di risultato ed obbligazioni di mezzi, Mengoni, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, in Riv. dir. comm., 1953, I; C. M. Bianca, Inadempimento delle obbligazioni, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, artt. 1218-1229, Bologna-Roma, 1979, p. 32. Negano che le obbligazioni di mezzi e di risultato siano due categorie contrapposte: C. M. Bianca, Diritto civile, L’obbligazione, Milano, 1990, p. 70; Id., Dell’inadempimento delle obbligazioni, artt. 1218-1229, cit., p. 31; Rescigno, Obbligazioni (nozioni), in Enc. del dir., XXXIX, Milano, 1979, p. 133; Rodotà, Diligenza, in Enc. del dir., XII, Milano, 1964, p. 539. In giurisprudenza, tra le altre, Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577, in Resp. civ., 2008, 849; Cass., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15781. Sul valore della distinzione su un piano meramente descrittivo, per stabilire a che cosa sia tenuto il debitore di una certa obbligazione, tra gli altri, Cattaneo, La responsabilità del professionista, cit., p. 47; Paradiso, La responsabilità medica: dal torto al contratto, in Riv. dir. civ., 2001, p. 329; Franzoni, Le obbligazioni di mezzi e di risultato, in Trattato delle obbligazioni, diretto da Franzoni, in I grandi temi, Torino, 2004, p. 1343.
39
() Sulla prestazione dello sponsee come obbligazione di mezzi, Amato, voce Sponsorizzazione, in Enc. giur. Treccani, 4; Valori, Il diritto nello sport, Torino, 2009, 233.
40
() M. Bianca, «Cattivo» ritorno pubblicitario per lo sponsor: sfortuna o inadempimento del soggetto sponsorizzato per negligente gestione dell’evento?, cit., 11.
41
() Lodo Arbitrale 17 luglio 1990, in Dir. informazione e informatica, 1991, 642, con nota critica di De Giorgi, Scorrettezze dello sponsee e diritti dello sponsor.
42
() Contestualmente, però, si è accertato che lo sponsor aveva tratto comunque una qualche utilità dall’adempimento degli obblighi di pubblicità sulle maglie, cartelloni ed abbigliamento sportivo. Di conseguenza, a fronte del pagamento di una sola esigua parte del corrispettivo contrattualmente pattuito (50 milioni a fronte degli 800 previsti), viene determinato, in via equitativa, il residuo importo (280 milioni) dovuto dallo sponsor alla società sportiva.
43
() Sul contratto di abbinamento, M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, cit., 67; Inzitari, Sponsorizzazione, cit., 249.
44
() Al riguardo, L. Nanni, Scelte discrezionali dei contraenti e dovere di buona fede, in Contratto e impr., 1994, 475.
45
() Sul punto, anche Inzitari, Sponsorizzazione, cit., 255.
46
() Cass., 11 febbraio 2005, n. 2855, in Giur. it., 2005, 1810.
47
() L. Nanni, Scelte discrezionali dei contraenti e dovere di buona fede, in Contratto e impr., 1994, 477.
48
() A. D’Angelo, Buona fede – correttezza nell’esecuzione del contratto, cit., 125; L. Nanni, Scelte discrezionali dei contraenti e dovere di buona fede, cit., 479; Id., La buona fede contrattuale, Padova, 1998, 324. In giurisprudenza, con riguardo al contratto di sponsorizzazione, Cass., 29 maggio 2006, n. 12801, cit.
