La Cassazione e la forma scritta nei contratti bancari: verso il consolidamento della prospettazione giurisprudenziale

Antonio Tanza e Salvatore Ruberti

La Cassazione e la forma scritta nei contratti bancari: verso il consolidamento della prospettazione giurisprudenziale

INTRODUZIONE. 1. Il contratto bancario tra forma informativa, neoformalismo e nullità di protezione; 2. I profili di contrasto tra la rivalutazione della firma bilaterale del contratto e la prassi bancaria; 3. La Cassazione ci ripensa: ritorna l’insuperabilità del corollario assenza di sottoscrizione uguale nullità del contratto; 4 Il conto corrente bancario o di corrispondenza. Le ricadute dell’obbligo ex art. 117 TUb sull’applicazione gli interessi ultralegali; 5. Gli interessi a tasso superiore a quello legale nel contratto di conto corrente bancario: irrinunciabilità dell’atto scritto e della sottoscrizione delle parti

INTRODUZIONE

“Il ritorno al formalismo”, quale più specifico aspetto della “pluralità di formalismi” ha registrato l’intervento della Cassazione civile con una serie di sentenze del 2016 nelle quali gli Ermellini sono ritornati sulla questione della forma scritta ab substantiam dei contratti bancari.

Un “ritorno al passato” (potrebbero argomentare gli osservatori) che ha visto riprendere e sviluppare una serie di principi disattesi dalla giurisprudenza precedente al 2016.

Le prime sentenze del 2017 hanno, di fatto, ulteriormente confermato la nuova prospettazione della Cassazione a scapito di chi, pur riconoscendo l’effetto “dirompente” della nuova visione giurisprudenziale, avanzava dei pur legittimi dubbi circa il suo consolidamento futuro.

Un nuovo orientamento, quindi, non a caso definito travolgente in primis perché disattende del tutto le posizioni statuite nella precedente giurisprudenza e, in secundis, perché sono evidenti e prevedibili le ricadute su uno degli aspetti più frequentemente oggetto di contenzioso innanzi agli Organi giudicanti in materia di contratti bancari e creditizi ossia la questione del contratto o della pattuizione privata sottoscritta da una sola delle parti.

Come accennato all’inizi0, prosegue il “ritorno al formalismo” quale ineluttabile tendenza per dare maggiori certezze sotto il profilo della protezione del contraente debole dalla quale (e a causa delle quale) avanza la “frantumazione” delle classiche categorie delle nullità contrattuali tipizzate a livello di normativa nazionale ma, ora, “messe in crisi” (soprattutto dal legislatore e dal giudice eurounitari) dall’affermazione, non troppo felice, delle nullità relative.

La Cassazione ci consegna nuove certezze su come deve essere intesa la forma scritta ad substantiam dei contratti per poter giungere ad un giudizio di idoneità della stessa a garantire certezza circa la volontà negoziale delle parti nonché adeguata informazione e conoscenza per il consumatore.

Si segnala, altresì, una decisione di remissione alla Sezioni Unite (Cassazione civile udienza dell’11 aprile 2017) nella quale, malgrado la questione attenga ai contrati di investimento, il Giudice di legittimità statuisce interessanti considerazioni in merito alla forma scritta dei contratti; sarà cura di chi scrive, riportare una serie di richiami ai passaggi considerati di maggiore rilevanza.

In questa sede, si è deciso di riportare alcune brevi note in di contratto di conto corrente bancario; dopo un’analisi dei profili maggiormente significativi della struttura contrattuale (in un’ottica funzionale ad evidenziare le peculiarità del contratto interessate dalla forma dell’atto stesso), il presente lavoro cercherà di dare un contributo dottrinale sulle questioni legate al combinato degli artt. 117 e 127 del Testo unico bancario (di seguito: TUb).

Il nuovo orientamento giurisprudenziale, altresì, contiene ed evidenzia anche l’aspetto legato al saggio degli interessi ex 1284 c.c. sul quale ci si soffermerà in quanto appare di notevole interesse sotto il profilo del contratto di conto corrente bancario. 

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  1. Il contratto bancario tra forma informativa, neoformalismo e nullità di protezione

 

L’articolo 1325 Cod. civ. riconosce, alla forma del contratto, la qualifica di requisito essenziale quando è prescritta dalla legge; il mancato rispetto delle statuizioni normative comporta il venir meno di un elemento essenziale del contratto e, conseguentemente, la nullità dello stesso.

I contratti bancari rientrano nella disciplina del Testo Unico bancario e, in materia di forma, l’art. 117 impone la forma scritta ad substantiam statuendo, ex art. 127 TUb, che tale forma di nullità può essere fatta valere solo a vantaggio del cliente (leggasi: parte debole) e può essere rilevata (e, se richiesto, dichiarata) d’ufficio.

Il legislatore individua significativi profili di rischiosità del contratto bancario per il fatto che le parti operano su differenti piani “di forza” contrattuale ed economica; la presenza di un contraente forte (che, tra l’altro, determina il contenuto del contratto) deve essere adeguatamente bilanciata da protezione nei confronti del soggetto debole (il cliente).

Il suggestivo strumento della “forma informativa” è la cautela che il legislatore ha scelto a difesa del cliente esaltando il ruolo della nullità di protezione prescritta nell’art. 127 TUb o, per usare la definizione della giurisprudenza di legittimità, della “forma o  formalità di protezione” chiarendo, altresì, che in tali circostanze si discorre di “…forma informativa ponendosi l’accento sui caratteri che valgono piuttosto a differenziarla dalle regole tradizionali delle patologie civilistiche del negozio”.

Del resto, affermano gli Ermellini, che è proprio nei contratti che svolgono un ruolo di primo piano nello sviluppo dei mercati che “…si parla, invero, di un ritorno al formalismo negoziale o neoformalismo cui sempre più il legislatore sembra far ricorso (e non solo per l’atto ma più genericamente per l’attività): stavolta, a tutela, non di entrambi i contraenti posti su di un piano di parità, ma specificatamente di uno di essi, all’evidenza deputato debole (sebbene, poi, in una visione macroeconomica, non si possa trascurare che detta tutela, eliminando o riducendo le inefficienze derivate dagli abusi delle imprese, giovi ancora alla sicurezza dei traffici di capitali e degli investimenti, la quale trae come è noto benefici dal buon funzionamento del mercato finanziario e della prevedibilità delle condotte dei suoi operator)i[1].

In un certo senso, il cerchio si chiude con quanto sopra riportato e l’affermazione del ritorno al formalismo trova riscontro nella giurisprudenza recente in materia di contratti bancari e creditizi.

Il Testo Unico bancario, del resto, disciplina gli atti negoziali di natura bancaria e creditizia che rappresentano il “campo eletto” della disparità di potere tra soggetti sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo contrattuale.

Il legislatore, quindi, trova nella nullità (o forma) di protezione lo strumento idoneo a garantire la trasparenza contrattuale che, in questo ambito, primariamente “istruisce” i consumatori sugli elementi essenziali del contratto e sulle loro possibili variazioni[2] ma (addirittura) apporta quell’ulteriore utilità di preservare il buon funzionamento dei mercati e della leale concorrenza.

Il “debole” è così reso edotto e compiutamente informato su tutti gli aspetti della vicenda contrattuale; ne discende il naturale corollario della garanzia di comprensione e di conoscibilità di ogni singolo aspetto del testo contrattuale[3].

Se la forma non è quella prescritta dalla legge il contratto non è trasparente e il cliente non è informato; di conseguenza, il contratto è nullo ex comma III dell’art. 117 TUb.

Si badi, però che il “ritorno al formalismo” non è una prescrizione o “buona pratica” valida per tutti i contratti ma tale tendenza trova giustificazione solo in quelle forme contrattuali dove è evidente l’asimmetria tra i contraenti perché solo questa disparità è la fonte della rischiosità del contratto tale da imporre la necessità di una protezione del soggetto debole; infatti, non ha ragion d’essere alcuna tesi che esiga un approccio conforme alla nuova tendenza del “neoformalismo” per la stipula di un contratto di mera consulenza finanziaria[4].

L’invalidità del contratto per violazione dell’obbligo di forma scritta ad aubstantiam si completa, inoltre, con l’altro profilo della nullità previsto dall’art. 125 comma VII TUb che prescrive le informazioni essenziali di cui non deve difettare il testo contrattuale ossia a) il tipo di contratto; b) le parti del contratto; c) l’importo totale del finanziamento e le condizioni di prelievo e di rimborso.

Due distinti casi di nullità, quindi, accomunati dal fatto che sono rilevabili d’ufficio dal giudice operando, però, esclusivamente a favore del consumatore ( art. 127 comma IV TUb).

Rileva, sotto questo profilo, come il legislatore contemporaneo abbia codificato fattispecie di nullità che presentano il doppio profilo della legittimazione riservata e della rilevabilità d’ufficio[5].

