La falsità del testamento olografo. I parte: profili civilistici

Fiorella Albanese, La falsità del testamento olografo. I parte: profili civilistici, in https://www.lexenia.it

Abstract

Quella olografa è la forma testamentaria più semplice, e per questo anche la più diffusa.  Assicurare la massima autonomia del de cuius, atteso che non è prevista la pubblicazione o il deposito dell’atto, così garantendo assoluta riservatezza non soltanto sul contenuto delle disposizioni ma al contempo sul fatto stesso di avere testato, costituisce il maggior pregio del testamento olografo. A ciò deve aggiungersi l’assenza di oneri economici. Tuttavia, la redazione senza la guida di un tecnico, in grado di tradurre in modo chiaro ed efficace le volontà del testatore, potrebbe costituire una minaccia per la validità dell’atto o per il rispetto dei diritti dei legittimari. Ricorrente è poi il pericolo di smarrimento, sottrazione, irreperibilità, distruzione, ma soprattutto di alterazione, ad opera di terzi, del documento. Quest’ultimo tema investe profili e civilistici e penalistici di estremo impatto concreto.

 

1 L’olografia: funzione e requisiti. 2 Intervento del terzo in sede di redazione dell’atto 2.1 L’apporto meramente materiale del terzo2.2 L’intervento del terzo sull’atto2.3 Scrittura a mano guidata, abbandonata e forzata: il contributo della scienza grafologica. 3 L’intervento del terzo sull’atto già confezionato. I rimedi civili per contrastare la falsità del testamento olografo – 4.1 I rimedi riferibili all’atto: gli strumenti per inibire gli interventi e le interpolazioni del terzo4.1.1 La conferma del testamento falso 4.1.2 Aspetti processuali: disconoscimento, procedimento di verificazione, querela di falso e riparto dell’ onere probatorio4.2 La sanzione dell’indegnità . 5 Brevi osservazioni conclusive.

 

1 L’olografia: funzione e requisiti.

Il testamento olografo, ai sensi dell’art. 602 c.c., è quello scritto per intero, datato e sottoscritto dal testatore. I requisiti elencati sono richiesti a pena di nullità dall’art. 606 c.c. che pertanto attribuisce all’autografia un rilievo determinante ai fini della validità delle disposizioni testamentarie.

L’olografia comporta l’autografia non già della sola sottoscrizione, come avviene di norma per le scritture private, ma di tutto il documento contenente le disposizioni mortis causa, accentuando il formalismo testamentario. Difatti la parola “olografo” deriva dal greco oλoγραφoς, di cui oλoς sta per tutto intero e γραφoς per scritto.

È pertanto escluso, oltre che la redazione di un testamento scritto con caratteri meccanici, anche se sottoscritto dal de cuius di proprio pugno, altresì l’eventuale richiamo per relationem ad alium scripturam effettuato dal testatore con una dichiarazione nella quale affermi che le sue ultime volontà sono state scritte da un terzo a sua richiesta.

La peculiare forma olografa esprime in primis una funzione di conoscenza; l’integrale autografia assicura che il testo della dichiarazione sia stato realmente inteso, così da superare la semplice presunzione di conoscenza che accompagna le normali scritture private, per le quali è sufficiente la sola sottoscrizione.

Su questa linea si colloca la giurisprudenza dominante che, sviluppando la funzione conoscitiva della forma del testamento olografo, ha precisato che l’autografia non significa soltanto provenienza dello scritto dal testatore, ma altresì coscienza e comprensione, da parte di quest’ultimo, dell’atto posto in essere, nella duplice prospettiva della consapevolezza del valore dell’atto e delle espressioni e parole utilizzate.

Non basta quindi che sussista il requisito della mera scrittura (autografa), ma occorre altresì una scrittura cosciente[i], intesa come libera e consapevole volizione del contenuto dello scritto.

Il requisito della scrittura cosciente non è espressamente richiesto dalla legge ma è tuttavia consustanziale alla natura negoziale del testamento, giacché il difetto di tale elemento influisce sulla stessa voluntas negotii, escludendola a monte.

L’altra funzione che soggiace al formalismo dell’autografia è quella probatoria, ossia assicurare la certezza della provenienza dello scritto dal

Contenuto Riservato!

Iscriviti alla nostra newsletter per avere accesso immediato

Se sei già iscritto, inserisci nuovamente la tua email per accedere

testatore. L’autografia pertanto assurge a mezzo di prova (come si avrà modo di precisare, l’unico) dell’autenticità dell’atto e della manifestazione spontanea della volontà negoziale.

Ciò tuttavia non deve trarre in inganno: la funzione probatoria della forma olografa non ne intacca il rilievo ad substantiam, il requisito dell’autografia difatti resta un formalismo a sé stante, non già un elemento rilevante esclusivamente sul piano probatorio. Lo si evince nelle ipotesi in cui la corrispondenza del testamento alla volontà del testatore risulti aliunde. In questi casi, a nulla rileva la prova formatasi sulla volontà del de cuius dal momento che, mancando il requisito formale, il negozio risulta comunque invalido.

La giurisprudenza ha chiarito quali siano i caratteri che l’autografia deve avere, identificandoli nella individualità, normalità, abitualità ed integralità della scrittura, così aggravando ulteriormente il rigore del formalismo legislativo. Si prevede infatti che l’atto debba essere scritto dal testatore come gli è consueto fare, utilizzando la grafia che reca l’impronta della sua personalità, e ciò al fine di controllare l’autenticità del testo, comparandolo con le altre scritture del de cuius.

Ne consegue che la semplice modifica del carattere abituale del testatore al fine di rendere la propria grafia più corretta, leggibile e chiara potrebbe provocare problemi di non scarso rilievo. Ulteriore complicazione si verifica allorquando il testamento sia vergato con lettere imitanti quelle della stampa (se diverse dalla sua ordinaria calligrafia), od ancora in stampatello, giacché la falsificazione è più agevole e manca il requisito della personalità. Diversamente invece nell’ipotesi in cui il testatore, semi analfabeta, sia aduso all’utilizzo di questi caratteri, poiché vi è conformità ai requisiti dell’abitualità e della normalità[ii]. Si configura come problematico anche il caso in cui il testatore, abituato a scrivere con una mano, a causa di un impedimento si veda costretto a redigere la scheda testamentaria con l’altra.

In dottrina[iii], si è sottolineato come gli attributi dell’olografia, ad eccezione di quello dell’integralità, non siano previsti da alcuna norma e dunque non rappresentino dei requisiti autonomi, bensì elementi indiziari da confinare sul piano probatorio. Secondo questo orientamento, l’uso dei caratteri non abituali e non comuni, se anche costituisce un ostacolo, non può certo impedire l’accertamento dell’autografia, potendo a tale accertamento giungersi con altri mezzi. L’interprete potrebbe infatti avvalersi dell’ausilio della scienza calligrafica che consente di pervenire a risultati attendibili circa la provenienza dell’atto dal de cuius o meno, pur raffrontando lo stampatello al corsivo (la perizia calligrafica tuttavia non può essere di alcun supporto per valutare la riconducibilità dell’atto al testatore nell’ipotesi in cui sia scritto con mano differente da quella ordinariamente usata per la scrittura)[iv].

Altra dottrina, ma soprattutto una parte considerevole della giurisprudenza, al contrario, sembra attribuire preponderante autonomia di requisito formale al carattere dell’abitualità, così decretando l’invalidità del testamento che ne sia privo[v].

 

2 Intervento del terzo in sede di redazione dell’atto

Gli interventi dei terzi possono verificarsi in sede di confezionamento dell’atto, in presenza del testatore (o addirittura su sua indicazione), e successivamente al perfezionamento dell’atto.

Durante la redazione del testamento, accade sovente che il testatore decida di avvalersi della collaborazione di un terzo (generalmente un congiunto). Posto che deve ritenersi pacifica la possibilità per il de cuius di farsi consigliare e assistere nella stesura dell’olografo[vi], si pone il problema di verificare entro quali limiti questo ausilio possa esplicarsi senza compromettere la validità delle disposizioni testamentarie.

2.1 L’apporto meramente materiale del terzo

In giurisprudenza è stata innanzitutto ammessa la scrittura del testamento su dettatura del terzo[vii], in tale caso il testatore ha la possibilità di comprendere i suggerimenti avanzati dal terzo e decidere se farli propri o meno, redigendo la cedola.

Di converso deve ritenersi invalido il testamento redatto dal terzo su dettatura del de cuius: in quest’ultima ipotesi manca in toto il requisito dell’olografia e l’atto è da considerarsi invalido per mancanza di forma.

Parimenti ammessa è la compilazione della scheda testamentaria sulla falsa riga di una minuta predisposta dal terzo. Si è difatti osservato come tutti i requisiti richiesti dall’art. 602 c.c. vengano rispettati[viii]. Questa soluzione presuppone però l’alfabetizzazione del testatore e la sua capacità di comprendere i segni grafici contenuti nella minuta e riportati nella scheda testamentaria. Nell’inversa ipotesi in cui costui non fosse in grado di comprendere quanto ricopiato nella cedola l’atto dovrebbe ritenersi affetto da nullità, perché privo del requisito dell’olografia cosciente[ix].