49
() Sull’impugnazione di un provvedimento sportivo che vieta l’iscrizione al campionato superiore, Pret. Brindisi, 30 luglio 1985, in Riv. dir. sport., 1986, 327; Cass., sez. un., 26 ottobre 1989, n. 4399, in Giur. it., 1990, I, 1282, con nota di Canale, L’interesse dello sponsor per l’attività agonistica (contratto di sponsorizzazione e apparizione di una nuova figura soggettiva nella Federazione Sportiva); al riguardo anche TAR Lombardia, sez. Brescia 3 maggio 1985, n. 135, in Trib. amm. reg., 1985, I, 2265, secondo la quale «la società privata titolare di abbinamento con una società sportiva (meglio noto accordo di sponsorizzazione) non ha una posizione di interesse legittimo che la abiliti, in difetto di impugnazione della stessa società sportiva, a reagire in sede giurisdizionale contro il provvedimento della competente federazione che abbia accolto la domanda degli atleti di scioglimento del vincolo sportivo». In dottrina, M. Bianca, L’autonomia dell’ordinamento sportivo e il ruolo dello sponsor, in Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Napoli, 2009, 543; Filosto, Contratto di sponsorizzazione e provvedimenti federali, in Contratto e impr., 2006, 1002. Sul punto anche Valori, Il diritto nello sport, cit., 235.
50
() Al riguardo, anche Vidiri, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, cit., 15.
51
() Prospetto informativo di offerta in opzione ai soci e ammissione a quotazione di azioni ordinarie Juventus Football Club s.p.a., cit.
52
() Sull’impossibilità del soggetto sponsorizzato di svolgere la propria attività che comporta l’impossibilità di veicolare attraverso la propria attività il marchio dello sponsor, M. Bianca, voce Sponsorizzazione, in Digesto civ., cit., 149.
53
() Lo Statuto del Coni è stato deliberato dal Consiglio Nazionale del CONI il 26 febbraio 2008, approvato con Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 7 aprile 2008.
54
() Così l’art. 2 del Codice di comportamento sportivo, richiamato dall’art. 13 bis dello Statuto del Coni.
55
() Con riferimento al Codice di Giustizia Sportiva della Figc, si segnala l’art. 7.
56
() Al riguardo, l’art. 43, Fip, Atti di frode sportiva, secondo il quale «costituiscono atti di frode sportiva: a) qualsiasi atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di gara ovvero ad assicurare ad una società un vantaggio in classifica; b) qualsiasi atto diretto ad eludere le norme sull’età dei giocatori della categorie giovanili o comunque la partecipazione a gare con atleti che abbiano superato i limiti di età stabiliti per ciascun campionato; c) qualsiasi atto diretto a consentire la partecipazione a gare sotto falsa identità o falsa attestazione delle qualifiche o delle condizioni necessarie per l’iscrizione a referto; d) qualsiasi altro atto diretto ad assicurare ad un tesserato o affiliato un illecito vantaggio.Gli atti di frode sportiva sono sanzionati con l’inibizione per un periodo da tre anni a cinque anni. Nel caso di tentativo la sanzione è diminuita in misura non superiore a due terzi.
Nei casi di frode sportiva consumata di particolare gravità ovvero che rechi nocumento all’immagine del movimento cestistico nazionale può essere applicata la radiazione».
57
() Al riguardo, l’art. 1 l. 13 dicembre 1989, n. 401, in tema di Frode in competizioni sportive, sanziona la condotta di «1. Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dall’Unione italiana per l’incremento delle razze equine (UNIRE) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la reclusione da un mese ad un anno e con la multa da lire cinquecentomila a lire due milioni. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della multa. 2. Le stesse pene si applicano al partecipante alla competizione che accetta il denaro o altra utilità o vantaggio, o ne accoglie la promessa. 3. Se il risultato della competizione è influente ai fini dello svolgimento di concorsi pronostici e scommesse regolarmente esercitati, i fatti di cui ai commi 1º e 2º sono puniti con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni».
58
() Tale onere probatorio dovrebbe risultare assolto quando la parte dimostri di aver «adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione della società idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi, avendo impiegato risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo» (art. 13, lett. a), Codice di Giustizia Sportiva della Figc); allo stesso modo l’art. 13, lett. b), prevede la possibilità di dimostrare di aver «concretamente cooperato con le forze dell’ordine e le altre autorità competenti per l’adozione di misure atte a prevenire i fatti violenti o discriminatori e per identificare i propri sostenitori responsabili delle violazioni.
