La responsabilità dei professionisti della carta stampata e dintorni

Massimo Franzoni, La responsabilità dei professionisti della carta stampata e dintorni, in La Responsabilità civile, 2011, p. 805 ss.

LA RESPONSABILITÀ DEI PROFESSIONISTI DELLA CARTA STAMPATA E DINTORNI

di Massimo Franzoni

Sommario: 1. Il giornalista fra diritti della personalità e il diritto di cronaca. – 2. Il “famoso” decalogo del giornalista. – 2.1. L’utilità sociale dell’informazione. – 2.2. La verità oggettiva della notizia. – 2.3. La forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione. – 3. Il diritto di cronaca finanziaria, la sicurezza degli investimenti, la tutela del risparmio e l’autonomia contrattuale. – 4. Il diritto di critica dell’opinionista. – 5. Il diritto di satira del comico o dell’intrattenitore.

1. Il giornalista fra diritti della personalità e il diritto di cronaca.

Nel sistema della responsabilità civile manca una vera e propria disciplina sulle esimenti, se si fa eccezione per la legittima difesa ed, entro certi limiti, per lo stato di necessità. Senonché è generalmente ammesso che l’esercizio di un diritto e l’adempimento di un dovere, espressamente indicati nell’art. 51 c.p., escludano l’ingiustizia della lesione cagionata (1). Beninteso, specie per il fatto commesso nell’adempimento di un dovere, in assoluto non è escluso un margine di discrezionalità in chi è comandato: questi resta sempre responsabile della valutazione circa la liceità e la legittimità dell’ordine ricevuto (2).

Normalmente la questione si pone all’attenzione degli interpreti laddove i diritti della personalità di un individuo vengano a collidere con altri diritti di rilievo costituzionale: penso al diritto all’informazione o al diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Analoga questione ha affrontato il Garante della privacy quanto all’attività svolta da un investigatore privato riportata da uno dei coniugi nell’ambito di un giudizio di separazione personale (3).

Il conflitto va affrontato con la tecnica del bilanciamento degli interessi, quando il diritto di cronaca o di critica compromettano l’immagine, la riservatezza, l’identità personale delle persone (4); lo stesso vale quando il diritto alla riservatezza potrebbe pregiudicare il diritto alla difesa (art. 24 cost.). È un dato ormai acquisito che «il diritto al nome, all’immagine, alla riservatezza, alla reputazione e alla privacy possono venire sacrificati nel bilanciamento con il diritto all’informazione, garantito dalla costituzione ed anche, a livello europeo, dalla dir. n. 95/46/Ce, a condizione che vengano rispettate le regole dell’interesse pubblico alla notizia, della veridicità e della continenza» (5).

Un primo criterio usualmente impiegato per effettuare il bilanciamento tra diritti contrapposti considera la qualità della persona che si assume diffamata o comunque lesa in suo diritto della personalità. A questo riguardo occorre considerare che chiunque ha diritto a non vedersi attribuire episodi delittuosi o, comunque, fatti che non ha commesso, anche se autore di gravi reati e per questi sia stato condannato per essi (6). A questa prima regola segue che, tanto maggiore è la notorietà del personaggio del quale si parla o tanto maggiore è l’importanza dell’incarico pubblico svolto, quanto minore è il grado di protezione che può essere accordato alla sua immagine o alla sua riservatezza. Così, ad esempio, è stata ritenuta illecita la pubblicazione su un quotidiano dell’indirizzo di residenza di un soggetto, senza il suo consenso, «qualora la rivelazione di tale dato personale non risponda né ad una esigenza pubblica di informazione, né a quella di essenzialità del dato pubblicato» (7). Lo stesso vale quando la divulgazione riguardi informazioni patrimoniali o rapporti bancari di una persona comune, poiché tale condotta «può essere fonte di pregiudizio alla dignità e reputazione della persona che gode del diritto a non veder travisata, compromessa e svalutata la propria personalità e l’immagine di sé» (8). 

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Tutt’altra prospettiva si apre quando il soggetto in questione sia una persona nota: qui l’esigenza di informare il pubblico legittima il sacrificio sopportato da queste persone, che è compensato dal rilievo sociale, politico o istituzionale. In concreto: rivelare certe notizie su una persona comune costituisce illecito, anche agli effetti della responsabilità civile, mentre così può non essere, se quelle medesime notizie riguardano un personaggio famoso dello spettacolo, un noto esponente politico o chi ricopre una importante carica nelle istituzioni dello Stato (9).

Il sacrificio del diritto della personalità del singolo, tuttavia, non costituisce un’automatica conseguenza della notorietà della persona. Il diritto di cronaca esime dalla responsabilità solo nella misura in cui il titolare di quel diritto lo abbia correttamente impiegato, dunque non ne abbia abusato. Gli interpreti ormai si sono uniformati ad una serie di criteri per la prima volta esplicitati in modo organico in una sentenza dei primi anni Ottanta, meglio nota come il “decalogo del giornalista”. In quella sentenza, sono stati indicati numerosi requisiti che devono essere osservati nell’esercizio del diritto di cronaca; se tutti questi sono stati soddisfatti, allora non sussiste l’illecito per diffamazione o per lesione di un altro diritto.

Il diritto di cronaca deve essere esercitato con serenità ed obbiettività, in modo che il messaggio appaia leale e chiaro; per questi fini non c’è differenza secondo che il messaggio venga divulgato sull’archivio on line del sito di un giornale oppure sull’edizione in cartaceo dello stesso giornale (10). Inoltre l’art. 595 c.p. sanziona la diffamazione a mezzo della stampa a prescindere dalla circostanza che il fatto sia contenuto in una pubblicazione periodica o in uno stampato che rechi la notazione “comunicato stampa”, pertanto quella responsabilità sussiste anche in caso di diffusione di volantini (11).

Diversamente accade per il diritto alla riservatezza (12), per il quale, oltre a sussistere tutti i requisiti in precedenza ricordati nel “decalogo dei giornalisti”, occorre anche accertare se la divulgazione di certe notizie, ad esempio i nomi delle persone che abbiano partecipato ad una trasmissione televisiva, sia necessario all’esercizio del diritto di cronaca. Ove si ritenga che senza l’indicazione dei nomi l’utilità sociale dell’informazione perderebbe di significato, si può ritenere adeguato il sacrificio del diritto alla riservatezza, altrimenti la cronaca deve soccombere alla riservatezza e l’autore dell’illecito deve essere dichiarato responsabile (13).

Beninteso, «la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, la valutazione di circostanze oggetto di altri provvedimenti giudiziali anche non costituenti cosa giudicata, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione, l’esclusione della esimente dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, costituiscono accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto» (14).

2. Il “famoso” decalogo del giornalista.

Ritiene che «perché la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell’onore possa considerarsi lecita espressione del diritto di cronaca, e non comporti responsabilità civile per violazione del diritto all’onore, devono ricorrere tre condizioni:

1) utilità sociale dell’informazione [c.d. pertinenza];

2) verità oggettiva, o anche soltanto putativa purché frutto di diligente lavoro di ricerca;

3) forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non ecceda lo scopo informativo da conseguire e sia improntata a leale chiarezza, evitando forme di offesa indiretta [c.d. continenza]» (15).

2.1. L’utilità sociale dell’informazione.

L’utilità sociale è ravvisabile quand’anche l’interesse per la notizia non riguardi la «generalità dei cittadini», ma la generalità «della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la pubblicazione di stampa» (16). La pertinenza, dunque, deve essere accertata separatamente, tenuto conto, ad esempio, dell’interesse scientifico o storico per quel caso, del contenuto dei temi di pubblico dominio in una certa epoca e così via (17).

Piuttosto va osservato che se la divulgazione della notifica lesiva della altrui reputazione è avvenuta su quotidiani a diffusione solamente locale, «l’elemento della comunicazione a più persone della notizia diffamatoria relativa ad un soggetto, che vive e lavora nel luogo medesimo, deve considerarsi in re ipsa, poiché la notizia, in un ambito territoriale più ristretto, si propaga con maggiore facilità e si rivolge specificamente alla sfera dei consociati tra i quali è destinata a creare il discredito sociale» (18).

2.2. La verità oggettiva della notizia.

Questo è un aspetto delicato sul quale occorre esprimere un giudizio collegato anche con il profilo dell’utilità della informazione, quindi della pertinenza, come dirò fra breve. Occorre premettere che la «verità oggettiva della notizia» deve essere intesa in un duplice significato: come «verità del fatto oggetto della notizia»; e come «verità della notizia intesa come fatto in sé» e perciò indipendentemente dalla verità del suo contenuto (19). La questione si è posta all’attenzione degli interpreti con una certa frequenza, quando il giornalista di cronaca giudiziaria riferisca di dichiarazioni rese da un “pentito”, in sede giudiziaria: è sicuramente vero il fatto che il pentito abbia reso quella dichiarazione, non sempre certo che sia vera la circostanza dichiarata.

