D.P.R. 3 marzo 2009, n. 37: esiste ancora, dunque, il danno morale

Antonio Greco, D.P.R. 3 marzo 2009, n. 37: esiste ancora, dunque, il danno morale, in Resp. Civ. e prev., 2009, 11, p. 2407.

D.P.R. 3 marzo 2009, n. 37: esiste ancora, dunque, il danno morale.
di Antonio Greco

Avvocato e dottore di ricerca in Diritto Civile nell’Università di Bologna

Sommario: 1. Il DPR 37 del 2009. 2. Il danno morale: il passato ovvero il periodo compreso tra le sentenze gemelle del 12 giugno 2003 e le sentenze dell’11 novembre 2008. 3. Segue: le sentenze della Cassazione dell’11 novembre 2008. 4. Segue: Il presente.

SINTESI
Il commento, dopo aver analizzato il contenuto dell’art. 5 del DPR 37/2009 in tema di invalidità spettante al personale impiegato nelle missioni militari all’estero, si sofferma sulle differenze esistenti tra il contenuto normativo dell’articolo citato ed i principi dettati dalle Sezioni Unite nelle sentenze dell’11 novembre 2008 in tema di danno morale.
In particolare, si cerca di ricostruire, anche alla luce delle recenti pronunce dei giudici di legittimità e di merito, il significato attuale del danno morale.

1. Il DPR 37 del 2009.
Il D.P.R. in commento, seppur disciplinante una materia alquanto specifica, ovvero i termini e le modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all’estero, è sicuramente interessante in quanto [thrive_lead_lock id=’4487′] si pone in contrasto rispetto all’orientamento giurisprudenziale emerso a seguito delle sentenze di San Martino della Corte di Cassazione.
In particolare, l’art 5, co. 1°, del provvedimento in esame, che regola i criteri per determinare l’invalidità permanente spettante ai soggetti beneficiari delle elargizioni ivi previste, prevede che: “Per l’accertamento delle percentuali di invalidità si procede secondo i seguenti criteri e modalità: a) la percentuale d’invalidità permanente (IP), riferita alla capacità lavorativa, è attribuita scegliendo il valore più favorevole tra quello determinato in base alle tabelle per i gradi di invalidità e relative modalità d’uso approvate, in conformità all’articolo 3, comma 3, della legge 29 dicembre 1990, n. 407, con il decreto del Ministro della sanità 5 febbraio 1992 e successive modificazioni, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 1992, e il valore determinato in base alle tabelle A, B, E ed F1 annesse al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni, e relativi criteri applicativi. Alla classifica di cui alle categorie della tabella A e della tabella B sono equiparate le fasce percentuali d’invalidità permanente, riferite alla capacità lavorativa, secondo le corrispondenze indicate nella tabella in allegato 1. Alle invalidità o mutilazioni di prima categoria della tabella A che risultino contemplate anche nella tabella E corrisponde una invalidità permanente non inferiore al cento per cento; b) la percentuale del danno biologico (DB) è determinata in base alle tabelle delle menomazioni e relativi criteri applicativi di cui agli articoli 138, comma 1, e 139, comma 4, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni; c) la determinazione della percentuale del danno morale (DM) viene effettuata, caso per caso, tenendo conto della entità della sofferenza e del turbamento dello stato d’animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi e in rapporto all’evento dannoso, in una misura fino a un massimo di due terzi del valore percentuale del danno biologico; d) la percentuale di invalidità complessiva (IC), che in ogni caso non può superare la misura del cento per cento, è data dalla somma delle percentuali del danno biologico, del danno morale e del valore, se positivo, risultante dalla differenza tra la percentuale di invalidità riferita alla capacità lavorativa e la percentuale del danno biologico: IC= DB+DM+ (IP-DB)”.
Dunque, è proprio il legislatore che smentisce le Sezioni Unite, affermando la diversità tra il danno biologico è quello morale ed evitando, in tal modo, di far rientrare il danno morale nel danno biologico omnicomprensivo disciplinato negli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni2. Secondo la norma supra citata, difatti, il danno morale è calcolato, in aggiunta al biologico, caso per caso, tenendo conto della entità della sofferenza e del turbamento dello stato d’animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi e in rapporto all’evento dannoso, in una misura fino a un massimo di due terzi del valore percentuale del danno biologico.