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno tenuto a precisare che “Il potere del giudice di rilevare la nullità, anche in tali casi, è essenziale al perseguimento di interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti, quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’uguaglianza quantomeno formale tra contraenti forti e deboli… poichè lo squilibrio contrattuale tra le parti altera non soltanto i presupposti dell’autonomia negoziale, ma anche le dinamiche concorrenziali tra imprese…” la Suprema Corte ribadisce l’importanza di tale assunto considerato che, in tale ambito, se da un lato si tratta di riequilibrare differenti posizioni contrattuali dall’altro lato si garantisce, altresì, tutela delle dinamiche concorrenziali tra imprese e ciò è di per sé sufficiente a superare ogni possibile incoerenza perché “…La pretesa contraddizione fra legittimazione riservata e rilevabilità d’ufficio risulta soltanto apparente, se l’analisi resta circoscritta al profilo della rilevazione della causa di nullità…”. Il risultato (coerente con le intenzioni protettive del legislatore è che “…il potere del giudice, in questi ambiti, rafforza l’intensità della tutela accordata alla parte che, in ragione della propria posizione di strutturale minor difesa, potrebbe non essere in grado di cogliere le opportunità di tutela ad essa accordata. Va pertanto rivista e precisata in parte qua l’affermazione, contenuta nella sentenza 14828/2012, secondo la quale dovrebbe ritenersi vietato al giudice l’indagine in ordine a una nullità protettiva…”[6]

L’articolato e approfondito ragionamento delle Sezioni Unite non manca di porre a fondamento del suo inter logico anche quando statuito a livello di giurisprudenza europea: la Corte di Giustizia, di fatto, in tema di rilievo officioso, ravvisa un consolidamento del potere- dovere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità[7].

 “…E proprio in conseguenza degli interventi della Corte di giustizia sembra destinata a restare definitivamente sullo sfondo, senza assumere il rilievo che parte della dottrina ha cercato di attribuirvi, la nozione di nullità relativa intesa come realizzazione di una forma di annullabilità rafforzata …anzichè come species del più ampio genus rappresentato dalla nullità negoziale…”[8].

La riconduzione ad unità funzionale delle diverse fattispecie di nullità – lungi dal risultare uno sterile esercizio teorico – consente di riaffermare a più forte ragione l’esigenza di conferire al rilievo d’ufficio obbligatorio il carattere della irrinunciabile garanzia della effettività della tutela di valori fondamentali dell’organizzazione sociale[9].

 

  1. I profili di contrasto tra la rivalutazione della firma bilaterale del contratto e la prassi bancaria

 

In tempi relativamente recenti, alcuna giurisprudenza di merito e di legittimità ha sostenuto la tesi secondo la quale la predisposizione unilaterale del contratto da parte dell’istituto di credito, la sottoscrizione del cliente e la consegna di una copia dell’atto a quest’ultimo sono presupposti sufficienti a soddisfare la ratio dell’art. 117 TUb; secondo questo ragionamento, quindi, la firma da parte dell’istituto di credito non sarebbe neanche necessaria[10].

La giurisprudenza della Suprema Corte, del resto, aveva già statuito che la produzione in giudizio della scrittura da parte del mancato sottoscrittore “realizza un valido equivalente della sottoscrizione mancante” al pari di qualsiasi manifestazione di volontà del contraente che non ha firmato purché nel frattempo non sia giunta la revoca dell’unico sottoscrittore (Cassazione civile, sentenza n. 4564 del 2012)[11].

Di fatto, la giurisprudenza comprovava quella diffusissima prassi prettamente bancaria in ragione della quale per soddisfare i requisiti della forma scritta del contratto e tutti i naturali corollari che ne derivano (in primis l’informazione per il cliente), è sufficiente uno scambio documentale: la banca trattiene un contratto firmato solo dal cliente e, quest’ultimo, riceve un copia del medesimo contratto firmato solo dall’istituto[12].

La pronuncia della Cassazione civile, espressione di una rivisitazione profonda delle posizioni già espresse dalla Suprema Corte negli anni precedenti, ha segnato il passo anche nella giurisprudenza di merito unanimemente d’accordo nel ritenere che l’approvazione scritta da parte della banca rende quasi superflua l’ulteriore approvazione del correntista (e manifestata con la firma) “dal momento che la volontà negoziale è già espressa nel documento da lui predisposto”[13].

Un aspetto decisamente interessante dell’iter logico seguito dalla giurisprudenza riguarda quel profilo di potenziale  abuso del diritto o meglio abuso delle posizioni di vantaggio riconosciute dalla legge che ben potrebbero essere perpetrate dal contraente scorretto; ne è un esempio la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia la quale sentenziava che “…anche a volere ritenere non ritualmente firmato il contratto da parte della banca, deve comunque ritenersi integrato il requisito della forma scritta” e questo perché, diversamente opinando “si offrirebbe tutela al contraente che, maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge e della buona fede contrattuale, censura come nullo un contratto bancario eseguito per anni senza contestazioni da entrambe le parti…”[14]

Si tratta, per certi versi, di un altalenante cambio di rotta della giurisprudenza che, a fasi alterne, sembra riprendere e riportare in auge principi e criteri un tempo affermati e successivamente disattesi; infatti, è agevole rilevare che, esaminando la produzione giurisprudenziale degli ultimi quindici anni, emerge come la posizione espressa nel 2012 se da un lato disattendeva la stessa giurisprudenza dei primissimi anni precedenti, dall’altro alto  sposava una tesi già riscontrata nel 2004 quando la Cassazione civile   riconosceva, quale elemento imprescindibile del contratto, il reciproco consenso delle parti ex art. 1321 c.c. e che  non è richiesto “…che si adottino particolari formule per esprimere tale consenso, che può essere manifestato da uno dei contraenti con la semplice sottoscrizione “per accettazione” delle dichiarazioni fatte in prima persona dall’altro; nè occorre che l’incontro delle volontà sia contestuale, potendo esso risultare da documenti diversi, anche cronologicamente distinti, ed essendo al pari possibile che uno stesso documento, originariamente sottoscritto da una sola parte, venga sottoscritto in un secondo tempo dall’altra, oppure che questa, senza sottoscriverlo, lo produca in giudizio con il dichiarato intento di avvalersi del contenuto negoziale di esso nei confronti del suo autore.[15]

 

3 La Cassazione ci ripensa: ritorna l’insuperabilità del corollario assenza di sottoscrizione uguale nullità del contratto

 

Trascorsi solo due anni e dopo copiosissima giurisprudenza di merito, la Suprema Corte ritornava sui suoi passi e affermava che, al dictum della sentenza n. 4564 del 2012, “non può essere dato continuità”.

Il primo arresto in tal senso denota una particolare cura dei giudici di legittimità nel ricostruire, con dovizia e coerenza, quello che si riteneva essere il giusto approccio dell’Organo giudicante alla questione in oggetto.

La tecnica “ricostruttiva”, infatti, inizia nel delineare quelli che sono gli assunti pacificamente accettati, riconosciuti e idonei ad essere considerati alla stregua di principi affermati.

I giudici di legittimità, in primis, avevano premura di statuire che non vi è motivo di ravvisare, a priori, un profilo di invalidità del contratto se le firme dei contraenti risultato apposte su due distinti documenti perché “Non v’è difatti ragione di discostarsi dall’insegnamento più volte ribadito, secondo cui il requisito della forma scritta ad substantiam è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti sono contenute in documenti distinti, purché risulti il collegamento inscindibile del secondo documento al primo, sì da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo”[16].

Poste le basi del suo ragionamento e ossequiosa del criterio di tipicità delle fattispecie di nullità (in merito alle quali, comunque, non si può procedere verso una vera e propri atipicità), la giurisprudenza finiva per riaffermare i nuovi criteri anche nelle prime sentenze del 2017[17].

Il nuovo orientamento risulta decisamente più favorevole al cliente stabilendo che l’obbligo ex art. 117 TUb appare rispettato ed assolto solo se il contratto presenta la forma scritta ed anche (soprattutto) la sottoscrizione sia del cliente che della banca fermo restando l’ammissibilità delle firme su due diversi documenti accomunati, però, da un collegamento inscindibile[18].

In caso sorga un contenzioso sull’argomento, poi, vale la regola generale secondo cui, con riguardo ai contratti per i quali la legge prescrive la forma scritta a pena di nullità, la loro esistenza richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura[19].

Fatta questa doverosa precisazione, è cura della Suprema Corte, con i successivi arresti, affrontare la questione dell’esibizione della scrittura privata in giudizio affermando l’ulteriore principio secondo il quale la produzione del documento in sede processuale rimedia alla mancata sottoscrizione solo nel caso in cui il non firmatario se ne intenda valere[20].

Quindi, esibendo il contratto, il contraente non firmatario realizza un equivalente della sottoscrizione con conseguente perfezionamento del contratto ma, si badi bene, con produzione degli effetti negoziali esclusivamente ex nunc… “e non ex tunc (ed infatti il contratto formale intanto si perfeziona ed acquista giuridica esistenza, in quanto le dichiarazioni di volontà che lo creano siano state per l’appunto formalizzate”[21].