Al riguardo occorre premettere che la verità oggettiva «non può ritenersi configurabile quando, pur essendo vere le singole vicende riferite, siano dolosamente, o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato» (20). Ciò detto, è stato deciso che il giornalista non è tenuto ad accertare preventivamente l’attendibilità del dichiarante e la corrispondenza al vero del contenuto delle sue dichiarazioni, in quanto ciò comporterebbe lo snaturamento dell’attività del giornalista attraverso l’attribuzione del compito di indagini giudiziarie (le quali, oltretutto potrebbero sempre essere smentite dall’esito finale del processo), o di fatto interdire, fino alla sentenza definitiva, l’esercizio della cronaca giudiziaria (21). Egli deve, tuttavia:

«a) sempre indicare la fase processuale in cui tali dichiarazioni siano state rese, nonché gli atti da cui provengono, in modo che il lettore possa chiaramente intendere se la dichiarazione stessa abbia già avuto un qualche vaglio processuale da parte del magistrato o se debba averne altri;

b) sempre menzionare l’eventuale circostanza per cui la dichiarazione diffamatoria contenuta nell’atto giudiziario, sia stata già negativamente valutata dal magistrato siccome non conforme al “vero”» (22).

C’è, inoltre, un ulteriore profilo da valutare nell’ipotesi di notizia astrattamente “diffamatoria” raccolta in intervista: la posizione di alto rilievo dell’intervistato cui si collega l’interesse della collettività ad essere informata del suo pensiero sull’argomento. A queste condizioni, comunque non potrebbe essere richiesto al giornalista che pubblichi quell’intervista il previo controllo della veridicità del suo contenuto, giacché «la sussistenza di uno scriminante interesse del pubblico ad essere informato al di là della stessa verità oggettiva dei fatti narrati, si ricollega alla natura nota (e quindi qualificata) del personaggio che abbia reso la dichiarazione». Al contrario, «nel caso di notizia raccolta nell’ambito della cronaca giudiziaria viene in rilievo l’interesse pubblico a quello specifico processo, interesse collegabile alle più svariate ragioni, le quali vanno dalla peculiarità del caso, alla notorietà dei personaggi coinvolti» (23).

Così, si ritiene che la condotta del giornalista che riporti nel testo di un’intervista dichiarazioni del soggetto intervistato oggettivamente lesive dell’altrui reputazione sia fonte di responsabilità, salvo che «in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione ed al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono state rese, presenti indiscutibili profili di interesse pubblico all’informazione, tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo, e tali da giustificare, per l’effetto, l’esercizio del diritto di cronaca» (24). È ancora il giudizio sull’utilità sociale della notizia che consente di esimere da responsabilità il giornalista che abbia riportato in “virgolettato” il testo di una intervista dal contenuto infamante (25).

Proprio l’esistenza di tutte queste variabili spiega perché, talvolta, il riferimento ad una fonte di secondo grado, che contenga affermazioni lesive di una persona, non valga a soddisfare il requisito della fedeltà sotto il profilo della pertinenza. È fatto salvo che l’atto che riproduce una diffamazione sia un documento autentico (26), come ad esempio una sentenza di condanna (27); oppure che il giornalista abbia diligentemente controllato il contenuto attraverso il riscontro con una pluralità di fonti (28). Quanto al primo aspetto, è stato ritenuto che non incorre in responsabilità il giornalista che, oltre a pubblicare un’interrogazione parlamentare dal contenuto oggettivamente diffamatorio nei confronti di un soggetto non indicato con il proprio nome in quell’atto, lo menzioni espressamente nell’articolo. Il ragionamento seguito è che «il giornalista non risponde della verità dei fatti indicati nell’interrogazione parlamentare se non nel caso in cui abbia errato nell’identificazione di quel soggetto, restando altrimenti nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di cronaca la chiarificazione al lettore di ciò che risulta evidente agli esperti del settore relativamente al contenuto dell’interrogazione» (29).

Infine l’esimente della verità putativa non può essere invocata dal giornalista che sia stato in colpa nel divulgare la notizia (30); o dal giornalista che si sia avvalso di una notizia appresa «in via ufficiosa da persona che sia venuta meno al dovere della riservatezza» (31). Del resto è ben vero che la verità della notizia può anche essere soltanto putativa, nel senso che il giornalista deve essere in buona fede nel ritenere vera una notizia che si riveli falsa in un secondo momento, sempre che l’abbia accuratamente verificata, con onere della prova a suo carico anche con riguardo al riscontro delle fonti utilizzate (32).

2.3. La forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione.

La forma civile dell’esposizione va riguardata sotto il profilo della continenza in senso sostanziale e formale ed anche questo aspetto non può essere scollegato dagli altri. «Sotto il primo profilo i fatti narrati devono corrispondere alla verità, sia pure non assoluta ma soggettiva, e, sotto il secondo profilo, l’esposizione dei fatti deve avvenire in modo misurato, cioè deve essere contenuta negli spazi strettamente necessari» (33). Entrambi i profili della continenza devono sussistere perché possa operare l’esimente (34). La continenza in senso formale può risultare violata anche dal modo in cui è presentata la notizia, che può contenere le c.d. insinuazioni. Inoltre una certa impaginazione del giornale, nella quale una persona estranea ai fatti è accostata alla immagine di un malvivente, può costituire diffamazione:

– il c.d. accostamento suggestionante che accade quando il nome di un soggetto, coinvolto in un procedimento giudiziario, sia associato «con quello di altri, la cui responsabilità sia stata giudizialmente accertata, omettendo la circostanza dell’avvenuto proscioglimento del primo» (35). Lo stesso vale quando la condanna venga pronunciata sulla base del titolo, dell’occhiello, delle fotografie di corredo all’articolo non come fatti distinti, ma come un unico contesto produttivo di un risultato diffamatorio (36);

– oppure l’uso di certe parole per richiamare alla mente luoghi comuni che possono disonorare una persona, pur se nel racconto si espongono fatti veri: il c.d. sottinteso sapiente (37);

– oppure infine l’uso di una certa titolazione per catturare l’attenzione del lettore o di espressioni di particolare effetto: il c.d. tono sproporzionato, sdegnoso e scandalizzato (38). Questo carattere, con i dovuti distinguo, è impiegato anche per valutare la scriminante del diritto di critica. È frequente riscontrare decisioni nelle quali è affermato che questo può essere esercitato «anche in modo graffiante, ma con il parametro della proporzione tra l’importanza del fatto e la necessità della sua esposizione anche in chiave critica ed i contenuti espressivi con i quali la critica è esercitata» (39).

In sintesi c’è continenza della notizia se, in base ad un’indagine orientata verso il risultato finale della comunicazione, non sussistono i seguenti elementi: «1) accostamento di notizie, quando esso sia dotato di autonoma attitudine diffamatoria; 2) accorpamento di notizie che produca un’espansione di significati; 3) uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o addirittura contraria al loro significato letterale; 4) tono complessivo della notizia e titolazione» (40). In presenza di questi elementi, anche la divulgazione di una notizia su un fatto vero, poiché riportato in un documento ufficiale e che normalmente non costituirebbe diffamazione, può costituire un illecito (41).

La diligenza e la correttezza del giornalista o di chi altro diffonde informazioni al pubblico di per sé non si confondono con il diverso profilo dell’ingiustizia del danno: gli ambiti dei due elementi dell’illecito restano distinti. La vera questione è che, nel giudizio comparativo fra gli opposti diritti in conflitto, la diligenza e la correttezza professionale rendono socialmente accettabile il rischio che un diritto della personalità debba essere sacrificato. Astrattamente una persona può essere diffamata da una notizia che successivamente si sia rivelata falsa, ma se a chi l’ha divulgata non poteva essere rimosso alcun rimprovero, il diritto all’informazione comunque prevale, dunque manca un danno ingiusto da riparare con la responsabilità civile (42).

3. Il diritto di cronaca finanziaria, la sicurezza degli investimenti, la tutela del risparmio e l’autonomia contrattuale.

Da tempo, la Corte Costituzionale ha affermato che la libertà di manifestazione del pensiero trova limiti nella tutela del buon costume, così come nella necessità di proteggere altri beni di rilievo costituzionale, quale ad esempio «l’interesse pubblico a che i prezzi di mercato si formino per il naturale giuoco delle forze economiche o per il legittimo intervento delle pubbliche autorità, l’uno e l’altro non dolosamente falsati» (43). Il diritto di cronaca, anche quando abbia ad oggetto l’informazione finanziaria, può entrare in conflitto con altri contrapposti interessi, tutti di rango costituzionale diretti a garantire la stabilità e l’integrità dei mercati finanziari, nonché la sicurezza degli investimenti ed il risparmio (artt. 41 e 47 cost.) (44).

Nell’individuare il criterio per effettuare il giudizio di bilanciamento tra il diritto di cronaca ed i doveri imposti al giornalista finanziario, il Considerando, n. 44, della Direttiva 2003/6/Ce ed il Considerando n. 11, della Direttiva 2003/125/Ce (45), rinviano ai diritti fondamentali ed ai principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare l’art. 11 (Libertà di espressione e d’informazione) e l’art. 10 (Libertà di espressione) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (46). Con la precisazione che, in questo settore, non potranno essere trasposti i criteri utilizzati per risolvere il conflitto tra il diritto all’integrità morale della persona ed il diritto di manifestare il proprio pensiero.