59
() Al riguardo, l’art. 4, comma 3º, del Codice di Giustizia Sportiva della Figc, secondo il quale «le società rispondono oggettivamente anche dell’operato e del comportamento delle persone comunque addette a servizi della società e dei propri sostenitori, sia sul proprio campo, intendendosi per tale anche l’eventuale campo neutro, sia su quello delle società ospitanti, fatti salvi i doveri di queste ultime».
60
() De Giorgi, Scorrettezze dello sponsee e diritti dello sponsor, cit., 649.
61
() Sul punto anche Inzitari, Sponsorizzazione, cit., 256.
62
() Franzoni, Degli effetti del contratto, in Il codice civile commentario, cit., 205.
63
() Al riguardo, Colantuoni, La sponsorizzazione sportiva, in I contratti, 2006, 1029; M. Bianca, voce Sponsorizzazione, in Digesto civ., cit., 138. Talvolta anche negli accordi collettivi degli atleti professionisti, si riscontrano tali clausole: al riguardo, il punto, 13.4, dell’Accordo Collettivo Giocatori Pallacanestro, secondo il quale: «l’atleta deve mantenere in ogni situazione, sia dentro che fuori dal campo di gioco, un comportamento non solo consono agli standard del buon cittadino, ma altresì improntato a correttezza, onestà, professionalità e fair play. È tenuto ad uniformarsi alle specifiche prescrizioni impartite dalla società relative alla condotta di vita, fermo restando che tali prescrizioni devono essere giustificate da esigenze proprie dell’attività sportiva professionistica e devono comunque rispettare la dignità umana».
64
() Sul vincolo tra atleta e società che si instaura con il tesseramento, si segnala Valori, Il diritto nello sport, cit., 167; Musumarra, Il rapporto di lavoro sportivo, in Diritto dello sport, a cura di Coccia, De Silvestri, Forlenza, Fumagalli, Musumarra, Selli, Firenze, 2008, 213; Bruno, I soggetti dell’attività sportiva, in Manuale di diritto dello sport, a cura di Di Nella, Napoli, 2010, 157.
65
() A questo proposito, si veda l’art. 13.4. dell’Accordo Collettivo Giocatori Professionisti di Pallacanestro: «l’atleta deve mantenere in ogni situazione, sia dentro che fuori dal campo di gioco, un comportamento non solo consono agli standard del buon cittadino, ma altresì improntato a correttezza, onestà, professionalità e fair play. È tenuto ad uniformarsi alle specifiche prescrizioni impartite dalla società relative alla condotta di vita, fermo restando che tali prescrizioni devono essere giustificate da esigenze proprie dell’attività sportiva professionistica e devono comunque rispettare la dignità umana». Con riguardo all’Accordo Collettivo Giocatori di Calcio Aic\Lnp, si segnala l’art. 10, comma 3º: «il calciatore deve evitare comportamenti che siano tali da arrecare pregiudizio all’immagine della Società» e l’art. 10 IV co: «le prescrizioni attinenti al comportamento di vita del calciatore sono legittime e vincolanti, previa accettazione delle stesse da parte del calciatore, accettazione che non potrà essere irragionevolmente rifiutata, soltanto se giustificate da esigenze proprie dell’attività professionistica da svolgere, salvo in ogni caso il rispetto della dignità umana».