Il perfezionamento del contratto resterebbe, comunque, un meccanismo improduttivo di effetti qualora fosse, anzitempo, sopraggiunta la revoca da parte dell’altro contraente.

Appare ancora più evidente come la Cassazione abbia, di fatto, ripreso suoi precedenti orientamenti al fine di dare una coerente interpretazione delle questioni affrontate in questa sede: già nel 2009, infatti, la Suprema Corte aveva avuto modo di chiarire che “Per i negozi giuridici per i quali la legge prescrive la forma scritta “ad substantiam”, la prova della loro esistenza e dei diritti che ne formano l’oggetto richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura, che non può essere sostituita da altri mezzi probatori e nean­che dal comportamento processuale delle parti, che abbiano concordemente ammesso l’esistenza del diritto costituito con l’atto non esibito”[22].

Se la sentenza n. 5919 “inaugura” (o, meglio, rivitalizza quanto già affermato) il nuovo filone giurisprudenziale, la nuova prospettazione della Suprema Corte trova ulteriore conferma nella sentenza n. 8395 del 27 aprile 2016 che statuisce l’impossibilità di non poter optare per una nullità del contratto quando lo stesso presenta la sola firma del cliente e che nessun potere “sanatorio” è riconosciuto alle dichiarazioni del contraente non firmatario.

Il contratto è nullo senza possibilità di essere sanato dalle dichiarazioni i chi non ha firmato (“…la dichiarazione scritta unilaterale pur se ricognitiva di una sola delle parti del rapporto non è idonea ad integrare il requisito di validità richiesto dalla legge…)[23].

L’elemento che difetta è la conoscenza o conoscibilità per iscritto del contenuto della dichiarazione negoziale sottoscritta e fatta propria dalla banca.

Si badi bene: più volte si è voluto ricordare che non ci si trova di fronte a nulla di nuovo perché in passato i suddetti principi erano già stati lucidamente tracciati da quella giurisprudenza di merito la quale, in tempi non sospetti, già statuiva che “La sottoscrizione costituita dalla firma del dichiarante, cioè dal nome e cognome scritti di suo pugno o quantomeno da una sigla caratteristica ed identificabile, è l’espressione grafica della paternità ed impegnatività della dichiarazione che la precede, la quale in mancanza non comporta la conclusione definitiva di un negozio giuridico allorché la forma scritta sia richiesta “ad substantiam”. Pertanto, una scrittura che contenga espressioni generiche di consenso (nella specie: come d’accordo) ma sia priva della sottoscrizione dell’obbligato, non può integrare l’atto scritto richiesto dall’art. 1350 c.c. e non è valida né come contratto definitivo né come preliminare”[24].

In ragione degli “atti che devono farsi per iscritto” ex art. 1350 c.c., un richiamo ed una precisa puntualizzazione è contenuta anche nell’ordinanza interlocutoria della Corte Suprema di Cassazione, prima sezione civile, all’udienza dell’11 aprile 2017; la Corte Suprema ha avuto, infatti, modo di specificare che “ come la nullità di protezione palesa caratteri affatto speciali – sopra tutte, appunto, la facoltà di farla valere solo da parte del contraente a cui favore è dettata, con l’eventualità quindi, di una sanatoria “di fatto” del negozio (come non ha mancato di rilevar già la Corte di Giustizia europea, sent. 4 giugno 2009, C – 243/08, Pannon, punti 31 e 32 secondo cui il giudice deve non applicare una clausola abusiva, salvo il consumatore vi si opponga; nonché Corte di Giustizia europea 14 giugno 2012, C – 618/10, Banco Espanol de Credito SA, punti 42 e 43…) –  allo stesso modo la forma ivi prevista non è la stessa prescritta dall’art. 1350 cod. civ. per i contratti immobiliari ad equilibrio simmetrico.

Del resto, non si può non condividere quella diversa tesi giurisprudenziale la quale ha statuito che: “Quando il modulo prestampato relativo ad un contratto (…) sia stato sottoscritto solo dal cliente lo stesso, anche se è denominato “contratto”, deve essere qualificato, mancando l’accettazione della banca, quale mera proposta negoziale, trattandosi di una manifestazione di volontà contrattuale del solo cliente rivolta alla banca”[25].

Ricapitolando: l’esibizione del contratto in giudizio (da parte della banca mancata sottoscrivente) ben può conseguire ad un perfezionamento del contratto[26].

Tale assunto, però, necessità di alcune importanti precisazioni: in primis, rileva che se la mancata sottoscrizione di una scrittura privata è supplita dalla produzione in giudizio del documento stesso da parte del contraente non firmatario ciò è vero solo nel caso in cui il non firmatario intenda valersi del contratto stesso[27].

In secondo luogo, si tratta di un perfezionamento con effetti ex nunc in quanto il contratto si perfeziona e produce effetti solo dal momento in sono formalizzate le dichiarazioni di volontà che lo creano.

Infine, per quanto sia denominato come “contratto”, un atto negoziale con la sola firma del cliente assurge solo a mera proposta contrattuale e, conseguentemente, se sopraggiunge la revoca da parte dell’unico sottoscrittore prima dell’esibizione del contratto in giudizio, l’atto negoziale perde la sua attitudine a produrre effetti.

Partendo dal principio secondo cui “sussistendo controversia la prova dell’esistenza del contratto richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa o delle relative scritture…”[28] la Cassazione civile, con sentenza n. 7068 dell’11 aprile 2016, precisava che l’avvenuta conclusione del contratto non si poteva desumere indirettamente da dichiarazioni di contenuto differente (ad esempio di ricognizione) né tanto meno da testimonianze, presunzioni, giuramento o confessione[29].

Richiamandosi alla precedente giurisprudenza, i giudici di legittimità affermavano la validità del principio secondo cui l’esibizione del contratto in giudizio produce gli stessi effetti della mancata sottoscrizione ma solo con effetti ex nunc che sarebbero, comunque, disattesi se l’altra parte, nel frattempo, avesse revocato la proposta ex art. 1328 c.c. in forza del quale se il contratto non risulta ancora concluso (come nel caso di mancata sottoscrizione) il destinatario della proposta può ancora revocare la stessa.

 

  1. Il conto corrente bancario o di corrispondenza. Le ricadute dell’obbligo ex art. 117 TUb sull’applicazione gli interessi ultralegali

 

L’attività degli istituti di raccolta del risparmio ed erogazione del credito viene svolta principalmente con lo strumento negoziale del conto corrente bancario.

È un contratto bancario a sé stante e non una modalità comune a diversi contratti bancari; si presenza come un negozio misto nel quale le figure del deposito e dell’apertura di credito si combinano con quelle del mandato[30].

Il cliente impartisce l’esecuzione degli ordini alla banca nell’ottica dell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta dall’istituto di credito e disciplinata dalle norme sul mandato ex artt. 1856 e ss c.c.

In tale contesto il rapporto di mandato si integra necessariamente con un ulteriore rapporto volto a predisporre una disponibilità monetaria entro i cui limiti la banca assume l’obbligo di offrire il servizio.

La chiusura del conto corrente bancario decreta la liquidazione degli interessi passivi e attivi ed è un’operazione che trova la sua ragion d’essere sotto il profilo della contabilità.

Per i rapporti regolati in conto corrente l’estratto conto è inviato a cliente, come regola generale con periodicità annuale; il correntista, però, può optare per una diversa scadenza mensile, trimestrale o semestrale.

L’estratto conto assolve, quindi, la funzione di informare il cliente circa le movimentazioni sul conto in modo che il correntista possa anche verificare le varie operazioni eseguite ad intervalli temporali annuali salvo diversa scelta del titolare del conto[31].

Previa conformità alle scritture contabili e con allegata la dichiarazione dirigenziale che il credito è vero e liquido, l’estratto conto (e non il saldo conto) ha il valore di prova scritta idonea ad ottenere ingiunzioni giudiziali di pagamento; non si può non notare come ciò, di fatto, rappresenti un’inversione dell’onere probatorio in quanto, in questo caso, un documento finisce per essere invocato in favore di una delle parti in lite e non a suo danno.

Il correntista può contestare l’estratto conto presentando opposizione scritta entro 60 giorni dalla data del ricevimento; in mancanza di contestazione entro tale termine l’estratto conto si intende approvato e costituisce…prova del credito anche nel successivo giudizio di opposizione in quanto rivestito della connotazione di incontestabilità limitatamente alle annotazioni contabili degli addebiti e degli accrediti, senza pertanto precludere al correntista il diritto di contestare la validità e l’efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite annotate sul conto derivano, distinguendo così il piano formale dei rapporti da quello sostanziale dell’esistenza degli stessi e dei titoli che ne sono fondamento[32].

La chiusura del rapporto di conto corrente, normalmente stipulato a tempo indeterminato, avviene di norma, mediante recesso, il cui esercizio è riconosciuto tanto alla banca quanto al cliente.

Il contratto di conto corrente bancario prevede l’applicazione di un tasso di interesse che, per regola generale, è pari al tasso legale.