Quando gli articoli contengono raccomandazioni d’investimento elaborate dallo stesso giornale (il cui autore sia un giornalista interno od un collaboratore esterno, di cui deve essere indicata l’identità), può essere utile prendere spunto dai risultati a cui è giunta la giurisprudenza in materia di warentest, ossia dei servizi giornalistici che presuppongono o diffondono verifiche delle caratteristiche di prodotti (47). Il discrimine tra liceità ed illiceità è individuato nella serietà e nella scientificità del metodo seguito (48), criterio, questo, confermato anche dalla Carta dei doveri dell’informazione economica, la quale all’art. 7 dispone che «per tutte le proiezioni, le previsioni e gli obiettivi di prezzo, debbono essere indicate le principali metodologie utilizzate e le ipotesi elaborate nel formularle e nell’utilizzarle», lasciando così intendere la necessità di rispettare un criterio serio ed attendibile per elaborare tali valutazioni. Allo stesso modo, il comma 8º dell’art. 114 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, applicabile anche ai giornalisti, evidenzia la necessità che le informazioni siano presentate in modo corretto.

Ulteriori criteri per valutare la liceità dell’articolo possono essere desunti dagli artt. 69, 69 bis, 69 quater, 69 sexies e 69 septies, Regolamento Consob 14 maggio 1999, n. 11971, tenuto conto che secondo l’art. 69 octies le norme di autoregolamentazione dei giornalisti e quindi la Carta dei doveri dell’informazione economica, debbono conseguire gli stessi effetti delle prescrizioni contenute nei menzionati articoli; pertanto, tali articoli anche se non si applicano ai giornalisti possono essere comunque utili per desumere la correttezza della presentazione delle informazioni.

Al riguardo occorre metter capo all’art. 69 bis, in tema di corretta presentazione delle «raccomandazioni» (49). Secondo questa norma, le raccomandazioni debbono essere prodotte, assicurando che: «a) i fatti vengano tenuti chiaramente distinti dalle interpretazioni, dalle valutazioni, dalle opinioni o da altri tipi di informazioni non fattuali; b) tutte le fonti siano attendibili ovvero che, qualora vi siano dubbi sulla loro attendibilità, ciò venga chiaramente indicato; c) tutte le proiezioni, tutte le previsioni e tutti gli obiettivi di prezzo siano chiaramente indicati come tali e che siano indicate le principali ipotesi elaborate nel formularli o nell’utilizzarli».

Allo stesso modo, inoltre, si può sostenere che il giornalista finanziario non è certo sempre responsabile nel caso di presentazione di studi effettuati da terzi, successivamente risultati erronei. Al riguardo, l’art. 8 della Carta dei doveri dell’informazione economica prevede che la presentazione degli studi degli analisti «deve avvenire assicurando una piena informazione sull’identità degli autori e deve rispettare nella sostanza il contenuto delle ricerche. In caso di una significativa difformità occorre farne oggetto di segnalazione ai lettori». Inoltre, si può sottolineare come obblighi più specifici siano disposti dall’art. 69 sexies, Regolamento Consob 14 maggio 1999, n. 11971, in tema di diffusione al pubblico di raccomandazioni prodotte da terzi, gli effetti della cui prescrizione debbono essere assicurati dalle norme di autoregolamentazione dei giornalisti, in virtù del già richiamato art. 69 octies.

Anche a questo riguardo, può essere utile ricordare che l’esimente del diritto di cronaca ricorre non soltanto quando la notizia diffusa sia oggettivamente vera, ma anche quando essa sia stata ritenuta tale in buona fede, per avere il giornalista controllato la fonte di provenienza ed essersi assicurato della serietà della medesima. Per invocare l’esimente della verità putativa, il giornalista non si deve fermare alla «verosimiglianza dei fatti narrati, essendo necessaria la dimostrazione dell’involontarietà dell’errore, dell’avvenuto controllo – con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della notizia e all’urgenza di informare il pubblico – della fonte e della attendibilità di essa, onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati» (50). Tale dovere diventa più rigoroso quando il giornalista, nel presentare gli studi o le ricerche, abbia diffuso una notizia che incide sulla commerciabilità di un prodotto, avvalendosi di dati forniti da un esperto. Per tale ipotesi, si è affermato, il giornalista può esimersi da responsabilità solo se abbia svolto controlli, riscontri ed accertamenti intesi a verificare il risultato. In altri termini, per andare esente da responsabilità, il giornalista è tenuto ad accertare la fondatezza scientifica dello studio e della ricerca, desumibile anche dalla serietà ed esperienza di coloro che li hanno prodotti (51).

4. Il diritto di critica dell’opinionista.

Diverso dal diritto di cronaca è il diritto di critica, per il quale il profilo dell’informazione segna il passo al cospetto dell’altro diritto costituzionalmente garantito di manifestazione del proprio pensiero attraverso valutazioni e giudizi (52). Il diritto di cronaca si pone quale «resoconto obiettivo dello svolgimento di fatti e comportamenti, ed è sottoposto al triplice limite segnato dall’interesse pubblico o sociale della notizia, dalla verità oggettiva (o quanto meno putativa, purché frutto di accurata ricerca secondo il metro della diligenza professionale) e della continenza formale (ossia della forma civile dell’esposizione, non eccedente lo scopo informativo perseguito)». Viceversa «il diritto di critica non si concreta in una mera narrazione dei fatti ma si fonda, per sua natura, su un’interpretazione soggettiva di vicende e comportamenti; pertanto, affinché il giudizio critico sia lecito, deve riguardare fatti corrispondenti a verità (anche solo putativa, in rapporto all’autorevolezza della fonte da cui la notizia proviene), rispettare il limite di continenza espressiva (formale e sostanziale) ed essere congruamente motivato» (53).

Certo anche per la critica occorre che la notizia o la circostanza oggetto del giudizio espresso sia controllata, in modo tale da non essere avventata o produttiva di un giudizio pregiudizievole, proprio perché fondato su di un errato presupposto (54); specialmente quando appaia che cronaca e critica sono svolte in un medesimo contesto (55). In altri termini tanto il diritto di cronaca, quanto il diritto di critica possono essere esercitati «purché sussistano i presupposti della verità oggettiva della notizia pubblicata, dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e della correttezza formale dell’esposizione» (56).

Nella critica, può essere impiegato «un linguaggio più pungente ed incisivo» di quello proprio della cronaca (57). Anche la valutazione di quest’ultima circostanza va rapportata alla fama ed al ruolo sociale della persona della quale si sta raccontando; ad esempio, nell’ambiente politico o sindacale può essere consentito di più di quanto non possa essere ammesso nell’ambiente religioso (58). Se così non fosse, si dovrebbe accedere all’idea che la critica è sempre vietata e questa conclusione si porrebbe in chiaro contrasto con la necessità di compiere il «bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita» (59).

Nel diritto di critica è prevalente l’aspetto della formazione di un’opinione, per la quale si ritiene che possa non essere dirimente l’assoluta verità della notizia, da controllare con i dettami del diritto di cronaca. Del resto, il diritto di divulgare il proprio pensiero non richiede sempre di dire la verità e di mostrare tutti i passaggi logici del ragionamento svolto. Riassuntivamente si può ritenere che nel conflitto fra la libera circolazione delle idee ed il diritto della personalità di chi si ritiene leso, debba prevalere la prima, sempre che non sia stata effettuata con il celato fine di denigrare alcuno. Occorre, dunque, collegare i principi al fatto concreto in questione, esprimendo un giudizio che soltanto il giudice di merito può svolgere.

5. Il diritto di satira del comico o dell’intrattenitore.

Diverso dal diritto di cronaca e di critica è il diritto di satira, al quale più volte è stato riconosciuto fondamento costituzionale negli artt. 9, 21, 23 e 33 cost. (60). Quest’ultimo costituisce una manifestazione del diritto di critica, nel senso che è «una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica e può realizzarsi anche mediante l’immagine artistica come accade per la vignetta o per la caricatura» (61).

Si ritiene che la satira possa essere esercitata nei limiti della coerenza causale tra la qualità della dimensione pubblica del personaggio fatto oggetto di ironia o di sarcasmo ed il contenuto artistico ed espressivo del messaggio divulgato. È proprio della satira avvalersi di espedienti caricaturali e dissacratori che, in quanto tali, non possono rispettare fedelmente la verità dei fatti o la “effige” del destinatario. Diversamente dalla cronaca, la satira è sottratta al parametro della verità in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su un fatto. Tuttavia anche la satira resta «assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito». Nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira «e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato» (62) o addirittura nel pretesto per commettere una «ingiuria gratuita» (63).

Non può, pertanto, essere riconosciuto lecito l’esercizio del diritto di critica, quando le attribuzioni di condotte illecite e riprovevoli o moralmente disonorevoli ad una persona, «per gli accostamenti volgari o ripugnanti, per la deformazione dell’immagine» siano tali «da suscitare disprezzo o dileggio»: anche nella satira, «la libertà di manifestazione del pensiero non può infrangere il rispetto di diritti fondamentali della persona» (64).