È altresì ammessa la collaborazione meramente meccanica del terzo alla compilazione della cedola testamentaria, ad esempio reggendo il supporto cartaceo, allineando il foglio, o indirizzando la penna del testatore sulle righe del foglio[x].

2.2 L’intervento del terzo sull’atto: la scrittura a mano guidata

La giurisprudenza fa invece applicazione severa del principio di integralità ed esclusività dell’olografia con riferimento alle ipotesi, ricorrenti, di scrittura a mano guidata. Si tratta di quei casi in cui il testatore decida di farsi guidare nella redazione dell’atto, lasciandosi accompagnare la mano da un terzo, al fine di sopperire ai tremori e alle imprecisioni che l’età avanzata o un’eventuale patologia possono arrecare, ostacolandone la scrittura.

Il risultato è che l’atto non contiene esclusivamente disposizioni del de cuius, ma è frammisto a disposizioni scritte con il terzo o direttamente dal terzo.

Ci si è pertanto domandati quali conseguenze abbiano, sul requisito dell’olografia, queste contaminazioni da parte del terzo.

Rigido è l’approdo giurisprudenziale in materia, che non ammette le collaborazioni del terzo, giungendo alla conclusione che esse escludano l’autografia, configurandosi, necessariamente, nell’allografia[xi]. Le ragioni risiedono nell’opzione per la soluzione ermeneutica più restrittiva che l’art. 602 c.c. avrebbe potuto suggerire. La lettera del citato articolo richiede infatti che il testamento sia scritto per intero di mano del testatore.

La disposizione può portare, invero, a due diverse letture: una esige che la scheda testamentaria provenga tutta ed esclusivamente dal testatore; l’altra, più semplicemente, richiede che la scheda provenga tutta dal testatore, senza imporre il requisito dell’esclusività e dunque ammettendo l’ausilio del terzo.

L’adesione a una lettura anziché all’altra ha ripercussioni di considerevole rilievo.

La soluzione che si limita a richiedere che l’atto promani tutto dal testatore si concentra sulla provenienza del documento dal de cuius e sulla rispondenza delle disposizioni testamentarie alla sua volontà, restituendo pregnanza assoluta alla ratio che anima l’art. 602 c.c.

Ne consegue che l’eventuale collaborazione di un terzo non ha, di per sé, efficacia invalidante, così che la questione trova una definizione nella prospettiva probatoria: spetta alle parti che vogliano avvalersi del testamento dimostrare che l’apporto del terzo non ha né sopraffatto né modificato la reale volontà del testatore[xii]. Diversamente opinando, osservano i sostenitori di questa impostazione, si perverrebbe alla paradossale conclusione di svilire la ratio legislativa, dal momento che, pure a fronte di una probatio plena circa il contenuto della voluntas del testatore, si arriverebbe comunque ad una declaratoria di invalidità (in deroga altresì al principio di conservazione degli atti) in nome di una tutela miope e formale, che finirebbe per frustrare e vanificare l’autonomia del de cuius, per ossequiare al vuoto requisito dell’esclusività[xiii].

I sostenitori della lettura rigorosa dell’art. 602 c.c. escludono invece qualsivoglia rilievo alla dimostrazione della riconducibilità della cedola testamentaria, e delle corrispondenti volontà ivi racchiuse, al de cuius e ciò in ragione del fatto che la mera ingerenza del terzo vale, di per sé sola, a escludere la validità del testamento in virtù del requisito, ulteriore, dell’esclusività[xiv]. Quest’ultima, come accennato, è la posizione sposata dalla giurisprudenza[xv].

Ma tale orientamento, oltre a destare i sospetti di parte della letteratura giuridica circa la correttezza delle categorie applicate (si è fatto cenno a come la principale critica sia di avere spostato sul piano sostanziale della validità un problema che, più propriamente, secondo i detrattori di questa impostazione, attiene alla prova), ha il demerito di appiattire entro la medesima disciplina situazioni che possono essere molto differenti fra loro.

2.3 Scrittura a mano guidata, abbandonata e forzata: il contributo della scienza grafologica

L’aiuto del terzo infatti può articolarsi con sfumature molto diverse, in particolare occorre quantomeno distinguere tre situazioni: la scrittura a mano guidata, scrittura a mano abbandonata, scrittura a mano forzata. La prima ipotesi si differenzierebbe dalle altre due per la presenza reale del testatore, che solo nel primo caso si avvale del terzo come supporto esclusivamente materiale per la redazione dell’atto.

Il dato della presenza reale può facilmente inferirsi con l’ausilio della perizia grafica grafologica (o psicologia della scrittura).

Si tratta di un’evoluzione della scienza grafica che, abbracciando la psicologia della scrittura, si traduce nella disciplina nota come grafologia. La valutazione che si richiede al perito introduce nell’indagine grafica il concetto di grafia come presenza di volontà[xvi].

La differenza fra perito grafico-grafologo e perito grafico-non grafologo, che pure è fondamentale in un contesto quale quello relativo alla valutazione dell’olografia testamentaria, resta tutt’oggi misconosciuta in sede giudiziaria.

Le ricerche nel campo grafologico hanno portato alla evidenza degli elementi che consentono di distinguere le tre citate ipotesi di redazione a mano abbandonata, a mano forzata e a mano guidata. Ad esempio nel caso di scrittura a mano abbandonata[xvii] l’aiutante si sostituisce in toto al testatore (generalmente incosciente o malato) così che i tratti grafici preponderanti risultano essere quelli del primo[xviii]. Nell’ipotesi della scrittura a mano forzata emerge invece contrapposizione fra il testatore e chi gli guida la mano (altrimenti, ove questa contrapposizione fosse assente, si ricadrebbe nel caso della mano abbandonata). Diversamente nell’ipotesi della scrittura a mano guidata ove «i gesti della mano guidata qualche volta si aggiungono a quelli della mano che aiuta, altre volte invece si contrastano, dando dei risultati anomali; ma l’esperienza mostra che restano preponderanti le caratteristiche grafiche della mano guidata, cioè della mano del testatore»[xix].

In questo caso la presenza del testatore, pienamente rappresentata dalla sua scrittura, è indiscutibile, egli sa esattamente cosa vuole e il ruolo del terzo si riduce a un ausilio marginale. Di talché, richiamando la lettura sostanzialistica dell’art. 606 c.c. (olografia come strumento finalizzato all’accertamento della paternità dell’atto) dovrebbe ammettersi la validità dell’atto, sia pure commisto a interventi del terzo[xx].

Occorre tuttavia avvertire che la linea di confine fra le ipotesi illustrate non sempre risulta definibile, sia pure con l’ausilio della grafologia, in maniera assoluta e incontrovertibile. Rimangono margini di incertezza da colmare con il ricorso ad ulteriori elementi probatori.

Probabilmente tanto il limite strutturale dell’accertamento grafologico, quanto il pericolo che soggiace alla mera presenza ed intervento di un estraneo in sede di redazione dell’atto, hanno ostacolato l’apertura, seppure auspicata da parte della dottrina, a soluzioni che contemplassero quantomeno l’ammissibilità della scrittura a mano guidata, salvando il testamento.

Del resto la presenza del terzo in sede di compilazione del testamento costituisce di per sé sola un rischio per la preservazione della genuina autonomia del disponente, giacché potrebbe determinare un’alterazione ovvero un condizionamento significativo della volontà del de cuius tutte le volte in cui l’inabilità e la debolezza di quest’ultimo non si limitino ad essere fisiche (circostanza particolarmente frequente nei soggetti che redigano testamento, generalmente di età avanzata e quindi propensi ad essere suggestionati).

In tutti questi casi non è difficile che l’aiuto del terzo strabordi dai limiti del mero supporto, giungendo a mettere in pericolo quelle stesse esigenze che sono state poste dal legislatore alla base della ratio dell’olografia.

 

3 L’intervento del terzo sull’atto già confezionato

Dall’aiuto-coercizione in sede di redazione dell’atto va distinto l’apporto del terzo successivo al perfezionamento dell’atto.

Le aggiunte apocrife possono intervenire su un testamento olografo comprensivo di tutti gli elementi richiesti per la sua validità, ovvero su un testamento lacunoso, proprio al fine di colmarne le mancanze.

Nel primo caso le interpolazioni del terzo vengono inibite con la nullità parziale, così ripristinando il contenuto originale dell’atto.

E’ evidente infatti che non è possibile attribuire all’intervento del terzo che agisca sull’atto già confezionato una efficacia invalidante dell’intero negozio testamentario, giacché questi potrebbe avere interesse a che il testamento non produca effetti.

Nel secondo caso evidentemente il testamento, privo dei requisiti necessari per la sua validità prima delle aggiunte apocrife, resta inefficace (nullo o addirittura inesistente se la bozza originaria si discosta eccessivamente dalla fattispecie). Si pensi all’ipotesi in cui venga inserita la data mancante, ovvero in cui sia aggiunta la sottoscrizione.