Le parti possono convenzionalmente e per pattuizione privata determinare la misura degli interessi che può essere anche superiore al tasso legale.

L’autonomia contrattuale, in questo caso, incontra due importanti limitazioni: in primis, qualora il tasso convenzionalmente determinato supera il tasso di usura la relativa pattuizione è nulla e non sono dovuti interessi ex art. 1815 c.c.; in secondo luogo, l’accordo delle parti con la quale si determina la corresponsione di interessi superiori al tasso legale deve risultare da forma scritta determinata ad substantiam dal comma III dell’art. 1284 c.c. che, diversamente, ne prevede la nullità.

Il rigore delle suddette previsioni normative ha incontrato un’attenuazione da parte di quella giurisprudenza del passato che è arrivata ad affermare che il pagamento spontaneo di interessi ultralegali, in forza di una pattuizione nulla, non comporta la ripetizione di quanto pagato; i giudici di legittimità arrivano a questa conclusione attraverso un complicato iter logico secondo il quale si sarebbe in presenza di un’obbligazione naturale.

Tale orientamento trovava una secca smentita già da parte della giurisprudenza di merito; la Corte d’Appello di Lecce, infatti, decideva che i pagamenti di interessi effettuati in ragione di una clausola declarata nulla “… non integrano, la fattispecie dell’obbligazione naturale, comunque in concreto neppure allegata e non riscontrabile in difetto dei requisiti della spontaneità e della configurabilità di un dovere morale o sociale”[33] .

Ai giudici di Lecce seguiva altra giurisprudenza di merito orientata a ribadire quanto già statuito precisando che “..E’ improduttiva di effetti la promessa di pagamento o la ricognizione di debito la cui fonte sia un negozio nullo, quale appunto deve ritenersi il contratto di conto corrente nella parte prevedente un mero rinvio agli usi, ai fini della determinazione del tasso di interesse ultralegale, con conseguente necessità di rideterminare gli interessi medesimi secondo le norme generali codicistiche e, quindi, applicando il tasso di interesse nella misura legale (art. 1284 ultimo comma c.c.)”[34] .

E ancora: ”Non sussiste l’adempimento ad obbligazione naturale ex art. 2034 c.c., per la corresponsione da parte del correntista, di interessi ultralegali in assenza di trattativa tra le parti, in quanto perché si abbia obbligazione naturale occorre che il debitore abbia spontaneamente adempiuto in esecuzione di doveri morali o sociali ed il pagamento di interessi anatocistici non può essere ritenuto un dovere sociale o morale”[35] .

La banca esegue ogni singola scritturazione in modo unilaterale e senza bisogno del consenso del cliente, questo perché l’istituto di credito ha l’esclusivo diritto di tenere il conto corrente.

Un addebito di interessi ultralegali in assenza di una pattuizione scritta non può, quindi, superare il vaglio di legittimità ex art. 1284 c.c.

Ciò che, invece, è pacifico è il diritto del cliente al ricalcolo di tutti gli interessi al tasso legale e non può neanche reggere la tesi dell’obbligazione naturale per negare la ripetizione di quanto il cliente ha pagato non certo spontaneamente considerato che l’addebito avviene direttamente sul conto.

Oltre alla mancanza di una volontà di pagamento da parte del cliente, è ravvisabile, anche, l’assenza di spontaneità.

Spontaneità significa che il pagamento debba avvenire volontariamente e nell’assenza di coazione.

La Suprema Corte  ha avvertito che in ordine all’obbligazione naturale l’autonomia negoziale non può estrinsecarsi con un riconoscimento del debito o una promessa di pagamento, produttiva di un nuovo e diverso vincolo giuridico né può trasformare la natura di quel dovere mediante novazione; sotto questo profilo i giudici di legittimità hanno successivamente specificato che: “La promessa di pagamento ha valore meramente confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, ma non è idonea a costituire nuove obbligazioni, nemmeno nel senso di trasformare in debito giuridicamente vincolante per il promittente l’obbligazione naturale del terzo” [36].

Quindi, possiamo affermare che sia dottrina che giurisprudenza concordano nell’escludere che nell’ipotesi di addebito degli interessi ultralegali, non pattuiti per atto scritto, a norma dell’art. 1284 c.c., sul conto corrente bancario si possa ipotizzare l’adempimento da parte del cliente di un’obbligazione naturale: manca, nell’ipotesi in esame, la volontà di pagamento, la spontaneità, nonché il dovere morale o sociale, richiesti dall’art. 2034 c.c.

 

  1. Gli interessi a tasso superiore a quello legale nel contratto di conto corrente bancario: irrinunciabilità dell’atto scritto e della sottoscrizione delle parti

 

I conto corrente bancario rientra a pieno titolo nel novero dei contratti bancari ai quali trova applicazione l’art 3 L. 154/92 (poi recepito nell’art. 117 del TUb).

La disposizione in oggetto prevede, come già esaminato, un’imprescindibile requisito per il perfezionamento del contratto (ossia la forma scritta ad substantiam); tale forma è richiesta come elemento costitutivo del negozio, ragione per cui, in difetto del suddetto requisito, il negozio non si perfeziona.

L’art. 117 TUb esige anche un’attività materiale ulteriore ossia la consegna di un “esemplare” al cliente.

Primo interessante elemento su cui una recentissima giurisprudenza statuisce una regola ben valida per tutti i contratti: la mancata consegna di un esemplare al cliente non comporta la nullità del contratto perché è pacifico “che la mancata consegna della copia del contratto di conto corrente, o l’impossibilità di provare l’avvenuta consegna da parte della banca, non essendo requisito di forma intrinseca dell’atto bensì obbligo di comportamento successivo alla stipula, non ne produca la nullità[37]”.

La distinzione tra regole di validità e regole di condotta risiede nella circostanza che mentre le prime stabiliscono i requisiti strutturali dell’atto e pongono per le parti contraenti oneri da osservare in vista della valida conclusione del contratto le regole di condotta determinano gli obblighi reciproci di comportamento “misurano la legittimità dell’esercizio di un potere nei confronti di un soggetto determinato”[38].

Ad ogni buon conto, si era sopra evidenziato che, per quanto fosse innovativa la nuova giurisprudenza del 2016 è pur vero che la stessa ha, in qualche modo, recuperato i suoi precedenti orientamenti secondo un processo di rivalutazione di quelle posizioni che presentano maggior favore per i correntista – consumatore.

Per motivi di completezza della presente disamina, perciò, appare utile richiamare quei principi che già la Corte di Cassazione a Sezioni Unite aveva espresso in merito al contratto di conto corrente bancario e ai profili attinenti all’eventuale recupero crediti da parte della banca.

Le S.U. con la sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010 si rifà a quell’orientamento giurisprudenziale che ritiene che la produzione in giudizio di una scrittura privata ad opera della parte che non l’abbia sottoscritta costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale e pertanto perfeziona il contratto in essa contenuto.

La Suprema Corte, puntualmente richiamando sue precedenti decisioni, precisa che ciò è valido “purché la controparte del giudizio sia la stessa che aveva già sottoscritto il contratto e non abbia revocato, prima della produzione, il consenso prestato.”

Ebbene, è noto che nella prassi bancaria capita non di rado di imbattersi in casi, come quello in sentenza, in cui ad un contratto sia apposta la sola sottoscrizione del cliente; ed è altrettanto noto che spesso le banche, per il recupero dei crediti, non intervengono direttamente, ma si avvalgono di altre società del gruppo preposte al recupero dei crediti, ovvero che le banche cedano il singolo credito o una massa di crediti ad altri soggetti finanziari con onere in capo a questi ultimi di recuperarli.

In tali casi, l’applicazione del principio richiamato dalle SS.UU. porta inevitabilmente alla declaratoria di nullità del contratto per carenza della forma scritta, posto che non può ritenersi che la produzione in giudizio ad opera della parte che non ha sottoscritto il contratto determini il perfezionamento del negozio nella forma documentale prescritta, qualora la produzione sia effettuata nel giudizio promosso non dall’originario contraente non sottoscrittore, ma da un terzo, sia esso un cessionario o un successore, essendo evidente che la manifestazione della volontà contrattuale, propria del soggetto contraente che non ha sottoscritto, non può essere espressa da altri.

Dunque, nelle ipotesi i cui il recupero venga ingiunto da soggetto diverso, la banca ingiungente, non essendo parte del contratto, non può concorrere a formare il consensum in idem placitum, non potendo contribuire a formare quel consenso indispensabile perché possa ritenersi perfezionato il contratto (Cassazione civile, sentenze n. 3810 del 25 febbraio 2004 n. 3810 e n. 6234 del 24 novembre 1980)[39].

Nei giudizi aventi ad oggetto rapporti di conto corrente bancario, quindi, quasi sempre il correntista lamenta il fatto che l’obbligo di forma scritta ad substantiam ex art. 117 TUb sia stato sistematicamente disatteso per assenza della simultanea firma delle parti del contratto sia per quanto riguarda l’atto negoziale nel suo complesso sia per quanto riguarda le pattuizioni sulle condizioni economiche (tasso d’interesse ultralegale, commissioni, spese, valute, capitalizzazione periodica) le quali non risultano, sovente, essere state oggetto di pattuizione scritta[40].