Il limite al diritto di satira, quindi, essendo il risultato di un bilanciamento fra diritti in contrasto, si riassume nel divieto di abuso del messaggio, ossia nel fatto che la stessa satira non può essere asservita ad un fine meramente denigratorio, così come accade là dove questa, pur essendo ispirata dalle finalità sue proprie, quindi sia finalizzata a suscitare ilarità, contenga riferimenti offensivi, suscettibili di ledere la reputazione del soggetto cui la satira medesima si riferisce. In sostanza, si può suscitare il riso dileggiando una persona, è invece vietato sacrificare la sua dignità personale, così «esponendola al disprezzo» (65). A queste condizioni, il giudizio di comparazione deve far prevalere le ragioni dell’offeso (66), poiché lo strumento impiegato non è finalizzato a creare un prodotto artistico (art. 33 cost.), ma a ledere consapevolmente un diritto altrui (67). Diversamente accade, quando «le affermazioni fatte sul conto della vittima appaiano come manifestamente scherzose, palesemente paradossali e impossibili da prendere per vere» (68).

Come per la critica, anche la satira può presentare un contenuto composito e fungere da veicolo di informazione; in tal caso anch’essa non si sottrae ad un controllo sulla verità del fatto dichiarato (69).

In definitiva, il bilanciamento degli interessi in conflitto presuppone che l’esercizio del diritto sia stato compiuto con una condotta esente da censure, in rapporto al diverso diritto fatto valere: cronaca, critica o satira. Ciò implica che il giudizio sul diritto all’informazione, alla formazione o al divertimento dei cittadini, presupposto logico giuridico per l’esercizio di questi diritti fatti valere quali esimenti dalla responsabilità, sacrifica il diritto al riserbo di altri a condizione che siano state osservate certe regole sociali di produzione della notizia, del messaggio culturale o del messaggio artistico (70). Soltanto a queste condizioni l’asserita lesione al diritto della personalità altrui non è ingiusta, dunque non comporta la nascita di un illecito da riparare con la responsabilità civile. Sullo sfondo resta la diversa considerazione della persona comune nel confronto con la persona nota o pubblica.

(1) Cfr. App. Roma, 19 febbraio 1985, in Giur. merito, 1987, p. 397, con nota di Alajmo, Intorno all’esercizio del diritto come causa esimente dell’illecito civile, si trattava della denuncia infondata di un negoziante da parte di un controllore di una casa produttrice di liquori, il quale aveva ritenuto che l’amaro venduto non fosse l’originale indicato sull’etichetta della bottiglia. Nella motivazione della pronuncia, dopo aver affermato che l’esercizio del diritto assume rilievo anche in sede civile, i giudici affermano che, nel conflitto fra l’interesse del produttore di evitare fatti di concorrenza sleale e quello del rivenditore di non subire pregiudizi nella propria attività commerciale, il primo è più aderente all’interesse pubblico protetto dall’art. 41 cost., il quale consente anche l’esercizio di controlli. Su questa questione concordano la prevalenza degli interpreti: Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 2005, p. 616 ss.; Alpa, La responsabilità civile, in Tratt. dir. civ., IV, Milano, 1999, p. 331 ss.; Monateri, La responsabilità civile, in Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, III, Torino, 1998, p. 205 ss.

(2) Cfr. art. 17 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3, secondo il quale, «l’impiegato, al quale, dal proprio superiore, venga impartito un ordine che egli ritenga palesemente illegittimo, deve farne rimostranza allo stesso superiore, dichiarandone le ragioni.

Se l’ordine è rinnovato per iscritto, l’impiegato ha il dovere di darvi esecuzione.

L’impiegato non deve comunque eseguire l’ordine del superiore quando l’atto sia vietato dalla legge penale». Sulla cessazione degli effetti di tale disposizione in seguito alla sottoscrizione di contratti collettivi, v. all. A, I, 1, lett. a), d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, rubricato «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche».

(3) Cfr. Garante protezione dati personali, 13 dicembre 2005, in Dir. famiglia, 2007, p. 175: «la divulgazione da parte di uno dei coniugi, nelle forme della produzione nell’ambito di un procedimento civile di separazione personale, di documentazione contenente dati personali relativi all’altro coniuge, raccolta per il tramite di investigatori privati, non comporta violazione della disciplina di protezione dei dati personali, impregiudicata restando la valutazione da parte dell’ago in ordine alla validità, efficacia ed utilizzabilità della stessa nell’ambito del procedimento anzidetto».

(4) Cfr. Cass., 9 giugno 1998, n. 5658, in Foro it., 1998, I, c. 2387; in Danno e resp., 1998, p. 865, con nota di Orestano, La riservatezza ancora una volta in cassazione: fondamento, contenuto e limiti all’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 675/1996; e in Corriere giur., 1998, p. 1168, con nota di Mancini, I «confini» della privacy e i rapporti con il diritto alla reputazione: «posto che l’area coperta dal diritto alla riservatezza è di maggiore estensione rispetto a quella del diritto alla reputazione, l’efficacia esimente del diritto di cronaca rispetto ad un fatto ritenuto lesivo della riservatezza, ma non della reputazione, va valutata con un autonomo giudizio di bilanciamento»; Cass., 9 aprile 1998, n. 3679, in Foro it., 1998, I, c. 1834, con nota di Laghezza, Il diritto all’oblio esiste (e si vede); e in Danno e resp., 1998, p. 882, con nota di Lo Surdo, Diritto all’oblio come strumento di protezione di un interesse sottostante: «posto che per diritto all’oblio si intende il legittimo interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore ed alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia, in passato legittimamente divulgata, non costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca la pubblicazione di fatti già resi noti sei anni prima, salvo che eventi sopravvenuti rendano nuovamente attuali quei fatti, facendo sorgere un nuovo interesse pubblico alla divulgazione dell’informazione».

Il problema si pone anche quando questi diritti riguardano soggetti collettivi: Fusaro Ar., I diritti della personalità dei soggetti collettivi, Padova, 2002; Id., Nome e identità personale degli enti collettivi – Dal “diritto” all’identità uti singuli al “diritto” all’identità uti universi, in Nuova giur. civ., 2002, II, p. 51.

(5) Trib. Palermo, 21 febbraio 2007, in Dir. informazione e informatica, 2007, p. 311, nella specie, sono stati ritenuti insussistenti sia il requisito della veridicità, sia quello della continenza o essenzialità della notizia, in un caso di reiterata divulgazione attraverso un giornale di dati non strettamente attinenti alla notizia, come quelli riguardanti l’aspetto fisico, lo status familiare e l’indirizzo di un soggetto coinvolto in una vicenda giudiziaria, attribuendo altresì al medesimo, come provenienti da un’intervista da lui rilasciata, frasi da lui non pronunziate.

(6) Cfr. Trib. Bologna, 24 maggio 2006, in Dir. informazione e informatica, 2006, p. 714, con nota di Gliatta, Tutela dell’identità personale di soggetti dal passato compromesso e nullità della clausola di esclusione della responsabilità civile nel contratto di edizione; tuttavia, App. Roma, 14 febbraio 2005, in Dir. informazione e informatica, 2005, p. 256, nella specie si trattava dell’attribuzione, in un libro, della fucilazione di Bruno Buozzi e di altri tredici patrioti in località La Storta all’ufficiale delle SS Priebke, già condannato per la strage delle Fosse Ardeatine.

(7) Trib. Trieste, 21 settembre 2005, in Nuova giur. civ., 2006, I, p. 1179, con nota di Durante, Sui limiti al diritto di cronaca a tutela della riservatezza.

(8) Trib. Venezia, 20 giugno 2005, in Danno e resp., 2006, p. 666, con nota di Oliari, Violazione della privacy bancaria: imprudenza della banca nella comunicazione di informazioni riservate.

(9) Proprio su questi temi è dedicato il libro di Savorani, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, Padova, 2000, il cui studio si estende anche alle applicazioni avute negli USA. Anche la persona nota, tuttavia, resta titolare del diritto alla riservatezza ed alla propria immagine, quando non siano in questione esigenze di informazione legate alla cronaca, così Pret. Roma, 3 luglio 1987, in Dir. informazione e informatica, 1987, p. 1005: «la diffusione di immagini riservate e di carattere personale di personaggi notori reca pregiudizio alla loro vita privata e di relazione; anche le persone che godono di notorietà conservano integro il diritto alla propria immagine e riservatezza, e possono farlo valere relativamente a quella sfera d’interessi e attività personali che siano prive dell’interesse pubblico».

(10) Cfr. Trib. Milano, 16 ottobre 2004, in Dir. informazione e informatica, 2004, p. 855: «costituisce reiterazione via Internet di illecito diffamatorio la divulgazione sull’archivio on line del sito di un giornale di un articolo giornalistico che, pubblicato sull’edizione cartacea dello stesso giornale ed implicitamente attributivo della carriera di un’attrice alla disponibilità sessuale dalla medesima manifestata nei confronti dei superiori, sia già stato giudicato diffamatorio, con riferimento alla versione cartacea, da una precedente sentenza, non rilevando in contrario che l’accesso all’archivio sia possibile soltanto agli abbonati e, dunque, verso pagamento di un corrispettivo, influendo tale circostanza sulla estensione, ma non certo sulla configurabilità dell’illecito»; in generale Monateri, La responsabilità civile, in Tratt. dir. civ., cit., p. 452.