 

4 I rimedi civili per contrastare la falsità del testamento olografo

A fronte della falsificazione del testamento olografo l’ordinamento predispone una gamma plurima di tutele, che si snodano tanto sul piano civile quanto su quello penale. Rinviando ad altra sede la trattazione dei profili penalistici [xxi], è a questo punto opportuno passare all’analisi dei rimedi predisposti dal Codice civile.

Occorre preliminarmente distinguere gli strumenti volti a neutralizzare l’atto falso (la disposizione falsificata) e quelli destinati a sanzionare il (soggetto) falsificatore.

4.1 I rimedi riferibili all’atto: gli strumenti per inibire gli interventi e le interpolazioni del terzo

Si è già avuto modo di accennare al fatto che gli interventi del terzo sull’olografo non hanno una disciplina unitaria.

Va tenuta distinta, anche ai fini dell’identificazione del rimedio applicabile, la situazione che riguarda le interpolazioni apportate al testamento perfezionato da quella delle ingerenze contestuali alla redazione (testamento a mano guidata, abbandonata, forzata).

Per quanto concerne il primo caso le aggiunte manomissorie del terzo devono considerarsi nulle secondo la dottrina e la giurisprudenza dominante.

Qualche voce dottrinale osserva, di contra [xxii], come in realtà le manomissioni del terzo, più che da nullità, debbano considerarsi affette da inesistenza.

Qualunque sia la patologia che inficia le aggiunte apocrife è pacifico, con riguardo alla sorte del testamento proveniente dal de cuius su cui è intervenuta la manipolazione, che trovi applicazione il principio utile per inutile non vitiatur, e pertanto l’invalidità colpirebbe la sola interpolazione di mano aliena, facendo salve le genuine disposizioni testamentarie.

Ciò a condizione che le aggiunte e modifiche si siano sovrapposte a un atto, di per sé, valido.

Come si è avuto modo di accennare, infatti, manca un testamento valido a monte in tutte le ipotesi in cui l’intervento del terzo fosse stato orientato allo scopo di colmare gravi lacune dell’olografo. Si pensi ad esempio all’ipotesi in cui l’atto mancasse della sottoscrizione, ovvero al caso in cui il de cuius abbia sottoscritto la cedola in bianco, poi compilata dal terzo.

La teoria da ultimo citata fa leva sulla mancanza, ab origine, della voluntas negotii, essendo l’intervento da imputare a un soggetto estraneo e non al de cuius. Questa prospettiva viene invocata in particolare al fine di escludere l’applicabilità, al testamento falso, dell’istituto della conferma disciplinato dall’art. 590 c.c., che trova applicazione al testamento nullo, ma non al testamento inesistente (infra, par. 4.1.1).

Un discorso a sé stante merita l’interpolazione della data del testamento. In questo caso l’aggiunta apocrifa che vada a colmare la lacuna della data determina l’annullabilità dell’intero testamento, giacché la data non costituisce requisito richiesto a pena di nullità (si applica pertanto il secondo comma dell’art. 606 c.c.), se invece la manomissione interviene su una data genuinamente riconducibile al de cuius, l’interpolazione sarà sostituita dalla data originale[xxiii].

Nel secondo caso, ove l’ingerenza del terzo si esplichi durante la vergazione del documento, si è già rilevato come la conseguenza sia l’esclusione del requisito della manoscrittura o olografia, senza che possa distinguersi fra interventi di guida o forzati (questo lo stato della giurisprudenza dominante). In queste ipotesi, pertanto, si ritiene che l’intero atto debba considerarsi inficiato dalla nullità.

Ci si è tuttavia domandati cosa accada allorquando l’intervento del terzo (a mano guidata, abbandonata o forzata) ricada sulla data. Sul punto non v’è unanimità di vedute: parte della dottrina lo considera un vizio che riguardante la data e pertanto lo qualifica come ipotesi di annullabilità (art. 606, secondo comma)[xxiv]; altra parte della letteratura giuridica[xxv], osserva come l’autografia  debba abbracciare il corpo delle disposizioni, la sottoscrizione e la data, ravvisando nell’eterografia della data una circostanza da fare rientrare nelle ipotesi di allografia, e dunque di nullità.

Non si tratta di questione dal sapore meramente teorico speculativo giacché optare per una soluzione anziché per l’altra ha ripercussioni considerevoli sul piano processuale, che ne rendono necessaria la corretta qualificazione[xxvi].

Sebbene entrambe le azioni prevedano una legittimazione estesa, che consente a chiunque ne abbia interesse di agire in giudizio, la nullità è rilevabile d’ufficio, mentre l’annullabilità deve essere eccepita dalla parte, il termine di prescrizione è diversificato: quinquennale, nell’ipotesi di annullabilità; imprescrittibile, nel caso della nullità, restano poi differenze significative con riguardo agli effetti che la patologia sprigiona nei confronti dei terzi aventi causa dell’erede testamentario (cfr. art. 2652 c. 1 n. 6. c.c.)

4.1.1 La conferma e l’esecuzione volontaria del testamento falso

Il testamento falso non è suscettibile di conferma (o volontaria esecuzione)[xxvii], fatte salve le considerazioni che seguono.

L’art. 590 c.c. traduce un precetto morale, quello per cui occorre dare esecuzione alle ultime volontà del de cuius, anche se affette da una patologia grave come la nullità; la ratio della disposizione è infatti quella di temperare il rigore formalistico che circonda il testamento (specie quello olografo)[xxviii].

Evidentemente questa ragione morale viene meno le volte in cui il testamento sia falso e non provenga dal testatore in quanto, in tali ipotesi, mancherebbe, ab origine, una voluntas da preservare.

Difatti, si è già detto come, al fine di superare la lettera dell’art. 590 c.c., che si riferisce genericamente alla nullità delle disposizioni testamentarie, facendole salve in virtù dell’esecuzione volontaria, la dottrina abbia ricondotto le interpolazioni ad opera di terzi, non già alla categoria della nullità bensì a quella dell’inesistenza[xxix].

Se ciò vale nella maggior parte dei casi di manomissione e alterazione del testamento, è necessario operare un distinguo con riguardo ai casi di testamento falso che riproduce le volontà mortis causa oralmente manifestate dal de cuius, da una parte, e a quelli di falsificazione della sottoscrizione, dall’altra.

Queste due ipotesi sono accomunate dal fatto che, nonostante l’intervento del terzo, le disposizioni testamentarie corrispondono all’effettiva voluntas del de cuius (fatte salve le precisazioni che seguono in riferimento alla falsificazione della sottoscrizione) nel qual caso le obiezioni avanzate contro l’applicazione dell’art. 590 c.c. al testamento falso verrebbero meno.

Sebbene in proposito non vi sia unanimità di vedute, si è ammesso, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza[xxx], che l’esecuzione spontanea delle disposizioni orali di ultima volontà (si parla, in questi casi, di testamento nuncupativo) comporti l’applicazione dell’istituto della conferma.

Da questa premessa deve inferirsi che quando un falso riproduce la volontà oralmente espressa dal de cuius, e intervenga volontaria esecuzione, sarà applicabile la disciplina del 590 c.c.[xxxi]; tuttavia non di conferma del falso dovrà parlarsi, bensì di conferma della dichiarazione orale di cui il falso è traduzione[xxxii].

Ad analoga conclusione deve giungersi nelle ipotesi di falsificazione della sola sottoscrizione dell’olografo. Anche in questo caso indubbiamente l’atto è affetto da nullità, nullità che rischia di essere neutralizzata dall’acquiescenza all’esecuzione volontaria, poiché la manoscrittura delle disposizioni testamentarie induce a presumere la conformità delle stesse alla volontà del de cuius. È pertanto necessario verificare quale sia la ragione della lacuna che potrebbe essere, in alternativa, il frutto di una mera dimenticanza, ovvero l’opzione ragionata e ponderata di non attribuire efficacia all’atto[xxxiii]. La questione va necessariamente risolta sul crinale probatorio[xxxiv].

Nell’ipotesi in cui il testatore verghi la cedola testamentaria con la guida di un terzo, posto che l’atto dovrà considerarsi invalido perché affetto da eterografia, ci si chiede se possa ravvisarsi una situazione analoga a quella ricorrente nell’ipotesi del falso riproducente un testamento nuncupativo. E in particolare se, iniziata l’esecuzione, l’erede testamentario potrà eccepire all’erede legittimo (o ad altro erede testamentario) quanto previsto dall’art. 590 c.c., impedendo la declaratoria di nullità[xxxv].

4.1.2 Aspetti processuali: disconoscimento, giudizio di verificazione, querela di falso, ripartizione dell’onere probatorio

A seguito di un recentissimo intervento delle Sezioni Unite in materia, lo strumento processuale atto a neutralizzare il testamento falso è l’azione di accertamento negativo. L’approdo delle Sezioni Unite giunge all’esito di un vivace dibattito che ha disorientato gli interpreti del diritto per diversi decenni.

Ed infatti sino alla pronuncia delle Sezioni Unite summenzionata, dottrina e giurisprudenza erano divise fra due soluzioni: il disconoscimento e il conseguente giudizio di verificazione da una parte, e la querela di falso dall’altra[xxxvi].