Un contratto di conto corrente bancario prefigura l’obbligazione della corresponsione degli interessi originariamente intesi come remunerazione della temporanea mancanza del potere di godimento e di disposizione del denaro[41].

L’art. 1284 II comma c.c. determina il tasso degli interessi che, qualora le parti non abbiamo deciso diversamente, corrisponde al saggio legale.

Se ne conviene che alle parti è riconosciuto il potere di determinare un diverso tasso di interessi in ragione, necessariamente, di una pattuizione privata con quale poter modificare la disciplina dell’obbligazione di interessi.

L’art. 1284, comma 3, c.c. (come gli artt. 1815 comma II e 1283) pone dei limiti inderogabili alla libertà riconosciuta alle parti in merito alla determinazione di interessi superiori a quelli legali perché richiede la forma scritta a pena di nullità (su questo punto non si sono mai manifestati dubbi) e perché si producano interessi a tasso superiore a quello legale, occorre un contratto fra creditore e debitore[42].

In altri termini devono essere redatte per iscritto le dichiarazioni delle due parti interessate, e deve risultare chiaro l’oggetto del negozio (cioè la distinzione tra quanto è dovuto a titolo di capitale e quanto è dovuto a titolo di interessi).

La norma scritta ad substantiam deve essere intesa come unica e categorica condizione per la validità del contratto o della singola pattuizione privata con esclusione di qualsiasi altra modalità.

Copiosa e consolidata giurisprudenza[43] ha escluso che la convenzione sugli interessi determinati in misura superiore al tasso legale, ex art. 1284, terzo comma, c.c., possa concludersi anche per facta concludentia, ove sia mancata (come accertato dallo stesso giudice di gravame ) la sottoscrizione di entrambe le parti della relativa clausola.

Tanto meno si può diversamente argomentare in ragione della documentazione prodotta dalla banca ed inviata al cliente in quanto la stessa, non recando la firma del correntista, non può essere considerata come atto contrattuale[44].

Il principio, secondo il quale il terzo comma dell’art. 1284 c.c. va interpretato nel senso che per la costituzione dell’obbligo di pagare interessi in misura superiore a quella legale è necessaria la forma scritta ad substantiam, è da ritenersi consolidato si a livello giurisprudenziale che dottrinale[45].

Naturale precipitato di quanto sopra affermato è che una clausola di pattuizione di interessi ad un tasso superiore a quello legale, (per la quale l’art. 1284, comma 3 c.c. prescrive la forma scritta ad substantiam) deve essere assunta con impegno di entrambe le parti perché la sottoscrizione di una sola di esse ne comporta la nullità in base al disposto dell’art. 1987 del c.c. che sancisce l’inefficacia della promessa unilaterale di una prestazione.

L’imposizione da parte della legge di precisi vincoli formali come necessari in relazione al negozio da cui dipendono gli effetti voluti, esclude che la funzione meramente probatoria dell’impegno, della promessa di pagamento possa, anche se redatte nella forma prescritta, produrre come risultato il pagamento di interessi superiori al tasso legale.

Non vi si ravvisa, inoltre, nessuna incompatibilità con la tesi che ritiene superata l’impostazione di una sfera giuridica personale non modificabile unilateralmente in quanto questa diversa interpretazione, pur ammettendo la promessa unilaterale “atipica” comunque non prescinde dalla necessità di una causa adeguata e dalla possibilità che il destinatario possa rifiutarla.

Naturale corollario di quanto sopra affermato è che la promessa o dichiarazione di pagamento non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma solo mezzo di prova della sussistenza di un rapporto obbligatorio, che ha altrove la sua fonte; pertanto i vincoli di forma imposti dalla legge, in relazione a negozi volti a produrre determinati effetti, devono essere adempiuti con riferimento a quel negozio che costituisce fonte del rapporto obbligatorio mentre non basta che, seppur nella forma richiesta, venga redatta una promessa di pagamento o una ricognizione di debito, che a quel negozio si riferiscano.

D’altra parte la promessa unilaterale è una specie del negozio giuridico unilaterale, negozio tra vivi, consistente nella dichiarazione di obbligarsi a compiere una data prestazione alla quale, a norma dell’art. 1987 c.c., non è attribuita efficacia immediata obbligatoria fuori dai casi ammessi dalla legge.

Tali fattispecie sono impegnative, ex iure proprio per il promittente, solo se ricomprese in uno schema tipico; sono, quindi, negozi giuridici unilaterali nominati rigidamente individuati, dalla forma rigorosamente segnata, che costituiscono numerus clausus, inestensibile dall’interprete e a fattispecie atipiche.

Nel caso di specie, in cui la clausola di determinazione del tasso di interesse ultralegale è stata assunta con impegno unilaterale, essa deve considerarsi nulla, in base al combinato disposto dell’art. 1987 del c.c. che sancisce la nullità della promessa unilaterale atipica di una prestazione e dell’art 1284, comma 3 del c.c., che esige un formale contratto fra creditore e debitore[46].

Sul punto si può segnalare una significativa giurisprudenza di merito dalla quale si evince che nell’ipotesi di produzione di un contratto di conto corrente sottoscritto dal solo correntista va dichiarata la nullità del contratto con la conseguente restituzione di ogni competenza, senza alcun interesse; ciò è quanto traspare dalla pronuncia in oggetto dove il giudice “…melius re perpensa, ritenuto che non può darsi raggiunta la prova della sussistenza di un valido contratto di conto corrente fra le parti, stante la presenza in atti di un documento sottoscritto unilateralmente dal correntista e non recante la sottoscrizione anche della convenuta, da reputarsi pertanto nullo (Tribunale di Mantova 13 marzo 2006); ritenuto che, vertendosi in tema di contratti di durata, tale nullità importa la ripetibilità di ogni somma versata dal correntista in favore  della banca a qualunque titolo, laddove essa non risulti essere stata successivamente restituita da quest’ultima tramite versamento diretto al correntista di fatto o a terzi per suo ordine, stante l’operatività anche in sede di ripetizione dell’indebito del generale principio “compensatio lucri cum damno”, indipendentemente dalla mancata opposizione di una specifica eccezione di compensazione delle somme dovute con quelle versate da parte della banca; (…) ritenuto che la ricostruzione dei versamenti effettuati dalle parti reciprocamente può essere effettuato solo in forza di documentazione idonea a provare i relativi pagamenti; che nel caso di specie tale documentazione deve essere individuata nelle copie degli estratti conto relativi al contratto nullo e la cui veridicità non è stata contestata da alcuna delle parti[47].

Con la sentenza n. 10516 del 20 maggio 2016 i giudici di legittimità hanno affrontato la questione della la mancata pattuizione per iscritto della clausola di determinazione di interessi superiori al tasso legale ed è pacifico che una pattuizione di tale genere deve necessariamente risultare per iscritto ex art. 1284 comma III c.c.[48]

Del resto, anche la recente giurisprudenza (Cassazione civile sentenza n. 36 del 3 gennaio 2017) tende a ribadire tale concetto e, partendo dall’analisi dell’art. 117 TUb comma 4 non può fare a meno di osservare che “è invece testuale che la mancanza di forma scritta, che deve riguardare, ai sensi del comma 4, “il tasso di interesse ed ogni prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora” determina la nullità del contratto concluso in difetto”[49].

La forma scritta ad sustantiam rappresenta un elemento imprescindibile per l’idoneità dell’atti scritto ad essere l’elemento necessario ed insostituibile per la valida manifestazione della volontà produttiva degli effetti del negozio con efficienza pari alla volontà dell’altro contraente tale da non poter essere sostituito da una dichiarazione ricognitiva o confessoria dell’atra parte.

Il requisito della forma può ritenersi soddisfatto, perciò, solo se l’atto costituisce “estrinsecazione formale della volontà negoziale” delle parti; si è in presenza di un requisito che la legge esige essere soddisfatto secondo rigorose formalità tanto da non essere sufficiente  che l’atto richiami un accordo precedentemente concluso non rivestito della forma scritta e mancante di tutti gli elementi essenziali del contratto senza alcuna possibilità di ovviare ricorrendo a prove storiche non consentite ex art. 2725 Cod. civ.[50] Ne consegue che non è ammissibile un accordo concluso per facta concludentia a causa dell’inidoneità a rispettare il requisito ex art. 117 TUb.[51].

La Cassazione del 3 gennaio 2017, infine, torna anche a ribadire che l’eventuale esibizione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha sottoscritta equivale pacificamente ad una sottoscrizione ma, in ordine agli effetti, è imprescindibile che gli stessi possano manifestarsi solo “da ora in poi”.