66
() Tribunale Arbitrale dello Sport 31 luglio 2009 poi confermata dal Tribunale Federale svizzero il 10 giugno 2010. Il provvedimento del Tribunale Arbitrale dello Sport è consultabile al sito http://jurisprudence.tas-cas.org/sites/CaseLaw/_layouts/viewlsts.aspx. Il Tribunale Arbitrale dello Sport è stato costituito dal Cio con l’obiettivo di risolvere le controversie sportive di carattere transnazionale all’interno dell’ordinamento sportivo mondiale, innanzi ad una istituzione arbitrale indipendente che emanasse un lodo assimilabile alla pronuncia di un tribunale ordinario; al riguardo, Valori, Il diritto nello sport, cit., 18; Romano, L’organizzazione dell’attività sportiva, in Manuale di diritto dello sport, a cura di Di Nella, Napoli, 2010, 96; Fumagalli, La circolazione internazionale dei lodi sportivi: il caso del Tribunale arbitrale dello sport, in Rivista di diritto sportivo, 1994, 364; Vigoriti, Il Tribunal Arbitral du Sport: struttura, funzioni, esperienze, in Rivista dell’arbitrato, 2000, 425; Sabatini, L’arbitrato nella risoluzione delle controversie sportive internazionali, in Il in Foro pad., 2005, 119.
67
() Sulla cessione del contratto dello sportivo professionista, si segnala Galgano, Compravendita dei calciatori: il corrispettivo pagato dall’acquirente è, dunque, il prezzo della cessione, in Contratto e impr., 2002, 441; Id., La compravendita di calciatori, in Contratto e impr., 2001, 1; Piazza, Il contratto di trasferimento del calciatore professionista nel diritto comunitario, in Diritto dello sport, 2009, 107.
68
() Sull’illecito plurioffensivo, Cass., 31 maggio 2003, n. 8827 e Cass., 31 maggio 2003, n. 8828.
69
() Si pensi ad esempio all’ipotesi del noto calciatore, capitano di una squadra di calcio romana, il cui main sponsor è un’azienda di telefonia, concorrente di quella per cui è testimonial lo stesso giocatore.
70
() Successive modifiche ed integrazioni sono state apportate in data 27 luglio 1984.
71
() Su tale convenzione anche De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, cit., 166.Sui contratti pubblicitari dei giocatori di pallacanestro professionisti, si segnala l’art. 23 dell’Accordo Collettivo, secondo il quale «23.1 La società ha diritto di sfruttare economicamente, in ogni forma lecita, l’immagine dell’atleta in quanto facente parte della squadra ed in quanto portatore delle sue uniformi, in abbinamento o meno con marchi o prodotti di ogni genere, sia nel contesto di incontri o sedute di allenamento sia al di fuori di tale contesto in occasione di visite ufficiali di squadra, senza che a questo titolo l’atleta possa vantare alcun compenso aggiuntivo o indennizzo di alcun genere. La società non potrà richiedere all’atleta prestazioni pubblicitarie individuali diverse. 23.2 All’atleta è riconosciuta la facoltà di stipulare contratti pubblicitari individuali nel rispetto delle seguenti due essenziali condizioni: – i marchi o prodotti pubblicizzati non dovranno essere in concorrenza o contrasto con quelli degli sponsor e fornitori ufficiali della società e dello sponsor ufficiale della Lega, salva specifica autorizzazione scritta, rispettivamente, della società stessa e della Lega; – la pubblicità non dovrà richiamare i colori o in genere gli elementi distintivi della società o di altre società sportive di pallacanestro di serie «A», o confondibili con essi, e comunque l’atleta non dovrà indossare l’uniforme di gioco della società. 23.3 Sono sempre salvi diversi accordi».
72
() Allo stesso modo, il calciatore ha la facoltà di concludere singolarmente contratti concernenti le scarpe da gioco da usare durante le gare e gli allenamenti (art 6). Così facendo, può verificarsi la seguente situazione (peraltro alquanto diffusa) in cui un atleta, pur tesserato per una società che abbia come sponsor tecnico per l’abbigliamento da gara e da allenamento una determinata azienda, utilizzi legittimamente scarpe, durante le gare e gli allenamenti, recanti il logo di una azienda concorrente allo sponsor tecnico del club. [/thrive_lead_lock]