La problematica che ha dato avvio alla contrapposizione fra le due soluzione suesposte va ricercata nella peculiariarità del testamento olografo che, pur essendo formalmente qualificato come scrittura privata (art. 2702 c.c.), ha un ambito di efficacia che sconfina rispetto a quello delle ordinarie scritture private giacché destinato a sprigionare effetti nei confronti dei terzi, ragione per cui nel contesto penalistico è equiparato all’atto pubblico (art. 491 c.p.), ai fini della procedibilità d’ufficio e della quantificazione della pena[xxxvii].

Fanno leva sulla natura di scrittura privata la dottrina e la giurisprudenza[xxxviii] che ritengono sufficiente la contestazione della riferibilità al de cuius della scrittura, o della sottoscrizione, attraverso il mero disconoscimento del documento, nei termini perentori previsti agli art. 214 e ss c.p.c. In questo modo è dato consentire al successibile legittimo, che agisca in petizione di eredità, di non gravarsi della prova della falsità (a prescindere dalla posizione processuale ricoperta dalle parti), limitandosi a disconoscere l’olografo e spostando invece sull’erede testamentario, che voglia valersi del testamento, l’incombente di sollevare il giudizio di verificazione (e il conseguente onere di dimostrare la riconducibilità della scrittura al testatore).

L’opposto orientamento ritiene che alla parte che voglia contestare la veridicità del testamento non resta altra soluzione che la querela di falso (art. 221 c.p.c.)[xxxix], muovendo dalla inadeguatezza dell’istituto del disconoscimento (rectius dichiarazione di non conoscenza) ex art. 214 c.p.c. con riguardo al testamento olografo, atteso che l’erede deve considerarsi terzo rispetto alla provenienza dell’atto (in quanto vergato dal de cuius e non dall’erede).

Quest’ultima soluzione sembrava avesse ricevuto avallo da parte delle Sezioni Unite[xl], tuttavia successivamente a tale pronuncia il contrasto fra le sezioni della Suprema Corte non accennava a sopirsi[xli], per questo motivo nel 2014 diverse sezioni hanno deferito alle Sezioni Unite la decisione sulle modalità di contestazione dell’autenticità del testamento olografo.

Le Sezioni Unite[xlii] superando entrambe le soluzioni (disconoscimento/querela di falso) hanno optato per una terza via qualificando la contestazione della veridicità del testamento come azione di accertamento negativo, riesumando un risalente orientamento dottrinale, poi sfociato in un’isolata (benché celeberrima) pronuncia giurisprudenziale[xliii], rimasta priva di seguito in quanto aspramente criticata[xliv].

Il caso riguardava l’impugnazione da parte degli eredi legittimi di un testamento, fatto pubblicare dalla moglie del de cuius, di cui si deduceva il difetto di autenticità giacché alla data risultante dal testamento il de cuius versava in uno stato di incoscienza, dovuto ad un ictus Gli attori rivendicavano la qualità di eredi, il diritto all’attribuzione dei beni connessi, la dichiarazione d’indegnità della vedova e la condanna della medesima alla restituzione dei frutti percepiti.

Il Tribunale respingeva le domande, sull’assunto che il testamento olografo, disconosciuto dagli attori, poteva essere impugnato solo con la querela di falso e che nel caso di specie, pur se ritualmente formulata, era infondata nel merito per carenza di prova.

Gli attori, contestualmente all’appello avverso la sentenza di primo grado, proponevano querela di falso (mediante autonomo giudizio).

La Corte d’Appello rigettava il gravame in ragione sia dalla mancata impugnazione della sentenza del Tribunale nel capo in cui era stata sostenuta la necessità della querela, sia in considerazione del fatto che il separato processo per querela di falso si era estinto per mancata riassunzione. Avverso la sentenza della Corte d’Appello proponevano ricorso per cassazione gli originari attori: resistevano gli eredi della vedova, i quali, a loro volta, formulavano ricorso incidentale anche condizionato.

La Cassazione con la sentenza in commento, a ben oltre quarant’anni dall’inizio del giudizio, accoglieva il ricorso rinviando nuovamente alla Corte d’Appello.

Il precipitato della soluzione offerta dalla Corte ha il pregio di allocare l’onere della prova, gravando colui che contesta la veridicità del testamento olografo della prova degli elementi costitutivi della domanda (di accertamento negativo), in ossequio al principio generale di cui all’art. 2697, allo stesso tempo: (i) mantenendo il  testamento  olografo nell’orbita delle scritture private; (ii) aggirando la difficoltà di individuare un certo confine tra la categoria delle scritture private la cui valenza probatoria risulterebbe “di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di  falso” (il riferimento è al criterio introdotto dalle SS. UU. Nella pronuncia 15161/2010 citata); (iii) superando l’equiparazione dell’olografo ad una qualsivoglia scrittura proveniente da terzi, destinata come tale a rappresentare, quoad probationis, una ordinaria forma di scrittura privata non riconducibile alle parti in causa; (iv) evitando che il semplice disconoscimento renda troppo gravosa la posizione processuale della parte che si professa erede, riversando su di lui l’intero onere probatorio (nell’ambito del giudizio di verificazione); (v) evitando infine che la soluzione della controversia si disperda nei rivoli di un defatigante procedimento incidentale quale quello previsto per la querela di  falso , consentendo di pervenire ad una soluzione tutta interna al processo.

4.2 La sanzione dell’indegnità

Colui il quale ha formato un testamento ovvero ne ha fatto scientemente uso è sanzionato con l’indegnità.

L’indegnità è istituto disciplinato all’art. 463 c.c., si tratta di una sanzione civile con fondamento pubblicistico[xlv], che esclude la successione del soggetto che ne è colpito. L’ordinamento infatti identifica delle ipotesi tassative nelle quali sarebbe paradossale ammettere la successione.

Quanto alla fattispecie che riguarda la formazione del testamento falso o il farne scientemente uso (art. 463, n. 6), va segnalato che, ai fini dell’applicazione della sanzione in questione deve intendersi per falso il testamento difforme rispetto alla volontà del de cuius.

La falsificazione è dunque intesa, in senso rigorosamente restrittivo, come alterazione, non già del documento in sé, bensì delle dichiarazioni di ultima volontà. Deve trattarsi di una manomissione sostanziale, che determini una divergenza fra quanto previsto dalla cedola testamentaria e quanto effettivamente voluto e manifestato dal testatore.

Naturale conseguenza dovrebbe essere l’esclusione dell’applicazione dell’istituto alle ipotesi: (i) di redazione del testamento a mano guidata (tenendo presente la distinzione intercorrente con le fattispecie di vergazione a mano forzata o abbandonata); (ii) di falsificazione della sola sottoscrizione (iii) e di formazione di testamento falso riproducente le disposizioni mortis causa espresse oralmente dal de cuius[xlvi]. Si tratta delle medesime fattispecie in cui c’è un’apertura giurisprudenziale all’applicazione dell’art. 590 c.c. (supra, par. 4.1.1)[xlvii].

La natura giuridica dell’istituto dell’indegnità è molto dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, per alcuni è causa di esclusione dalla successione, per altri invece determina una vera e propria incapacità a succedere[xlviii].

Dando ossequio alla prima soluzione, che ammette la capacità a succedere dell’indegno, per escluderne la successione (in esito all’accertamento della falsità del testamento) sarebbe necessaria un’espressa domanda di indegnità ed il conseguente intervento giurisdizionale (mediante sentenza da qualificarsi costitutiva).

La tesi contraria rifiuta invece che l’indegno sia capace di succedere, pertanto la sanzione dell’indegnità opererebbe ipso iure, senza l’esigenza di sollevare apposita azione giudiziale (fra l’altro non prevista dal codice), dovendosi, l’eventuale pronuncia del giudice, risolvere in una sentenza meramente dichiarativa.

La giurisprudenza[xlix] ha accolto la prima tesi, confermando la capacità dell’indegno a succedere e l’esigenza di sollevare apposita domanda per richiedere l’applicazione della sanzione dell’indegnità, con tutte le conseguenze che l’adesione a questa impostazione comporta: l’esigenza di una espressa domanda di indegnità (poiché l’istituto non opera ipso iure), da esercitarsi necessariamente nel termine prescrizionale ordinario decennale.

Altra questione problematica riguarda la distribuzione dell’onere probatorio, ed in specie su chi gravi l’onere di dimostrare la conformità/difformità del falso alla voluntas del testatore.

Sul punto non sembra esserci uniformità di vedute, tuttavia recentemente si è pronunciata la Suprema Corte, che evocando un risalente precedente degli anni ’70 [l], ha addossato l’onere sulla parte che voglia evitare la pronuncia di indegnità[li].

 

5 Brevi osservazioni conclusive

La ricostruzione della disciplina e degli orientamenti  giurisprudenziali stratificatisi intorno alla questione del testamento falso, in specie con particolare riguardo alle ipotesi di testamento a mano guidata, consente di rilevare come nel tentativo di predisporre una rigida rete di tutele volte a neutralizzare gli interventi manomissori dei terzi, gli interpreti abbiano finito per perdere di vista la ratio che anima l’intera disciplina delle successioni testamentarie, ossia la tutela della voluntas del de cuius, pervenendo a soluzioni che nel complesso si palesano in tutta la loro incoerenza.