Gli interessi ultralegali meritano non discorso a parte con ulteriori doverose precisazioni; infatti, per tali interessi non vale il principio secondo il quale la mancata contestazione degli estratti conto inviati dalla banca equivale a tacita approvazione ex art. 1832 c.c. Per quanto sia pacificamente accettato tale principio, è pur vero che lo stesso cede innanzi alla nullità della clausola, non scritta, relativa agli interessi ultralegali…perchè l’unilaterale comunicazione del tasso d’interesse non può supplire al difetto originario di valido accordo scritto in deroga alle condizioni di legge, richiesto dall’art. 1284 cod. civ.[52] .

Appare doveroso, in questa sede richiamare la giurisprudenza del Tribunale di Lecce che già si era espresso sul punto affermando che “L’art. 1284, comma 3, c.c. richiede la forma scritta a pena di nullità (su questo punto non si sono mai manifestati dubbi) e perché si producano interessi a tasso superiore a quello legale, occorre non solo un contratto fra creditore e debitore, ma detto contratto dev’essere redatto per iscritto, a pena di nullità … In mancanza di prova circa l’esistenza di una convenzione scritta regolante la determinazione della misura degli interessi, questi devono essere applicati tra le parti nella misura del saggio legale…”[53].

Recentissima giurisprudenza[54] ha “ridimensionato” la qualifica della documentazione inviata dalla banca che, se la giurisprudenza del 2012 riqualifica come “facta concludentia” adesso sono “…invero, mere comunicazioni e non recano la sottoscrizione del correntista, non potendo ritenersi quindi atti contrattuali. Si sostiene all’uopo che “del tutto inconferente è la comunicazione delle variazioni del tasso con gli estratti del conto corrente, giacché la conoscenza successiva del saggio applicato non vale a sanare l’originario vizio di nullità della pattuizione, per carenza del requisito della determinabilità, la cui esistenza l’art. 1346 c.c. esige a priori, al punto che non può essere individuato successivamente (Cass. 6247-1998), tanto più quando non sia determinato da entrambe le parti ma da una di esse, che l’abbia portata alla conoscenza dell’altra, attraverso documenti che hanno il fine esclusivo di fornire la informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci di assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso”.

 

[1] Corte Suprema di Cassazione, prima sezione civile, Udienza dell’11 aprile 2017, Ordinanza interlocutoria.

[2] BANCA D’ITALIA, Istruzioni di Vigilanza per le banche, Circolare 21 aprile 1999 n.299, modificata il 25 luglio 2003.

[3] Proprio sotto questo aspetto, appare evidente che la forma scritta, quale mezzo usato dalle parti per esternare il loro consenso al mondo delle relazioni giuridiche e sociali, assolve l’importante funzione della massima trasparenza possibile per assicurare la conoscenza di tutti gli elementi e le condizioni dell’atto negoziale quale imprescindibile circostanza per una consapevole scelta circa l’opportunità del vincolo contrattuale al quale si è prossimi ad assoggettarsi.

[4] In assenza di un obbligo legislativo di forma scritta, cliente e consulente finanziario possono limitarsi a una relazione contrattuale fondata oralmente. Vi sono tuttavia diverse ragioni per cui è sensato addivenire alla conclusione di un contratto scritto: si tratta in particolare di garantire – a beneficio di entrambe le parti – la realizzazione dei fini che il requisito di forma persegue. V. SANGIOVANNI, “Contratto di consulenza. Aspetti contrattuali della nuova consulenza finanziaria” in I contratti, 2010, fasc. 2, pp. 175-189.

[5] Anche per i rapporti di conto corrente va verificata la nullità del contratto privo di sottoscrizione da parte della Banca, accertamento effettuabile anche d’ufficio. Tribunale di Bologna, Agosto 2016 – Est. Sofia Anfossi; consultabile sul sito: www.studiotanza.it

[6] Sezioni Unite sentenze n. 26242 e 26243 del 12 dicembre 2014

[7] Nella sentenza Pannon del 4 giugno 2009, in causa C-243/08, la Corte ha stabilito che il giudice deve esaminare di ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale e, in quanto nulla, non applicarla, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga, qualificando, in buona sostanza, in termini di dovere l’accertamento officioso del giudice circa il carattere eventualmente abusivo delle clausole contenute in siffatti contratti, sia pure con il limite, ostativo alla disapplicazione, dell’opposizione del consumatore.

[8] Sempre Sezioni Unite sentenze n. 26242 e 26243 del 12 dicembre 2014.

[9] A tal proposito, le citate Sezioni Unite richiamano anche il decisum della Corte di Giustizia nella sentenza 9263/2011 per affermare che, non a torto, la nullità  “…è stata definita, all’esito del sopravvento del diritto europeo, ad assetto variabile, e di tipo funzionale, in quanto calibrata sull’assetto di interessi concreto, con finalità essenzialmente conformativa del regolamento contrattuale, ma non per questo meno tesa alla tutela di interessi e di valori fondamentali, che trascendono quelli del singolo. Si è così osservato che, se le nullità di protezione si caratterizzano per una precipua natura ancipite, siccome funzionali nel contempo alla tutela di un interesse tanto generale (l’integrità e l’efficienza del mercato, secondo l’insegnamento della giurisprudenza europea) quanto particolare/seriale (quello di cui risulta esponenziale la classe dei consumatori o dei clienti), la omessa rilevazione officiosa della nullità finirebbe per ridurre la tutela di quel bene primario consistente nella deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole.”

[10] Corte di Appello di Torino sentenza 595 del 2012

[11] La Cassazione del 2012 riprende non costante filone giurisprudenziale sviluppatosi già negli anni 60 (sentenza n. 338 16.10.1969) e proseguito fino a tempi più recenti; si veda, tra le altre, 2826/00; 9543/02 fino alla sentenza n. 22223/06 la quale afferma che “che il contraente la cui sottoscrizione non figura nel documento  rappresentativo di un contratto per il quale sia richiesta dalla legge, a pena di nullità, la forma scritta, può validamente perfezionarlo con la sua produzione in giudizio, al fine di farne valere gli effetti contro l’altro contraente sottoscrittore, o manifestando a questo con un proprio atto scritto la volontà di avvalersi del contratto; (…) in tal caso la domanda giudiziale o il successivo scritto assumono valore equipollente della firma mancante, semprechè, medio tempore, l’altra parte non abbia revocato il proprio assenso o non sia decaduta, con la conseguente impossibilità della formazione del consenso nella forma richiesta dalla legge nei confronti dei suoi eredi”.

[12] Sotto il profilo inerente il contratto di conto corrente, la Cassazione del 2012, altresì, precisa che l’invio degli atti di estratto conto al cliente rappresentano chiara manifestazione di volontà di dare esecuzione al contratto con la conseguenza che l’esibizione in giudizio dello stesso ottempera all’obbligo della forma scritta ad substantiam e rimedia all’assenza di sottoscrizione e, in particolare, ha affermato che sia la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha sottoscritta, sia qualsiasi manifestazione di volontà del contraente che non abbia firmato, risultante da uno scritto diretto alla controparte e della quale emerga l’intento di avvalersi del contratto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante, purché la parte che ha sottoscritto non abbia revocato, in precedenza, il proprio consenso ovvero non sia decaduta.

[13] Trib. Milano sent. 14268/2013

[14] Tribunale, Reggio Emilia, sez. II civile, sentenza 28/04/2015

[15] Cassazione civile n. 23966 del 2004

[16] Cassazione Civile, sez. I, sentenza 24/03/2016 n° 5919

[17] Cassazione civile, sentenze n. 36 del 3 gennaio del 2017 e n. 6559 del 14 marzo 2017 ma anche Corte d’Appello di Bologna sentenza n. 89 del 13 gennaio 2017 e Corte d’Appello di Torino sentenza n. 478 del 28 febbraio 2017.

[18] La sentenza n. 4554 del 2012 risolveva la questione sostanzialmente in favore della banca statuendo che “…“essendosi il negozio concluso per corrispondenza, la copia firmata dalla banca non poteva che essere in mani dei ricorrenti” e per di più il cliente ha dato atto che “un esemplare del presente contratto c’è stato da voi consegnato; il che rende ragionevole affermare che il detto esemplare fosse quello sottoscritto dalla banca e consegnato ai ricorrenti”.

[19] Cassazione civile n. 26174 del 14 dicembre 2009.

[20] Con riferimento ai contratti per i quali la legge richiede la forma scritta ad substantiam, la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l’ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, con perfezionamento del contratto con effetti ex nunc e non ex tunc, essendo necessaria la formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano, nulla rilevando la ricorrenza di atti di esecuzione del contratto stesso da parte di chi non l’abbia ancora sottoscritto, in quanto la natura formale del contratto non ammette la sua stipula per atti concludenti. Tribunale Ragusa 17 ottobre 2016 – – Est. Barracca. In www.studiotanza.it

[21] Così la Cassazione civile con la sentenza, già richiamata, n. 5919 del 2016 e che, poi, ulteriormente precisa che “ Nel caso di produzione in giudizio del contratto da parte della banca, la cui sottoscrizione difetta, avrebbe determinato il perfezionamento del contratto solo dal momento della produzione, la quale, perciò, non può che rimanere senza effetti, per i fini della validità del successivo ordine di acquisto delle obbligazioni argentine, tale da richiedere a monte (e non ex post) un valido contratto quadro”.