(11) Cfr. Cass., 5 giugno 2007, n. 13089, in Foro it., 2007, I, c. 3443, che ha confermato la sentenza di merito secondo la quale era denigratoria l’insinuazione fatta seppure su di una circostanza vera; il comunicato diceva: «chiami Telefono azzurro. Risponde l’hot line». Il risarcimento è stato liquidato in £ 50 milioni, oltre £ 10 milioni a titolo di riparazione pecuniaria (art. 12 l. 8 febbraio 1948, n. 47).

(12) L’interesse di questo diritto «consiste nella tutela di situazioni e di vicende personali e familiari dalla curiosità e dalla conoscenza pubblica»: Cass., 25 marzo 2003, n. 4366, in Danno e resp., 2003, p. 978, con nota di Ubertazzi, Quanto vale l’immagine della persona non nota.

(13) Cfr. Cass., 9 giugno 1998, n. 5658, in Foro it., 1998, I, c. 2387; in Danno e resp., 1998, p. 865, con nota di Orestano, La riservatezza ancora una volta in cassazione: fondamento, contenuto e limiti all’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 675/1996; e in Corriere giur., 1998, p. 1168, con nota di Mancini, I «confini» della privacy e i rapporti con il diritto alla reputazione, si è trattato di una cassazione con rinvio, proprio sulla questione trattata nel testo.

(14) Cass., 18 aprile 2006, n. 8953, in Mass. Foro it., 2006, si trattava di una notizia pubblicata su un quotidiano locale della condanna di un giudice per un illecito penale. La suprema corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistere la diffamazione, risarcita con la somma di 100 milioni di lire, in relazione alla collocazione in prima pagina della notizia, con titolo a caratteri cubitali accompagnato da sottotitoli messi in risalto e dalla foto del soggetto leso, alla utilizzazione di un’intera pagina interna del giornale corredata da due foto, caratteri manifestamente sproporzionati alla rilevanza dell’episodio, senza considerazione del carattere non definitivo della condanna e con presentazione complessiva unilateralmente colpevolista, con riferimenti a vicende private arbitrariamente collegate al fatto, travalicando lo scopo informativo; Cass., 15 febbraio 2006, n. 3284, ivi, 2006; Cass., 7 luglio 2006, n. 15510, ivi, 2006; Cass., 1 agosto 2002, n. 11420, ivi, 2002.

(15) Cass., 18 ottobre 1984, n. 5259, in Giust. civ., 1985, I, p. 356, con nota di Dogliotti, La cassazione e i giornalisti: cronaca, critica e diritti della persona; in Giust. civ., 1985, I, p. 364, con nota di Ulisse, Note sui limiti della responsabilità civile del giornalista; in Nuova giur. civ., 1985, I, p. 215, con nota di Alpa, Diritto di cronaca – Illecito civile; in Nuova giur. civ., 1985, I, p. 218, con nota di Roppo, La corte di cassazione e il decalogo del giornalista; in Quadrimestre, 1984, p. 609, con nota di Ferri G.B., Tutela della persona e diritto di cronaca; in Dir. informazione e informatica, 1985, p. 152, con nota di Fois, Il c.d. decalogo dei giornalisti e l’art. 21 cost.; in Dir. informazione e informatica, 1985, p. 166, con nota di Morozzo Della Rocca, Controllo di legittimità e giurisprudenza consolidata; in Dir. informazione e informatica, 1985, p. 163, con nota di Giacobbe G., Noterelle minime in margine ad una sentenza contestata; in Giur. it., 1985, I, 1, c. 1099, con nota di Tenella-Sillani, Libertà di stampa e concorrenza sleale; e in Giust. civ., 1984, I, p. 2957, con nota di Finocchiaro, La cassazione e l’uniforme interpretazione della legge. Nei medesimi termini, Cass., 25 maggio 2000, n. 6877, in Danno e resp., 2000, p. 974, con nota di Cassano, La tutela della reputazione nel quadro dei diritti della personalità.

(16) Cass., 18 ottobre 2005, n. 20140, in Mass. Foro it., 2005.

(17) La questione è stata affrontata dalla Cass., 7 febbraio 1996, n. 978, in Foro it., 1996, I, c. 1253; e in Giust. civ., 1996, I, p. 1317, a proposito di uno sceneggiato televisivo nel quale era stata ricostruita la storia dell’uccisione del calciatore della Roma Rececconi, da parte di un gioielliere. In causa è affrontato il bilanciamento tra il diritto all’identità personale del gioielliere ed il diritto di cronaca.

(18) Cass., 1 agosto 2002, n. 11420, in Mass. Foro it., 2002.

(19) Questo distinguo è posto fra l’altro da Cass., 19 gennaio 2007, n. 1205, in Corriere giur., 2007, p. 1550, con nota di Fittipaldi, Esercizio del diritto di cronaca e società di massa: dalla stagione giudiziaria del «decalogo» a quella della possibile sufficienza della mera verità della diffusione in sé della notizia?.

(20) Cass., 16 maggio 2007, n. 11259, in Giust. civ., 2007, I, p. 1851; e in Dir. informazione e informatica, 2007, p. 533.

(21) Cfr. Cass., 19 gennaio 2007, n. 1205, in Corriere giur., 2007, p. 1550, cit.; così anche Cass., 26 luglio 2002, n. 11060, in Danno e resp., 2003, p. 41, con nota di Palmieri, Riproduzione di dichiarazioni offensive: liceità e limiti, «la verità oggettiva della notizia pubblicata, che rileva per stabilire se sia stato rispettato il limite del diritto di cronaca, può intendersi sia come verità del fatto oggetto della notizia, sia come verità della notizia indipendentemente dal suo contenuto, in quanto rientra nel compito informativo della stampa riferire che una determinata notizia circola pubblicamente», ma nel caso in decisione il giornalista non si era limitato a dare la notizia dei fatti rivelati da un pentito a carico di un magistrato, vi aveva aggiunto altre circostanze, oggettivamente false, aventi la capacità di accreditare presso il pubblico un’impressione di veridicità dei fatti oggetto delle rivelazioni del pentito.

(22) Cass., 19 gennaio 2007, n. 1205, in Corriere giur., 2007, p. 1550, cit.; Cass., 24 maggio 2006, n. 12358, in Foro it., 2006, I, c. 2745; soddisfatte le condizioni indicate nel testo, la Cass., 10 gennaio 2003, n. 196, in Mass. Foro it., 2003, ha ritenuto di poter ricondurre «al legittimo esercizio del diritto di informazione e di critica anche l’attribuzione ad un soggetto di un reato, quando non si traduca in una enunciazione immotivata ma possa ricavarsi, con l’ordinario raziocinio dell’uomo medio e con minore o maggiore fondamento dalla concatenazione di un certo numero di fatti veri, obiettivamente e correttamente riferiti, che rivestano interesse per una collettività più o meno vasta di soggetti».

(23) Cass., 19 gennaio 2007, n. 1205, in Corriere giur., 2007, p. 1550, con nota di Fittipaldi, Esercizio del diritto di cronaca e società di massa: dalla stagione giudiziaria del «decalogo» a quella della possibile sufficienza della mera verità della diffusione in sé della notizia?; Cass., 15 dicembre 2004, n. 23366, in Giur. it., 2005, p. 693, con nota di Poncibò, Libertà di espressione e personaggi pubblici.

(24) Cass., 25 febbraio 2002, n. 2733, in Foro it., 2002, I, c. 3421; in Giust. civ., 2002, I, p. 1553; e in Giur. it., 2002, p. 2050, con nota di Poncibó; in precedenza lo stesso principio era stato affermato dalla Cass. pen., sez. un., 16 ottobre 2001, in Corriere giur., 2001, p. 1594, con nota adesiva di Balestra, Un importante delle Sezioni Unite sulla responsabilità del giornalista.

(25) Cfr. Cass., sez. un., 30 maggio 2001, Derouach, in Foro it., 2001, II, c. 629, con nota di Palmieri, Pardolesi R., Intervista diffamatoria: dalla fonte al fatto (redimente)?; e in Corriere giur., 2001, p. 1590, con nota di Balestra, Un importante intervento delle sezioni unite sulla responsabilità del giornalista: «la riproduzione “alla lettera”, da parte del giornalista, delle dichiarazioni oggettivamente diffamatorie rese dal soggetto intervistato non integra di per sé la scriminante del diritto di cronaca, che sussiste invece quando il fatto in sé dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti (ad esempio, rilevanti cariche pubbliche ricoperte dai soggetti coinvolti nella vicenda o loro indiscussa notorietà in un determinato ambiente), alla materia in discussione e al più generale contesto dell’intervista, presenti profili di interesse pubblico all’informazione, tali da escludere la possibilità di censura da parte dell’intervistatore e da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo»; cui si è conformata la Cass. pen., 26 giugno 2003, n. 27778, in Riv. pen., 2003, p. 1069.