Si è osservato come il rigore della giurisprudenza, che non ammette soluzioni mediane, travolga categoricamente la validità dell’atto testamentario (anche quando redatto in ossequio alle disposizioni del de cuius attraverso la guida della mano), considerato radicalmente nullo.

D’altra parte quella medesima voluntas riacquista rilievo nell’ambito degli istituti della conferma e dell’indegnità atteso che la conformità alla volontà del de cuius costituisce condizione per l’applicazione dell’art. 590 c.c. e di contra per l’esclusione del 463 c.c.

L’incoerenza summenzionata sprigiona ricadute anche sugli approdi giurisprudenziali penalistici riguardanti la condotta di aiuto nella redazione del testamento, che saranno analizzati nella II Parte del presente lavoro[lii].

[i]                 Colucci, Autografia cosciente e olografia nel testamento, nota a T. Napoli, 5.5.1975, n. 2870, in Dir. e Giur., 1976, 558.

[ii]                In questo senso App. Torino, 19.12.2000, in Giur. It., 2001, 1641.

[iii]               Branca, Dei testamenti ordinari, in Commentario del Codice Civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna, 1986, 77.

[iv]               Ha riconosciuto la validità di un testamento redatto con mano diversa da quella abitualmente usata per la scrittura una pronuncia risalente al regime del codice del 1865, Cass. Roma, 5.2.1904, in Giur. It., 470.

[v]                Fra gli altri, Fusi, L’autografia nel testamento olografo, in Giust. civ., 1994, 385.

[vi]               Sic App. Milano 15.1.1937, in Foro Lomb. 1937, 14.

[vii]              Cfr. App. Brescia 28.1.1929, in Mon. Trib. 1929, 634; A. Bologna 23.7.1928, in Temi emil. 1928, 16.

[viii]             A. Messina, 21.1.1955, in Rep. Di Giur. It., 1955, voce Testamento, c. 2988, nn. 30-31, ove si afferma che: «E’ valido il testamento olografo nel quale il testatore abbia ricopiato, di suo pugno, uno scritto predisposto da altri». Cfr. altresì App. Milano, 15.1.1937, in Foro Lomb., 1937, 15.

[ix]               T. Napoli, 5.5.1975, n. 2870, in Dir. e giur., 1976, 558. In questa ipotesi la testatrice aveva dichiarato di non sapere né leggere né scrivere in sede di giudizio di interdizione. In questo senso anche una risalente pronuncia di legittimità, Cass. 29.7.1938, in Rep. Foro it., 1938, Testamento, nn. 67-68, nella quale si afferma che: «E’ da escludersi che una persona illitterata a tal punto possa validamente redigere un testamento olografo, che deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore, anche se, come nella specie abbia materialmente redatto l’olografo macchinalmente riproducendo i segni grafici di una scrittura contenente le disposizioni testamentarie da altri all’uopo predisposta».

[x]                Cass. 7.1.1992, n. 32, in Giust. Civ. 1992, 1496, con nota di azzariti, Sulla nullità del testamento olografo per difetto di forma, secondo cui: «È valido il testamento olografo che sia stato redatto per iscritto dal testatore con la collaborazione grafica meramente meccanica di un terzo del quale il testatore si sia servito senza divenirne un inerte strumento di scritturazione».

[xi]               Cass., 7.7.2004, n. 12458, in Mass. Giur. It., 2004: «La validità del testamento olografo esige, ai sensi dell’art. 602 c.c., l’autografia non solo della sottoscrizione, ma anche della data e del testo del documento, a escludere l’allografia essendo sufficiente ogni intervento di terzi, indipendentemente dal tipo e dall’entità (e quindi anche in presenza di una sola parola scritta da un terzo durante la confezione del testamento), non assumendo al riguardo rilevanza l’importanza che dal punto di vista sostanziale la parte eterografa riveste ai fini della nullità dell’intero testamento secondo il principio utile per inutile non vitiatur».

Sembra doveroso precisare come il requisito della manoscrittura riguardi esclusivamente gli elementi previsti all’art. 602 c.c., ossia gli elementi essenziali del testamento olografo, depone in questo senso Cass. 5.8.2002, n. 11733, in Vita Not. 2002, 1481. La Corte in questa occasione ha ritenuto che l’intervento di due soggetti estranei, concretatosi nella sottoscrizione del testamento olografo, in qualità di testimoni, non determina allografia giacché non è richiesta la presenza di testimoni per la redazione dell’olografo, quindi trattandosi di elementa accidentalia non ricorrono i presupposti per l’applicazione del 606 c.c. Si argomenta infatti come: «La legge prescrive che il testamento olografo debba essere interamente vergato di mano del testatore anche per impedire che questi, nella confezione del testamento, possa subire illecite ingerenze altrui e manifestare di conseguenza una volontà non formatasi, in tutto o in parte, in maniera libera e spontanea. È pertanto da ritenere che qualora nel corpo della disposizione di ultima volontà anche una sola parola sia di mano altrui e risulti che essa è stata scritta dal terzo durante la confezione del testamento, sciente e consenziente il testatore, il testamento sia nullo per intero giacché dalla prova che alla confezione del testamento cooperò una volontà altrui il legislatore fonda una presunzione assoluta di mancata spontaneità e libertà del volere. In diversi termini, non vi è dubbio sulla nullità dell’olografo per difetto di autografia, quando ciò che è scritto da altri, anche se su incarico o col consenso del testatore, è parte integrante del testamento, id est della parte del documento cartaceo in cui risulta trascritta la volontà testamentaria del testatore. Ma la scrittura di mano estranea non determina sempre e comunque nullità dell’intero testamento.

Non può di certo ammettersi un intervento del terzo al momento della scritturazione della disposizione testamentaria, che, come detto, attuerebbe una precisa violazione del principio secondo cui l’atto deve essere integralmente scritto di mano del testatore, importando una presunzione de iure di mancata libertà del disponente. Le parti del testamento scritte da mano aliena rendono nullo l’intero testamento e inapplicabile il principio utile per inutile non vitiatur, il quale contrasterebbe con la duplice funzione – garanzia di libertà e di autenticità – che deve riconoscersi al requisito dell’autografia.

Non si ha invece nullità formale se ciò che altri ha scritto sta fuori del testamento, id est della disposizione di ultima volontà in senso stretto, e dopo la sottoscrizione del testatore».

Per una disamina critica del caso si veda gatti, Validità del testamento olografo sottoscritto anche da testimoni, in Notariato, 2003, 10.

 

[xii]              Sembra aprirsi a questa prospettiva A. Napoli, 24.8.1948, in Foro it. 1948, 859, con nota di ferrara, Unità di nesso tra fogli staccati del testamento olografo. La sentenza non si occupa dell’intervento del terzo ma del diverso problema del testamento redatto su fogli staccati. L’Autore del commento propone un interpretazione essenziale dell’art. 602 c.c. osservando come esso richieda, ai fini della validità del testamento olografo, il minimo della formalità ossia l’autografia integrale. Si procede poi sulla strada della critica alle pedanterie ultraformalistiche. In senso contrario la pronuncia T. Perugia, 10.2.1998, n. 129, in Rass. giur. umbra, 1998, 391, che, pur constatando come l’intervento di terzi non abbia eliminato la riferibilità al de cuius del documento, dichiara tuttavia la nullità della scheda, inizialmente compilata dal testatore, e successivamente migliorata da terzi con ripassi, correzioni e cancellature volte a rendere il testo più leggibile.

[xiii]             «Non si va semplicemente oltre la ratio della corrispondenza del testo all’effettiva volontà, bensì si finisce per contraddirla, perché si perviene ad esiti quali quello di quelle sentenze in cui la certezza della corrispondenza della scheda testamentaria all’effettivo volere non la sottrae alla comminatoria di nullità per il puro supporto offerto da un terzo al testatore», Cit. gentili, vecchi, Il testamento a mano guidata: un contributo interdisciplinare, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1999, 1061.

[xiv]              In questo senso la dottrina dominante: azzarita, azzariti, martinez., Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1979, 382; perego, Favor legis e testamento, Milano, 1970, 244; fusi, L’autografia nel testamento olografo, 391; cicu, Il testamento, Milano, 68. Quest’ultimo osserva acutamente che: «Ove si provi che ciò che altri ha scritto fu scritto per incarico del testatore o col suo consenso, si avrà nullità per difetto di autografia. Comunemente si dà della nullità una ragione sostanziale: si avrebbe una prova che alla confezione del testamento cooperò una volontà altrui, su di che il legislatore fonderebbe una presunzione assoluta di mancata spontaneità e libertà del volere. Ripetiamo che questo può essere stato il motivo politico del precetto dell’autografia: ma, prescritta per tale motivo, la forma va rispettata per sé stessa, ricorra o meno quel motivo».