[22] Cassazione civile, sentenza n. 26174 del 14 dicembre 2009.

[23] Nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, ance posteriore alla stipulazione del contratto stesso, non può evidenziare una formazione del consenso al di fuori dello scritto medesimo. Così Cassazione civile sentenza n. 12297 del 7 giugno 2011.

[24] Tribunale di Savona, sent. del 23 giugno 2000.

[25] Tribunale di Ferrara 15 marzo 2006.

[26] Cassazione civile sentenza, n. 26174 del 14 dicembre 2009, già richiamata.

[27] Con riferimento ai contratti per i quali la legge richiede la forma scritta ad substantiam, la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l’ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, con perfezionamento del contratto con effetti ex nunc e non ex tunc, essendo necessaria la formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano, nulla rilevando la ricorrenza di atti di esecuzione del contratto stesso da parte di chi non l’abbia ancora sottoscritto, in quanto la natura formale del contratto non ammette la sua stipula per atti concludenti. Tribunale Ragusa 17 ottobre 2016 – – Est. Barracca. In www.studiotanza.it

[28] Cassazione civile sentenza n. 26174 del 2009

[29] CONFORME La dichiarazione confessoria resa da una delle parti in causa circa la ricezione di una copia del contratto, da intendersi completo in tutte le sue parti, non vale a rimediare alla mancata sottoscrizione di un contratto per il quale la legge preveda la forma scritta ad substantiam, non potendo tale dichiarazione confessoria essere utilizzata come elemento integrante di un contratto né come prova di questo. (Fattispecie in tema di contratti di investimento). Tribunale di Bari, 15 luglio 2010 – Est. Scoditti.

[30] Cassazione civile, sentenza n. 2545 del 25 luglio 1972.

[31] In nessun caso gli estratti conto si possono considerare come “estrinsecazione diretta della volontà contrattuale“, e, di conseguenza, non sono idonei a perfezionare il contratto; si tratta, invece, di documentazione predisposta e consegnata dalla banca per assolvere un preciso obbligo derivante dal contratto. In definitiva, gli estratti conto rappresentano comportamenti attuativi e concludenti dell’atto negoziale che, per definizione, non possono validamente dar luogo alla stipulazione di un contratto formale. Cassazione civile sentenza n. 5919 del 24 marzo 2016

[32] (Cassazione civile sentenza n 10186 del 26 luglio 2001; sentenza n. 4735 del 24 luglio 1986; sentenza n. 5876 del 24 maggio 1991; sentenza n. 1978 del 11 marzo 1996, sentenza n. 8989, 11 settembre 1997.

[33] Corte d’Appello di Lecce, sentenza n. 598 del 2 luglio 2001; la sentenza, riportata nella sua integrità e correlata da un approfondito commento è consultabile sul sito www.studiotanza.it

[34]Tribunale di Cassino, sentenza del 29 ottobre 2004 nonché Tribunale di Bari sentenza del 24 marzo 2007.

[35] Tribunale di Monza, sentenza del 12 dicembre 2005

[36] Cassazione civile sentenza n. 7064 del 29 novembre 1986.

[37] Cassazione civile sentenza n. 36 del 3 gennaio 2017

[38] FRATTINI Compendio di Diritto Civile, Roma 2014 pag.ne 300 – 301

[39] Sul punto si veda, anche, Corte di Cassazione civile sentenza n. 2826 del 2000,ove si legge: “Invocando a proprio favore il documento sottoscritto ex adverso, si può ritenere chela parte producente manifesti l’univoca volontà di aderire al contratto e di perfezionarlo, sia in termini negoziali che in termini probatori: (…) Per contro, quando il giudizio non è proposto contro colui che ha sottoscritto il contratto, sebbene contro una parte, che non l’ha firmato, la produzione del documento in sostituzione della sottoscrizione mancante non può certo produrre l’effetto dell’incontro delle volontà: la controparte del processo, invero, non essendo parte del contratto, non concorre a formare l’in idem placitum: non concorre, cioè, a formare il consenso indispensabile perché il contratto si perfezioni.” La sentenza è annotata da Timpano, il quale osserva che “…la produzione in giudizio nei loro confronti (degli eredi, nda) del documento sottoscritto dal de cuius non può portare al valido perfezionamento del contratto. La stessa conseguenza viene a delinearsi nel caso di produzione in giudizio ad opera degli eredi del destinatario della proposta contrattuale, giacchè non è loro consentito di sostituirsi al de cuius nella manifestazione di volontà diretta alla conclusione di un contratto rimasto in itinere nel suo processo formativo”.

[40] Premesso che “tutti i contratti bancari devono necessariamente stipularsi per iscritto a pena di nullità”  (v. Trib, Torino 13.1.2003, Trib. Napoli 16.1.2001)…si consideri che per regola generale, nei contratti nei quali la forma scritta è prescritta ad substantiam, tale forma è richiesta come elemento costitutivo del negozio, ragion per cui in difetto del suddetto requisito il negozio non si perfeziona. Il contratto di cui si discute nella presente causa, prodotto da parte attrice risulta sottoscritto unicamente dalla correntista e non dalla Banca, con la conseguenza che poiché non vi è la prova della formazione del consenso deve ritenersi che il contratto non si sia perfezionato (Tribunale di Mantova, 13 marzo 2006). (…) Sul punto deve ribadirsi quanto già sancito con ordinanza resa all’udienza del 9.12.09. Invero, una volta provata la nullità del contratto per mancanza della forma scritta deve ritenersi che il cliente abbia assolto il proprio onere probatorio in punto di prova del pagamento sine causa. La circostanza inoltre che l’allegata nullità del contratto per mancanza di forma scritta non sia stata contestata dalla banca, la quale si è limitata ad eccepire la prescrizione del diritto di ripetizione dell’attore, avvalora ancor di più il convincimento che i rapporti tra le parti non siano stati regolamentati mediante pattuizioni scritte specificatamente sottoscritte da entrambe le parti, come espressamente previsto dall’art. 117 del TUB; norma ratione temporis applicabile nel caso in esame, perché dagli estratti conto depositati risulta che il rapporto bancario è iniziato soltanto dal 1997. […] In questa sede, invero, non si discute della nullità della clausole contenente la previsione di interessi anatocistici o della nullità di altre singole clausole inserite in un contratto valido, ma si discute di nullità dell’intero contratto do conto corrente per mancanza di forma scritta prevista ad substantiam. Tribunale di Marsala – Dott. Iole Moricca sentenza n. 236 del 13 marzo 2012. La pronuncia si può integralmente consultare su www.studiotanza.it

[41] In verità, dalla norma speciale sui crediti di lavoro (art. 429 c.c.) parte della dottrina, a contrariis, deduceva che il tasso di interessi legale remunererebbe solo la perdita del potere di godimento, in quanto la perdita del potere di disposizione sarebbe automaticamente compensata dalla rivalutazione monetaria.

[42] La nullità che colpisce la convenzione relativa alla determinazione di interessi ultralegali ma che difetta della forma scritta riguarda solo la parte corrispondente alla differenza tra il tasso legale e quello convenuto con riferimento al quale l’Ordinamento interviene non per escludere la pattuizione dal regolamento contrattuale ma per sostituirla con la disciplina legale; così Cassazione civile sentenza n. 280 14 gennaio 1997.

[43] Tra le tante, Cassazione civile, sentenza n. 9080 del 21 giugno 2002, n. 9080; sentenza n. 15643 del 20 ottobre 2003, n. 15643 e sentenza n. 266 11 gennaio 2006.

[44] I documenti prodotti dalla banca sono, invero, mere comunicazioni e non recano la sottoscrizione del correntista, non potendo ritenersi quindi atti contrattuali. Si sostiene all’uopo che “del tutto inconferente è la comunicazione delle variazioni del tasso con gli estratti del conto corrente, giacché la conoscenza successiva del saggio applicato non vale a sanare l’originario vizio di nullità della pattuizione, per carenza del requisito della determinabilità, la cui esistenza l’art. 1346 c.c. esige a priori, al punto che non può essere individuato successivamente (Cass. 6247-1998), tanto più quando non sia determinato da entrambe le parti ma da una di esse, che l’abbia portata alla conoscenza dell’altra, attraverso documenti che hanno il fine esclusivo di fornire la informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci di assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso” (Cass civ sez I, sent. N.1287/2002; Cassazione civile, sez. I 25/11/2010 n. 23974). Tribunale di Taranto, dott.ssa Rossella Di Todaro, sent. n. 174 del 23 gennaio 2017. La Sentenza è consultabile sul sito www.studiotanza.it

[45] Con la conseguenza che, in assenza di accordo sul punto, per mancata sottoscrizione del relativo patto da parte di entrambi i contraenti, non può ritenersi che lo stesso possa validamente spiegare effetto in ragione di una sua conclusione per facta concludentia, che non è ammissibile in ipotesi, come quella di specie, di forma imposta a pena di nullità del negozio (solo per la parte corrispondente alla differenza tra il tasso legale e quello convenuto), in considerazione della natura imperativa della norma che lo contempla.