2. Il danno morale: il passato ovvero il periodo compreso tra le sentenze gemelle del 12 giugno 2003 e le sentenze dell’11 novembre 2008.
L’interpretazione costantemente data all’art. 2059 c.c. è stata minata da alcune sentenze della S.C.3, fatte proprie, per relationem, anche da una successiva sentenza del Giudice delle leggi4.
Senza voler ripercorrere le tappe che hanno visto – o, meglio, vedono – il continuo mutarsi del diritto vivente sul tema del risarcimento del danno alla persona, basti, in questa sede, soltanto un breve cenno a come si intendeva il disposto di cui all’art. 2059 c.c. prima degli interventi giurisprudenziali supra citati e come, invece, debba intendersi a seguito degli stessi.
L’analisi riguardante l’art. 2059 c.c. deve storicamente prendere le mosse dalle fattispecie delittuose5. Giusta la riserva in esso contenuta, secondo cui il risarcimento del danno non patrimoniale è ammesso “nei casi determinati dalla legge”, la possibilità di dar corso al risarcimento di tale danno doveva necessariamente essere collegata all’esistenza di una disposizione espressamente ammissiva del danno non patrimoniale; l’ipotesi più rilevante, tipica e di più corrente applicazione era quella di cui all’art. 185 c.p.6. Accanto all’art. 185 c.p., si affiancavano poi due ulteriori norme alquanto marginali, riguardanti i pregiudizi connessi a procedimenti giudiziari (art. 89 c.p.c. e art. 598 c.p.)7. Tale situazione, rimasta cristallizzata per lungo tempo, è venuta ad arricchirsi negli ultimi anni in quanto il legislatore ha introdotto nell’ordinamento ulteriori norme volte ad affermare la risarcibilità del danno non patrimoniale quali, ad esempio, l’art. 2, co. I, l. 13 aprile 1988, n. 117, sulla responsabilità civile dei magistrati; l’art. 29, ult. co., l. 31 dicembre 1996, n. 675, relativa al trattamento dei dati personali; l’art. 44, co. VII, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, in tema di immigrazione e di condizione dello straniero; l’art. 2, l. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. Legge Pinto), in tema di ragionevole durata del processo; l’art. 4, D.lgs. 9 luglio 2003, n. 215, in tema di atti discriminatori8; l’art. 3, comma 3º, l. 67/2006, in tema di discriminazione nei confronti dei soggetti disabili9. Era, comunque, opinione ricorrente in dottrina quella secondo cui il danno patrimoniale fosse risarcibile ai sensi e per gli effetti dell’art. 2043 c.c., mentre il danno non patrimoniale fosse risarcibile ai sensi e per gli effetti dell’art. 2059 c.c.10.
Tale certezza è stata incrinata per effetto dalla nascita del danno biologico. L’universo del danno alla persona, per effetto di due storiche sentenze delle Corte costituzionale11, è stato scomposto in tre voci di danno: il danno patrimoniale; il danno alla salute; il danno morale12. In particolare, ai fini del nostro excursus, il danno morale soggettivo doveva essere inteso quale pretium o pecunia doloris 13.
Questa, dunque, era la tradizione che è stata interrotta dalle sentenze sopra citate (Cass., 31 maggio 2003, n. 8827, Cass., 31 maggio 2003, n. 8828). Nelle motivazioni delle stesse è affermato, difatti, che il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. non può essere identificato con il solo danno morale soggettivo (ossia con il pretium doloris), ma anche con tutti quei “danni determinati dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati di rilevanza economica” e costituzionalmente garantiti; e che, il rinvio alla legge contenuto nello stesso art. 2059 c.c., va inteso in modo estensivo (ampliando il modello ex art. 185 c.p.), così da riferire la risarcibilità di tale danno anche alle previsioni contenute nella Costituzione14. Tesi interpretativa, a cui ha posto successivamente un indelebile sigillo il giudice delle leggi15. Rientrano, pertanto, nella previsione dell’art. 2059 c.c.: “il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 cost.); e, infine, il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”16.