(26) Cfr. App. Trento, 21 marzo 2000, in Danno e resp., 2000, p. 740, con nota di Carbone, La pubblicazione di un’interrogazione su «situazioni di nepotismo» è cronaca o diffamazione?: «sussiste il diritto di cronaca, ed è esclusa la responsabilità del giornalista, qualora egli si limiti a riprodurre un’interrogazione o una interpellanza parlamentare, anche diffamatoria, senza modifiche, variazioni o aggiunte». Diverso è per il caso dell’intervista rilasciata da un parlamentare, la cui integrale pubblicazione, preceduta da un titolo sensazionale, non vale a scriminare, se manchi un adeguato controllo sulla veridicità dei fatti esposti: Cass., 5 maggio 1995, n. 4871, in Foro it., 1996, I, c. 657; e in Resp. civ., 1995, p. 915, il caso riguardava le dichiarazioni rese dall’on. Vitalone sugli oscuri rapporti di alcuni magistrati romani. Nella motivazione si precisa che non esistono fonti privilegiate rispetto ad altre e che tutte devono essere controllate.

(27) Cfr. Cass., 24 maggio 2002, n. 7628, in Foro it., 2002, I, c. 2322, con nota di Battaglia; e in Giust. civ., 2002, I, p. 2444: «sussiste l’efficacia scriminante del diritto di cronaca allorché la notizia data, anche se non vera, sia fedele al contenuto di un provvedimento giurisdizionale (nella specie, è stata perciò confermata la sentenza di reiezione della domanda di risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa)».

(28) Cfr. Trib. Roma, 18 luglio 1991, in Dir. informazione e informatica, 1992, p. 83.

(29) Cass., 4 luglio 2006, n. 15270, in Nuova giur. civ., 2007, I, p. 851, con nota di Del Core, Diritti di cronaca e di critica del giornalista in relazione ad interrogazioni parlamentari; ancora sull’uso di una interrogazione parlamentare, Cass., 27 ottobre 2004, n. 20783, in Danno e resp., 2005, p. 590, con nota di Foffa, Pubblicazione di un’interrogazione offensiva: informazione o diffamazione?

(30) Cfr. Cass., 20 agosto 1997, n. 7747, in Giur. it., 1998, p. 1111.

(31) Trib. Napoli, 11 ottobre 1989, in Dir. informazione e informatica, 1990, p. 987.

(32) Cfr. Cass., 16 maggio 2007, n. 11259, in Giust. civ., 2007, I, p. 1851; e in Dir. informazione e informatica, 2007, p. 533; Cass., 8 febbraio 2007, n. 2751, in Mass. Foro it., 2007.

(33) Cass., 7 dicembre 2005, n. 26999, in Resp. civ., 2006, p. 1289, con nota di Peron, La verità della notizia tra veritas e alètheia, la vicenda era relativa alla notizia dell’arresto provvisorio di un ufficiale nel corso di un interrogatorio davanti al giudice istruttore che conduceva indagini su una strage, la sentenza di merito, confermata dalla suprema corte in applicazione del principio surriportato, aveva ritenuto rilevante l’omessa notizia della scarcerazione, avvenuta alle ore quindici e trenta del giorno dopo l’arresto, e quindi in tempo utile per essere riportata nel quotidiano del giorno successivo, così incidendo sulla gravità del sospetto che il testimone non avesse riferito la verità al giudice; Cass., 16 novembre 2007, n. 23798, in Resp. e risarcimento, 2007, fasc. 11, p. 59; Cass., 5 aprile 2005, n. 7063, in Mass. Foro it., 2005; Cass., 24 gennaio 2000, n. 747, in Mass. Foro it., 2000; Cass., 27 aprile 1998, n. 4285, in Giur. it., 1999, p. 7, con nota di Facci, Diritto di cronaca, diritto di critica e reputazione del magistrato; Trib. Milano, 21 gennaio 1999, in Giur. merito, 2000, p. 339, l’attore in giudizio era una fondazione.

(34) Cfr. Cass., 23 luglio 2003, n. 11455, in Danno e resp., 2004, p. 169, con nota di Cacace, Il titolo che condanna e il criterio di continenza nella responsabilità del giornalista; Greco, Diritto di cronaca e diritto di critica: gli incerti confini della responsabilità del giornalista.

(35) Cass., 31 marzo 2007, n. 8065, in Mass. Foro it., 2007; Trib. Milano, 13 aprile 2000, in Foro it., 2000, I, c. 3004.

(36) Cfr. Cass., 26 settembre 2005, n. 18782, in Mass. Foro it., 2005.

(37) Cfr. Trib. Milano, 24 novembre 1995, in Danno e resp., 1996, p. 226, con nota di Cosentino, La tonaca di don Abbondio e la toga del magistrato, secondo la quale, «travalica i limiti della continenza formale, con la conseguente inapplicabilità della scriminante in oggetto, l’attribuzione, in un articolo giornalistico, della patente di pavidità alla persona di un magistrato impegnato in processi di lotta alla mafia, tramite l’accostamento alla figura manzoniana di Don Abbondio, avendo un significato offensivo, lesivo della considerazione che un giudice deve avere nell’ambiente professionale e nel corpo sociale, che va oltre il diritto di critica, particolarmente esercitabile nell’ambito giudiziario con la manifestazione di fisiologico dissenso rispetto a determinazioni discrezionali dei magistrati».

(38) Cfr. Cass., 23 luglio 2003, n. 11455, in Danno e resp., 2004, p. 169, cit., la suprema corte ha confermato la pronuncia di merito, che aveva ravvisato una violazione del canone della continenza formale nel fatto che nel titolo di un articolo giornalistico si desse per scontato, a carico di un avvocato, un episodio di “tentativo di corruzione” non vero a carico di un avvocato, ponendosi in dubbio solo se il tentativo di corruzione, in cui l’avvocato si sarebbe proposto come capace di intervenire presso il giudice offrendogli danaro fosse stato operato direttamente o attraverso un intermediario.

(39) Cass., 6 agosto 2007, n. 17180, in Foro it., 2009, I, c. 1210, che così prosegue: «pertanto la critica non deve trascendere in attacchi e aggressioni personali diretti a colpire, sul piano individuale, la figura morale del soggetto criticato; questi principi valgono anche per la critica dei provvedimenti giurisdizionali, che non può offendere la dignità e l’onorabilità personale e professionale dei magistrati che ne sono autori (nella specie, la suprema corte ha confermato l’impugnata sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità di un avvocato, impegnato da tempo in campagne civili a tutela dei diritti delle donne, per aver diffamato due magistrati di una sezione penale della corte di cassazione, attribuendo loro la funzione di supporters e di giustificatori degli stupratori con riguardo ad una sentenza – peraltro neppure letta, come esplicitamente ammesso dalla stessa ricorrente – che non offriva alcun appiglio a fondamento della suddetta descrizione)»; Cass., 20 ottobre 2006, n. 22527, in Mass. Foro it., 2006, nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto lesivi della dignità di un magistrato alcuni apprezzamenti giornalistici, relativi ad un’indagine condotta da quest’ultimo, secondo i quali si trattava di un soggetto confusionario, sostanzialmente privo di professionalità e inadeguato rispetto al ruolo, siccome capace di elaborare solo teoremi fantasiosi.

(40) Cass., 13 febbraio 2002, n. 2066, in Foro it., 2002, I, c. 2322, con nota di Battaglia; in Giust. civ., 2002, I, p. 1880; e in Giur. it., 2002, p. 2057.

(41) La Cass., 19 luglio 2004, n. 13346, in Giust. civ., 2005, I, p. 3074, ha cassato per vizio di motivazione la sentenza di merito che aveva escluso la “continenza”, ritenendo che il giornalista aveva riportato un giudizio personale di disvalore, additando un uomo politico come colluso con la mafia, senza considerare che dal contesto dell’articolo si evinceva, invece, che il giornalista si era limitato a riportare le dichiarazioni rese da c.d. “pentiti”, quali riportate in un documento giudiziario.

(42) Cfr. Cass., 24 settembre 1997, n. 9391, in Foro it., 1998, I, c. 113: «in tema di reato di diffamazione a mezzo stampa e di responsabilità risarcitoria del giornalista, ai fini dell’effetto giustificativo del diritto di cronaca, per stabilire se siano stati rispettati i limiti di tale diritto deve aversi riguardo alla verità della notizia al momento della sua diffusione; l’eventuale discrepanza tra il fatto narrato e quello effettivamente accaduto non esclude che possa essere invocata la esimente, anche putativa, dell’esercizio del diritto di cronaca, quando colui che ha divulgato la notizia, pur avendo compiutamente adempiuto il dovere di controllo delle fonti da cui la ha appresa, abbia una percezione erronea della realtà».

(43) Corte cost., 20 maggio 1976, n. 123, in Foro it., 1976, I, c. 2080; nel caso di specie, era stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, con riferimento all’art. 21 cost., del reato di aggiotaggio la cui versione all’art. 501 c.p., sotto la rubrica «Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi nel pubblico mercato o nelle borse di commercio» puniva chiunque «al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifizi atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato».

(44) Sul punto si segnala: Fusaro Ar., Informazioni economiche e «reputazione d’impresa», cit., p. 233 ss.; Vella, Selfregulation e giornalismo economico, in Analisi giuridica dell’economia, 2006, p. 282. Sulla delicatezza del ruolo del giornalista finanziario, si segnala anche Messori, Informazione e mercati finanziari, in Analisi giuridica dell’economia, 2006, p. 207.

(45) Queste direttive sono state recepite dall’art. 114 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.

(46) Evidenzia la vaghezza di tale «considerando», perché non chiarisce quale norma debba prevalere e perché in caso di contrasto tra disposizioni, Malavenda, Melzi D’Eril, Abuso di mercato e informazione economica, Padova, 2007, p. 32.