In giurisprudenza ribadisce questa impostazione Cass., 17.3.1993, n. 3163, in Giur. It., 1994, 1956, con nota di d’aliberti: «Qualora il de cuius, per redigere il testamento olografo, abbia fatto ricorso all’aiuto materiale di altra persona che ne abbia sostenuto e guidato la mano nel compimento di tale operazione, tale circostanza è sufficiente ad escludere il requisito dell’autografia, a nulla rilevando l’eventuale corrispondenza del contenuto della scheda testamentaria alla reale volontà del testatore».

Si veda per una disamina generale delle posizioni dottrinali mengoni, Intervento dell’erede nella scritturazione del testamento olografo, in Temi, 1950, 225.

 

[xv]               Per la giurisprudenza di merito si veda, T. Perugia, 10.2.1998, in Rass. Giur. Umbra 1998, 391; App. Milano 17.7.1953, in Foro Pad., 1954, 653. Per quella di legittimità Cass. 17.3.1993, n. 3163, in Mass. Foro it., 1993, in Giur. it., 1994, 1956, con nota di d’Aliberti, nonché in Vita not., 1993, 1450; Cass. 10.7.1991, n. 7636, in Giur. It., 1992, 104; Cass. 26.3.1949, n. 681, in Foro it., 1949, I, 788; Cass. 27.2.1947 n. 275 in Foro it. Rep 1947, v. Testamento, 60-21.

[xvi]              gentili, vecchi, cit.;

[xvii]             Parla di mano inerte, pirone, Il  falso in scritture, Padova, 1996, 160.

[xviii]            «La scrittura è simile a quella appartenente alla mano che guida, con qualche differenza non trascurabile: minore regolarità, spandimenti più accentuati per i soffermi più insistiti, frequenza di interruzioni nel tratto, collegamenti non logici né corrispondenti anche in gruppi di lettere uguali, difforme posizione dei tratti delle T, accentazione e apostrofi di foggia singolare anche qui difformi tra loro» Gentili, Vecchi, cit.

[xix]              pirone, cit.,161; si vedano altresì panaro, La scoperta dei falsi in scrittura, Firenze, 1993, 178; gentili, vecchi, cit.

[xx]               Sembrano aprirsi a questa prospettiva ambanelli, Aggiunte apocrife successive e manomissioni di terzo al testamento olografo, in Fam. Pers. Succ., 2009, 612; gentili, vecchi cit., passim. In giurisprudenza si segnala una pronuncia isolata della Cassazione nella quale sembra emergere la propensione a superare il formalismo rigoroso dominante. Si tratta della sentenza Cass. 7.1.1992, n. 32, cit., ove si fa questione dell’intervento di un terzo nella data dell’olografo, difatti dalla perizia calligrafica emergeva che nella redazione della locuzione “Ravenna lì” una delle “n” presentava peculiarità rispetto alle altre lettere dell’atto, da riferirsi alternativamente o ad una redazione in tempi successivi della data ovvero ad accompagnamento della mano. La Corte a questo punto evidenzia come nella seconda ipotesi comunque l’intervento del terzo debba considerarsi irrilevante in virtù della corrispondenza dei segni grafici della data a quelli della scrittura della de cuius e alla presenza di alterazioni solo marginali, giacché riguardanti una sola lettera. Si aggiunge altresì che: «la collaborazione grafica può assurgere a causa di nullità quando abbia costituito attività necessaria oltre che sufficiente per la formazione del testamento, nel senso che il terzo, servendosi della mano inerte e inanimata del testatore, come di uno strumento di scritturazione, debba considerarsi il vero e proprio, nonché unico, compilatore della scheda». Sembra doversi desumere che la Corte abbia aderito all’impostazione che distingue la scrittura a mano guidata da quella a mano abbandonata e forzata giungendo addirittura a prevedere che: «sono nulli gli scritti non di mano del testatore quando l’intervento del terzo elimini il carattere di stretta personalità».

[xxi]         albanese, La falsità del testamento olografo, I Parte: profili penalistici, in Lexenia.it.

 

[xxii]             toti, La rilevanza delle cause di invalidità nell’applicazione dell’art. 590 c.c., in Riv. dir. civ., 1995, 215.

[xxiii]            Va ricordato che diversamente da quanto accade per gli omologhi istituti del diritto comune, in materia successoria la nullità è un rimedio tassativo (nullità testuale) e l’annullabilità il rimedio residuale (annullabilità virtuale). Siccome l’apposizione della data non viene identificato quale requisito a pena di nullità, la mancanza della stessa configura una ipotesi di annullabilità.

[xxiv]            In questo senso la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria cicu, cit., 69; musolino, Aspetti formali e validità del testamento olografo, in Nuova Giur. Civ., 2005, 49. In giurisprudenza si veda App. Napoli, 11.5.1959, in Giust. civ., 1960, 621.

[xxv]             Aderisce a questa impostazione di mauro, In tema di validità del testamento olografo, in Giust. Civ. 1992, 751; gangi, La successione testamentaria, I, Milano, 259. In giurisprudenza non mancano pronunce che seguono questo orientamento: T. Parma, 6.12.1976, in Giur. it., 1978, 30; A. Napoli, 30.9.1963, in Dir. e giur., 1964, 685.

[xxvi]            In particolare si tratta di capire se possa ritenersi implicita, nell’azione di nullità, l’azione di annullabilità, allorquando il fatto costitutivo sia il medesimo. Si segnala una pronuncia della Suprema Corte nella quale si è affermato che l’azione di nullità è assorbente rispetto a quella di annullabilità, Cass., 8.1.2001, n. 7783, in Giust. civ. Mass. 2001, 1153, Famiglia e diritto 2001, 565, ove il convenuto aveva eccepito la nullità del testamento, adducendo la mancanza della data. La Corte ha in quell’occasione ravvisato che la domanda di annullabilità dovesse considerarsi assorbita in quella di nullità affermando che: «fermo il rispetto delle allegazioni di fatto sulle quali si fonda l’eccezione di nullità sollevata dalla parte, è libero di attribuire all’eccezione la qualificazione giuridica più corretta, in relazione alla portata invalidante delle norme sostanziali che ritenga violate, e, quindi, può ritenere l’atto impugnato annullabile anziché nullo». Sul punto non sembra esserci unanimità di vedute, difatti la sentenza è preceduta da una pronuncia di segno opposto, che, sia pure  a fronte della medesimezza del fatto costitutivo, ritiene sia necessaria una qualificazione corretta, non potendosi ritenere compresa, nell’azione di nullità, un’azione di annullabilità (Cass., 30.7.1999, n. 8285, in Mass. Di Giur. It., 1999, il caso riguardava la proposizione originaria di una domanda di nullità del testamento per difetto di olografia, seguita, nella comparsa conclusionale – dunque tardivamente- dalla domanda di annullamento per mancanza di data in conseguenza dell’accertata falsità di quella apposta).

[xxvii]           Cass., 26 giugno 1964, in Giust. Civ. Mass., 1964, 768 e ss; Cass., 20.7.1959 n. 2367, in Sett. Cass. 1959, 477.

[xxviii]          Per una disamina dell’istituto della conferma franzoni, La conferma del testamento invalido, in Trattato delle successioni e delle donazioni, a cura di Bonilini, II, Milano, 2009, 1607.

[xxix]            Per un approfondimento della questione si veda toti, La rilevanza delle cause dell’invalidità nell’applicazione dell’art. 590 c.c., in Riv. dir. civ., 1995, 237, che osserva come: «Il problema della confermabilità del testamento falso ha riproposto- ed in tale ambito è stato risolto- la nota discussione sulla questione della distinzione fra nullità ed inesistenza della disposizione testamentaria, il cui richiamo, quale criterio per stabilire l’ammissibilità o meno dell’eccezionale sanatoria di cui all’art. 590 c.c., in questo caso è senz’altro valido: poiché nella fattispecie del testamento falsificato dal terzo non esiste affatto una volontà mortis causa del soggetto può correttamente discorrersi di testamento inesistente, con la conseguenza che debba ritenersi assolutamente inammissibile la conferma o la volontaria esecuzione». Qualcuno, per evitare di introdurre categorie dogmatiche problematiche ha fatto invece ricorso al generale principio dell’ordine pubblico come limite all’applicazione dell’art. 590 al testamento falso: vassallo, Limiti all’applicazione dell’art. 590. Sua inapplicabilità al testamento falso, in Ann. Sem. univ. Catania, 1951-1953, 264.

[xxx]             Questa sembra tutt’ora la tesi dominante. Aderiscono a questa impostazione, ex multis: Cass., 16.5.1941, n. 1476, in Foro it., 1941, 1036; Cass., 12.4.1943, n. 846, in Rep. Foro it., 1943, 1945, voce Testamento, n. 71; Cass., 25.3.1946, n. 310, in Rep. Foro it., voce cit, n. 8; Cass., 5.5.1962, n. 888, in Giust civ. 1962, 1690; Cass., 9.4.1965, n. 1192, in Sinossi giur., 1965, 679; Cass. 9.101972, n. 2958, in Foro it., 1973, 1889. Non mancano opinioni divergenti che, al contrario, riconducono il testamento nuncupativo nell’alveo dell’inesistenza, escludendo quindi l’applicazione del 590 c.c. In generale si veda toti, cit., 255.