[46] La pattuizione di interessi ad un tasso superiore a quello legale, per la quale l’art. 1284, comma 3 c.c. prescrive la forma scritta ad substantiam, deve essere assunta mediante contratto e, dunque, sempre bilateralmente (cfr. Tribunale di Marsala, ord. 09 dicembre 2009, in www.studiotanza.it). L’art. 1284, comma 3, c.c. richiede la forma scritta a pena di nullità (su questo punto non si sono mai manifestati dubbi) e perché si producano interessi a tasso superiore a quello legale, occorre non solo un contratto fra creditore e debitore, ma detto contratto dev’essere redatto per iscritto, a pena di nullità (cfr. Cassazione civile, sez. I, 9 aprile 1984, n. 2262; Cass. Civ. 10692 del 2007; Tribunale di Pescara, Sent. 28 maggio 2009; Tribunale di Velletri – Est. Cataldi, sent. 1316 del 7 luglio 2009; Tribunale di Benevento 18 febbraio 2008 – Est. Cusani;). In mancanza di prova circa l’esistenza di una convenzione scritta regolante la determinazione della misura degli interessi, questi devono essere applicati tra le parti nella misura del saggio legale. (Tribunale Catania, 31 maggio 1986 – Credito Italiano c. Musumeci – Banca borsa tit. cred. 1987, II, 482.). Costituisce poi onere della banca fornire la prova dell’univocità della fonte richiamata e, quindi, dell’oggettiva determinabilità del tasso, pur nella possibile previsione di variazioni in corso di rapporto. Tale onere si rinviene in via generale nella previsione di cui all’ars. 2697 c.c., ma, in maniera ancora più specifica, nell’art. 1284 c.c., in quanto solitamente trattasi di interesse ultralegale, la cui determinazione deve essere operata per iscritto. (Tribunale di Cassino, 29 ottobre 2004 n. 1245/04). Tribunale di Lecce – Sezione distaccata di Campi Salentina – Dott. Gabriella Nocera, sentenza del 17 dicembre 2009. Per visionare la sentenza nella sua integrità si può consultare il sito www.studiotanza.it

[47] Tribunale di Marsala, estensore il Dott. Francesco Lupiae, emessa il 9 dicembre 2009; sul punto si veda anche La sentenza n. 407 del 16 dicembre 2009 del Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di Maglie, estensore Dott. Angelo RIZZO; la sentenza è oggetto di un approfondito e ricognitivo commento in www.studiotanza.it http://www.altalex.com/documents/news/2010/01/08/problemi-interpretativi-dell-art-117-c-7-del-tub-e-tasso-di-interesse-sostitutivo. Le sentenze sono consultabili sul sito www.studiotanza.it.

[48] Conforme a quanto sopra detto, i Tribunale di Cassino sez. Sora il quale ha statuito che “… Occorre dare atto che nell’anno 2000 interveniva la delibera CICR che ha legittimato la capitalizzazione degli interessi, in deroga dunque al divieto generale di anatocismo, purché però le condizioni praticate siano previste nel contratto sottoscritto dal cliente e purché siano le medesime per la Banca e il cliente. (…) Con riguardo alle eccezioni formulate da parte convenuta nel corso del rapporto, e ribadite in sede di comparsa conclusionale, deve osservarsi che pur essendo intervenuta nel corso del rapporto la norma CICR, anno 2000, la stessa non risulta essere stata rispettata nel caso di specie, poiché l’applicazione della capitalizzazione non è stata specificamente sottoscritta dalla parte, ma semplicemente comunicata, come se fosse una variazione delle condizioni contrattuali non sottoposta a specifica sottoscrizione. Tribunale di Cassino, Sez. Sora, Dott. Maria Rosaria CIUFFI, Sentenza n. 19 del 26 gennaio 2012 reperibile  in www.studiotanza.it

[49] Conforme Cassazione civile sentenza n. 18079 del 25 luglio 2013 che aggiunge “Pur potendosi astrattamente collocare la previsione dell’art. 117 T.U. n. 385 del 1993 nel genus dei contratti per i quali la forma scritta è richiesta ad substantiam, la finalità di protezione esclusiva di uno dei contraenti, ritenuto dal legislatore esposto alle conseguenze di una condizione di asimmetria informativa e di disequilibrio contrattuale desumibili in via generale dalla natura del contratto, dall’elevato tasso tecnico delle pattuizioni e dalle condizioni soggettive dei contraenti, ha determinato una disciplina normativa derogatoria del rilievo officioso della nullità derivante dalla mancata adozione della forma scritta”.

[50] Si veda Cassazione civile sentenze n. 2574 del 2005 e n. 10163 del 2011.

[51] È difatti principio consolidato quello che interpreta il terzo comma dell’art. 1284 cod. civ. nel senso che per la costituzione dell’obbligo di pagare interessi in misura superiore a quella legale è necessaria la forma scritta ad substantiam (tra le tante, Cass., 21 giugno 2002, n. 9080; Cass., 20 ottobre 2003, n. 15643; Cass., 11 gennaio 2006, n. 266). Con la conseguenza che, in assenza di accordo sul punto, per mancata sottoscrizione del relativo patto da parte di entrambi i contraenti, non può ritenersi che lo stesso possa validamente spiegare effetto in ragione di una sua conclusione per facta concludentia, che non è ammissibile in ipotesi, come quella di specie, di forma imposta a pena di nullità del negozio (solo per la parte corrispondente alla differenza tra il tasso legale e quello convenuto), in considerazione della natura imperativa della norma che lo contempla. Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 dicembre 2013 – 11 febbraio 2014, n. 3017.

[52] Cassazione civile, sentenza n. 17679 del 29 luglio 2009

[53] “Costituisce poi onere della banca fornire la prova dell’univocità della fonte richiamata e, quindi, dell’oggettiva determinabilità del tasso, pur nella possibile previsione di variazioni in corso di rapporto. Tale onere si rinviene in via generale nella previsione di cui all’ars. 2697 c.c., ma, in maniera ancora più specifica, nell’art. 1284 c.c., in quanto solitamente trattasi di interesse ultralegale, la cui determinazione deve essere operata per iscritto…” Tribunale di Lecce – Sezione distaccata di Campi Salentina – Dott. Gabriella Nocera, Sent. n. del 17 dicembre 2009; conforme Tribunale di Marsala, ord. 09 dicembre 2009 che afferma: “Preliminarmente osserva il Tribunale che non risulta prodotto agli atti il contratto di apertura di credito con scoperto di conto corrente n. 306 10100384/7. Detto contratto, non è stato neppure prodotto da nessuna delle parti in sede di CTU. La pattuizione di interessi ad un tasso superiore a quello legale, per la quale l’art. 1284, comma 3 c.c. prescrive la forma scritta ad substantiam, deve essere assunta mediante contratto e, dunque, sempre bilateralmente” entrambe le pronunce sono disponibili in www.studiotanza.it

[54] Tribunale di Taranto, dott.ssa Rossella Di Todaro, sentenza n. 174 del 23 gennaio 2017 disponibile in www.studiotanza.it 

Cassazionista del Foro di Lecce, dopo la laurea presso la facoltà di Giurisprudenza di Bari, con una tesi in penale sul "Millantato Credito", ha rappresentato gli interessi dei consumatori italiani in migliaia di giudizi, in quasi tutti i Tribunali d'Italia. Dal 1996 ricopre la carica di Vicepresidente Nazionale di ADUSBEF e membro del Consiglio Direttivo, è anche Presidente di Adusbef Puglia, nonché Consigliere del CRCU Puglia. Consigliere del Consiglio Nazionale Consumatori ed Utenti presso il Ministero dello Sviluppo Economico, nonché Consigliere dell’Osservatorio sulla Giurisdizione presso il Consiglio Nazionale Forense. Componente Comitato Governativo per l’educazione finanziaria c/° MEF (d.l. 23/12/2016 n. 237, art. 24 bis - L. n. 15/17). Docente a contratto in Diritto bancario presso la Scuola Superiore per le Professioni Legali - Unisalento - anno 2016/2017. Ha partecipato a numerosissime trasmissioni televisive (Matrix, Mi manda Rai Tre, Uno Mattina, ecc.) e radiofoniche, collabora con varie testate giornalistiche (Famiglia Cristiana, Repubblica, Panorama, Espresso, il Salvagente,ecc.). Ha partecipato come docente a numerosissimi Master presso varie Università (Sapienza, Bocconi, Unisalento, ecc.) ed ha relazionato in centinaia di convegni in tutta l'Italia. Ha patrocinato i principali giudizi in tema di contenzioso bancario (sul sito www.studiotanza.it sono pubblicate le centinaia di sentenze ottenute), da ultimo ha rappresentato il correntista nel giudizio definito con la sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010 ed è costituito nel giudizio presso la Consulta avente ad oggetto l'incostituzionalità dell'art. 2, comma 61, del c.d. Decreto Milleproroghe.

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