(47) Secondo Cass., 6 gennaio 1984, n. 94, in Mass. Foro it., 1984: «sussiste a carico di un’organizzazione che svolge il compito di fornire informazioni commerciali la responsabilità per danni cagionati a terzi, ex art. 2043 c.c., qualora, pur senza formulare apprezzamenti o giudizi negativi sulla moralità della persona (fisica o giuridica) sulla quale fornisce le informazioni stesse, riferisca una situazione non corrispondente al vero, costituendo la divergenza tra la situazione reale e quella risultante dall’informazione una violazione delle comuni norme di prudenza e di diligenza occorrenti nella ricerca della fonte dell’informazione». Secondo Cass., 4 febbraio 1992, n. 1147, in Foro it., 1993, I, c. 3359, con nota di Roppo, Diffamazione per «mass media» e responsabilità civile dell’editore; in Dir. informazione e informatica, 1992, p. 784, con nota di Gallo, Diffusione di prove di consumo e responsabilità dell’emittente televisiva; e in Corriere giur., 1992, p. 774, con nota di Zeno-Zencovich, La «maggior responsabilità» dell’emittente televisiva per le «prove di consumo»: «con riguardo ai pregiudizi subiti dall’impresa produttrice, in dipendenza della divulgazione, nel corso di una trasmissione televisiva, di false notizie circa la presenza di sostanze nocive in un determinato prodotto alimentare, nonché in dipendenza del successivo provvedimento di sequestro di tale prodotto reso dal giudice penale, la responsabilità risarcitoria del giornalista conduttore di detta trasmissione e con lui dell’ente datore di lavoro, sussiste limitatamente al danno casualmente ricollegabile a quella divulgazione, con esclusione del danno conseguente al provvedimento di sequestro, tenendo conto che quest’ultimo si traduce in un’iniziativa pubblicistica, la quale assorbe il comportamento del denunciante, e che, inoltre, l’art. 2055, in tema di responsabilità solidale di più soggetti trova applicazione nel caso di unico danno determinato da atti o fatti diversi, di modo che non opera rispetto a danni distinti».

(48) Dogliotti, Figone, I diritti della personalità, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, p. 331.

(49) Ai sensi dell’art. 65 Regolamento Consob, 14 maggio 1999, n. 11971, si intendono per: «a) “raccomandazione”: ricerche o altre informazioni, destinate ai canali di divulgazione o al pubblico, intese a raccomandare o a proporre, in maniera esplicita o implicita, una strategia di investimento in merito ad uno o a più strumenti finanziari indicati all’articolo 180, comma 1º, lettera a), del Testo unico o a emittenti di tali strumenti finanziari, ivi compresi pareri sul valore o sul prezzo presenti o futuri di tali strumenti; b) “ricerche o altre informazioni intese a raccomandare o a proporre una strategia di investimento”: – informazioni elaborate da un analista finanziario indipendente, da un’impresa di investimento, da un ente creditizio, da soggetti la cui principale attività consiste nell’elaborazione di raccomandazioni ovvero da loro dipendenti o collaboratori, con cui, direttamente o indirettamente, viene formulata una particolare raccomandazione di investimento in merito ad uno strumento finanziario o ad un emittente strumenti finanziari; – informazioni elaborate da soggetti diversi dai soggetti di cui al precedente alinea intese a raccomandare direttamente una particolare decisione di investimento in uno strumento finanziario».

(50) Cass., 4 febbraio 2005, n. 2271, in Mass. Foro it., 2005, nella specie, in un articolo giornalistico era stata attribuita ad un soggetto, oltre all’imputazione per appropriazione indebita, anche quella di emissione di assegni a vuoto e truffa aggravata, riferibile ad altro soggetto; la suprema corte ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso il reato di diffamazione senza accertare se il giornalista era incorso in errore involontario nel senso sopraindicato; Cass. pen., sez. V, 9 luglio 2004, n. 37345, in Riv. pen., 2005, p. 1024; Cass. pen., Sez. V, 16 gennaio 2001, n. 8570; Cass. pen., sez. V, 17 gennaio 2001, n. 11657.

(51) Cfr. Cass., 4 febbraio 1992, n. 1147, in Foro it., 1993, I, c. 3359, con nota di Roppo, Diffamazione per «mass media» e responsabilità civile dell’editore; in Dir. informazione e informatica, 1992, p. 784, con nota di Gallo, Diffusione di prove di consumo e responsabilità dell’emittente televisiva; e in Corriere giur., 1992, p. 774, con nota di Zeno-Zencovich, La «maggior responsabilità» dell’emittente televisiva per le «prove di consumo», la pronuncia riguardava la diffusione di notizie negative su un prodotto alimentare, a seguito dei risultati di un’analisi chimica. Rispetto al caso di specie, non sarebbe corretto concludere che il giornalista è tenuto a controllare l’esattezza di tutte le proiezioni e le previsioni effettuate, in quanto in tal modo si richiederebbe al giornalista di effettuare verifiche di cui non ha ovviamente le capacità tecniche. Nella motivazione, i giudici rimarcano la maggiore responsabilità professionale cui deve attenersi il giornalista televisivo, tenuto conto della particolare incisività del mezzo, allorché diffonda notizie che possono pregiudicare i diritti di terzi.

(52) Cfr. Cass., 13 giugno 2006, n. 13646, in Mass. Foro it., 2006, la censura riguardava un manifesto affisso da un partito politico con il quale si criticava un esponente di spicco di altro partito, la tesi della vittima era che questo contenesse un mero elenco di fatti finalizzato a un mero attacco personale; la suprema corte ha ritenuto l’apoditticità della motivazione perché aveva omesso una puntuale disamina del testo e trascurato di prendere in considerazione i profili attinenti all’interesse pubblico della notizia e alla correttezza formale delle espressioni considerate; Cass., 14 gennaio 1999, n. 334, in Giur. it., 1999, p. 1582: «nonostante l’evidente funzione pubblica e una maggiore estensione rispetto al diritto di cronaca, l’esercizio del diritto di critica non può assolutamente prescindere da parametri desumibili da un equo contemperamento tra l’interesse pubblico in questione e il diritto all’onore e alla reputazione».

(53) Cass., 11 gennaio 2005, n. 379, in Foro it., 2005, I, c. 2406, con nota di Chiarolla, Diffamazione a mezzo stampa, critica e diritti dell’intervistato; Cass., 15 gennaio 2002, n. 370, in Mass. Foro it., 2002: «il diritto di critica (da distinguersi dal diritto di cronaca che non si concreta in un giudizio soggettivo, ma nella sola narrazione di fatti), allorché implichi un giudizio di disvalore, idoneo ad incidere sulla reputazione e sul prestigio professionale della persona nei cui confronti la critica è rivolta, è condizionato, quanto alla legittimità del suo esercizio, all’osservanza del limite della continenza, il quale viene in considerazione non solo sotto l’aspetto della correttezza formale dell’esposizione, ma anche sotto il profilo sostanziale consistente nel non eccedere i limiti di quanto strettamente necessario per l’appagamento del pubblico interesse e postula che il giudizio di disvalore incidente sull’onore e sulla reputazione sia espresso non in termini assiomatici ma accompagnato da congrua motivazione; l’inosservanza di siffatti limiti rende inapplicabile la scriminante e obbliga l’autore del fatto al risarcimento dei danni».

(54) Cfr. Cass., 21 giugno 2004, n. 11470, in La responsabilità civile, 2005, p. 337, con nota di Tuozzo, Cronaca, critica e nuovo danno non patrimoniale; Cass., 25 luglio 2000, n. 9746, in Mass. Foro it., 2000: «in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, qualora il fatto non sia stato ancora valutato in sede penale, presupposto per l’applicabilità della esimente dell’esercizio del diritto di cronaca è la continenza del fatto in esso, intesa in senso sostanziale e formale; sotto il primo profilo, i fatti narrati debbono corrispondere alla verità, sia pure non assoluta, ma soggettiva; sotto il secondo, la esposizione dei fatti deve avvenire in modo misurato, deve, cioè, essere contenuta negli spazi strettamente necessari; peraltro, quando, come accade frequentemente, la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza non può essere condotta, sulla base dei soli criteri indicati, essenzialmente formali, dovendo, invece, lasciare spazio alla interpretazione soggettiva dei fatti esposti; infatti, la critica mira non già ad informare, ma a fornire giudizi e valutazioni personali, e, se è vero che, come ogni diritto, anche quello in questione non può essere esercitato se non entro limiti oggettivi fissati dalla logica concettuale e dall’ordinamento positivo, da ciò non può inferirsi che la critica sia sempre vietata quando sia idonea ad offendere la reputazione individuale, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita; siffatto bilanciamento è ravvisabile nella pertinenza della critica di cui si tratta all’interesse pubblico, cioè nell’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, che è presupposto della stessa, e, quindi, fuori di essa, ma di quella interpretazione del fatto, interesse che costituisce, assieme alla correttezza formale (continenza), requisito per la invocabilità della esimente dell’esercizio del diritto di critica».