[xxxi]            T. Napoli, 30.06.2009, in Vita not., 2011, 755. Il caso affrontato è emblematico delle considerazioni sopra esposte, riguardava infatti un soggetto che, espresse le proprie volontà oralmente, aveva omesso di tradurle per iscritto. Gli eredi, alla sua morte, ossequiavano alle sue volontà, redigendo un falso e dandovi esecuzione. Seguiva la contestazione di falso da parte di uno degli eredi che ambiva all’apertura della successione legittima. Il Tribunale, muovendo dall’ammissibilità della conferma del testamento orale, rigettava la domanda di nullità del testamento falso, ritenendo operativo l’ostacolo predisposto dall’art. 590 c.c. «È ammissibile la conferma ex art. 590 c.c. del testamento enunciato solo in forma orale (nella fattispecie una prova della conferma è stata rinvenuta nella presentazione da parte degli eredi di un testamento olografo che essi sapevano essere falso e che riproduceva le disposizioni del testamento orale)».

[xxxii]           toti, cit, 240.

[xxxiii]          Si veda triola, Conferma ed esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle, in Vita Not., 1977, 894 e ss; toti, cit., 241.

[xxxiv]           Cass., 13.101961, n. 2137, in Foro it., 1962, 515, che ha ammesso la conferma o esecuzione volontaria ex art. 590 dell’olografo di cui sia stata falsificata la sottoscrizione purché la scheda sia redatta di pugno del testatore e contenga una manifestazione attuale seria e definitiva di ultima volontà.

[xxxv]            La giurisprudenza (edita) non offre spunti di analisi, tuttavia, anche alla luce delle soluzioni apprestate alle ipotesi di testamento nuncupativo e di testamento falso riproducente le disposizioni orali del de cuius , non si vede perché non estendere la medesima soluzione anche al testamento redatto con la guida della mano.

[xxxvi]           I due istituti non sono fungibili, i presupposti e le conseguenze derivanti dall’applicazione dell’uno o dell’altro sono significativamente differenti. Per una disamina delle implicazioni della questione cfr. biondi, Petizione di eredità ex lege ed onere probatorio in tema di disconoscimento di testamento olografo, in Foro it., 1953, 44; cassisa, Ancora sull’onere della prova dell’autenticità del testamento olografo (nota a Cass. 5.5.1965 n. 807), in Giust. Civ., 1966, 602; pepe, Il testamento falso: mezzi di prova e relativo onere, nota a App. Napoli, 30 settembre, in Diritto e Giurisprudenza, 1991, 168; marmocchi, Forma dei testamenti, in Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, Padova, 1994, 778 e ss; ambanelli, Il testamento olografo, in Trattato delle Successioni, diretto da Bonilini, II, Milano, 2009, 1265.

[xxxvii]          satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano 1959-60, 194.

[xxxviii]         Ossequia a questa impostazione Cass. 12.4.2005, n. 7475, Giur. Civ., 2006, 927: «Qualora sia fatta valere la falsità del testamento (nella specie olografo) l’azione- che ha ad oggetto l’accertamento dell’inesistenza dell’atto- soggiace allo stesso regime probatorio stabilito nel caso di nullità prevista all’art. 606 c.c. per la mancanza dei requisiti estrinseci del testamento, sicché -avuto riguardo agli interessi dedotti in giudizio dalle parti- nell’ipotesi di conflitto fra l’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e chi vanti diritti in forza di esso, l’onere della proposizione dell’istanza di verificazione del documento incombe sul secondo, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere, oltre quello del disconoscimento, spetta all’erede legittimo. Pertanto sulla ripartizione dell’onere probatorio non ha alcuna influenza la posizione processuale assunta dalle parti, essendo rilevante se l’azione sia stata esperita dall’erede legittimo (per far valere in via principale la falsità del documento) o dall’erede testamentario che, agendo per il riconoscimento dei diritti ereditari abbia visto contestata l’autenticità del testamento da parte dell’erede legittimo».

Si collocano su questa strada già risalenti pronunce giurisprudenziali: Cass., 12.2.1932, in Foro it. 1932,1026; Cass,. 3.6.1936, Rep. Foro it. 1936, voce Testamento, n. 56; Cass., 5.5.1965, n. 807, in Giust. Civ. 1966, 602 con nota di cassisa, Ancora sull’onere della prova dell’autenticità del testamento olografo e ancora Cass. 18.10.1974 n. 2923, Ivi, 1974, 1291; Cass. 5.7.1979, n. 3849,  Mass. Giust. Civ., 1979. Più recentemente nella giurisprudenza di merito T. Torino, 7.3.2000, Foro padano 2001, 385, la cui massima recita: «L’attore che disconosce la validità di un testamento olografo e chiede il riconoscimento della sua qualità di erede legittimo, propone una petizione di eredità, senza alcuna necessità di presentare querela di falso, in quanto è noto che la querela di falso e il disconoscimento di scrittura privata sono strumenti preordinati a finalità diverse, poiché mentre la querela di falso postula l’esistenza di una scrittura riconosciuta della quale si intende eliminare l’efficacia probatoria, il disconoscimento si rivolge contro una scrittura privata allo scopo di negare autenticità al documento che si assume contraffatto; infatti l’erede “ex lege” che propone azione di petizione di eredità non ha l’onere di fornire alcuna prova sulla nullità del testamento, fondando il proprio titolo di erede legittimo sulla legge, essendo sufficiente il solo disconoscimento; spetta, invece, al convenuto che oppone, come titolo “potiore” la successione testamentaria, la produzione del testamento e, nel caso di disconoscimento, se intende avvalersene, deve chiedere la verificazione; né la consapevolezza dell’esistenza di un testamento da parte dell’erede legittimo che agisce in petizione ereditaria trasforma l’azione in una domanda di accertamento negativo della nullità della scheda». Si veda altresì T. di Marsala 11.3.2008, Redazione Giuffré 2008.

In dottrina si veda biondi, cit., 44; cassisa, cit., 603; ambanelli, Il testamento olografo, in Trattato delle Successioni, diretto da Bonilini, II, Milano, 2009, 1315.

 

[xxxix]           Cass., 30.10.2003, n. 16362, in Arch. Civ., 2004, 964 ai sensi della quale: «La procedura di disconoscimento e di verificazione di scrittura privata (art. 214 e 216 c.p.c.) riguarda unicamente le scritture provenienti dai soggetti del processo e presuppone che sia negata la propria firma o la propria scrittura dal soggetto contro il quale il documento è prodotto; per le scritture provenienti da terzi (come nel caso di un testamento olografo), invece, la contestazione non può essere sollevata secondo la disciplina dettata dalle predette norme, bensì nelle forme dell’art. 221 ss. c.p.c., perché si risolve in un’eccezione di falso». Impostazione ribadita in App. Firenze, 7.12.2010, in Famiglia e minori, 2011, 41: «Per le scritture private provenienti da terzi come il testamento olografo, la contestazione dell’autenticità deve venire sollevata nelle forme dell’art. 221 ss. c.p.c., risolvendosi in una eccezione di falso».

[xl]               Cass. Sez. un., 23 giugno 2010, n. 15169, in Corriere Giur., 2011, 2, 201 nota di vanzetti. In quella circostanza le Sezioni Unite sono state chiamate a risolvere il contrasto di giurisprudenza insorto sui modi di contestazione delle scritture provenienti da terzi estranei alla lite, hanno enunciato la regola della libertà di forma nella contestazione delle scritture private provenienti da terzi (motivandola sul rilievo che ad esse non è applicabile né la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 cod. civ., né quella processuale di cui all’art. 214 c.p.c., atteso che costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo), precisando tuttavia che nell’ambito delle scritture private un diverso trattamento deve essere riservato a quelle – come, appunto, il testamento olografo – la cui natura conferisce loro un’incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne l’autenticità.

[xli]              In particolare da una parte Cass., 23.12.2011, n. 28637, in Leggiditalia.it, ammetteva che il testamento olografo potesse essere semplicemente disconosciuto, ai sensi dell’art. 214 cod. proc. civ., dall’erede legittimo che ne assumesse la falsità, in tal modo gravandosi la controparte dell’onere di dar corso al procedimento di verificazione della scrittura (art. 216 c.p.c.); dall’altra parte Cass. 24.5.2012, n. 8272, in Famiglia e Diritto, 2012, 1100, con nota di sesta, dava continuità alla giurisprudenza che riservava un diverso trattamento alle scritture private (come il testamento olografo) con un’incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, ritenendo necessaria l’applicazione della querela di falso onde contestarne l’autenticità.

[xlii]             Cass., Sez. un., 15.6.2015, n. 12307,  in Nuova Giur. Civ., 2015, 960, con nota di maccari; in  Giur. It., 2015, 2364, con nota di russo; in Notariato, 2015, 603, con nota di troncone.