3. Segue: le sentenze della Cassazione dell’11 novembre 2008.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con il poker di sentenze calato in data 11 novembre 200817, hanno consegnato agli interpreti quattro arresti nomofilattici con cui sono stati rimodellati alcuni tasselli della responsabilità civile, soprattutto in tema di danno non patrimoniale.
Senza voler ripercorrere l’excursus delle pronunce supra citate, valga soltanto ricordare che le S.U. hanno definito il danno non patrimoniale come categoria generale che non è suscettibile di divisione in sottocategorie; al suo interno, nello specifico, devono trovare giustizia e soddisfazione, tutti i danni ed i pregiudizi di natura non economica, che siano determinati o dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, o dalla lesione di interessi inerenti alla persona meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico18.
Conseguentemente, all’interno dell’unica categoria devono essere racchiuse quelle voci di danno che erano indicate come danno biologico, danno morale soggettivo, danno esistenziale, ecc.
Le pronunce citate hanno riportato la tutela risarcitoria del danno da responsabilità extracontrattuale nell’ambito della bipolarità prevista dall’art. 2043 c.c. (danno patrimoniale) e dall’art. 2059 c.c. (danno non patrimoniale), affermando che la tradizionale figura del danno morale soggettivo deve essere definitivamente accantonata, sostenendo che ove la vittima del fatto illecito deduca conseguenze patologiche della sofferenza, si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente19.
Il passaggio incriminato, nello specifico, si trova a pag. 48, righe 10-13, della sentenza 26972/08, a mente del quale: “Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”20.

4. Segue: il presente
Nei primi commenti successivi alle sentenze dell’11 novembre 2008, gli interpreti, interrogandosi sul futuro del danno morale, vedevano la scomparsa di tale voce di danno dal sistema risarcitorio civilistico, ritenendo che non ci sarebbe più stato spazio per ottenere il risarcimento dello stesso21.
Le compagnie assicurative, inoltre, avevano immediatamente dato ordine ai propri liquidatori di non pagare più alcuna somma per tale voce di pregiudizio22.
Tuttavia, è stata proprio la Corte di Cassazione ha sconfessare sé stessa. Nelle sentenze del 28 novembre 2008, n. 2840723, del 12 dicembre 2008, n. 2919124 e del 13 gennaio 2009, n. 47925, i giudici con l’ermellino non si pongono affatto il problema del “se” riconoscere il danno morale, in quanto si interrogano solo sul “come” quantificare il citato pregiudizio.
Anche la giurisprudenza di merito ha ribadito la tesi della permanenza del danno morale.
Nello specifico, il Tribunale di Torino con sentenza del 27 novembre 200826 ha affermato la risarcibilità del danno morale nelle ipotesi in cui lo stesso non confluisca nel danno biologico27.
Il Tribunal di Piacenza, con sentenza del 4 giugno 200928, non ha mancato di ribadire l’autonomia ontologica del danno morale, che deve essere considerata in relazione alla diversità del bene protetto, che attiene alla sfera della dignità morale delle persone, anche alla luce dei diritti inviolabili riconosciuti e previsti dalla Costituzione.
Da ultimo, il Tribunale di Palermo29, con sentenza del 3 giugno 2009 ha riconosciuto il danno morale al soggetto danneggiato (in particolare, tale voce di pregiudizio è stata liquidata nella misura del 10% rispetto alla somma liquidata a titolo di danno biologico). Nello specifico, i giudici palermitani, per giungere alla suddetta conclusione, hanno richiamato espressamente il DPR del 3 marzo 2009 ed hanno affermano che il legislatore, con l’art. 5 del DPR citato, si sia discostato dall’orientamento di legittimità di cui alle sentenze dell’11 novembre 200830. [/thrive_lead_lock]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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