(55) Cfr. Cass., 27 aprile 1998, n. 4285, in Giur. it., 1999, p. 7, con nota di Facci, Diritto di cronaca, diritto di critica e reputazione del magistrato, nel caso di specie la corte ha ritenuto non offensivo dell’onore e della reputazione di due magistrati un articolo giornalistico contenente considerazioni negative su un loro provvedimento giudiziario.

(56) Cass., 31 marzo 2006, n. 7605, in La responsabilità civile, 2007, p. 231, con nota di Toschi Vespasiani, L’intangibilità della sfera religiosa soggettiva non limita di per sé il diritto di critica e di cronaca del giornalista; e in Resp. civ., 2006, p. 1887, con nota di Peron, La libertà di cronaca e di critica religiosa al vaglio della corte di cassazione.

(57) Cfr. Cass. pen., sez. V, 9 giugno 2000, n. 8635, in Ced Cass., rv. 217844 (m); Trib. Forlì, 30 settembre 1999, in Foro it., 2001, II, c. 191.

(58) Cfr. Cass., 7 novembre 2000, n. 14485, in Mass. Foro it., 2000, per l’attività politica; Trib. Roma, 26 giugno 2000, in Notiziario giurisprudenza lav., 2000, p. 760, per l’attività sindacale; App. Venezia, 19 settembre 1997, in Dir. famiglia, 1997, p. 1387, per l’attività religiosa; T.a.r. Calabria, sez. Reggio Calabria, 31 maggio 1983, n. 87, in Trib. amm. reg., 1983, I, p. 2286, per l’attività professionale. Tutto ha un limite, come ha deciso la Cass., sez. lav., 22 agosto 1997, n. 7884, in Notiziario giurisprudenza lav., 1997, p. 646; e in Dir. lav., 1998, II, p. 166, con nota di Innocenzi, Lesione dell’immagine del datore di lavoro e giusta causa di licenziamento, nella specie, il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva rigettato l’impugnativa contro il licenziamento per giusta causa intimato, da impresa svolgente per conto di un comune il servizio di sgombero dei rifiuti, a proprio dipendente che, intervistato da una emittente televisiva locale, oltre ad esaltare la precedente concessionaria, aveva accusato la datrice di lavoro di avere smaltito nelle discariche comunali rifiuti speciali ospedalieri, mentre tale adempimento era stato disposto dal sindaco con apposita ordinanza e sotto il controllo del servizio di igiene.

(59) Cfr. Cass., 25 luglio 2000, n. 9746, in Mass. Foro it., 2000; Cass., 22 gennaio 1996, n. 465, ivi, 1996, nella cui motivazione si afferma che la continenza debba essere valutata in modo più elastico, quando la cronaca si presenti unitamente alla critica.

(60) Cfr. Cass., 29 maggio 1996, n. 4993, in Foro it., 1996, I, c. 2368; Balestra, Critica e satira: rapporto di genus a species?, in Corriere giur., 1999, p. 1570; Id., La satira come forma di manifestazione del pensiero – Fondamento e limiti, Milano, 1998.

(61) Cass., 8 novembre 2007, n. 23314, in Corriere giur., 2008, p. 945, con nota di Fittipaldi, Le peripezie del “diritto di satira” nella stagione delle comunicazioni di massa, fra “diritto all’informazione”, “diritto di cronaca” e tutela dei “diritti fondamentali della persona”; e in La responsabilità civile, 2009, p. 624, con nota di D’Alessandro, I limiti all’esercizio della satira secondo la giurisprudenza, la suprema corte ha confermato la sentenza impugnata, con la quale era stata esclusa la scriminante prevista dall’art. 51 c.p. nella pubblicazione di una vignetta riportata su un settimanale che aveva comportato un attacco all’immagine pubblica del soggetto ritratto, essendosi risolta nella rappresentazione caricaturale e ridicolizzante di un magistrato realizzata per denigrare la sua attività professionale, la sua immagine e il suo patrimonio morale attraverso l’allusione a condotte lesive dei sui doveri funzionali di imparzialità, di diligenza e di rispetto delle regole processuali.

(62) Cass., 8 novembre 2007, n. 23314, cit.; Trib. Latina, 24 ottobre 2006, in Riv. pen., 2007, p. 785: «non costituisce vilipendio alla religione ma esercizio del diritto di libera manifestazione del pensiero nella forma della satira, la pubblicazione on-line di vignette e giochi elettronici che, pur prendendo di mira simboli e persone rappresentative della religione cattolica, critichi, attraverso la satira anche grossolana e volgare, la posizione della chiesa-istituzione nei confronti della omosessualità e della sessualità»; Cass., 24 febbraio 2006, in Dir. e giustizia, 2006, fasc. 17, p. 49, con nota di Pezzella: «non può ritenersi legittima espressione del diritto di satira la ridicolizzazione dell’aspetto fisico di una persona, senza alcuna connessione con la finalità dello scritto».

(63) Trib. Milano, 1 febbraio 2001, in Annali it. dir. autore, 2001, p. 658; Trib. Roma, 24 ottobre 2001, in Dir. informazione e informatica, 2002, p. 797.

(64) Cass., 8 novembre 2007, n. 23314, cit.; non è in contrasto, Trib. Roma, 14 gennaio 2002, in Foro it., 2003, II, c. 67, secondo il quale, «vanno assolti dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa gli autori di un articolo giornalistico dove, con tono satirico e paradossale, si fa allusione a un giudice “fidato” disposto, nel compiere indagini sulle “coop rosse”, ad assecondare un disegno politico finalizzato a delegittimare il pool di “mani pulite”».

(65) Cass. pen., 20 ottobre 1998, in Dir. informazione e informatica, 1999, p. 369; Cass. pen., 18 marzo 2003, n. 12662, in http://www.dirittoegiustizia.it/Dettagli.asp?ID=11911, nel caso di specie al direttore di un giornale era stato imputato per il fatto che nel titolo di un articolo pubblicato sul suo giornale Stefania Ariosto era stata equiparata ad Ipsala, personaggio storico realmente esistito e nell’articolo era stata definita come «donna di corte berlusconiana». Il direttore è stato assolto in accoglimento delle tesi della difesa, secondo le quali la pubblicazione dell’articolo in questione era da collegare al legittimo esercizio del diritto di critica politica, articolatasi in corretta e continente esposizione di satira. Secondo il Trib. pen. Trento, 15 gennaio 1999, in Dir. informazione e informatica, 1999, p. 400: «il diritto di satira, benché destinato a prevalere sul confliggente diritto all’onore e alla riservatezza del soggetto preso di mira non può trasformarsi in diritto del libero insulto, travalicando il limite della correttezza del linguaggio e calpestando quel minimo di dignità che la persona umana reclama».

(66) Cfr. Cass., 7 novembre 2000, n. 14485, in Mass. Foro it., 2000; Trib. Roma, 26 febbraio 1997, in Foro it., 1997, I, c. 1958; Trib. Roma, 26 giugno 1993, in Dir. informazione e informatica, 1993, p. 985, nella quale è precisato che l’attività di satira corrisponde ad un’antichissima esigenza di controllo sociale e di ridimensionamento dei potenti e dei famosi.

(67) Cfr. Trib. Roma, 13 febbraio 1992, in Dir. informazione e informatica, 1992, p. 844; e in Dir. famiglia, 1994, p. 171, con nota di Dogliotti, Al Bano, Romina, Arbore, D’Agostino: satira, privacy e mass media; ibidem, p. 181, con nota di Weiss, Diritto costituzionale di satira o diritto di pettegolezzo?; ibidem, p. 198, con nota di Lopez, Sui limiti di liceità del diritto di satira, nella quale è stata rigettata la domanda del noto cantante, proprio sul presupposto della prevalenza accordata al diritto di satira. Diversamente sono andate le cose nel cautelare deciso dal Pret. Roma, 16 febbraio 1989, in Dir. informazione e informatica, 1989, p. 520.

(68) Trib. Roma, 6 luglio 2004, in Dir. e giustizia, 2004, fasc. 43, p. 88.

(69) Cfr. Balestra, La satira come forma di manifestazione del pensiero – Fondamento e limiti, Milano, 1998, p. 100; Id., Critica e satira: rapporto di genus a species?, in Corriere giur., 1999, p. 1576 s.; Trib. Milano, 26 maggio 1994, in Dir. informazione e informatica, 1995, p. 615, con nota di Lodato, Diritto di sorridere e finalità informativa della vignetta satirica: «non può considerarsi lecito esercizio del diritto di satira la raffigurazione caricaturale di contenuto offensivo, anche se ironica, che esplicitamente si colleghi, attraverso i titoli, ad articoli giornalistici, anche se il contenuto di questi ultimi non sia di per sé diffamatorio; in tal caso, infatti, la vignetta non è pura e semplice espressione satirica ma vero e proprio veicolo di informazione giornalistica e – come tale – assoggettata ai limiti propri del diritto di cronaca»; Cass., 29 maggio 1996, n. 4993, in Foro it., 1996, I, c. 2368, si trattava di una vignetta di Forattini su Craxi.

(70) Proprio a questi temi sono dedicate le riflessioni di Balestra, Satira da censurare? In margine al caso Luttazzi, in Corriere giur., 2001, p. 952, che affronta il tema della notizia che vuole divertire e non necessariamente informare.