[xliii]            Ci si riferisce a Cass., 15.6.1951, n. 1545,  in Foro it., 1951, 855, il caso riguardava un giudizio instaurato da una nipote del de cuius che conveniva la vedova del de cuius deducendo la sua qualità di successibile limitandosi al disconoscimento dell’autografia del testamento olografo, e sollevando l’azione di petizione di eredità. La Corte qualificava l’azione dell’attrice come accertamento negativo diretto a negare la qualità di erede testamentaria della convenuta e ricordava come «è noto l’insegnamento della migliore e prevalente dottrina che nelle azioni di accertamento negativo impone all’attore l’onere della prova dell’inesistenza degli elementi costitutivi della fattispecie dedotta». La pronuncia è isolata, difatti non solo contrastava con l’orientamento allora dominante, già precedentemente affermatosi (si veda, ad esempio, Cass., 12.2.1932, in Foro it., 1932, 1026 e Cass., 3.6.1936, id. Rep., 1936, voce Testamento, n. 56.), ma è venne poi sconfessata dalle pronunce successive, per tutte si veda Cass., 5.5.1955, n. 807, in Giur. It., 603, che esclude espressamente che nei casi di azione di petizione di eredità possa configurarsi un’azione di accertamento negativo: «si verte in tema di petizione di eredità con l’allegazione della qualifica di erede legittimo. Esula dunque l’ipotesi dell’azione di accertamento negativo dell’azione nella quale l’attore, adducendo egli stesso l’esistenza del testamento, chiede in via principale la dichiarazione di nullità del medesimo dichiarando di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione».

[xliv]             Questa soluzione è stata aspramente criticata dalla dottrina e dalla giurisprudenza che riteneva che nell’ipotesi citata dovesse parlarsi di azione di accertamento positivo poiché ciò che l’erede ex lege mira ad ottenere è un accertamento della propria qualità di successore e, soltanto implicitamente, l’accertamento della falsità del testamento (e dunque l’accertamento negativo della pretesa della controparte). Siccome, ai sensi dell’art. 2697 c.c., grava, su chi vanta un diritto, l’onere di dimostrarne il fatto costitutivo, sull’attore si limiterà a gravare la prova del rapporto di parentela, non anche la prova della falsità del testamento. Quest’ultima, prima di rappresentare un fatto impeditivo per la successione dell’erede legittimo, integra il fatto costitutivo su cui si fonda il diritto dell’erede testamentario. biondi, cit.,  44. Si riteneva che in tali ipotesi fosse invece sufficiente il disconoscimento con conseguente inversione dell’onere probatorio. E’ stata ammessa l’azione di accertamento negativo in un caso in cui l’erede legittimo agiva, contestando la genuinità del testamento, che costituiva il titolo su cui si fondava la successione della controparte, senza al contempo sollevare azione di petizione ereditaria. In quella occasione il Tribunale ha qualificato come actio contraria di verificazione (dunque un’azione di accertamento negativo) l’azione proposta dall’erede testamentario, stabilendo che l’onere della prova della falsità del testamento gravi su di lui, sic. T. S. Maria Capua Vetere, 5.5.1990, n. 1196, in Dir.& Giur., 1991, 168, con nota di pepe.

[xlv]              Si veda albanese, L’indegnità a succedere dopo la l. 8 luglio 2005, n. 137, in Contr. E Impr., 2006, 854.

[xlvi]             In questo senso Cass., 26.3.1949, n. 681, in Foro it., 1949, 788. Il caso riguarda un testamento redatto dal de cuius, ormai quasi inerte, con la collaborazione della moglie, istituita erede. La Corte escluse l’applicabilità della sanzione dell’indegnità ravvisando come, seppure inerte, il testatore fosse pienamente capace di intendere e di volere, e sottolineando come la moglie non si era sovrapposta alla volontà del marito rendendosi artefice dissimulata del testamento: «Non è indegno di succedere il terzo che abbia sorretto e guidato la mano del testatore durante la redazione del testamento senza peraltro coartare la volontà del de cuius e sostituirle la propria». Conformemente Cass., 28.9.1954, n. 3152, in Giust civ., 1954, 2143. Aderisce anche Cass. 26.5.1955, n. 1602, in Giust civ. Mass., 1955, 594, che ribadisce come: «L’indegnità a succedere prevista al n. 6 dell’art. 463 c.c. non scaturisce automaticamente dalla falsificazione di una scheda testamentaria o dal consapevole uso di essa, ma postula altresì una sostanziale divergenza tra il contenuto della scheda apocrifa e la vera intenzione del de cuius, essendo presupposto della norma che siasi voluto consumare un attentato alla volontà di costui». Più recentemente si veda Cass., 1.12.2000, Giust. civ. Mass. 2000, 2526.

[xlvii]            Nelle medesime fattispecie sembra potersi escludere l’applicabilità della sanzione penale di cui all’art. 419 c.p. E’ stato acutamente osservato come, sebbene l’elemento oggettivo sia pienamente integrato (alterazione della cedola), manchi, in questo caso, l’elemento soggettivo giacché allorquando il terzo agisca nell’intento di dare ossequio alle disposizioni mortis causa del de cuius (collaborando col de cuius e su sua richiesta alla redazione di  parte della scheda ovvero aggiungendo la firma del testatore) deve escludersi la sussistenza del dolo specifico richiesto per l’incriminazione. In questo senso mengoni, osservazioni a margine di Cass. 26.3.1949, n. 681, in Temi 1949, 225 e ss. Sembra condividere altresì fusi, cit., in nota 26. Contra Cass. pen. 2.5.1983, n. 4116, in Cass. pen. 1984, 1138.

[xlviii]           Per un generale approfondimento della questione albanese, L’indegnità a succedere non è rilevabile d’ufficio, in Fam. Pers. Succ., 2009, 973.

[xlix]             Cass., 20.4.1942, n. 1080, in Rep. Foro it., 1942, voce Successione, n. 93; Cass., 23.11.1962, n. 3171, in Foro it., 1962, 2056; Cass. 27.6.1973, n. 1860, in Giust civ. Mass., 1973, 990; Cass., 17.7.1974, n. 2145, in Giur. It., 1976, 144; l’orientamento è stato confermato dalla recente Cass. 5.3.2009, n. 5402, in Giust. civ. Mass. 2009, 396,  Riv. notariato 2010, 216.

[l]                 In questo senso Cass. 3.7.1974, n. 1997, in Foro it., 1974,  2291; Cass., 22.1.1966, n. 272, in Foro it., 1966, 438. Da ultimo, Cass. 1.12.2000, n. 15375, ai sensi della quale: « La formazione o l’uso sciente di un testamento falso è causa di indegnità a succedere, a meno che colui che viene a trovarsi nella posizione di indegno dimostri di non avere inteso recare offesa alla volontà del “de cuius“: a tal fine colui che risulta indegno è tenuto a provare non solo che il contenuto delle disposizioni corrispondeva alla volontà del “de cuius“, ma anche che questi aveva acconsentito alla compilazione della scheda da parte di lui, nell’eventualità che egli non fosse riuscito a farlo, ovvero aveva la ferma intenzione di provvedervi per evitare la successione “ab intestato“». Contra, nel senso di ritenere che l’onere di provare la difformità fra la disposizione contenuta nel testamento falso e la volontà del defunto incomba su colui che agisce per fare dichiarare l’indegnità del colpevole, Cass. 23.2.1951, n. 426, in Foro pad., 1951, 1233.

[li]                «Va da ultimo puntualizzato, ad ulteriore riscontro dell’ineccepibilità della statuizione di seconde cure, che il passaggio motivazionale specificamente censurato con il terzo motivo di ricorso – passaggio a tenor del quale gli appellati non avevano dimostrato, siccome era loro onere, che “il contenuto delle disposizioni corrispondeva alla volontà del defunto” (così sentenza d’appello, pag. 5), né che il de cuius “aveva acconsentito alla compilazione della scheda” (così sentenza d’appello, pag. 5) – in realtà riflette puntualmente l’insegnamento, da non disattendere certamente, n. 1997 dell’8.7.1974 di questa Corte di legittimità (alla cui stregua la formazione o l’uso sciente di un testamento falso è causa di indegnità a succedere, a meno che colui che viene a trovarsi nella posizione di indegno dimostri di non avere inteso recare offesa alla volontà del de cuius: a tal fine colui che risulta indegno è tenuto a provare non solo che il contenuto delle disposizioni corrispondeva alla volontà del de cuius, ma anche che questi aveva acconsentito alla compilazione della scheda da parte di lui, nell’eventualità che egli non fosse riuscito a farlo, ovvero aveva la ferma intenzione di provvedervi per evitare la successione ab intestato)» Sic Cass. 4.12.2015, n. 24752, in Leggiditalia.it

[lii] albanese, La falsità del testamento olografo, cit.  

Avvocato, iscritta all’Albo dell’Ordine di Bologna dal 2014. Attualmente esercita la professione di avvocato, occupandosi di diritto civile e commerciale. E’ cultore della materia, in diritto privato, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna. Specializzata in professioni legali, presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali “E. Redenti. Ha conseguito la laurea Magistrale in Giurisprudenza, presso l’Università di Bologna, con punteggio di 110/110 e lode.

Potrebbero interessarti anche: